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Autore: Lady Femke    26/08/2009    0 recensioni
Cosa succederebbe se neanche i personaggi che prendono vita dalle leggende sapessero di esserlo? E se neanche le leggende che conosciamo rispecchiassero la vera realtà? Ecco quindi, due coppie di fratelli, che contro ogni regola diventeranno amici, proprio dopo le morti causate da quelle stesse regole. Ma del resto le regole sono fatte per esse infrante...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Equinox

 Equinox

 - 2 -

 Riuniti

 

L’aereo stava rollando sulla pista. Meredith, all’ultimo momento, era riuscita a fare avere ad Abigail un posto poco più avanti dell’ala dell’aereo. Era sempre stata così premurosa con lei, ma nell’ultima settimana molte cose erano cambiate nella vita della ragazza, forse troppe.

Abigail era sempre stata una ragazza forte, caratteristica che indubbiamente aveva acquisito da sua madre Helen, ma da una settimana a quella parte tutto il suo mondo era crollato. Non si era mai sentita cosi sola ed indifesa. Ora era lì, seduta su quell’enorme aereo, diretta in un posto sconosciuto per cercare un uomo di cui non sapeva quasi niente, se non le poche righe che sua madre, molti anni prima, le aveva scritto in una lettera. Una lettera che doveva essere consegnata solo alla sua morte. Così era stato.

Una lacrima sgorgò da quegli intensi occhi grigi, mentre lo sguardo era perso fuori dall’oblò. La terra si allontanava, ma non tratteneva con sé la tristezza ed il dolore.

Nella lettera, sua madre raccontava ad Abigail, come da giovane si fosse invaghita di un uomo e come, in una sera diversa dalle altre, avessero fatto assieme una pazzia. Quando Helen scoprì che, nonostante tutto quello che aveva passato, lui non si sentiva di lasciare la moglie e il giovane figlio, abbandonò tutto per andarsene il più lontano possibile da quell’uomo. Solo in seguito scoprì di essere in dolce attesa di Abigail.

Decise di tenere quel bambino, il frutto di un sentimento così forte. Almeno da parte sua.

Nell’ultima settimana non aveva fatto altro che ripensare a quella lettera e, immancabilmente, ogni volta l’assaliva un singhiozzo strozzato.

Lei e sua madre erano sempre state sole, ma erano sempre state felici così. Traslocavano spesso per il lavoro di Helen, ma non era un problema per Abigail. In sedici anni aveva vissuto a Los Angeles, New York, Firenze, Strasburgo, Londra e per ultimo a Tokyo. La sua vita era stata un’avventura, anche ora lo era! Prese un profondo respiro nel tentativo di calmarsi e ricacciare indietro il fiume di lacrime, che sembrava non esaurirsi mai.

“Signorina, va tutto bene?”

Chiese l’hostess con un mezzo sorriso e uno sguardo ansioso.

Abigail annuì cercando di essere credibile, un sorriso appena abbozzato le solcò qualche istante il viso.

“Sì, nessun problema. Grazie.”

Dopo averle lanciato un’ultima occhiata preoccupata, l’hostess si diresse verso il suo posto. Sicuramente Meredith aveva parlato con qualcuno all’aereoporto, in modo che la tenessero d’occhio per tutto il viaggio.

Sbuffò stizzita, Meredith era stata una buona amica di famiglia negli ultimi anni a Tokyo, ma ora non poteva più fare altro se non metterla su quell’aereo e continuare  trattarla come una ragazzina qualunque.

 

Quando la sua sveglia suonò, Gabriel era già in piedi da circa mezz’ora e aveva appena finito di rifare il letto.  Ora di fronte all’armadio aprì malamente un’anta per scegliere cosa mettersi, quando un’ondata di vestiti scuri lo travolse.

Gabriel era un vero amante della musica di ogni genere, anche se il rock era il suo prediletto. La sua camera, infatti rispecchiava questo stile. Le pareti erano completamente coperte da scaffali pieni di CD, gruppi del passato e del presente. Qualche anno prima era andato in disibilio nel aver trovato dei vecchi dischi in un mercatino dell’usato e ora li teneva con grande cura, come se fossero dei tesori veri e propri; così la sua modesta stanza mansardata sembrava ancora più piccola di quello che era. Aveva il letto proprio dove il muro diventava più basso e spesso aveva finito per sbatterci la testa violentemente, soprattutto la mattina quando si svegliava. Ci volle del tempo per abituarsi e la sua statura non gli era di certo d’aiuto. Non per nulla era un giocatore di basket! Dopo essersi infilato al volo dei jeans scuri, aprì il lucernaio per far prendere aria alla stanza, infine voltandosi a guardare intorno gli occhi si soffermarono sulla foto sorridente di sua madre e lui da piccolo. Erano tifosi sfegatati di basket e quando divenne titolare e successivamente capitano della squadra della scuola si ricordò che fu il suo orgoglio. Il suo coach gli aveva confidato che quest’anno con l’arrivo degli osservatori del college si sarebbe assicurato molto probabilmente la borsa di studio per lo sport. Ma come spesso accade il destino a volte sembra avere altri piani.

Finì con calma di vestirsi continuando l’opera allo specchio: una sistemata veloce ai capelli biondissimi tagliati molto corti e un tocco di gel per finire.  Il basket gli aveva assicurato popolarità e particolare successo tra le ragazze, a dispetto di qualche sua stranezza. Non era un brutto ragazzo, oltre all’altezza aveva il fisico scolpito dall’attività fisica; gli occhi erano scuri e profondi e la pelle sembrava perennemente abbronzata. Nonostante ciò non aveva mai avuto una ragazza fissa, solo piccole avventure.

 

Quando Gabriel scese al piano di sotto, andando verso la cucina scorse il padre intento a bersi un caffè, rigorosamente ristretto. Gli arrivò alle sue spalle, silenzioso e furtivo, cercando di recuperare la sua tazza preferita senza essere visto. Appena fu troppo vicino, però, il padre accorgendosi della sua presenza, finì per spaventarsi saltando di scattò sulla sedia dopo essersi scottato con il suo caffè.

“Nervoso per oggi?”

Chiese divertito guardandolo dritto in volto dirigendosi poi verso il frigorifero a tirare fuori un cartone del latte per versarlo abbondantemente nella tazza, osservando suo padre che si ricomponeva asciugando il caffè versato.

Lo vide scuotere il viso senza dire una parola, d’altro canto non che lui non lo fosse, la notizia dell’arrivo di quella ragazzina nonché sua sorellastra era stata una vera doccia fredda.

Ci aveva messo davvero tanto a perdonare suo padre per quello, sua madre ormai era morta da cinque anni, ma era ancora una ferita aperta soprattutto perché suo padre non aveva mai detto che aveva avuto una relazione. Lui lo sapeva solo da poche settimane e seppur, a differenza dell’inizio, non spariva più di casa per giorni e non gli urlava contro, faceva ancora fatica a perdonarlo, anche se i loro rapporti si erano decisamente distesi.

Quindi uscì dalla cucina avviandosi verso l’ingresso dove aveva già preparato i suoi libri e le chiavi della macchina. Uscì dalla porta sul retro con un sospiro rassegnato. Non poteva evitare quella situazione, quindi prima o poi avrebbe dovuto arrendersi, ma ora doveva solo sbrigarsi. Era già abbastanza in ritardo per la scuola.

 

Il viaggio era stato lungo e movimentato, avevano incontrato una perturbazione, ma nulla di veramente impressionante come quell’anno che lei e Helen erano andate in India.

Abigail era tremendamente affamata, dopo aver aspettato per quasi un’ora le sue valigie, ora era seduta ad un bar dell’aeroporto in attesa di un cappuccino e brioche, per alleviare i morsi della fame.

Tutti la stavano guardavano. Cercò di non farci caso, alla fine era abituata a quelle attenzioni verso di se. Viaggiando così tanto aveva capito che la gente era molto attratta dal mistero, anche se a volte era più l’immaginazione, che altro a guidarle.

Del resto, ora la gente, vedeva una ragazza di sedici anni, seduta al bar apparentemente da sola con due enormi valigie. Era snella, ma non molto slanciata, occhi grigi come perle, con sguardo incredibilmente intelligente e vivace, capelli biondissimi che cerchiavano un viso serio e già con fattezze adulte. Per il viaggio aveva optato per dei vestiti comodi, era un vero maschiaccio sia nei miei modi di essere sia in quelli di vestire, seppur in quello era stata influenzata dal passato di sua madre e così i colori smorzati e tenui non mancavano mai addosso a lei.

Intelligente più che mai, era una ragazza con un profondo senso della giustizia e un carattere irrequieto e pepato, non permetteva a  nessuno di metterle i piedi in testa.

Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli un po’, mentre alzò lo sguardo per vedere l’orario vicino al tabellone dei voli. Erano quasi le dieci e mezzo del mattino. Finì in fretta il suo cappuccino e prendendo le valigie le trascinò verso l’uscita principale, ancora poco e sarebbe arrivato il mezzo di trasporto che Meredith aveva prenotato per portarla alla sua nuova casa.

Rimase ad aspettare sotto la tettoia, il sole era nascosto da nuvole scure, l’aria era molto più fredda di come lo era in Giappone alla sua partenza. Non dovette aspettare molto. Una Mercedes berlina blu scura si fermò proprio davanti a lei, anche se la corsia era adibita solo ai taxi. Un uomo spense il motore e scese, andandole incontro.

“Buon giorno e ben arrivata, signorina Abigail!”

La salutò con un sorriso aperto e offrendosi di prenderle le valigie.

Abigail lo studiò con attenzione, mentre lui metteva i bagagli nel baule. Era abbastanza giovane, avrà avuto trent’anni, era biondo e con il viso curato, vestito bene, con un completo scuro, camicia e cravatta. Decisamente non sembrava un tassista, neanche di quelli privati.

Sobbalzò quando lui chiuse il baule e le rivolse un altro sorriso aprendole la portiera posteriore per

invitarla a salire.

Lei gli rispose con una certa titubanza, ma ubbidì e prese posto.

 

Gabriel arrivò a piedi davanti all’edificio in mattoni rossi. Ogni mattina se la faceva sempre a piedi, suo padre non aveva ancora voluto prendergli una macchina e per orgoglio lui si rifiutava di rendere ancora il pullman come i ragazzi del primo anno. Guardando il lato positivo, cosi era sempre in movimento, non c’era il rischio che perdesse la sua forma atletica.

Pensando a quello però non sapeva se riderne o piangerne. Del resto andava ancora bene quando c’era bel tempo, ma quando, come quella giorno, il tempo non sembrava voler seguire le regole di stagione, la cosa non era molto invitante.

Sfregandosi un po’ le mani per scaldarle si avviò verso l’entrata salutando qua e là dei ragazzi che conosceva, anche se la maggior parte non sapeva neanche come si chiamavano. Accelerò il passo quando entrando sentì subito suonare la campanella. Come sempre era arrivato per un soffio in orario.

 

Il tratto in macchina non era stato molto lungo per fortuna. L’uomo per quanto continuasse a sorriderle non era certo di molte parole! Si fermarono davanti ad una casa come tante, il quartiere sembrava tranquillo, ma forse era solo un impressione. Del resto era quasi mezzogiorno, i ragazzi erano a scuola e la maggior parte degli adulti a lavoro. L’uomo misterioso scese e venne ad aprirle la portiera come aveva fatto prima, scaricò il baule, mentre Abigail rimaneva sul marciapiede a fissare stranita la casa di fronte a lei.

Stando lì, si rese conto che la sua vita stava cambiando radicalmente. Non perché si era trasferita ancora, ma perché lì avrebbe messo finalmente radici. Avrebbe potuto avere finalmente una famiglia, degli amici, cose che fino a quel momento non aveva avuto o almeno non nel senso che intendevano tutti i suoi coetanei. Finora non aveva una casa che non continuasse a cambiare ogni tre o quattro anni, aveva una famiglia composta solo da sua madre e degli amici che condividevano solo un breve tratto della sua vita.

Sospirò nervosa. Le paure cominciavano ad assalirla, anche se con qualche ritardo. La paura di angosciare quell’uomo che avrebbe dovuto essere suo padre. Di lei non sapeva niente, in tutti quegli anni era andato avanti per la sua strada facendosi una famiglia e ora arrivava lei a stravolgere anche il suo di mondo.

Con una mano l’uomo chiuse il baule e andò alla porta a suonare il campanello, poi si girò verso la ragazza e le rivolse un altro dei strani sorrisi.

Abigail lo fissò ancora ferma sul marciapiede. Perché nessuno veniva ad aprire la porta? Lui avrebbe dovuto esserci in casa! Possibile che fosse uscito perché non la voleva?

Scossa la testa con decisione. Doveva smettere di lasciar vagare in quel modo la sua fantasia. Va bene tutto, però se lui non fosse venuto ad aprire, lei che cosa avrebbe fatto? Ora era completamente sola! Scosse di nuovo la testa. No! Non doveva cedere a quel modo, qualcosa avrebbe inventato, così cominciò facendo un passo verso la porta.

 

 

 

  
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