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Autore: Gaia Bessie    01/03/2021    4 recensioni
In un mondo in cui Bellatrix Lestrange è sopravvissuta alla battaglia di Hogwarts e si appresta a ricevere il Bacio del Dissennatore, dopo ventidue anni di fuga, sua figlia Delphini prova a salvarla.
[Bellatrix/Voldemort | Delphini | Possibile OOC | Seconda classificata e vincitrice del premio per la storia preferita della giudice al contest “Sing A(ngst) Song!” indetto da kiddoB sul forum di Efp]
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Delphini respira a fatica, il volto nascosto da una mascherina chirurgica, mentre le mani le tremano celate dall’aria così umida da apparire quasi tangibile. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Delphini Riddle, Voldemort | Coppie: Bellatrix/Voldemort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione, Più contesti
Capitoli:
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Premessa: La storia tiene conto di alcuni avvenimenti di The Cursed Child nel seguente modo. Per prima cosa, Delphini Riddle esiste, come penso sia chiaro anche dall'introduzione.
In secondo luogo, ha convinto Albus e Scorpius a rubare la Giratempo del Ministro, sebbene abbiano rimandato di qualche giorno il loro piano di andare indietro nel tempo per salvare Cedric Diggory.
Inoltre, la storia si basa su un what if: Bellatrix non è morta nella Battaglia di Hogwarts, per mano di Molly, ma è sopravvissuta.
Per ulteriori info su aggiornamenti e note, vi rimando alle mie NdA di fine capitolo.


Cieli in plastica
 
Parte prima: Plastica che sembra vetro
 
C'è qualcosa dentro di me
Che è sbagliato e non ha limiti
E c'è qualcosa dentro di te
Che è sbagliato e ci rende simili
 
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Delphini respira a fatica, il volto nascosto da una mascherina chirurgica, mentre le mani le tremano celate dall’aria così umida da apparire quasi tangibile. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
***
 
Ventiquattro ore prima, Aula del Wizengamot.
 
Ad Azkaban non piove mai, pensa distrattamente Narcissa occhieggiando al temporale che fuori dalla finestra si consuma: eppure Lucius ha detto che a volte l’acqua filtra dal cielo e si scompone in pozzanghere sudicie, dove nemmeno ti puoi riflettere. Strano, che nella sua mente ad Azkaban non riesca mai a piovere – analogamente, ad Azkaban come in qualunque altro posto, lei non riesce a versare una lacrima per sua sorella. In pozzanghere s’è depositato il suo ultimo brandello di sopportazione nei confronti di Bellatrix, e lì è rimasto a stagnare.
Cissy sospira. Mille colori le sfumano la mente in un tramonto senza inizio né fine, mille stagioni si superano a vicenda nella corsa verso quel luglio afoso e privo di un termine: il giorno del processo, della condanna. Che sia giusta, ingiusta, dovuta, non dovuta, cosa importa?
Harry Potter s’è sempre detto disposto a concedere perdono a piene mani ma a lei, l’assassina di Sirius, non darà mai nemmeno un brandello di clemenza: Bellatrix Lestrange dovrà essere spazzata via dall’esistenza come un residuo di cancellatura, come una macchia d’inchiostro sulla pergamena e un incubo sul piè di pagina della notte. Così ha detto, e Narcissa comunque s’è detta disposta a testimoniare a favore di quella sorella perduta, sì, e dimenticata, forse, ma di certo non rimpianta.
Sia fatta la volontà di questo Fato crudele, ha pensato Cissy avanzando fino al banco dei testimoni, e che sia questo processo giusto o ingiusto, con una condanna dovuta o non dovuta: alla fine, il cielo sembrerà comunque una bolla di plastica pronta a scoppiare in una pioggia di frammenti d’aria vetrificata.
Mancherà, a Bellatrix, la pioggia? Seduta sul pavimento della propria cella ad Azkaban, avrà ancora voglia di fuggire via? Tra le foreste perdute dell’Albania, lì deve aver scoperto chi è lei e chi era Lui, ed il fatto che nonostante tutto fossero spaventosamente simili. Narcissa l’ha sempre pensato: simili, Bellatrix e il suo Signore, simile la fine e simile il loro principio – e se in ogni fine c’è un principio, allora, che nella fine di Bellatrix non vi sia mai un nuovo cominciamento di un’era oscura.
Non c’è più niente da salvare, nemmeno un brandello di pioggia che s’ostina a cadere su tutta Londra. Se tendesse le mani, Cissy scoprirebbe che è solamente l’ennesimo frammento di vetro che, cadendo dal cielo, non uccide ma ferisce soltanto. E lei, che ha perso sua sorella nel battito di ciglia dei giudici a un processo – giusto e dovuto – può solamente chinarsi a raccogliere quel sangue purissimo che, nonostante tutto, lascia anch’esso macchia sul terreno.
«Narcissa Malfoy» la chiama l’assistente del Ministro Granger. «Entri a testimoniare».
Prende un respiro profondo, entra nella stanza: è un grande teatro, pensa distrattamente, il banco di prova su cui il Mondo Magico testerà la risolutezza del proprio neoeletto primo ministro, insieme al contenimento dell’epidemia che da mesi prostra il mondo intero. Hermione Granger la osserva con curiosità, forse domandandosi perché il Fato abbia deciso di metterla alla prova nel primo anno del proprio governo.
L’hanno cercata per anni, Bellatrix Lestrange, e solamente dopo più di un ventennio di fughe, incidenti, battaglie, hanno scoperto che era esattamente dove temevano che fosse: a cercare residui di Lord Voldemort in Albania, a scoprirsi diversa nei luoghi dove Lui aveva vissuto.
Il Ministro sa di dover condannare: smaniosa, l’espressione di Harry Potter, di Arthur Weasley e di chiunque improvvisamente incroci il suo sguardo. Smanioso il bruciore di una cicatrice che ha sempre nascosto sotto la manica del completo da Strega, che le ricorda che il sangue macchia sempre, a prescindere dal grado di purezza che in esso sia contenuto.
«Signora Malfoy» la chiama, cercando di sopprimere quel fastidioso tremore che le crepa la voce. «La chiamo oggi per deporre testimonianza riguardo gli omicidi, la fuga e tutti gli altri crimini commessi da sua sorella».
Narcissa Malfoy china il capo, in una finta riverenza che la fa sembrare più regina di tutti gli altri presenti in sala, e quando incontra gli occhi del ministro essi sono solamente biglie di vetro sul volto sorpreso di Hermione Granger.
«È così, Ministro» conferma la donna, con voce salda. «E per quanto io reputi giusto e doveroso questo processo, la mia coscienza non può fare a meno di dire: guardatela».
Bellatrix Lestrange, seduta su una sedia al centro della sala, con le mani legate dalla magia. Ride, mostrando i denti mancanti in una bocca che pare più una ferita, un’incrinatura, sul viso devastato dalle rughe.
Il Ministro Granger getta un’occhiata infastidita all’imputata, come se solamente quella vista fosse in grado di disgustarla: Bellatrix Lestrange le restituisce uno sguardo atono, incolore, e una risata isterica. Buffa cosa, pensa Hermione, la mente di una persona: qual è il limite tacito della pazzia, che emerge improvvisamente da una pozzanghera d’acqua stagnante in un posto in cui non piove mai.
Narcissa Malfoy china il capo, di fronte a quel suono così familiare, osservando il pavimento come se potesse suggerirle le risposte a un interrogatorio completamente ingiusto e non dovuto. Inutile, si dice, innecessario.
Buffa cosa, pensa Cissy osservando sua sorella, il perdono: privato a una vecchia folle da persone che dicono di averlo concesso a piene mani. Buffa cosa, pensare che debba esser sempre concesso, quando l’è solamente nel caso in cui l’imputato sia al di sopra di ogni colpa.
«Guardati, Bella, cosa sei diventata» sibila Narcissa, prima di potersi frenare. «Che cosa ti sei fatta fare».
Ma Bellatrix le lancia uno sguardo denso di mille silenzi e non risponde, gettando indietro i capelli un po’ bianchi e un po’ neri con aria indiscutibilmente fiera. Tutto in lei urla mancata resa: onore all’Oscuro Signore, perché egli mi ha fatta dal nulla, onore a colui che nei suoi pensieri Bellatrix nomina sempre.
Narcissa Malfoy lancia uno sguardo incerto al Ministro, aspettandosi un’occhiata di comprensione che. Che non arriva. Perché Hermione Granger sospira e, con lentezza esasperante, scuote la testa in cenno di diniego.
Tra ventiquattr’ore Bellatrix Lestrange verrà sottoposta al bacio del Dissennatore.
 
***
 
Ventitré ore prima, Azkaban.
 
C’è una pozzanghera. Inizialmente non l’aveva notata ma, da quando il suo sguardo era caduto su di essa, era divenuta semplicemente tutto il suo mondo: vi si era specchiata, Bellatrix, volto invecchiato su acqua fangosa – eppure, qualcosa le urlava che quel volto scheletrico non era lei. Dov’erano finiti i capelli neri come un’ombra notturna, e gli occhi che le proiettavano sul viso quelle medesime oscurità?
Bellatrix non s’è riconosciuta in quel riflesso fangoso, incapace di catturare la sua essenza: e, di qualunque cosa siano fatte le anime la sua e quella del suo Signore sono fatte della medesima sostanza1.
Ad Azkaban s’intravedono i fulmini che squarciano il cielo in un’unghiata, il sangue che piove dalle nubi fatte di vetro, sopra la sua testa. Ma, di pioggia, nemmeno a volerla pagare con sonanti Galeoni d’oro. Eppure, si dice, da qualche parte quella pozzanghera dovrà pur provenire.
L’acqua non si crea, non si genera – come può essercene in quel deserto di anime disperate che è la prigione di Azkaban?
Bellatrix non sospira, il suo orgoglio non glielo consente: ma, dentro di lei, una preghiera si forma e non riesce a non graffiarla fino all’anima più pura, nuda e disperata, che s’agita in lei come un mai nato. Venite a prendermi. Ma Lord Voldemort è perduto e dimenticato dai più, non potrà mai risorgere per volontà, sebbene la sua – di volontà – sia più salda di quella di chiunque altro.
Le hanno spiegato che non deve morire, ma che deve essere annullata: tra ventitré ore, sarà sottoposta al Bacio e tutto ciò per cui ha combattuto, tutti i suoi sacrifici, tutto sarà stato vano. Non c’è speranza, ha colto dallo sguardo di sua sorella, ve n’è mai stata almeno un surrogato?
Eppure, un ricordo vago e sbiadito dentro di lei, qualcosa urla: la speranza c’è e sta in quella bambina inutile. Bellatrix la ricorda a stento, la memoria l’ha come cancellata dai suoi ricordi, ma Delphini Lestrange esiste ancora.
Non ne ricorda il volto, il colore della prima peluria che l’è spuntata in testa, il rumore fastidioso dei vagiti al calar del sole. Ma sa che esiste. Forse rapita, forse cresciuta da Cissy, ma da qualche parte quella bambina inutile vive ancora. Deve farlo.
L’unica speranza in una nuova era, nell’erede che lui l’aveva costretta a generare, è lei. Una bambina inutile e niente di più.
E, adesso che anche lei è perduta e dimenticata, Delphini Lestrange è l’unica persona che potrebbe essere in grado di trascinarla via da quel labirinto d’acqua stagnante in cui l’hanno rinchiusa.
«Madre».
È un richiamo che non riconosce, eppure qualcosa dentro di lei la costringe ad alzare lo sguardo per incontrare quello scuro e insensato di una ragazza che non somiglia a nessuno. Ha qualcosa di Narcissa nei capelli biondissimi, la carnagione lattea dei Black, i suoi occhi neri. Del Signore Oscuro, dentro di lei, non vi è traccia: è una Black in tutto e per tutto, sebbene Rodolphus sia stato vincolato a darle il suo cognome.
Bellatrix ride, facendo sibilare l’aria attraverso i buchi dei denti che ha perso, e scuote il capo brizzolato, più grigio che nero.
«Non chiamarmi mai più in quel modo» sibila, divertita. «Madre» ne imita il tono, aggiungendovi una caricaturale disperazione che nella voce di sua figlia non era contenuta.
Delphini arriccia le labbra, di fronte al tono pieno di scherno di sua madre. «Sono venuta ad aiutarti» sibila. «Tra meno di ventiquattr’ore sarai sottoposta al Bacio. L’hai capito, questo?».
Bellatrix ride, scatenando un colpo di tosse da parte degli Auror di guardia.
«E dimmi, come hai fatto a intrufolarti qui?» le domanda, divertita. «Hai detto questo anche a loro?».
«Il St. Oswald2 aveva proposto di accoglierti» sibila Delphini. «E io lavoro lì. Sono una volontaria, ecco».
Bellatrix ride nuovamente, di fronte alla prospettiva di lei rinchiusa in una casa di riposo per vecchi maghi e streghe, ride così tanto che le dolgono i polmoni solamente al pensiero di quella prospettiva.
«Io non riderei, fossi in te» commenta sua figlia, atona. «Sono l’unica speranza che ti è rimasta».
«E come avresti intenzione di aiutarmi?» la sfida Bellatrix, divertita. «C’è qualcuno dei vecchi cui badi che ha qualche misterioso piano per aiutarmi a fuggire di qui?».
Delphini sospira, si passa una mano tra i capelli biondissimi. «Sono io ad avere un piano» risponde, piccata. «Il Ministro Granger è in possesso di una Giratempo sperimentale».
«Ma tu non hai tempo per procurartela» l’interrompe Bellatrix, divertita. «Un vero peccato, Delphini, che i tuoi piani siano già stati rovinati».
Delphini sorride, per la prima volta fiera, e agita davanti a sua madre un dito con aria pregna di superiorità. «Io me la sono già procurata, nel momento esatto in cui si è saputo che saresti stata sotto processo» risponde, con una nota di contentezza nella voce. «Ho raggirato il figlio di Potter e quello di Malfoy».
«Interessante» commenta sua madre, la voce pregna d’ironia. «Anche se io preferisco altri metodi. E come intendi utilizzarla?».
Delphini non fa in tempo a risponderle, che Bellatrix s’alza di scatto e con un’agilità sorprendente per una donna della propria età, le sfila la bacchetta dalla tasca del mantello. Immediatamente, gli Auror accorrono a disarmarla.
Bellatrix ride, mentre lancia uno Schiantesimo alla propria figlia, e un Avada Kedavra a uno degli Auror. Ma non serve a niente, pensa distintamente Delphini accasciandosi con il viso pericolosamente vicino alla pozzanghera.
La fine arriva comunque.
 
***
 
Ventuno ore prima, Aix-en-Provence
 
Il Cours Mirabeau pullula di gente: ed è a malapena luglio, con quel caldo afoso che dovrebbe impedire a chiunque sano di mente di uscire fuori di casa. Delphini, il viso nascosto da una mascherina chirurgica Babbana3, s’addentra nel viale alberato – in mente, ha il volto di una persona che non ha mai visto, ma deve ritrovare: Rodolphus Lestrange.
Il suo patrigno è scomparito in un mare di niente – ch’è nulla, ma rimane tangibile – dopo la Battaglia di Hogwarts e nessuno l’ha mai più rivisto. È un codardo, direbbe Bellatrix, ha trattato con il Ministero per vivere in mezzo ai Babbani nella Francia meridionale: ha venduto a Potter i suoi amici, senza alcun rimorso di coscienza. Ce l’ha mai avuta per davvero, Rodolphus Lestrange, una coscienza o s’è sempre tutto perso, tutto dimenticato, in una pozzanghera d’acqua stagnante?
Non è difficile individuarlo. Seduto a uno dei tavolini di fronte alla Pâtisserie Béchard4, il suo patrigno addenta pensieroso un croissant, osservandola tranquillamente mentre s’avvicina a grandi passi. Delphini non è sicura – come potrebbe? – di ricevere il suo aiuto, ma sa anche che Rodolphus Lestrange è l’ultima speranza che le resta oltre sé stessa.
«Sapevo che saresti arrivata, prima o poi» commenta Rodolphus, posando il dolce sul piattino. «E la risposta è no, a qualunque domanda tu sia venuta a pormi».
«Non è una domanda» risponde Delphini, alzando il mento. «Ho bisogno che mi aiuti: devo tornare indietro nel tempo e impedire che mio padre…».
La risata del suo patrigno le piega la voce, costringendola a interrompere il proprio discorso: Rodolphus ha la barba brizzolata di zucchero, che cade a granelli al suono delle sue risa sfrenate, che fanno voltare qualche Babbano nella loro direzione.
«Tuo padre» ripete, piano. «Sei coraggiosa, a chiamarlo così. Se ti avesse sentita, ti avrebbe sciolto le ossa con una Cruciatus, te lo assicuro».
Delphini abbassa lo sguardo, ma non cede, e nuda determinazione compare nei suoi occhi scuri. «Se non lo riporto indietro, tua moglie sarà condannata al Bacio» commenta, scandendo bene le parole. «Porti ancora la fede. Come potresti non volerla salvare?».
Ma Rodolphus ride nuovamente, mostrandole un dente incrinato in un sorriso perfetto. «La porto per non dimenticare, Delphini» commenta, pronunciando il suo nome con disprezzo. «Non muoverò un dito per salvarla. Come se ne avesse bisogno: lei non vuole che noi la tiriamo via di lì».
«Sei bloccato qui perché ti hanno detto di non tornare in Inghilterra» commenta Delphini, piano. «Se il Signore Oscuro risorgesse, potresti tornare a casa tua, dalla tua famiglia».
«Casa?» domanda Rodolphus, la voce pregna d’ironia. «Famiglia? Mio fratello è morto, io non ho mai avuto figli. E tua madre, lei… ha preferito piegarsi verso il Signore Oscuro in maniere che non voglio nemmeno spiegarti».
Delphini china il capo e vorrebbe replicare, difendere sua madre, ma non le vengono le parole: così rimane ad ascoltare il proprio silenzio, senza sapere come infrangerlo. Rodolphus ride, scuotendo il capo e riprendendo tra le mani il proprio croissant.
«Userai la tua Giratempo da sola, Delphini Riddle» commenta, atono. «D’altronde, sei quel che sei: e, una Lestrange, non lo sarai mai».
Delphini alza gli occhi al cielo: nubi plumbee incombono su Aix-en-Provence, pronte a seppellire la città in un’ondata di vetri.
Quel giorno, il cielo sembra solamente fatto di plastica, quando le nubi si piegano per lasciare intravedere un singolo spiraglio di sole.
«Me ne ricorderò» sibila, altera. «Quando sarò riuscita a salvarli entrambi, ricorderò che hai preferito non aiutarmi».
«Guardami» Rodolphus Lestrange spalanca le braccia. «La mia vita è finita da tempo, Delphini. Non ho più né una casa né una famiglia, perché dovrei perdere quel poco che ho riconquistato per aiutare te?».
Perché il Cours Mirabeau si sta sciogliendo in uno scroscio di pioggia, pensa Delphini, e io sono ancora qui. Ma Rodolphus scuote il capo, indossa la propria mascherina e s’avventura per il viale alberato.
Lei alza lo sguardo, sospirando verso le nubi. È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Delphini respira a fatica, il volto nascosto da una mascherina chirurgica, mentre le mani le tremano celate dall’aria così umida da apparire quasi tangibile. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
Chiude gli occhi.
 
***
 
Quando Delphini riapre gli occhi, si ritrova nello stesso posto in cui aveva lasciato sua madre, poche ore prima. Azkaban non s’è asciugata con il sole, e la pozzanghera è sempre lì nel medesimo posto: a guardarla, sul fondo della cella di sua madre, permettendole di scorgere la propria anima attraverso il riflesso. Questa volta, però, i Dissennatori sono lì.
Non c’è nessun Ministro Granger che abbia combattuto per debellarli dalla prigione magica, e allora loro s’aggirano tra i reclusi con calma angosciante, privandoli prima di un ricordo e poi del successivo. I detenuti sono quasi tutti accasciati sul terreno, le unghia lì conficcate come per appigliarsi alle proprie memorie e non lasciarle andare.
Bellatrix è l’unica a sedere con la schiena contro la parete, dritta e fiera, ride ogni volta che un Dissennatore le si avvicina troppo. Dove l’abbia, la forza per ridere, Delphini non ne ha idea. Eppure Bellatrix ride, fa sibilare l’aria come se quello sforzo la prosciugasse, e finalmente lascia cadere il proprio sguardo su di lei.
Delphini si avvicina, la bacchetta in mano per allontanare eventuali Dissennatori. «Devi fuggire» le sussurra. «Devi andare via di qui».
«E tu chi saresti?» le domanda sua madre, tossendo appena. «Sei uno dei miei incubi?».
«Mi chiamo Delphi» sussurra la ragazza, sedendosi accanto a lei. «Io… vengo da un altro tempo, madre».
Bellatrix scuote il capo, e i capelli nerissimi le coprono il visco scarno, come un’ombra. «Non ho figli» sibila. «Non ne avrò mai».
«Madre, ascoltatemi» la prega Delphi, prendendole le mani in una stretta da cui lei rifugge disgustata. «Vengo da un altro tempo, Lui vi chiederà un figlio e voi gli darete me».
Sua madre ride, facendo tremare l’aria in un sibilo, come un vetro che s’infrange.
«Non te l’hanno detto, che non si gioca con il tempo?» sussurra, a fatica. «Potresti infrangere leggi sacre, rovinare tutto. Perché sei tornata indietro?».
«Perché perderete la guerra» sussurra la ragazza, piano. «L’Oscuro Signore rimarrà ucciso e tu… tu scamperai per un pelo alla morte, per mano di una Weasley, e ti condanneranno al Bacio».
Bellatrix contrae la bocca in una smorfia infastidita. «Non avresti dovuto» commenta, atona. «Sarei stata lieta di sacrificarmi per il Mio Signore».
Le artiglia il polso, torcendoglielo leggermente. «Lasciami andare, madre5» le sussurra Delphi, cercando di staccare quelle dita artigliate dalla propria carne debole. «Dimmi solo dove posso tornare per aiutarti».
«Al mio matrimonio» le sussurra Bellatrix, chinando il capo. «Vai da Lui e digli quello che hai detto a me. Saprà cosa fare».
Delphini annuisce, guarda un attimo il cielo: i Dissennatori si sono accorti di lei, ne è certa – perché il cielo sembra plastica che sembra vetro e, allora, potrebbe semplicemente infrangersi sopra la sua testa.
Carica la Giratempo e chiude gli occhi.
 
***
 
Bellatrix non ha mai indossato un abito da sposa: nello specchio, quella che restituisce lo sguardo è solamente un’ombra oscura che taglia il vetro come un lampo nerissimo. Ha scelto un abito color pece, per la cerimonia, che urla per un lutto di cui s’è presa carico – senza inizio o fine – e che sventola come una vittoria di fronte ai suoi genitori.
Vittoriosa, Bellatrix pensa che non avrà bisogno di alcun gioiello, per quella cerimonia insensata: le mani di Lui sono l’unico ornamento che accetta su di sé. E, se non farà attenzione, le finirà come sua sorella Narcissa che ha quindici anni e già le hanno messo un girocollo addosso, con lo stemma dei Malfoy. Un collare.
A lei, un collare, non lo metteranno mai: non sarà la cagna da riproduzione dei Lestrange, non sarà una bella moglie per il figlio maggiore, né presenzierà ai ricevimenti di Célie come se fosse l’unica cosa che non abbia mai desiderato. Moglie di Rodolphus, lei, non potrà mai esserlo.
Lo sposa perché i suoi genitori l’hanno ordinato e l’Oscuro signore ha detto di sì, ma imbrigliarle la volontà sarà anche più complicato di così. Imbrigliarle i desideri, poi, altrettanto impossibile: perché la notte Bellatrix s’addormenta e ha le Sue mani che le carezzano la mente.
Perché al mattino si desta e il letto è sempre gelido, ma semplice è immaginarselo dormire al suo fianco. Sono pensieri che Lui le rimprovera, perché sono terreni e tangibili, quando lui è etereo e immortale, ma Bellatrix non riesce a sopprimerli.
Sono simili, lei e il Suo Signore: freddi come le frasi che lui le dice davanti a quello specchio, finti come quei sorrisi che Bellatrix rivolge a Rodolphus, anneriti come quell’abito che lei porta con tanta fierezza. Sposerà Rodolphus Lestrange, ma non gli apparterrà mai.
Perché l’anima è un vaso di fiori e, allora, i due vasi gemelli di Lord Voldemort e Bellatrix Lestrange sono opachi e ammuffiti della medesima incuria.
Sul fondo dello specchio, lo vede quasi: lui che si sporge verso di lei e le accarezza il viso con quelle dita gelide – d’altronde rispecchiano la temperatura dell’anima – scendendo lungo il collo, prima, e attraverso la scollatura poi. Sospira, i sogni a occhi aperti lui li ha banditi dalla loro esistenza.
«Mio Signore?» borbotta Bellatrix, colta nel bel mezzo di una fantasia, mentre la porta si apre con uno scricchiolio. «Cosa ci fate qui?».
Lord Voldemort sorride, ha il viso trasfigurato dalla magia oscura, e sembra nuovamente il giovane attraente che aveva incontrato per la prima volta anni prima.
«Vengo a trovare la sposa» commenta l’Oscuro Signore, con una risata. «Nero, Bellatrix? Dovrebbe essere una giornata di letizia».
«Che letizia ci potrà mai essere, in un matrimonio?» ribatte lei, sistemandosi l’anello di fidanzamento sul dito. «Ogni matrimonio è solamente la tomba di tutto quello che una donna potrebbe essere».
Osserva con disgusto il rubino sistemato sul proprio anulare: alla fine, anche contro la sua volontà, un collare gliel’hanno messo comunque.
«E tu cosa saresti potuta essere, che non sei?» le domanda Lord Voldemort, con sincera curiosità. «Ti ho già onorata sopra ogni altra, Bellatrix, cosa stai cercando ancora?».
Lei ricambia il suo sguardo, senza paura, e su riflesso dei suoi occhi neri lui riesce quasi a cogliere quel desiderio che le infiamma le vene. Dissanguata, Bellatrix, da quel desiderio che lui non asseconda, che finge di non vedere.
«Una divinità non si abbassa ad assecondare i desideri terreni, Bellatrix» commenta, l’Oscuro Signore, atono. «Dovrai imparare a moderare le tue voglie, se vorrai continuare a servirmi».
Lei abbassa il capo, i capelli ricci le coprono il viso: è una Black, non si abbasserà a pregare come, a suo tempo, hanno fatto altre donne che ha conosciuto – sparite nel nulla, mentre lei è sempre al suo fianco.
«Mio signore» lo supplica, adorante. «Non lasciatemi sposare Lestrange. Come potrei continuare a servirvi, se dovrò essere moglie e madre?».
Lui alza la mano, le tira una ciocca di capelli con curiosità, senza farle male, e scuote il capo con aria tremendamente seria. «Tu non sarai moglie, né madre» risponde, senza alcuna inflessione. «Ho già parlato con Rodolphus: desidera compiacermi almeno quanto lo desideri anche tu».
Lei s’illumina, in quello sguardo pieno d’ammirazione che gli rivolge, e torna a cercare di sistemare i propri capelli in una crocchia ordinata. Ma, quando fa per appuntarli con degli spilloni, Lord Voldemort le prende la mano, fermandola.
«Meglio di no» scuote il capo. «Una sposa, per quanto recalcitrante, deve presentarsi all’altare con i capelli sciolti».
Bellatrix ride, facendo tremare gli specchi. «Perché, devo dimostrare a mio marito la mia supposta verginità?» gli domanda, con un velo d’irriverenza che gli fa stringere lo sguardo. «Penso che sia una cattiva idea, mio Signore».
Lui, però, non si fa convincere e con gesti secchi, strappandole anche qualche capello di troppo, comincia a disfarle l’acconciatura. «Dimentichi, Bellatrix» commenta, lasciando cadere l’ultimo spillone sul pavimento. «Che dev’essere fatta la mia volontà».
Lei si volta, osando ricambiarne lo sguardo direttamente. «Io faccio sempre la vostra volontà» gli ricorda, piano. «Anche quando non la comprendo o qualcosa rimane oscuro, mio Signore. Come sta accadendo in questo momento».
«Non mi aspetto che tu comprenda, Bellatrix, i miei piani sanno essere incomprensibili» commenta Lord Voldemort, con aria magnanima. «Ma un giorno, forse, avrai chiaro che ciò è stato fatto per te».
Bellatrix sospira, sfilandosi l’anello di fidanzamento: ormai non conta più niente.
«Pensavo mi avreste portato con voi» gli sussurra, ardentemente. «Senza lasciarmi a casa a scaldare il letto di qualcuno che non siete voi».
«Pace, Bellatrix» risponde lui, alzando la mano. «Cedere una volta non significa cedere sempre. Hai macchiato la mia divinità una volta, non ti sarà permesso replicare».
Ma lei lo guarda e ha gli occhi tondi come scodelle e le labbra arrossate di rossetto, e allora lui alza la mano, incerto, e gliela posa lì. Sulla bocca, sporcandosela di carminio.
«Vi prego» sussurra lei, contro il suo dito. «Non permettetegli di portarmi via da voi».
«Rodolphus sa a chi appartieni» risponde Lord Voldemort, senza particolare inflessione. «E anche tu».
Bellatrix alza una mano, portandola sulla nuca di lui: i capelli, diradati dalla magia oscura, le solleticano le nocche squarciate dal gelo che ha dentro. Rabbrividisce, nell’osservare lo sguardo guardingo che lui le rivolge, come a invitarla a fermarsi.
Ma lei ha ben chiaro qual è il suo posto, ed è a lasciarsi baciare da lui, i cui occhi sono ostinatamente puntati sulla sua bocca. Lei è l’amante da amare senza amore.
Si lascia baciare, sebbene il suo signore s’opponga in ogni nervo a quel gesto così naturale e, contraddittoriamente, le affondi le mani nei fianchi come se potesse annegarvici dentro.
«Bellatrix» l’ammonisce lui, con tono severo. «Il peccato è sempre dietro l’angolo, con te».
C’è tiepida rassegnazione, nelle sue parole, ma lei non ascolta: è finita con la schiena contro la toeletta e, l’unica cosa che riesce a pensare, è cosa verrà dopo.
Quando dovrà seguire i suoi movimenti, senza dimenticarne nessuno6, e allora non basterà premersi contro di lui, aprire le gambe per permettergli di entrarle dentro ben più di quanto non abbia già fatto.
«Vi prego, mio signore» sussurra lei, ancora una volta. «Tenetemi con voi. Non datemi a Rodolphus Lestrange».
Lui sospira sul suo collo, cominciando lentamente a muoversi dentro di lei. «Ho preso la mia decisione» sibila, mordendole il lobo dell’orecchio. «E non è mutabile, Bellatrix: sposerai Lestrange, questa è la mia volontà».
Lei sospira, socchiudendo gli occhi come una gatta, e aggrappandosi con forza alle spalle di lui. «Vi prego» ripete. «Voglio rimanere con voi».
Voldemort sospira, scostandosi leggermente da quella fonte di tentazione, intenzionata a sporcarne definitivamente la divinità. «Proprio per questo devi sposarti» le sibila. «Ho bisogno di sapere che non mi tenterai più, Bellatrix».
Bellatrix non risponde, sospirando tra una spinta e l’altra. Riprende fiato solamente quando lui si scosta, borbottando un incantesimo per pulirsi, e lasciandola a rimettere a posto il proprio vestito. Macchiata, più che esserlo la sua divinità, lo è lei: della convinzione che potrà farla sposare, tenerla lontana, ma per quanti tentativi possano fare, lui e lei rimarranno sempre fatti della stessa sostanza.
«Legati i capelli» le sibila, Voldemort, sulla soglia. «Avevi ragione: non c’è alcuna verginità che tu debba sostenere d’aver preservato».
Lei ride, chinandosi per raccogliere gli spilloni dal pavimento.
 
***
 
Rodolphus Lestrange non è ansioso di sposarsi, non freme, né è curioso di incontrare nuovamente quella ragazza che ha visto solamente un paio di volte. È stata iniziata alla Magia Oscura, le ha detto il suo Signore, e lui non dovrà toccarla per nessun motivo al mondo: non s’insozza con il sesso l’allieva di Lord Voldemort, la sua migliore luogotenente, e Rodolphus s’è già rassegnato a un matrimonio senza amore e senza eredi. Non vi sono motivi, gli ha sussurrato Rabastan mentre si vestiva, per cui tu debba sposarla: rifiuta.
Ma Rodolphus, di fronte allo sguardo serpentino di Lord Voldemort, ha semplicemente chinato il capo e detto sì, lo voglio seppur peccasse di volontà.
«Perdonami» una ragazza gli tira la manica della giacca, facendolo voltare. «Sono una cugina di Bellatrix. Mi puoi dire dove posso trovarla?».
Rodolphus si volta, osservando una delle ragazze con cui dovrà imparentarsi. «La trovi in camera sua, al piano superiore» borbotta, meccanicamente. «Si sta finendo di preparare. Potresti andare ad aiutarla».
La ragazza, biondissima come la giovane Narcissa ma con i capelli striati di blu, china il capo e s’affretta verso l’enorme tenuta di campagna dei Black.
«Aspetta» la chiama Rodolphus, seguendola a grandi passi. «Potresti almeno dirmi come ti chiami?».
«Delphini» borbotta la ragazza, senza voltarsi. «Delphini Black».
«Voi Black e questa patetica ossessione per i nomi di stelle» sibila lo sposo, con astio. «Vai pure, non ti trattengo oltre».
Delphini comincia a correre verso camera di sua madre, ignorando gli sguardi di biasimo per il vestito semplice, estivo, che indossa: ringrazia Salazar per aver avuto il buonsenso di cambiarsi prima di intraprendere quel viaggio attraverso il tempo, con i pantaloni e la canottiera sarebbe risultata ancora più fuori luogo.
Non è complicato, arrivare di fronte alla camera di Bellatrix: è la migliore della casa, quella che un tempo era della figlia preferita di Cygnus, ormai cancellata dall’arazzo di famiglia e dalla memoria comune. Andromeda Black riposa nei ricordi del padre e, adesso, la camera più spaziosa appartiene alla figlia maggiore.
Nel corridoio, un bel giovane le passa di fianco, regalandole niente di più che un’occhiata distratta: Lord Voldemort è uscito dalla stanza di sua madre, con le mani in tasca e l’espressione turbata.
«Padre…» si lascia sfuggire Delphini, e quella parola suona strana persino alle sue orecchie. «Aspettate».
Ma Lord Voldemort, come sordo a quel richiamo, prosegue nel proprio cammino verso il giardino. Delphini sospira, aprendo la porta della camera da letto di sua madre e chiudendosela dietro le spalle. Bellatrix si sta aggiustando i capelli, cercando di legarli in una crocchia troppo stretta: impossibile, per quelle ciocche che fino a poco tempo prima sono state libere nelle mani di lui.
«Bellatrix» la chiama, distogliendola da quei pensieri disordinati che le affollano il cranio. «Possiamo parlare un momento?».
Bellatrix le dedica uno sguardo distratto, cominciando a infilzare la propria acconciatura con gli spilloni raccolti dal pavimento. «E tu saresti?» domanda, incerta. «Una di quelle cugine di cui non ricordo l’esistenza?».
Lei annuisce. «Delphini» specifica, piano. «Delphi».
«E di chi sei figlia?» domanda Bellatrix, sistemando con il pollice uno sbaffo di rossetto lungo la guancia. «Non mi ricordo proprio di te».
«Vengo da un altro tempo» sussurra lei, per la prima volta timorosa della reazione della madre. «Sono tua figlia».
Nello specchio, Bellatrix spalanca gli occhi con aria turbata. «Mia figlia?» domanda, con una risata nervosa. «Mi ha mentito, dunque, sono davvero finita a fare la madre?».
Lo dice con un tale sconforto che, per un momento, Delphini si fa confondere dalla pena che prova nei suoi confronti.
«Non è Rodolphus, mio padre, anche se mi avete dato il suo cognome» sussurra, piano. «Lui vi ha chiesto un erede e voi gli avete dato me».
«Una femmina» constata Bellatrix, con disgusto. «Forse era il Fato a non volere che io fossi mai madre, non credi?».
«Vengo in un futuro dove siamo stati sconfitti, madre» sussurra Delphini, con urgenza. «Dove l’Oscuro Signore è stato sconfitto e io non sono riuscita a fare niente per impedirlo».
Lo sguardo di Bellatrix s’accende di comprensione, mentre si appoggia alla toeletta, con aria pensosa: forse teme che, rimanendo in piedi, le gambe potrebbero cederle.
«Hai parlato con Lui?» sibila, incerta. «Gli hai detto ciò che sai?».
Delphi scuote il capo, pensando alla fretta con cui Lord Voldemort ha ignorato il suo richiamo, dirigendosi verso quel matrimonio fallito ancor prima di cominciare.
«Non dirgli niente» risponde Bellatrix, dura. «Non ti crederebbe: è troppo certo della bontà dei suoi piani per poter pensare che siano in grado di fallire».
«Cosa posso fare?» sussurra Delphini, piano. «Per impedirgli di uccidere i Potter e perdere tutto quello che ha costruito in questi anni».
Bellatrix Black stringe le labbra, sporcandosi di rossetto i denti, e comincia a vagare per la stanza con fare pensieroso. «Devi andare avanti nel tempo» borbotta, infine. «Pensi di poterlo fare?».
«Posso» risponde Delphi, risoluta. «Quanto avanti?».
Sua madre ride, divertita. «Cosa pensi che possa saperne, io?» sibila. «Fai in modo che non uccida i Potter, avvisami di quel che sta succedendo e io ti aiuterò, ne sono sicura».
Delphini annuisce: fuori sta piovendo, nota, un matrimonio bagnato per una sposa dall’anima asciutta come sabbia vetrificata. Anche oggi, il cielo sembra plastica.
Carica la Giratempo, mentre sua madre la osserva corrucciata. Chiude gli occhi.
 
***
 
Urla di dolore risuonano in casa Lestrange: Rodolphus non è mai stato avvezzo alla tortura ma, di fronte alle urla di dolore di Alice Longbottom, non riesce a non pensare che siano il suono più dolce che le sue orecchie abbiano mai udito. La donna si contorce sotto le Cruciatus, riuscendo persino a sfiorargli la gamba con la mano, come se appigliarsi a qualcosa le possa consentire di rimanere ancorata a sé stessa.
«Andiamo, Rod» sibila Bellatrix, contrariata. «Puoi fare di meglio. Suo marito è messo molto peggio, di là con Barty e Rabastan».
Rodolphus sbuffa. «Cosa dovrei fare?» le domanda, occhieggiando a quel corpo con aria interessata. «Sei tu la professionista in incantesimi di tortura, Bellatrix».
Lei ride, come una bambina, chinandosi di fianco al corpo esanime di Alice e carezzandole il capo con curiosità infantile. Ha i capelli d’un biondo sporco, opaco, l’Auror: il viso tondo per un corpo troppo esile, non sembra essere quella donna in grado di opporsi e persino sfidare Lord Voldemort.
«Non farmi essere volgare» risponde Bellatrix, occhieggiando divertita alla donna di cui sta sfiorando i capelli con curiosità. «Prometto di chiudere gli occhi per non metterti a disagio».
«Sparisci dalla mia vista, Bellatrix» le borbotta suo marito, indicandole la porta. «O vuoi unirti?».
Lei ride, uscendo in giardino con aria svagata, in una camminata fatta di pochi passi e qualche saltello. Fuori, trova una ragazza bionda – biondissima, con i capelli striati di blu – a guardarla con occhi un po’ spiritati.
«Finalmente sei arrivata» constata, raggiungendola a grandi passi. «Ti stavo aspettando».
«E tu chi saresti?» le domanda Bellatrix, alzando un sopracciglio scuro. «Ti ha mandata Lui?».
«Più o meno» ammette Delphi, piano. «Mi chiamo Delphini Lestrange, vengo da un tempo che non è questo. Tra qualche anno, sarò tua figlia».
Bellatrix spalanca gli occhi, sorpresa. «Io non avrò mai figli» ribatte, orgogliosa. «Lui me l’ha promesso. Non so chi tu sia, ma se sei in cerca di guai, allora…».
«Non di Rodolphus» la frena Delphini, sebbene sua madre abbia già le mani perse nella sua bacchetta magica. «Sua».
Bellatrix si frena, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco con aria stupita. «Non è riuscito a procurarsi un erede con la magia oscura?» domanda, eccitata. «E ha scelto me?».
Delphini si guarda le mani, incerta. «Nessuno mi ha mai parlato della mia nascita» ammette. «Non so bene come sia andata, ma…credo di sì».
Bellatrix sorride vittoriosa, cominciando a camminare avanti e indietro per il parco. Dentro casa, s’odono distintamente le urla soffocate di Alice Longbottom, unite alle risate di Rabastan e Barty Crouch, probabilmente giunti per assistere allo spettacolo gentilmente offerto da Rodolphus.
Questa è la fine, si ritrova a pensare Bellatrix distintamente, dell’amante da amare senza amore: per una volta, avrebbe avuto in mano qualcosa che Lord Voldemort desiderava così tanto al punto di concederle di macchiare la sua divinità.
«Ascoltami, madre» la richiama Delphini, strattonandola per una manica. «Ho bisogno che mi aiuti».
Bellatrix la osserva, perplessa ma attenta, facendole cenno di continuare a parlare.
«Nel futuro da cui provengo, il Signore Oscuro ha perso la propria battaglia contro Harry Potter» sussurra. «E voi siete stata catturata dopo una lunga fuga per essere sottoposta al Bacio del Dissennatore».
«Non può essere» strepita Bellatrix, pestando i piedi come una bambina stizzosa. «Lui è grande e fa cose immense, non può perdere sé stesso contro un neonato».
«Madre» la richiama Delphini, con determinazione. «Se non facciamo qualcosa, sarà tutto perduto».
Bellatrix sospira, e le tende una mano con aria turbata. «Vieni» le dice. «Ti porto da Lui».
Lo schiocco della Materializzazione congiunta fa male alle orecchie, ma duole comunque meno del cuore di Delphini nella prospettiva di non riuscire ugualmente a salvare i suoi genitori da un disastro già vissuto, già preannunciato.
 
***
 
«Come faccio a farmi ascoltare da lui?» sussurra Delphi, mentre sua madre la trascina per i corridoi di casa di Rabastan, alla ricerca del suo Signore. «A convincerlo che dico la verità».
«Non puoi» risponde Bellatrix, semplicemente. «Ma forse posso trattenerlo in qualche modo».
La lascia fuori ad aspettare, entrando nelle viscere cave della sala da pranzo di Villa Lestrange: Bellatrix finge una sicurezza che non prova, nel fronteggiare lo sguardo curioso e perplesso di Lord Voldemort.
«Bellatrix» la richiama lui, con freddezza. «Pensavo di averti dato un compito: io tra pochi minuti andrò a fare una visita ai Potter. Pensavo di ritrovarti occupata con i Longbottom».
Lei china il capo, in un sospiro. «Non andate» mormora, con ardore. «Mandate qualcun altro, mandate me».
«Sei forse impazzita, Bellatrix?» le domanda, calmo. «L’affare dei Potter è qualcosa che solamente io posso compiere, cui posso porre fine. Perché mai dovrei mandare te?».
«Temo per voi» sussurra lei, appassionatamente. «I Potter sono membri esperti dell’Ordine e poi… vi prego, lasciatemi venire con voi».
Lui la guarda, ha il gelo negli occhi, nell’anima, mentre con una mano prende la bacchetta e gliela punta contro. Lei sobbalza, ma non si scosta di un millimetro. «Dovrei Cruciarti solamente per averlo pensato» le sussurra, suadente, avvicinandosi per sfiorarle il volto con la punta della bacchetta. «Ma ignorerò il tuo momento di temporanea follia, Bellatrix, se mi spiegherai perché».
«Lily Potter è astuta, mio signore» confessa la strega, chinando il capo. «Conosce magie antiche, voi…».
«Solo io, al mondo, posso vivere per sempre» le risponde Voldemort, deciso. «Non mi accadrà niente, Bellatrix: i Potter cadranno proprio come sono caduti i Longbottom e tanti altri valorosi maghi prima di loro. Un terribile sacrificio, ma necessario».
«Mi credereste, se vi direi che ho la certezza che, in un futuro prossimo, voi non vincerete contro i Potter?» sussurra Bellatrix, vergognandosi di quell’impudenza. «Che il mondo non ha saputo cogliere la vostra grandezza e l’ha fraintesa».
La Cruciatus che Lord Voldemort le scaglia è così potente da farla cadere sul pavimento, sbattendo la testa. Quando riapre gli occhi, lui è chinato vicino a lei, con le maniche della sua lunga veste che le solleticano le braccia.
«Che sia l’ultima volta, Bellatrix, che osi parlarmi in questo modo» l’ammonisce. «E, adesso, torna ai tuoi doveri. Avremo di che parlare, stasera, quando tornerò vittorioso».
Lei vorrebbe replicare, ma lui le lancia uno sguardo d’ammonizione, costringendola a tacere. «Adesso, vai» ribadisce, con forza. «Non sarò responsabile delle mie azioni, altrimenti: e non ho intenzione di uccidere la mia migliore Mangiamorte».
Fuori dalla stanza, Delphini piange e nemmeno sa il perché.
 
***
 
Diciotto prima, St. Oswald’s Home for Old Witches and Wizard.
 
Delphi ha contato i minuti che l’hanno separata da quella sua buffa avventura in mezzo al tempo, cercando cambiamenti nello spazio e nel tempo, nella speranza di ritrovare un cambiamento, qualcosa che le faccia capire che Lord Voldemort in quel mondo possibile ha trionfato. Ma non accade niente, e la vita a St. Oswald è sempre la solita noiosa esistenza insensata, e Amos Diggory continua a lamentarsi contro Harry Potter per via di quella Giratempo che non gli ha voluto concedere. Delphi lo sente e sorridere: tramite l’aiuto dei rampolli Potter-Malfoy, è riuscita a impadronirsene, prima di lasciarli attendere sue notizie che non sono arrivate.
«Delphi!» la chiama una voce, facendola sobbalzare sul suo letto. «L’inserviente ha detto che ti avremmo trovata qui: non abbiamo molto tempo, mio padre ha acconsentito a portarci solamente per potersi scusare con Amos».
Delphini sbuffa, di fronte all’espressione corrucciata del Potter mezzano, ma subito riesce a mascherare la propria espressione contenta in un sorriso dolcissimo. «Albus, Scorpius!» esclama, pimpante. «Che piacere vedervi! Cosa vi ha portato fin qui?».
«Lo sai» le risponde Scorpius, secco. «Salvare Cedric Diggory. Avevamo un accordo, non ricordi?».
«Non è tempo, miei cari» mormora, melliflua, cercando a tentoni la bacchetta sul proprio copriletto. «Bisognerà aspettare la condanna di Bellatrix Lestrange, prima di portare ulteriore scompiglio, non trovate?».
Albus annuisce, piano, mentre Scorpius la osserva con sospetto. «Non credo proprio» dice, calmo. «Dovremmo approfittare del fatto che siano tutti concentrati sul processo alla Lestrange, per accorgersi della sparizione della Giratempo».
«Penso di non potervelo permettere» sussurra Delphi, la voce carica di un sentimento che non prova. «Siete così giovani… io non ho niente da perdere, ma voi…».
Albus le posa una mano sulla spalla, pieno di comprensione. «Scorpius ha ragione» mormora. «Hai già un piano?».
Delphini sorride, ha la bacchetta stretta tra le mani. «Sai Albus, io non sono mai stata ad Hogwarts» confessa, divertita. «Ho studiato a Durmstrang: lì l’istruzione è altrettanto valida, ma si concentrano in particolare su alcuni incantesimi molto utili».
Fa una pausa, calcolata, prima di puntare la bacchetta sulla fronte del figlio di Potter, il quale spalanca gli occhi, disorientato.
«Gli incantesimi di memoria, ad esempio» mormora dolcemente. «Te ne mostro uno: Oblivion».
Albus Potter si accascia sul pavimento, gli occhi resi vitrei dall’incantesimo, mentre uno sgomentato Scorpius Malfoy corre a sorreggerlo.
«Non la farai franca» sussurra, schiaffeggiando leggermente il viso dell’amico. «I nostri genitori lo verranno a sapere7».
Delphi sorride, prima di lanciare un secondo incantesimo di memoria, e fare svenire anche il rampollo dei Malfoy.
La Giratempo ticchetta in tasca, come per ricordarle che deve tornare indietro, prima di perdere per sempre anche sua madre.
 
***
 
Diciassette ore e quaranta minuti prima, St. Oswald’s Home for Old Witches and Wizard.
 
«Signor Potter?».
Delphini s’affaccia nella sala da pranzo, scorgendo Harry Potter intento a parlare con l’inserviente, con aria turbata.
«Credo che Albus abbia qualche linea di febbre» constata, trascinando Albus Potter dentro la stanza. «Poco fa delirava, non è vero Scorpius?».
Scorpius Malfoy, leggermente confuso anch’egli, annuisce partecipe. «Temo di sì» sbiascica, incerto. «Anche io non mi sento molto bene».
Harry Potter sospira, passandosi una mano tra i capelli neri, ancora folti, con aria terribilmente stanca. «Grazie per averli riportati qui, Delphi» la ringrazia, con cortesia. «Ce ne stavamo giusto andando. Riuscite a camminare fino all’uscita, ragazzi?».
«Signor Potter» lo richiama Delphini, mentre questi si avvia verso l’uscita della stanza, un po’ tirando e un po’ accompagnando i due ragazzi. «Posso farle una domanda?».
Harry annuisce, senza nemmeno voltarsi a guardarla, ma borbottando a mezza bocca un dimmi pure che suona così forzato da farla sorridere.
«Lei è sicuro di aver fatto tutto quello che era in suo potere per salvare Cedric Diggory?» domanda, melliflua. «Amos ne parla spesso, e mi domandavo quale fosse la verità. Tutto qui».
«Facciamo mai del nostro meglio, quando non sappiamo che ne varrà la vita di qualcuno?» risponde Harry Potter, calmo. «Me lo chiedo spesso e la risposta è, no, certo che no».
«E non pensa mai di poter tornare indietro per sistemare le cose?» gli domanda, sinceramente interessata. «Se, per esempio, avesse impedito a Voldemort di reincarnarsi…».
«Giocare con il tempo, Delphi?8» le domanda lui, turbato. «Non ci penso mai. E nessuno dovrebbe farlo».
Delphini sorride e annuisce, al ritmo della Giratempo che le ticchetta nella tasca dei pantaloni.
 
***
 
Diciassette ore prima, Aix-en-Provence.
 
È che a volte il cielo sembra fatto di vetro – crepe invisibili lo attraversano, e suono i tuoni, facendolo sciogliere in uno scroscio di pioggia – ma, quando infine dovrebbe crollare sulla terra in cocci taglientissimi, scopri che è solamente plastica. Delphini osserva il cielo della Provenza con interesse, come se potesse cambiare colore sotto i suoi occhi e divenire lilla o verde e argento: non sa nemmeno lei perché sia venuta in quel luogo, dove dimora l’unica persona in grado di odiare Bellatrix Lestrange quando Harry Potter o Hermione Granger.
Rodolphus Lestrange sbuffa, nel vederla avvicinarsi alla porta della sua tenuta di campagna a grandi passi, le braccia strette attorno al busto come per difendersi da un freddo che non c’è. E allora il freddo lo avrà dentro, in un eterno inverno che prende la propria essenza dall’assenza, e quell’assenza è propria di due genitori troppo occupati per la grandeur.
«Se pensi che ti inviterò ad entrare, ti sbagli di grosso» borbotta Rodolphus, aprendo la porta. «Cosa ci fai qui, di nuovo?».
Lei vorrebbe solamente mettersi a piangere come una bambina, per l’impossibilità cui il Fato l’ha messa davanti, impossibilità di salvarli prima della prima morte di suo padre. Ma, quando finalmente alza il viso nei confronti del proprio patrigno, ha gli occhi indiscutibilmente e fieramente asciutti.
«Ho bisogno del tuo aiuto» spiega, determinata. «Mi va bene che tu non voglia venire con me. Ma devi dirmi i punti precisi in cui devo andare, per cambiare il presente».
Rodolphus Lestrange sbuffa, aprendo poco di più la porta. «Non sei riuscita a cambiare niente?» le domanda, incerto. «Vieni, entra. Farò una cioccolata calda, per te, e un bel bicchiere di vino per me».
Delphini lo guarda, muovendo un passo nella sua direzione. «Potrei avere un bicchiere di vino anche io?» borbotta, il capo chino. «Penso di averne bisogno».
L’uomo ride, facendole strada nelle viscere della casa. «Non se ne parla» la rimbrotta. «Non ho intenzione di avere ventiduenni ubriache a casa mia, sia chiaro».
Delphini sorride ma, al pari del cielo, pare solamente essere l’ennesima incrinatura: a volte il viso sembra vetro ma, il più delle volte, è solamente plastica sporca di lacrime.
Rodolphus le fa strada, portandola in un’ampia cucina, e facendola accomodare di fronte a un tavolo di legno.
«Sei proprio a terra» constata, senza delicatezza. «Ti andrebbe di spiegarmi cosa è successo?».
Delphini sospira. «Sono andata indietro. Ad Azkaban, prima» comincia, piano. «Lì mia madre mi ha consigliato di andare al vostro matrimonio».
«Spero che tu non l’abbia sorpresa nel momento sbagliato» ridacchia Rodolphus, ripensando con amarezza a quella giornata. «E cosa hai fatto, quando l’hai incontrata?».
«Le ho detto chi ero» risponde Delphini, scrollando le spalle con aria stanca. «E lei mi ha detto che mio padre non mi avrebbe mai creduta, se gli avessi raccontato quel che sapevo. Così mi ha detto di cercarla prima della morte dei Potter».
Rodolphus annuisce, concentrato. «Ha senso» borbotta, concentrato. «E perché non ha funzionato?».
«Lei gliel’ha detto, lui non ha creduto nemmeno a una parola» sussurra Delphi, coprendosi il volto con le mani. «L’ha Cruciata ed è andato via, non sono nemmeno riuscita a dirgli una parola».
«Quindi è tutto come prima» constata Rodolphus, sempre più assorto. «Buffa cosa, il tempo, non trovi? Passi una vita a cercare di modificarlo e quello scorre comunque».
Le mette davanti una ciotola di cioccolata calda, accompagnata da qualche biscotto, con una smorfia scontenta.
«La Francia è bellissima» commenta, indicando i biscotti. «Ma i biscotti al burro non li sanno proprio fare».
Delphini sorride, assaggiando un sorso della bevanda e ustionandosi la lingua: per la prima volta, controvoglia e contrariamente ai desideri di lui, si sente a casa. E, per quel singolo momento, scompare tutto: scompare la Giratempo, sua madre e suo padre, perfino il pensiero di poter essere scoperta e fermata da qualcuno.
«Tu che avresti fatto, al mio posto?» gli domanda, intingendo un biscotto nella bevanda. «Dove saresti andato?».
Rodolphus si gratta la barba, con aria pensosa. «Io non sarei mai tornato indietro per lui» confessa, infine. «Ho seguito le sue idee, mi sono fidato di lui, l’ho venerato come richiedeva. Ma è caduto, Delphini, s’è macchiato: cosa mai puoi fartene di una divinità imperfetta?».
«Era mio padre e, per essere la sua erede, deve insegnarmi tante cose» sussurra, piano. «E mia madre, anche lei dovrebbe essere qui ad aiutarmi».
«Ascoltami, Delphini» la rimprovera Rodolphus, con tono fermo. «Ci sono situazioni dove non si salva nessuno. Tua madre… se non fosse fuggita, forse, tramite Cissy avrebbe potuto invocare clemenza. Se l’è persa da sola, la speranza».
Ma lei, Delphi, la speranza non riesce a perdersela per strada: le rimane appiccicata addosso come un pezzo di plastica fusa, e non riesce a staccarlo nemmeno con tutta la forza di volontà del mondo, quella che sta impiegando per cercare di salvare i suoi genitori da loro stessi.
«Potevano concederle clemenza ugualmente» ringhia. «Lei è una grande Strega ed è uno spreco privarla dell’anima. Specialmente dopo la campagna del Ministro Granger per mandare via i Dissennatori da Azkaban».
«Serve per davvero a qualcosa, fare politica?» le domanda Rodolphus, massaggiandosi le tempie. «Devi rassegnarti, Delphini. Prima lo farai e meglio sarà per tutti».
Lei affila lo sguardo, le briciole di un biscotto finiscono sul tavolo e lei le spazza via, con aria irata. «E questo è il tuo consiglio?» sibila. «Lasciar perdere? Io pensavo che tu l’amassi, almeno un po’, altrimenti non mi avresti accolta qui».
Lui sorride, le agita una mano davanti – quella con la fede. Poi, lentamente, si sfila l’anello dall’anulare e lo lascia scivolare sul tavolo, fino a raggiungere il piatto con la cioccolata calda, ormai raffreddatasi.
«Prendilo» le risponde, indicandole la fede nuziale. Una promessa ormai infranta. «Magari porterà più fortuna a te che a me: c’è una piccola ambra incastonata. Per i desideri da realizzare».
«Mia madre non l’aveva» sussurra, lei, ripensando al proprio incontro ad Azkaban con Bellatrix Lestrange. «Quando l’ho incontrata, poche ore fa. E nemmeno quando sono tornata a cercarla, ad Azkaban, prima che mio padre risorgesse».
Rodolphus la guarda, ha una malinconia insospettabile depositata come acqua fangosa sul fondo degli occhi scuri. «Perché non crede più» sussurra, semplicemente. «Perché ha creduto, forse, in un tempo che nemmeno mi è possibile ricordare. Ma, da quando ha capito di avere il potere di macchiare un Dio, non crede più in niente».
«E tu in cosa credi?» sibila Delphini, spingendo via la propria tazza. «Se non credi in lei, nel vostro matrimonio e nemmeno nella mia possibilità di salvarli entrambi, in cosa credi?».
Lui socchiude gli occhi, come se stesse semplicemente sognando quella discussione, e sorride: chissà che altri mondi ha visitato nel tempo di un sussurro.
«Credo che dovresti lasciar perdere, Delphini» la rimbrotta, pacificamente. «Trovare qualcos’altro per cui valga la pena di combattere».
«Li rivoglio indietro» insiste lei, dura. «E tu devi aiutarmi, lo devi a mia madre e lo devi anche a mio padre».
Rodolphus sospira. «Resta qui» le propone, indicandole la propria fede nuziale. «Non ti verranno mai a cercare: questo posto non compare nemmeno sulle cartine geografiche. Non sarò tuo padre, ma…».
«Pensavo non avessi un cuore» sibila Delphini, senza scomporsi. «Ti ho visto stuprare Alice Longbottom senza mutare espressione, e adesso vieni a dirmi che ti piacerebbe farmi da padre pur di impedirmi di giocare con il passato?».
«Tua madre non ti ha mai voluta: anche se la salvassi, cosa cambierebbe?» le risponde lui, atono. «Tuo padre ti ha voluta solamente perché, sul fondo del suo cuore bugiardo, lo sapeva anche lui: nessuno può vivere per sempre».
«Tu l’hai sempre odiata» ribatte Delphini, con forza. «Ed è per questo che vuoi dissuadermi dal salvarla».
Rodolphus sospira, stremato. «Ricordo la prima volta che sono riuscita a strapparle un bacio» risponde, con una dolcezza strana, malinconica. «È stato sporco, come sciogliere le bende9».
Vorrebbe proiettarla in un mondo di ricordi nel qualche Rodolphus Lestrange segretamente ha sperato e ha creduto nell’amore, prima di risultare deluso da sé stesso perfino nelle proprie fantasie.
«Le ho detto quel che dico ora anche a te» continua Rodolphus, piano. «Di stargli lontano, che amare un Dio non porta mai a niente di buono. Che è solamente distruttivo».
Delphi vorrebbe interromperlo, fermarlo, ma non le viene nemmeno una parola: la Giratempo ticchetta nella sua tasca, spaventata.
«Le ho detto che potevamo fuggire, se solamente me l’avesse chiesto» borbotta Rodolphus, piano. «In Francia o in Italia, questo sì, persino in Islanda se a lei fosse piaciuto: dove si sarebbe stancato di cercarci».
«Lo sai anche tu che l’avrebbe continuata a cercare» risponde Delphini, acida. «Non avrebbe smesso per assecondare le tue smanie da principe azzurro».
«Solo perché tu sei convinta che, in qualche modo che non riesco a comprendere, lui l’amasse» commenta lui, con tono pacifico. «L’Oscuro Signore non era capace di amare, Delphini. Se lo fosse stato, non mi avrebbe imposto di riconoscerti come figlia mia».
«Mia madre…» insiste Delphini, incerta. «Lei mi ha aiutata».
«Solo perché è sempre stata talmente folle da pensare di poterlo salvare» risponde Rodolphus, atono. «Tua madre lo amava appassionatamente, in maniera devozionale: ma, noi due, non ci ha mai voluti al suo fianco».
Lei si alza in piedi di scatto, cercando di guadagnare l’uscita da quella casa, ma Rodolphus la raggiunge, prendendola per il polso. Lasciami andare, padre.
«Rimani» le dice, con fermezza. «Non riuscirai a riportarli indietro, e sotto sotto lo sai anche tu».
Ma lei si divincola con forza. «Lasciami andare» padre, sibila nei suoi pensieri. «Ho bisogno di lei, anche se tu non lo comprendi: ho bisogno di qualcuno che mi illumini riguardo il mio futuro».
«Non so che sogni tu nutra in merito» commenta Rodolphus, piano. «Ma i tuoi genitori erano maledettamente simili, fatti della medesima sostanza. C’era qualcosa di sbagliato, in loro, ed era questo che li rendeva tali».
Ma Delphini non lo ascolta, corre fuori dalla tenuta, respirando a pieni polmoni l’aria che sa di umidità e lacrime non versate.
È che a volte il cielo sembra di plastica e invece è solamente pioggia che non riesce a scendere giù. Carica la Giratempo, in un ticchettio che sembra avere il potere di stopparle il cuore.
 
 
E un bacio sporco sa
Spogliarmi il cuore dagli incubi
Un bacio sporco sa
Come un miliardo di uomini

 
Buongiorno a tutti e grazie per avermi letta fin qui (check per il prossimo aggiornamento: venerdì 5 marzo), questa storia mi ha ossessionata per una settimana e sono stra felice di poterla finalmente postare.
Sarà composta da un totale di tre capitoli, che spero vi piacciano.
Vi lascio le note:

1Emily Brontë, Cime Tempestose
2Si tratta di un'ambientazione che vedrete spesso, è una specie di casa di riposo per maghi, menzionata in TCC
3Scusate, è una mia idea molto stupida: TCC è ambientato nel 2020, quindi ho semplicemente supposto che ci fosse il covid
4La pasticceria esiste davvero e la trovate nel posto in cui l'ho descritta
5Helga Schneider, Lasciami andare, madre
6"Lei era solo l'amante da amare senza amore. Seguì i suoi movimenti. Non ne dimenticò nessuno." - Isabella Santacroce
7Scusatemi, l'ho fatto con soddisfazione: è una cit dai film, pronunciata da Draco Malfoy
8Da TCC
9Jeffrey Eugenides, Middlesex

Spero sia tutto chiaro, ma se così non fosse chiedetemi pure e risponderò il prima possibile.
Gaia
   
 
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