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Autore: Gaia Bessie    05/03/2021    2 recensioni
In un mondo in cui Bellatrix Lestrange è sopravvissuta alla battaglia di Hogwarts e si appresta a ricevere il Bacio del Dissennatore, dopo ventidue anni di fuga, sua figlia Delphini prova a salvarla.
[Bellatrix/Voldemort | Delphini | Possibile OOC | Seconda classificata e vincitrice del premio per la storia preferita della giudice al contest “Sing A(ngst) Song!” indetto da kiddoB sul forum di Efp]
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Delphini respira a fatica, il volto nascosto da una mascherina chirurgica, mentre le mani le tremano celate dall’aria così umida da apparire quasi tangibile. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Delphini Riddle, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Più contesti
Capitoli:
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Cieli in plastica

Parte seconda: Plastica che sembra carta
 
 
Vieni a fare un giro dentro di me
O questo fuoco si consumerà da sé
E se una vita finisce qua
Quest'altra vita presto comincerà
 
 
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Delphini respira a fatica, il volto nascosto da una mascherina chirurgica, mentre le mani le tremano celate dall’aria così umida da apparire quasi tangibile. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
***
 
Sedici ore prima, St. Oswald’s Home for Old Witches and Wizard.
 
Ad Azkaban piove sempre, pensa distrattamente Delphini, e adesso sua madre siederà sul pavimento della propria cella inzuppata di pioggia a osservare i mutamenti d’una pozzanghera che si espande fino ad allagare tutta la prigione. Allagata, si sente anche lei, perché il cuore non sa nuotare nella pozza di lacrime in cui è immerso.
Allagata, la cassa toracica e perfino i polmoni: respirare diviene complicato, in quella complessa mappa subacquea. Delphini sospira, giocherellando con la Giratempo con aria distratta. Non ha il coraggio di prendere e andare a chiedere consiglio a sua madre, non ha il coraggio di azionarla ancora una volta per tornare in un passato indefinito, sconosciuto.
«Delphi?» la richiama la bionda inserviente, entrando in camera senza bussare. «Una signora è venuta a trovarti. Dice di essere un’amica del signor Diggory».
Lei alza lo sguardo, incuriosita, per incontrare due occhi azzurri come una pervinca e capelli così biondi da sembrare bianchi. Non l’ha mai vista prima, se non al matrimonio di sua madre: una damigella in abito azzurro – un po’ demodé – che vagava tra gli invitati con un sorriso fiero e il girocollo dei Malfoy a designarne l’appartenenza.
Lo indossa ancora, quel collare, come per dire che è ancora fiera d’esser una Malfoy e una Black, l’ultima erede legittima di Cygnus. Narcissa Black le sorride, amabilmente, accomodandosi su una poltroncina rossa con un cenno del capo.
«E così eri qui» commenta, atona. «Non hai idea di quanto tempo ho impiegato a cercarti, quando sei scomparsa da casa mia durante la Battaglia di Hogwarts».
Delphini le lancia uno sguardo guardingo, incerto, mentre si tira a sedere sul letto. La Giratempo è ancora lì, nascosta nel copriletto, ma sa perfettamente che sua zia deve averla vista: Narcissa la osserva con curiosità, come se stesse cercando di comprenderne la psiche senza doverle per forza rivolgere la parola.
Ha l’aria aristocratica, Cissy Malfoy, il naso all’insù le conferisce un’espressione sempre terribilmente schifata da chi le sta intorno. L’aria aristocratica e occhi freddi come quella pozzanghera che si slarga sul pavimento di Azkaban.
«E che avresti fatto, se fossi rimasta a casa tua?» sibila Delphini, contrariata. «Se Rabastan Lestrange non mi avesse portata via. A chi mi avresti venduta? A chi mi venderai?».
«Ti avrei cresciuta come una figlia, Delphini» la rimbrotta Narcissa, senza scomporsi. «E sicuramente i risultati sarebbero stati migliori di quel che vedo».
«Non mi hai cercata» risponde la ragazza, atona. «Non era nemmeno così complicato, trovarmi: ho sempre vissuto qui».
Narcissa sospira, massaggiandosi le tempie con la mano gelida. Gelida, l’anima che cruda avanza fino a uscirle dalla bocca in quel singolo sospiro, privandola di ogni spirito vitale.
«Se ti avessi trovata, come hai detto tu, il Wizengamot non ti avrebbe permesso di vivere» commenta Cissy, calma. «Sei la figlia di due maghi oscuri, Delphini, cerca di tenerlo bene a mente».
«E adesso perché sei qui?» le sibila Delphi, stringendo gli occhi neri. «Adesso vuoi giocare alla famiglia felice anche con me?».
«Voglio che tu restituisca al Ministro la Giratempo che hai rubato» risponde la donna, senza scomporsi minimamente. «Diremo che l’hai trovata in giro, o qualcosa del genere. Nessuno sarà disposto ad ammettere che una ragazza fresca di scuola sia stata in grado di aggirare le misure di sicurezza ministeriali».
«E poi vivremo per sempre felici e contente?» le domanda Delphini, lo sguardo carico di disprezzo. «Temo di dover rifiutare: non rinuncerò a far risorgere i miei genitori, zia, anche se tu hai già perso ogni speranza».
«Ho provato a salvare tua madre» risponde Narcissa, calma. «Puoi pensare quel che vuoi ma, nonostante tutto, rimane pur sempre mia sorella».
Narcissa omette che, da quando ha riscoperto Andromeda al funerale dei caduti, Bellatrix non è più l’unica sorella che le rimane. Ma l’ama ancora, di quel ricordo dolceamaro che ne ha, proveniente da una gioventù offuscata dalla memoria che trema su quelle immagini. Bellatrix piena di speranze, al suo matrimonio, piena di passione e devozione per l’uomo sbagliato.
Devozione e passione, ciò che l’ha sempre mossa attraverso gli anni, passione e devozione, le sue condanne. È quello che Narcissa ha domandato ad Harry Potter, fermandolo al Ministero dopo il processo a sua sorella: si può condannare qualcuno per aver amato?
Lei sì, ha risposto Harry con sguardo determinata, io lei la condannerei altre mille volte. Narcissa ha taciuto ma, dentro di sé, qualcosa disperatamente gridava.
«Cosa sei venuta a fare, qui?» le domanda Delphini, atona. «A parte ricostruire la tua famiglia perfetta, intendo».
«Io non posso aiutarti, se non dicendoti di rinunciare» commenta Narcissa, piano. «Ma tu lo sai già, quanto indietro devi tornare».
Lei è sicuro di aver fatto tutto quello che era in suo potere per salvare Cedric Diggory?
Delphi spalanca gli occhi, in un lampo di comprensione che non le lascia scampo. Cedric Diggory. Deve tornare a quel momento e riuscire a fermare suo padre dopo lo scontro del Prior Incantatio, e convincerlo a tornare indietro per impedire a sé stesso di provare a uccidere il neonato Harry Potter. Lord Voldemort non crederà mai a lei, ma a sé stesso come potrebbe non prestare orecchio?
«Perché mi stai aiutando?» le domanda Delphini, incerta. «Pensavo che le cose ti andassero bene, da quando Potter ha sconfitto mio padre».
«Noi resistiamo» commenta Narcissa, senza alcuna inflessione. «A ogni cambio di sorte, noi Malfoy ci adeguiamo. Non sarò contenta di un ritorno del Signore Oscuro, questo no, e spero che tu capisca che non puoi riuscire nel tuo intento».
«Cosa intendi dire?» sussurra la ragazza, con tono di voce incerto. «Come fai a sapere che non posso cambiare il passato?».
«Perché esiste il destino, Delphini» commenta l’altra, sistemando con una mano i capelli biondi, che ormai iniziano a esser bianchi per davvero. «E il destino di tuo padre era essere sconfitto: tutti noi dobbiamo morire, prima o poi».
«Lui avrebbe potuto vivere per sempre» insiste Delphini, stringendo i pugni. «E insegnarmi come fare ad essere come lui».
Ma Narcissa Malfoy scuote la testa, alzandosi con lentezza dalla poltroncina. «Avresti dovuto rimanere con Rodolphus» constata, amaramente. «Adesso mi scuserai, ma devo tornare a casa».
Sulla soglia, si ferma.
«So che a Durmstrang insegnano con molta dovizia un certo particolare tipo di incantesimo» commenta, sorridendo quieta. «Ti dispiacerebbe?».
Delphini alza la bacchetta. Oblivion.
 
***
 
Quindici ore prima, Aix-en-Provence.
 
Sembra che sia rimasto ad aspettarla. Rodolphus Lestrange, almeno nei suoi pensieri sfilacciati come cartastraccia, non ha mai abbandonato il suo posto di fronte al tavolo della cucina, con una cioccolata calda ormai inevitabilmente fredda.
I pensieri, per quanto accartocciati e inservibili, non mentono: quando si Materializza nella cucina della tenuta Lestrange, Delphini lo trova nella stessa posizione in cui l’ha lasciato – le mani perse nei capelli brizzolati, e l’espressione disperata.
Lui la guarda, come se nel suo viso privo di espressione potesse cogliere qualcosa, e invece è tutta carta che si piega in un sorriso che non è mai tale. È una smorfia che deforma il volto in un buffo origami di cartastraccia, un santino che reca su di sé il nome di Lord Voldemort.
«Sei tornata indietro» osserva Rodolphus, atono. «Cosa ti serve, adesso?».
Delphini sospira. «Il Torneo Tremaghi» sussurra. «Devo andare lì, non è vero?».
Rodolphus le lancia un’occhiataccia, passandosi una mano tra i capelli con aria esasperata. «Pensavo avessi cambiato idea» ammette, senza mostrarle vestigia di dispiacere. «Che avessi deciso di lasciar perdere».
«Io non lascio mai perdere» risponde Delphi, calma. «E tu hai le risposte che cerco. E la chiave è il Tremaghi, non è vero?».
«E chi lo sa? Solo gli sciocchi possono pretendere di cambiare il passato» osserva Rodolphus. «Il Tremaghi, forse, la notte dell’Ufficio Misteri? Magari perfino più indietro di dove sei andata, forse a quando si sono conosciuti? Chi può saperlo».
«Voglio delle risposte» sibila la ragazza, puntandogli contro la bacchetta. «E tu me le darai».
«So che a Durmstrang vi insegnano solo due cose» constata l’uomo, calmo. «A dire la verità e a dimenticare d’averla detta».
Delphini stringe la bacchetta in mano, la formula che le brucia la punta della lingua come Ardemonio: è lì, sulle papille gustative, e lei potrebbe semplicemente dirla. Ma Rodolphus Lestrange la osserva come potesse coglierne i pensieri e ride, ride, ride. Il suono della risata di sua madre, indimenticabile, lo scolo d’acqua in una prigione dove piove sempre.
«Non parlerai» constata Delphini, delusa. «Mi lascerai per davvero vagare nel passato finché non avrò trovato un modo?».
Rodolphus sorride, mostrando i denti come un lupo. «Solo gli sciocchi pensano di poter giocare con il passato» ribadisce. «Ed è ancora più sciocco e folle di chi pensa di poter vivere per sempre».
Delphini gli punta contro la bacchetta, senza mutare espressione del volto. Rodolphus le sorride con una dolcezza strana, disarmante.
«Fallo» la incita, alzando il mento con aria di sfida. «Cosa vuoi che abbia da perdere? Per il Mondo Magico è come se fossi già morto».
Per un momento, Delphini non riesce a non pensare a quanto lui e Bellatrix siano simili.
«Torna indietro, 15 giugno 1979» le risponde, con calma disarmante. «Scoprirai di non essere insostituibile, Delphini, ma di essere una sostituta».
Delphi stringe gli occhi, decisa a non fargli pregustare la sua ira, prima di chiuderli definitivamente e pronunciare quella formula.
«Una vita per una vita, Delphini Lestrange» continua Rodolphus, chinando il capo in segno di saluto. «15 giugno 1979, e poi vienimi a cercare e a dirmi cosa ne pensi dei tuoi genitori».
Delphi non ricambia il cenno, ma agita la bacchetta con grazia algida, disegnando un ghirigoro nell’aria. Oblivion.
Corre fuori: il cielo sembra carta stracciata, le nubi l’ennesimo inchiostro inutilmente versato. È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù.
Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
***
 
Non ha resistito alla curiosità, che se l’è mangiata viva mentre caricava la Giratempo: punto d’arrivo, 15 giugno 1979, la tenuta in Cornovaglia dei Lestrange. L’erba le pizzica le caviglie, incolta, mentre avanza a fatica nella nebbia che ne inghiotte i passi.
Un grido lacera l’aria. A pochi passi da lei, Bellatrix Lestrange s’è accasciata sull’erba stringendosi il ventre. Delphini vorrebbe correre da lei, ma qualcosa la frena, è come se le gambe non rispondessero ai suoi comandi.
Perché un giovane Rodolphus Lestrange corre attraverso il prato, chinandosi vicino alla moglie, con aria turbata.
«Lo sta perdendo» urla, in direzione di una persona fuori dal campo visivo di Delphini. «Per Salazar, Narcissa! Vieni a darmi una mano, portiamola dentro».
Narcissa Malfoy s’avvicina a passo cadenzato, chinandosi per guardare sua sorella da vicino, con aria disgustata.
«Lo sta perdendo» conferma al cognato, senza lasciar trasparire alcuna emozione. «Devi avvisare il Signore Oscuro, Rod».
«Come fai ad essere così calma, Cissy?» le domanda Rodolphus, in un sibilo. «Se lo perde siamo tutti morti, te compresa».
«In ogni fine c’è un nuovo inizio» risponde Narcissa, con tono pacifico. «Ha dimostrato di essere in grado di dargli un figlio. Gliene darà un secondo, se serve. Chiamalo!».
Rodolphus sospira, arrotolando la manica del completo da Mago fino al gomito, e premendo il pollice sul Marchio Nero.
«Portiamola dentro» ripete. «O vuoi farla vedere all’Oscuro Signore in questo stato?».
Narcissa annuisce, con aria concentrata. «Hai una pozione calmante?» gli domanda, alzando lo sguardo. «Temo che le servirà».
Un grido squarcia l’aria. Delphini non se ne rende nemmeno conto, ma ha gli occhi pieni di lacrime.
 
***
 
Quattordici ore prima, Azkaban.
 
Bellatrix Lestrange brucia di mancanza. A Delphini ciò pare subito chiaro, quando torna ad Azkaban per interrogarla su ciò che ha visto, con un cestino pieno di torta di mele per giustificare la propria presenza in quella prigione. Fatta da noi volontari, ha spiegato agli Auror, non sarebbe corretto concederle un ultimo pasto?
Sua madre non l’ha nemmeno guardata, quella torta, ma ha puntato i propri occhi neri e febbrili sulla figlia, cercando sul suo viso vestigia del padre. E senza trovarne nessuna. Delphini s’è seduta sul pavimento, incerta, piena di domande.
«Madre» la chiama, sussurrando. «Devo porti delle domande».
Bellatrix osserva la torta di mele con incertezza, forse convinta che la propria figlia sarebbe in grado di avvelenarla. «Domanda, allora» sibila. «Non colgo impedimenti».
Delphi sospira, stremata, e si decide a guardare sua madre dritta negli occhi, ricambiandone lo sguardo.
«Hai avuto altri figli, oltre a me?» le domanda, atona. «Altri bambini».
Bellatrix ride, facendo tremare l’aria. «Io non ho figli» risponde, con calma innaturale. «Non ne ho mai avuti».
«Io sono tua figlia» ribadisce Delphini, in un sibilo. «Fingi di dimenticartene, se vuoi, ma lo sai».
«Tu sei un piano» risponde sua madre, affilando lo sguardo. «Un incontro tra Arti Oscure, forse. Ma, figlia mia, non lo sarai mai».
Delphi sospira, passandosi una mano sul volto con aria stanca. «Hai avuto altri piani?» chiede, nuovamente. «Altri incontri di Arti Oscure?».
Bellatrix sorride, a quel ricordo di vite che le si sono spezzate dentro, e di come abbia confessato a sua sorella di non esser fatta per divenire madre: i patti, la passione asciugatasi tra le braccia di colui che ha sempre nominato, sono tutte cose che non collimano con l’essere chiamata madre. Lei, un Draco piagnucoloso e con il moccio al naso, non l’ha mai desiderato – e, dopo la nascita di Delphini, è sempre stata Narcissa a cullarla e a cantarle canzoncine stupide sopra la culla. A nutrirla, con il latte preparato dalle Elfe, perché Bellatrix s’è rifiutata di fornire nutrimento a un essere talmente inutile. Una femmina.
Persino Lord Voldemort – che le aveva esplicitamente domandato un piano e un incontro di Arti Oscure – ne era rimasto terribilmente deluso. Una bambina inutile, che sarebbe sempre stata seconda a un uomo, una bambina che non sarebbe stata nominata, forse, ma che avrebbe sempre e comunque avuto un nome da donna. Della famiglia della madre, quello sì, Lord Voldemort non avrebbe permesso a nessun infante di portare il suo nome.
Bellatrix Lestrange alza il volto verso il cielo, per quel poco che si vede ad Azkaban, e sorride mostrando i denti mancanti: è che a volte il cosmo sembra fatto di carta e, invece, è solamente plastica accartocciata. E la pioggia che non scende crepando il cielo, quello sì, quello sempre.
«Due» ammette Bellatrix, aspettando che il cielo si sciolga in acqua sporca. «Uno era troppo piccolo per capire se fosse maschio o femmina, non ha fatto nemmeno male».
A Delphini si strozza il fiato in gola, nell’udire quelle parole. «E il secondo?» sussurra, piano. «Cosa gli è successo?».
Sua madre ride, tagliente come l’aria gelida che attraversa la prigione. «L’ho perso mentre io e Rodolphus fuggivamo da Moody e i suoi Auror» ricorda, scrollando le spalle. «L’ho pugnalato con le mie mani, pur di non consegnarlo a loro. E sai qual è la cosa peggiore?».
Delphi scuote il capo, ma non riesce a domandare: quel giorno sua madre ha fretta di raccontare, più che di rispondere alle sue domande.
«Era un maschio» mormora Bellatrix. Una goccia d’acqua le sfregia il volto nell’ennesima cicatrice. «Lui era molto deluso, ma ha detto che in ogni fine c’è un inizio, e allora dovevamo ricominciare d’accapo».
Sembra arsa viva, sua madre, da un fuoco che non distrugge ma consuma soltanto e ha preso residenza nel suo sguardo, nei suoi ricordi. Delphini sospira, cercando in sé un parvenza di comprensione che non trova da nessuna parte.
«Tuo marito non me ne aveva parlato» sussurra, ripensando allo sguardo triste con cui Rodolphus Lestrange l’aveva accolta in casa sua. «Adesso vive nella Francia Babbana».
«Rodolphus ha tradito: vivere tra i Babbani è il suo posto» commenta Bellatrix, risolvendosi ad addentare un pezzo di torta di mele. «Il sangue macchiato puzza quanto quello sporco».
Delphini vorrebbe replicare, spendere qualche parola in difesa di quell’uomo che le ha prestato aiuto, nonostante l’odio che Bellatrix sembra provare per lui. Ma, di fronte allo sguardo serio di sua madre, non le escono le parole.
«Non sei riuscita a salvarlo?» domanda Bellatrix, distogliendo lo sguardo da quel cielo che lentamente si scioglie in lacrime. «Io sono ancora qui e, se lui fosse vivo, verrebbe a portarmi via: sono la sua migliore Mangiamorte, dopotutto».
«Non ancora» confessa Delphi, la voce crepata dal fastidio provocatole da quella semplice ammissione. «Sto cercando di capire dov’è che devo andare. Né tu, né Rodolphus, né tua sorella mi siete stati d’aiuto».
Il Tremaghi, forse, la notte dopo l’Ufficio Misteri? Magari perfino più indietro di dove sei andata, forse a quando si sono conosciuti? Chi può saperlo.
Involontariamente – o forse in piena consapevolezza, questo lei non saprà mai dirlo – Rodolphus Lestrange le ha fornito delle chiavi.
«Devo andare» sussurra Delphini, alzandosi di scatto. «Devo fare delle prove. Spero di poter tornare a trovarti, madre».
Ma lei scuote il capo, con forza. «Non sono tua madre» risponde, mentre i passi di Delphini coprono quelle parole in un sussurro.
Io non sono tua madre.
 
***
 
Tredici ore prima, villa Riddle (Little Hangleton)
 
Harry Potter ha chiesto – domandato e preteso – che il cadavere del suo nemico fosse sepolto in maniera dignitosa, ma anonima. Non un luogo di culti per i neo-Mangiamorte dell’ultima ora, ha detto, solamente una tomba rispettabile in una casa di famiglia resa invisibile con la Magia.
Ma Delphini, il cui sangue è quello di Lord Voldemort, casa sua riesce a vederla: le appartiene, quella catapecchia, le appartengono quelle tombe e le appartiene il corpo gelido e immobile di suo padre, lì sotto. È un momento soltanto, ma le viene voglia di vederlo.
Alza la bacchetta, smuovendo la terra umida di pioggia, e lasciandola accumularsi in maniera ordinata al proprio fianco. Una bara semplice, priva di orpelli, le restituisce lo sguardo: l’hanno disseminata di così tanti chiodi che, anche con la magia, Delphi fa fatica ad aprirla.
Cosa si aspettavano, pensa distrattamente mentre i chiodi si staccano e cadono ai suoi piedi, che risorgesse al terzo giorno?
La bara, priva di chiodi, la guarda come per dirle aprimi. Delphini muove nuovamente la bacchetta, scostando il coperchio, e affacciandosi per scoprirne il contenuto.
Uno scheletro senz’occhi ricambia il suo sguardo, costringendola a soffocare un gridolino: ecco, si dice, quel che rimane di Lord Voldemort. Polvere e qualche frammento di ricordo, ossa incrociate e niente occhi.
Io non sarò così. Delphini ne è così certa da farsi male, con quella consapevolezza tagliente, io non sarò così.
Una goccia di pioggia le graffia il volto, costringendola ad alzare lo sguardo. È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
***
 
Il cimitero è ancora più tetro e inquietante, quella notte: Delphini sa che, di tutte le notti, quella sarà la più lunga. Sa che non basterà guardare, ma impedire che Harry Potter riesca a fuggire dopo il Prior Incantatio, sa che. Che sua madre non vegeterà ad Azkaban mai più, che suo padre non finirà in una bara dimenticata dal mondo a esser polvere per vermi. Mai più.
«Osso del padre, donato a sua insaputa, rinnoverai il figlio» la voce di Codaliscia emerge come l’ultimo baluardo che la separa da quella sensazione di irrealtà che l’ha investita.
Delphini non si sente più. Si percepisce come fatta di carta, volatile, incapace di resistere ai venti che la trasportano via verso un cielo che pare di carta ma che, toccandolo nell’insieme di nubi fradicie che lo formano, è solamente l’ennesimo mondo di plastica trasparente punteggiata di minuscola speranza.
«Carne… del servo… donata con l’assenso… rinnoverai… il tuo Signore» piange il servo di suo padre, mentre un corpo morto crolla nel calderone. Fa un rumore buffo, pensa Delphi, sorridendo a quel pensiero.
È il rumore di qualcosa che cade nel vuoto pieno di un cielo di plastica, qualcosa si spezza dentro di lei. Sono le parole di Narcissa Malfoy – Perché esiste il destino, Delphini. E il destino di tuo padre era essere sconfitto: tutti noi dobbiamo morire, prima o poi – che le rimbombano in testa come una maledizione.
Ormai, si dice rabbrividendo nei suoi abiti forse troppo leggeri, ha finito per crederci anche lei a quel freddo che sente dentro: sa del Bacio di un Dissennatore, quella sensazione in volto, nel vedere il proprio padre ridotto a un essere dipendente da un servitore.
«S-sangue del nemico… preso con la forza… farai risorgere… il tuo avversario»1 pigola Codaliscia, attendendo che il miracolo si compia.
Delphini ha gli occhi pieni di quella nebbia che si sprigiona dal calderone, ha gli occhi pieni di quel momento in cui suo padre si alza e osserva Harry Potter con gli occhi di sangue e determinazione, altrettanto sanguinolenta.
«Vestimi» sibila a Codalisca, tendendo le braccia per ricevere la veste.
È in quel momento che le gambe di Delphini si muovono da sole, trasportandola al cospetto del padre. Codaliscia, occupato a piangere per la sua mano perduta, non la nota. Ma Harry Potter sì: scappa, le sillaba, corri.
«Padre!» esclama, nel momento in cui Lord Voldemort si volta verso di lei e ne incrocia lo sguardo. «Devi ascoltarmi!».
«La bacchetta, Codaliscia» ordina lui, calmo. «Abbiamo un’ospite».
Peter Minus gli porge la bacchetta, macchiandola appena con il proprio sangue. «Mio Signore» mormora, a metà tra la supplica e il pianto. «La mano…».
Lorv Voldemort agita la bacchetta, senza distogliere lo sguardo da Delphini, creando una mano d’argento per il suo servitore.
«Prendila» sibila, senza degnare di uno sguardo Harry Potter. «Voglio vederla da vicino».
Codaliscia si volta, pronto a eseguire gli ordini, ma è Delphi ad avvicinarsi a lui a grandi passi. «Padre» ripete, come incantata. «Ho bisogno di parlarti, io… mi chiamo Delphini Lestrange. E vengo da un altro tempo».
Lord Voldemort ride, facendo tremare l’aria. «Lestrange» commenta, piano. «E chiami me padre?».
«Mi avete dato voi questo cognome» sussurra lei, con passione. «Il nome del marito di mia madre».
C’è sospetto, nello sguardo dell’Oscuro Signore, ma anche un dubbio profondissimo che ne scuote le corde del cuore.
«Hai qualcosa di lei» sibila, lui, più a sé stesso che ha lei. «Come faccio a crederti, Delphini Lestrange?».
«State per ingaggiare un duello con Harry Potter» sussurra Delphini, chinando il capo. «Le vostre bacchette hanno la stessa anima: non riuscirete ad ucciderlo, a causa di un Prior Incantatio».
Voldemort spalanca gli occhi affilati, di fronte a quella rivelazione. «Codaliscia» chiama, con voce tonante. «Prendigli la bacchetta».
Codaliscia trotterella verso Harry, incapace di muoversi, per sfilargli la bacchetta dalla tasca dei pantaloni e portarla al suo signore. Voldemort la prende dalla mano argentata del suo servo, mormorando una formula contro di essa.
La bacchetta di Harry Potter si illumina, come fosse colpevole, facendo sorridere Lord Voldemort sovrappensiero.
«Dici il vero» constata, piano. «Ma non puoi essere mia figlia: le divinità non si sporcano con i mortali».
«Mi hai voluta tu» sussurra Delphini, stringendo i pugni. «Sono il tuo strumento per vivere per sempre, padre».
«Perché sei tornata indietro nel tempo, Delphini Lestrange?» le domanda, in un sibilo che non lascia scampo. «Che avvertimento mi porti?».
«Ci sarà una battaglia, tra tre anni» sussurra la ragazza, timorosa. «E Harry Potter trionferà».
«Impossibile!» grida Lord Voldemort, in un ampio movimento della veste. «Solo io posso vivere per sempre!».
Delphini china il capo, i capelli biondissimi e striati di blu le gettano un’ombra cupa e sinistra sulla fronte. «Padre, ascoltami» sussurra. «Io posso aiutarti a sconfiggerlo, è per questo che mi hai voluta: io sono la tua chiave per vivere in eterno».
«Io non ho figli» sibila, lui, con disprezzo. «Io ho piani, abilità magiche che s’incontrano».
«Ti prego» sussurra Delphini, spalancando gli occhi nell’oscurità. La stessa che ha dentro di sé. «Ho bisogno che tu viva. Hai tanto da insegnarmi, padre».
Ma Lord Voldemort ride, mostrando i denti e le gengive rosate, in un ghigno che ha del grottesco. «Io non ho figli» ripete, in un sibilo. «E se tu provenissi dal futuro, mi recheresti notizie riguardanti la mia vittoria».
Le punta la bacchetta contro, certo che lei non si sposterà. Ma Delphini, che ha un dispiacere viscerale dipinto tra le rughe d’espressione della fronte, scuote il capo.
«Mi dispiace tanto» sussurra, stringendosi il busto in un abbraccio che, di consolatorio, riesce ad avere ben poco. «Continuerò a provare a salvarti, padre».
Lui sta già gridando la formula – Avada Kedavra – quando lei si Smaterializza in uno schiocco. Una lacrima rimane lì, ai piedi di suo padre in un cimitero di campagna.
 
***
 
Dodici ore prima, Malfoy Manor.
 
Lucius Malfoy è invecchiato male, pensa Delphini quando lo sorprende sotto un albero privo di fiori, l’unico, nel proprio giardino. I capelli biondi sono diventati bianchi: non s’è stempiato, ma il tempo ha comunque trovato il modo di incidergli addosso il proprio passaggio, nelle rughe pronunciate e nella leggera pinguedine che ne ha appesantito i movimenti. È invecchiato male anche nel tremore continuo delle mani, quando le alza per cogliere una foglia e osservare come essa si pieghi docilmente tra le sue mani.
Si sorprende della vita che chiama vita, Lucius, quando la sua vita chiama morte da anni: è stato ad Azkaban per un decennio, prima di poter tornare a casa da una moglie scontenta di lui e da un figlio divenuto scostante. E da una nuora che non approva, almeno quanto lei non approva il suocero – bella era bella, Asteria Greengrass, ma il passato non perdona che s’è invischiata con un Traditore2 per anni, prima di scegliere un marito fieramente Purosangue.
Si sorprende ogni giorno per essere ancora vivo, dopo aver convissuto con i propri pensieri per un decennio, avendo pianto e supplicato d’esser riportato a casa a morire. Harry Potter ha dispensato perdono a piene mani, anche a lui: l’esser marito della donna che gli ha salvato la vita è stata una ragione sufficiente per sorridere e perdonare.
Buffa cosa, il perdono, pensa Delphini avvicinandosi a quell’uomo a grandi passi. Buffa cosa che viene concesso solamente per affezione o simpatia, anche quando l’imputato non è più al di sopra di ogni colpa.
Lucius Malfoy alza lo sguardo, incontrando i suoi occhi neri, e il viso gli s’illumina di comprensione istantanea. Pare carta, la pelle tesa sopra gli zigomi quasi a volerli bucare, pare carta la mano con cui le fa cenno di avvicinarsi.
«Pensavo avessi compreso che era meglio sparire» commenta, con voce stentorea. «Che non c’era posto, al mondo, per te».
Delphini, la bambina inutile che lui stesso ha preso in braccio per mostrarla all’Oscuro Signore, sorride con finta dolcezza. «Ho bisogno del tuo aiuto» confessa, atona. «Devo entrare al Ministero della Magia».
Non gli rivela che, grazie all’aiuto di suo nipote e di Albus Severus Potter, l’ha già fatto: ma la Polisucco è già terminata e, allora, si ritrova ad aver bisogno dell’aiuto di un essere abietto come Lucius Malfoy.
«Il Ministero, sì» borbotta lui, con tono concentrato, come se faticasse a comprendere il significato di quell’ammissione di colpa. «Ma perché dovrei aiutarti, Delphini Lestrange?».
Lei scuote il capo, di fronte a quel cognome. «Perché il Signore Oscuro risorgerà» prevede. «E voi Malfoy vi adeguate al cambiamento da anni: resisterete anche questa volta, e il primo passo per farlo sono io».
«Cissy…» borbotta Lucius, muovendo il capo verso l’entrata del Manor. «Devo parlarne con lei. Da quando sono stata ad Azkaban, ha preso in mano il futuro della famiglia».
«Non ti rendi conto di quanto tu riesca a essere patetico?» sbuffa Delphini, sistemandosi i capelli con aria pensierosa. «Hai davvero bisogno di domandare il permesso di tua moglie, per fare qualcosa?».
Lui scuote il capo, ma non smette di osservare l’entrata di casa sua come se nascondesse risposte invisibili. Finché non china il capo, in segno di resa, guardandosi le mani macchiate dall’età mentre si stringono tra di loro, come per darsi coraggio.
«Dove devi introdurti?» le domanda, senza riuscire a guardarla negli occhi. «Non sarà facile, hanno aumentato le misure di sicurezza: dicono che qualcuno sia andato a rubare nell’ufficio del Ministro Granger».
Delphi ride, di fronte a quell’informazione, prima di confessargli il luogo dov’è diretta. «All’Ufficio Misteri» confessa, infine. «Sai se è ancora agibile?».
Lucius scuote il capo. «Il Ministro Granger l’ha chiuso al pubblico e agli stessi dipendenti» commenta. «Non è ben sorvegliato, questo sì, gli Auror sono troppo occupati con la setta dei neo-Mangiamorte».
Delphini annuisce, concentrata. «E puoi portarmi lì?» gli domanda. «Sicuramente ci saranno degli incantesimi di protezione, ma vale la pena tentare».
«Ho della Polisucco a casa, mio figlio è un Pozionista» commenta Lucius, con una sicurezza che non prova. «Dovrai trasformarti in qualcun altro. Nessuno sa chi sei, ma come spiegherei la tua presenza al Ministero?».
«E in chi dovrei trasformarmi?» domanda Delphini, alzando gli occhi al cielo. «Non tua moglie?».
Lucius scuote il capo, con deliberata lentezza. «In Draco» commenta, piano. «Lui non esce molto di casa, da quando il Ministero gli ha affidato un incarico confidenziale».
Delphi annuisce, con aria concentrata. «Se incontrassi qualcuno» commenta, calma. «Come giustificherei la mia presenza al Ministero?».
«Il Ministro» risponde lui, con certezza annichilente. «Lui va spesso a parlare con il Ministro Granger».
«E perché?» domanda Delphini, con aria perplessa. «Di cosa dovrebbe parlare, tuo figlio, con il Ministro della Magia?».
Lucius abbassa lo sguardo, con aria turbata. «Niente che mi riguardi» commenta, atono. «O, almeno, così dice».
Lei sorride, con aria tremendamente ironica. «Immagino che piangano la morte infelice di Asteria Greengrass» commenta, divertita. «In ginocchio, di fronte alla sua effige».
Lucius non ride.
 
***
 
Undici ore prima, Ministero della Magia.
 
«Benvenuti al Ministero della Magia. Per favore dichiarate il vostro nome e il motivo della visita» trilla la solita fredda voce femminile.
«Lucius e Draco Malfoy» risponde Lucius, con aria annoiata. «Incontro con il Ministro Granger e consueto orario di lavoro serale, per me».
«Grazie» risponde la voce. «Il visitatore è pregato di raccogliere la targhetta e assicurarla sul vestito».
Una spilla di metallo rotola fuori dalla fessura, e Delphi si china a raccoglierla: Draco Malfoy, reca la scritta, Incontro con il Ministro.
  «Il visitatore del Ministero ha l’obbligo di sottoporsi a perquisizione e di presentare la bacchetta perché sia registrata al banco della sorveglianza, all’estremità dell’Atrium» conclude la voce femminile. «Il Ministero della Magia vi augura una piacevole giornata»3.
L’Atrium del Ministero pullula di gente indaffarata: una ragazza molto giovane, con una fitta chioma riccia, passa loro accanto trillando un buongiorno signor Malfoy in direzione di Lucius, che ricambia con uno stanco cenno del capo.
«Signor Malfoy» qualcuno fa per interrompere l’avanzata di Delphini che si ferma di scatto, con aria contrariata. «Devo registrarle la bacchetta. Sa, fa parte della procedura per i visitatori».
«Va pure, Draco» commenta Lucius, fingendosi spazientito. «Ti attendo qui, non preoccuparti».
Delphini fa per avvicinarsi all’addetto della sorveglianza, timorosa, ma viene bloccata da una voce familiare. «Non c’è bisogno, Aurelius» esclama il Ministro Granger, con un gesto sbrigativo della mano. «Credo che Malfoy sia qui per conferire con me. Grazie per averlo accompagnato, Lucius».
Pronuncia il nome dell’uomo con disprezzo, quasi fosse qualcosa di bollente da sputar via perché le sta ustionando la lingua. «Seguimi pure» fa cenno a Delphini. «Andiamo nel mio ufficio».
Delphini la guarda, cercando di racimolare abbastanza idee per poterle mentire. «Aspetta» le dice, prendendola per un braccio e guadagnandosi un’occhiataccia. «Stavo andando in un posto, prima di venire a cercarti».
Lo sguardo di Hermione s’illumina di velata tristezza. «Oh, certo» osserva, calma. «Vieni con me. L’ho spostata nell’Ufficio Misteri, finché non deciderai di rivolerla indietro».
Delphini sorride, senza aver compreso una parola di quanto detto dal Ministro, e lanciando uno sguardo d’intesa a Lucius. Comincia a seguire Hermione Granger per il labirinto intricato di corridoi del Ministero, senza dire una parola, mentre lei gli lancia un’occhiata comprensiva ogni cinque o sei passi. È pietà, quella nel suo sguardo, è pietà e un tentativo di comprendere un dolore che Delphini non vede e non sente, di cui certamente non riuscirà a parlare.
La porta dell’Ufficio Mistero si spalanca al suono dei tacchi di Hermione Granger, rivelandone il contenuto: le profezie scintillano nella penombra, donando alla stanza un alone bluastro. La scrivania, senza che nessuno vi si sieda dietro, è ingombra di carte.
«Vengo ancora a lavorare qui quando ho bisogno di silenzio» confessa il Ministro, sorridendo. «Vieni, lei è di là».
Delphini la segue in silenzio tra le profezie, finché la Granger non si ferma di fronte a uno scaffale meno ingombro degli altri, facendogli segno di avvicinarsi. Una targhetta riluce, nonostante la discreta illuminazione della stanza: Asteria Greengrass-Malfoy, recita la scritta.
Sopra di essa, una profezia più piccola dalle altre e una fotografia incorniciata di una ragazza bionda, vestita da sposa, con un sorriso molto triste sul volto.
«Non sapevo venissi ancora qui» mormora Hermione, sfiorando la profezia con la punta delle dita. «Pensavo che avessi smesso, da quando… sai, pensavo che avessi cominciato a superarla. Non voglio prendermi tutti i meriti, ma…».
Delphini sfiora quella fotografia, con aria assorta, mentre con la mano stringe la Giratempo nascosta nella tasca dei pantaloni. «L’ho superata» mente. «Vengo qui quando ho bisogno di riflettere» borbotta, sulla falsariga della confessione di lei.
Hermione annuisce, regalandogli una comprensione che chiaramente non prova. «Ti aspetto nel mio ufficio, farò portare un tè» commenta, atona. «Prenditi tutto il tempo che ti serve».
Esce dalla stanza, in un turbinio di gonne e ticchettio di scarpe.
Delphini sospira, gli occhi puntati sulla profezia di Asteria Greengrass, mentre estrae la Giratempo e comincia a caricarla.
Il ticchettio sembra avere il potere di entrarle nelle ossa.
 
***
 
«Non posso, Potter?».
La voce di Lord Voldemort crepa i cieli, strappandoli come cartastraccia, e facendo tremare chiunque sia presente al suo cospetto: Delphini, nascosta nell’ombra, trema anch’ella di fronte a quel padre che – l’ha sperimentato sulle propria ossa – potrebbe essere in grado di ucciderla. Trema e non sa come fermarlo, come dirgli di fuggire, prima che sia tutto perduto, tutto rovinato, tutto da rifare.
«E così hai rotto la mia profezia?» chiede il Signore Oscuro, in un sibilo che si perde nel bagliore sanguinolento dei suoi occhi. «No, Bella, non dice il falso… vedo la verità nella sua mente indegna… mesi di preparativi, mesi di sforzi… e ancora una volta i miei Mangiamorte hanno permesso a Harry Potter di tagliarmi la strada…»4.
Delphini guarda sua madre, mentre si getta ai piedi del suo Signore: pieno di disprezzo, quello sguardo che lui le regala, pieno di remore quello di lei mentre si allunga verso di lui per baciargli la veste. Ti prego, pensa la loro unica figlia, fermalo.
Non le ode, le parole di sua madre singhiozzate ai piedi di Lord Voldemort, non ode le sue risposte: è tutto come immerso in una gigantesca bolla di silenzio che l’avvolge e non la lascia nemmeno respirare, se non nel momento in cui la mano di suo padre s’agita in direzione di Harry Potter. Ma il colpo non arriva.
«No!» grida Delphini, accovacciandosi ai piedi di Voldemort, impedendogli di scagliare l’incantesimo. «Devi fuggire, padre. Silente è qui, il Ministro sta arrivando».
Bellatrix Spalanca gli occhi, mentre il suo Signore si china, afferrando lei per un braccio e sua figlia per la manica della maglia, Smaterializzandosi in un crack di fronte allo sguardo sgomentato di Harry Potter.
«Mio Signore» singhiozza Bellatrix, nella sala di pranzo della casa di sua sorella minore. «Perché siete fuggito, voi… potevamo uccidere Potter, l’avrei ucciso per voi con le mie stesse mani!».
Ma Lord Voldemort alza un braccio, mettendola a tacere con uno sguardo e un gesto appena accennato.
«Io mi ricordo di te» sibila, piano. «Al cimitero, l’anno scorso, tu eri lì».
Delphini china il capo: questa volta, si dice, è talmente disperata che farsi uccidere dal proprio stesso padre le andrebbe bene. Questa volta, si dice, va bene morire ai suoi piedi ed attendere quella fine che sarà giusta o in giusta, ma sicuramente rapida e le caverà via l’aria dai polmoni in un battito di ciglia. Ma, anche questa volta, il colpo non arriva.
Lord Voldemort si gira la bacchetta tra le mani, con aria pensierosa, scrutandola come se sul viso potesse intuirne le risposte.
«Lei sa cosa ti ho chiesto, per ben due volte, Bellatrix» commenta, in direzione della sua migliore Luogotenente. «E pare essere stata il tuo tentativo migliore, venuta dal futuro per avvertirmi di un pericolo imminente».
«Mente» sussurra Bellatrix, in tono appassionato. «Io non vi darei mai una bambina inutile, mio Signore, io vi darei solamente il maschio che mi avete ordinato. Nulla di meno».
«Dille come ti chiami» le ordina Voldemort, puntandole contro la bacchetta.
«Delphini Lestrange» sussurra la ragazza, senza paura, ma piena di rassegnazione. «Delphi».
Bellatrix spalanca gli occhi, in un lampo di comprensione che le mastica l’anima, e china il capo con aria disperata.
«Mio Signore» sussurra, gettandosi nuovamente ai suoi piedi. «Io ve lo giuro, non so di cosa stia parlando, io…».
«Taci» sibila Voldemort, osservando Delphini con curiosità. «Di te mi occuperò più tardi, Bellatrix».
La donna sussulta e tace, sebbene lo sguardo che rivolga a sua figlia sia pieno di viscerale sofferenza al pensiero d’aver deluso il proprio Signore. È in quel momento che, in Delphi, qualcosa si straccia definitivamente.
Nel bagliore morente di un tramonto di carta, qualcosa si rompe per sempre dentro di lei: fa un male cane. Come squarciarsi il viso per non vedere una cicatrice, fa semplicemente male di quel dolore insensato e duraturo che solamente gli squarci comportano. E, vedere sua madre con quell’espressione delusa e sofferente, è esattamente quello. Uno squarcio. Qualcosa che va contro tutti i suoi sforzi per salvarli entrambi.
In quel momento, qualcosa dentro di Delphini va  in frantumi vetrosi e di plastica che ottenebrarono il tramonto ferito a morte. In quel momento, una certezza si forma dentro di lei con lentezza esasperante: ha fallito, questa volta per sempre. Non esiste un mondo possibile in cui potrà salvarli entrambi.
«Padre» sussurra. «Devo dirti una cosa».
Ma esiste un mondo in cui potrà salvare almeno sua madre, ed è quello in cui sta vivendo in quel momento: accetta di perdere suo padre, che di lei ha visto solamente il piano e l’incontro tra Arti Oscure, ma non accetterà di perdere anche sua madre. Non che Bellatrix l’abbia mai voluta e desiderata, oltre il piano e le Arti Oscure, ma si è dimostrata più propensa a insegnarle.
Delphini cerca questo, una guida – per un momento soltanto, in quel dolore privo di senso e di scopo, una visione chiarissima squarcia il cielo di plastica: la tenuta dei Lestrange in Provenza, Rodolphus che prepara una cioccolata calda con aria eccessivamente concentrata. Casa, le dice quella visione, famiglia. Eppure, anche lì, lo sguardo disperato di sua madre le toglie il fiato dalla gola.
«Parla» sibila Voldemort, dedicandole la propria attenzione. «Parla».
«Ho un fratello» sussurra, pregando di risultare convincente. «Lui… è il mio gemello, il tuo erede».
Lo sguardo di suo padre si fa vigile, interessato, di fronte a quella dichiarazione: sembra essersi dimenticato di Bellatrix, ai suoi piedi, quando avanza a grandi passi e agguanta il polso di Delphini, strattonandola verso di sé con forza.
«Lui dov’è?» le sibila, irato. «Perché non è qui a vedermi raggiungere il posto che mi spetta?».
Delphini abbassa lo sguardo, mettendo la mano in tasca. «Non ha voluto seguirmi» borbotta, incerta. «Lui… è sempre stato diverso».
«Dimmi il suo nome» ribatte Voldemort, in un sussurro. «E mi ricorderò di ucciderlo prima che esali il primo respiro».
«Tom» risponde lei, con sicurezza. Pensa a una tomba abbandonata in una casa resa invisibile, lo sguardo vuoto di uno scheletro. «Tom Riddle».
Voldemort sibila, lasciandola andare, per prendere la bacchetta e puntargliela in fronte con gli occhi liquidi di rabbia. Ma è tardi.
Perché lei ha già caricato la Giratempo, alla luce di un tramonto che sembra dipinto su carta quando, invece è solamente una luce che si riflette in un cielo di plastica.
 
***
 
Dieci ore prima, Villa Black.
 
È tornata sui suoi passi. Delphini è semplicemente tornata indietro nel luogo dove tutto è cominciato: quando si sono conosciuti. Chi può saperlo? – le parole di Rodolphus Lestrange le risuonano in mente come una cantilena. Chi può saperlo, chi può saperlo, chi può saperlo?
La casa dei suoi nonni è sempre bella, sempre ordinata, sebbene Narcissa Malfoy si sia categoricamente rifiutata di viverci con la propria famiglia. Casa di Bellatix, sarebbe, se solamente Harry Potter fosse stato così generoso da concederle quel perdono che ha dispensato praticamente a chiunque. Tranne lei.
La gelida carnefice dei Longbottom. L’assassina di Sirius. L’amante di Voldemort. Lei.
Delphini sospira, spingendosi nelle viscere della casa: è questo, quel luogo maledetto, dove si sono incontrati per la prima volta. L’aveva già percepito, sua madre, quel fuoco maledetto che l’avrebbe consumata fino a una follia gemella rispetto a quella di Alice Longbottom?
Sale le scale, un passo alla volta che risuonano nel silenzio atroce di quell’abitazione, un passo alla volta che risuona come una campana a morto nel suo torace. È così che si distrugge una vita, mormora, un passo alla volta: non ha idea delle conseguenze che possa aver causato il suo folle gesto, la bugia detta al padre, la fuga premeditata. Non le importa nemmeno.
La notte avanza e fa a brandelli il tramonto tardivo di luglio, ma Delphi non sente più il tempo che avanza facendo della sua anima terra bruciata. Non sente più quella determinazione che l’ha animata per quattordici ora senza dormire, senza mangiare, non sente più niente che la muova se non il sospiro del vento che la sospinge sotto le coperte che erano state di sua madre.
Sua madre. Io non ho figli, le ha detto con disprezzo, eppure quello sguardo pieno di sofferenza la perseguita ancora.
Non dovrebbe, si dice, non sarebbero fieri di sapere che, nonostante una realtà che è esattamente quella che si vede, Delphini ci crede ancora, in loro due. Non nell’amore, si dice piena di disprezzo, quello mai.
Ma nei piani, negli incontri di arti oscuri, quello sì.
«L’amore» tuona una voce, facendola sobbalzare. «Qualcosa di così estraneo, da tua madre».
Delphini alza lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri come un fiordaliso di sua nonna: Druella Black, intrappolata nel proprio ritratto in una gioventù eterna, le sorride con finta dolcezza. L’hanno dipinta bellissima, limandole un po’ il naso pronunciato e la bocca generosa, e lei stessa pare saperlo e per questo nasconde la parte inferiore del viso in un vezzoso ventaglio color carta da zucchero.
«Non pensavo che mia madre avesse un tuo ritratto qui» constata Delphi, amaramente. «Pensavo ti odiasse».
«Amore materno» commenta Druella, con aria disgustata. In quel frangente, con i riccioli biondi ben acconciati e il naso arricciato, somiglia tremendamente a sua figlia Narcissa. «Sempre stata tutta suo padre, Bellatrix».
«Come fai a parlarne in questa maniera?» sibila Delphini, giocherellando con la Giratempo tra le mani. «Come fai a essere così tranquilla? Domani mattina, all’alba, sarà Baciata».
«Solo perché, a differenza di te, non la penso sola e sconsolata e innamorata dell’uomo sbagliato» risponde sua nonna, scrollando le spalle sottili. «Bellatrix ha sempre preso le sue scelte e ne ha sempre pagato le conseguenze».
«Perché non le hai impedito di divenire sua in quel modo?» le domanda Delphi, pensierosa. «Perché le hai permesso di sposare Rodolphus?».
«L’Oscuro Signore ha chiesto, mio marito ha acconsentito: Lestrange era un buon partito» recita Druella, calma. «Noi Black voliamo alto, Delphini. E con il matrimonio di Bellatrix e quello di Narcissa con i Malfoy… se solamente non fosse stato per Andromeda…».
Le parole si confondono in un borbottio insensato, innaturale, che Delphini non riesce ad ascoltare. Guarda sua nonna come se avesse una risposta, una qualunque, ma Druella continua a maledire la propria figlia mezzana e nemmeno le presta più attenzione.
«Quand’è stata la prima volta che si sono incontrati?» le domanda Delphi, con crescente aspettativa e debole speranza. «Ricordi il giorno?».
Druella Rosier-Black la guarda, occhi azzurri che si perdono in un mare sconfinato di memorie, la mano che gioca con i capelli sovrappensiero. «Era giugno, mi pare» commenta. «Forse il tredici, ma potrei sbagliarmi. L’anno era il 1970, di questo sono sicura: Bella aveva appena compiuto diciannove anni».
Delphini guarda il cielo oscuro fuori dalla finestra: può specchiarvisi, in quel blu sconfinato, e scoprirsi sempre diversa. La plastica deforma i riflessi, la mente li rende aguzzi come vetro, taglienti come carta. È che a volte le cose sembrano semplicemente diverse da quel che sono, ma in realtà l’essenza non muta mai. E, per quanto la plastica possa sembrare vetro riflettente o carta stracciata, alla fine è sempre quel che è e mai quel che sembra: un cielo di plastica deformante, e niente di più.
«Tredici giugno 1970» ripete Delphi, come in trance, cominciando a caricare la Giratempo. «Dev’essere quel momento».
«Non riuscirai a portarla via di lì» commenta Druella, senza un pizzico di rimpianto. «Mia figlia l’ho persa per sempre quel giorno, e nemmeno tu potresti salvarla».
Delphini non l’ascolta, il cielo fuori è tinteggiato di luce lunare. Fa freddo, ma lei non lo sente più.
 
***
 
Ha diciannove anni, tutta la vita davanti – così le ha detto suo padre, Cygnus, nel sentirle dire a sua sorella Andromeda che sarebbe divenuta una Mangiamorte – per perdersi nelle spire di un uomo che non l’apprezzerà mai. In quanto donna, proprio perché è donna: lui, che ha sempre silenziosamente detestato sua moglie per avergli dato solamente figlie femmine, si crede sempre e comunque meno misogino di Lord Voldemort. Forse, si dice Delphini nell’osservare la fredda speranza con cui sua madre inquieta s’agita per la stanza, non si sbaglia.
La festa per il diciassettesimo compleanno di Andromeda è l’ennesimo sfoggio che i coniugi Black potranno usare per glorificarsi ma, esattamente come Delphini per suo padre, sia Bellatrix sia Andromeda sia Narcissa rimarranno sempre quel che sono: inutili figlie femmine, non volute, a stento amate.
Cygnus Black non se la spiega, quell’affinità che prova con la propria figlia mediana: determinata come un uomo, Andromeda, sicura, furba, ambiziosa. Ma, nel momento in cui si tratta di amare, è inequivocabilmente donna. Ha rifiutato la proposta di matrimonio dei Dolohov e suo padre gliel’ha permesso, ignorando i pianti e gli strepiti di Druella: se non avesse ceduto, ne è sempre stato certo, Andromeda sarebbe fuggita via di casa. E lui, che è sempre stato propenso a concederle un briciolo della libertà de vivre del mondo maschile, ha chinato il capo e le ha detto come desideri tu.
Non sarà Dolohov, ha pensato Cygnus, ma sarà un Lestrange, un Malfoy, gli andrebbe bene persino Carrow. Ma Andromeda l’ha fermato quella mattina e, con i capelli già acconciati in una morbida treccia alla francese, opera di sua sorella Narcissa, ha pronunciato parole imperdonabili.
Io non desidero sposarmi, padre.
Bellatrix, occupata a versarsi un generoso bicchiere di vino – ed erano solamente le dieci di mattina – ha riso. Cygnus ha chiuso il cuore e, per la prima volta in vita sua, non ha domandato perché ma ha solamente detto no. No, appena terminato il prossimo anno ad Hogwarts dovrai sposarti con qualcuno.
Andromeda ha sorriso, una crepa sul volto di pietra, e non ha risposto.
Pensieri le si sono affollati nel cranio, ha compreso suo padre, Andromeda cerca una scappatoia che lui non sa quale sia. O chi.
«Meda è innamorata, padre» mormora Narcissa con aria sognante. «Secondo te di chi si tratta? Oh, non Malfoy spero!».
Bellatrix alza gli occhi al cielo, sorbendo un generoso sorso di vino. «Lucius Malfoy non piace a nessuno, Cissy» commenta Bellatrix, atona. «Vedi di mettertelo in testa».
«Tu sai chi è?» domanda Cygnus, riferito a entrambe e a nessuna delle due. «Posso aiutarla, combinare un incontro con la famiglia».
«Le tue preferenze mi disgustano, padre» commenta Bellatrix. «Quasi quanto i gusti di mia sorella. Delle mie sorelle».
S’allontana a grandi passi: Delphini vorrebbe seguirla, nel grande salone dove potrebbe mimetizzarsi con le altre cugine Black-Rosier, ma farlo significherebbe farsi notare da suo nonno e da sua zia, così rimane nascosta dietro la porta del tinello, in silenzio.
«Narcissa» il tono di Cygnus è glaciale. «Di cosa stava parlando, tua sorella?».
Narcissa tace: brividi l’assalgono nel restituire fiera lo sguardo di suo padre. Non ha nulla della ribellione di Andromeda, tacita ma salda, né della forza di Bellatrix. Così semplicemente china il capo e si guarda le mani che s’attorcigliano sulla gonna lunga, rischiando di lacerare la stoffa con le unghie.
«Ted Tonks, padre» sussurra, piena di vergogna. «Ma non è nulla di grave, possiamo farle cambiare idea, io potrei…».
Ma suo padre non l’ascolta. «Tonks» mormora. «Non fa parte delle sacre ventotto. Non sarà un Mezzosangue, Narcissa? Anche se so che Andromeda non farebbe mai niente del genere, non mi darebbe mai motivo per vergognarmi di lei».
Narcissa prende fiato, alla ricerca di un coraggio che non risiede in  nessuna parte di lei. «No, padre» ammette, infine. «Non è un Mezzosangue».
Cygnus sospira di sollievo, ma sua figlia apre la bocca nuovamente – se solamente ne uscissero delle parole, pensa Cissy con distacco quasi innaturale, se solamente sapesse mentire a suo padre.
«Lui…» sussurra, così piano da udirsi solamente lei. «Lui è un Nato Babbano, padre».
Il cuore di Cygnus Black si spezza in quel preciso momento e non riesce nemmeno far finta di non aver udito la figlia minore. Un calice di vino gli si infrange tra le mani ed è vetro, ma taglia come carta.
«Le passerà» decreta l’uomo, determinato a mantenere il segreto. «Gliela farò passare. Non una parola con nessuno, Narcissa».
 
***
 
La trova subito, sua madre, seduta su una delle panchine del giardino di Druella Rosier-Black a osservare le rose con aria irata, come se l’avessero offesa con i loro dolci mormorii. L’ha sempre odiato, quell’angolo di silenzio, dove la madre si nascondeva per non udire gli strepiti di Narcissa bambina, i capricci della volitiva Andromeda. E anche lei.
Il silenzio la stordisce, le tira i capelli in cerca di attenzioni che Bellatrix non vuol concedere, e allora vorrebbe solamente urlare per squarciarlo via con il semplice vibrare delle corde vocali. La festa infuria nella sala da pranzo, piena di gente che non conosce né vorrebbe mai conoscere, figli di papà che le fanno sfilare davanti come volesse avere la possibilità di scegliere. I due Lestrange, Abbott, persino lontani cugini di sua madre con il naso storto e la bocca larga.
Delphini vorrebbe urlare insieme a lei, dille che capisce quell’insofferenza per la vita, sedersi accanto a lei e dirle non lasciarmi andare, madre. Ma dei passi la bloccano dietro la porta della casa dei suoi nonni, passi che culleranno i suoi sogni e incubi per il resto che le rimane da vivere.
Lord Voldemort incede calmo tra le rose di Druella Black, il bel volto segnato dalla Magia Oscura che precocemente l’invecchia e non lascia vestigia di quella bellezza violenza di cui s’era più volte avvalso, in passato.
«La figlia di Cygnus» commenta, con tono sottile, privo di calore. Una corda di vetro che si tende, diventa carta e dolcemente si spezza. «Pensavo fosse la festa per il tuo compleanno».
Bellatrix si siede più eretta, il bel viso distorto in un’espressione altera che, sul viso quasi gemello di Andromeda, non v’è mai stata. «Mi confonde con mia sorella, forse» commenta, formale. «Ho diciannove anni, sono la maggiore».
«Bellatrix» commenta Voldemort, causando un brivido sulla schiena di madre e figlia, per motivi diversi. Detto da lui, quel nome, assume un sapore gelido e mentolato che le fa spalancare gli occhi, disorientata.
«Penso di non conoscerla, signore» commenta Bellatrix, sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Hanno la sua stessa anima ribelle, quelle ciocche. «Forse è un amico dei miei genitori?».
«Una specie, sì» commenta lui, ridendo senza mostrare reale emozione. «Conosco i tuoi genitori da Hogwarts, questo sì».
Lei spalanca gli occhi, in un lampo di comprensione che le rischiara il viso di immotivata felicità. È lui. L’uomo che si farebbe a pezzi, che si straccerebbe l’anima come pergamena pur di raggiungere il proprio scopo: la vita eterna. Le Arti Oscure ne marchiano il volto, tolgono umanità, e lei in ogni cicatrice e in ogni pallore che la Magia non riesce a mascherare, lo vede per quel che è: l’uomo che sogna di seguire, di cui sogna d’apprendere ogni segreto, lui.
«Mio Signore» borbotta, lei, chinando il capo piena di vergogna. «Io non avevo idea, io…».
Lui ride, mostrando i denti innaturalmente bianchi. «Pace, Bellatrix» commenta, con magnanimità. «Ho saputo dai tuoi genitori che sei intenzionata ad unirti alle mie schiere».
«Sì, mio Signore» conferma lei, arrossendo per la soddisfazione. «Il mio desiderio più profondo è apprendere da voi tutto quel che posso».
Delphini, dietro la porta socchiusa dell’ingresso della casa ch’era stata dei suoi nonni, s’accascia al suolo con aria stremata. Si farebbe a pezzi l’anima, la regalerebbe a suo padre, pur di impedire a sua madre di guardarlo in quel modo. Impedirebbe a suo padre di fare a pezzi la propria, condannandolo alla stabilità, per assicurarsi che non la guardi mai più.
Ma non può, si rende conto, mentre Lord Voldemort osserva sua madre con aria incuriosita. E Delphi, incapace di muoversi in quel passato immutabile, si sente un po’ stracciata anche lei.
Alza lo sguardo verso il soffitto, incantato per sembrare dello stesso colore di una nube plumbea che si prepara a sciogliersi in una pioggia di sangue sulla Terra.
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
Nel tuo letto la novità
È fare a pezzi l'anima
Ma la violenza della stabilità
È un modo di morire a metà

 
 
1Da Harry Potter e il Calice di Fuoco
2Pensate pure quel che preferite, ma io intendevo un chiaro accenno di Fred/Asteria
3Da Harry Potter e L'Ordine della Fenice
4Come sopra
 
 
Spiegazione: a differenza di Bellatrix (che comunque incontra Delphi in parti sfasate della sua vita, e che quindi farà fatica a considerarla "reale"), Voldemort la può ricordare a distanza di un anno.

Prossimo appuntamento: martedì 9 marzo
   
 
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