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Autore: __Lily    31/03/2021    1 recensioni
«Come potresti essere un mostro? Chi te lo ha detto?»
Mi strinsi nelle spalle.

Quella volta stavo giocando con Asuka non lontana da casa e lei era andata a riprendere la palla che era rotolata lontana, degli uomini ci videro e uno di loro disse «sono le figlie di quel demone, altri due piccoli mostri.»

Non ricordo il loro volto ma le loro parole non le ho mai dimenticate.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kagome, Naraku, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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SETTE.







Quel giorno per quanto anche lui non amasse il villaggio e evitasse di farsi vedere troppo dagli abitanti mi accompagnò come aveva promesso.
Ero certa che dopo si sarebbe diretto da mio zio per avere delle risposte e sperai davvero che non dicesse nulla.
Le mattine erano abbastanza miti, presto l’estate avrebbe lasciato il passo all’autunno, agli alberi dalle foglie gialle e arancioni in cui io, Asuka e Kikyo ci gettavamo dopo aver fatto un grande mucchio.
Ci prendevamo per mano, ci guardavamo, contavamo fino a tre e poi saltavamo urlando in quel tripudio di foglie colorate.
Pensando che presto lo avremmo fatto di nuovo mi venne da sorridere.
Mio padre mi guardò, non chiese nulla ma infondo la domanda era nei suoi occhi.
«Tra poco è autunno» dissi.
«Sì non manca molto e tra non molto tu e Asuka compirete sette anni.»
«E’ vero!» risposi sorridendogli.
Ma poi man mano che entravamo nella vita attiva del villaggio il mio umore cambiò con il crescente chiacchiericcio degli abitanti, anche se non volevo iniziai ad avere un po’ di timore e afferrai la mano di mio padre.
«Va tutto bene» disse con tono rassicurante, ma ero inquieta.
«Non li sopporto.»
«Con il tempo imparerai a ignorarli vedrai.»
«Perché non riescono ad accettarci?» domandi guardandolo.
A volte gli ponevo domande difficili, domande alle quali nemmeno un demone come lui che aveva vissuto per centinaia di anni, che aveva visto nascere e cadere dinastie era in grado di rispondere.
«Hanno paura.»
«A volte anche io» ammisi e quell’ammissione non mi piacque e non solo perché mi mostrava debole ai suoi occhi ma perché era vera.
«Non devi non finché ci sarò io a proteggerti» rispose mio padre guardandomi.
Le sue parole mi scaldarono il petto, un calore si diffuse per tutto il corpo raggiungendo il mio piccolo cuore.
Stavo camminando ancora tenendo la sua mano, era più fredda della mia e anche le sue unghie erano diverse ma era mio padre e io lo amavo per questo incondizionatamente, indipendentemente da ciò che dicevano gli altri.
Stavo pensando a come sarebbe stato essere un vero demone come lui, a quanto sarei stata forte, a quanto lunga sarebbe stata la mia esistenza.
Se fossi stata come lui forse non avrei temuto gli abitanti del villaggio e se mi avessero infastidita sarebbe bastata la sola forza della mia mano per farli smettere di darmi noia e quel gesto non mi sarebbe costato fatica o rimorso.
Ero persa in quei pensieri quando senti la voce squillante di una bambina che mi chiamava, mi volta sorpresa.
A parte Kikyo e mia sorella non avevo molti amici al villaggio anche se spesso andavo a trovare le sorelle di Hiusi che come me e Asuka erano gemelle, ma quella voce non era di nessuna di loro.
Con mia grande sorpresa vidi Kasumi che mi correva dietro agitando la mano.
La sua tuta era come la mia, come tutte le altre, ma le sua spalline erano arancioni.
La guardai senza sapere bene cosa dirle, non c’eravamo mai parlate e anche lei sembrava timida eppure ora mi stava chiamando a gran voce.
«Kasumi.»
«Sono felice che sei venuta» mi disse dopo aver ripreso fiato.
Le sorrisi, non sapevo cosa rispondere a una affermazione simile, quella brava con i paroloni era Asuka non io.
«Grazie» dissi infine timidamente.
Anche lei aveva un grande sorriso come mia sorella ed ero certa che avesse anche un grande cuore.
«Credi che oggi il Sensei ci insegnerà qualcosa?»
La presenza di mio padre non sembrava intimorirla, lo guardava ma non dava segni di voler fuggire via a gambe levate.
«Kasumi!»
«Madre! Vieni.»
La madre al contrario si avvicinò timorosa osservando mio padre come se fosse un grande orco cattivo che avrebbe potuto divorare lei e la figlia in un boccone solo.
«Madre lei è Setsuna è una mia compagna» disse alla madre quando ci ebbe raggiunti.
«Salve» dissi io impacciata.
«Sarà meglio andare o il tuo maestro si arrabbierà per il ritardo» disse la madre guardandoci con occhi spaventati.
«E’ ancora presto e poi posso andare con Setsuna.»
«Kasumi-»
«Padre posso andare con lei?» chiesi io, era la prima volta che interagivo di mia iniziativa con una bambina del villaggio.
«Vai ma stai attenta.»
«Grazie!» risposi felice.
Kasumi mi prese per mano e iniziò a correre, ovviamente corsi anche io con lei.
La sua presa era salda nonostante fosse una bambina magrolina dagli occhi marroni e i capelli scuri.
Mio padre rimase indietro anche se poco dopo continuò la strada per venire a salutare il mio maestro, infondo erano anni che non vedeva quel ragazzino a cui tempo prima aveva salvato la vita.
Hisui era già li ad aspettarmi con Kirara in braccio, da quando suo zio era tornato il demone si era molto attaccato a Hisui e ora era quasi sempre con lui.
Rimase un po’ sorpreso nel vedermi arrivare con Kasumi ma poi sorrise a entrambe.
«Setsuna! Temevo che non saresti venuta.»
«Ci avevo pensato ma voglio imparare il più possibile» risposi a Hisui facendogli un breve sorriso.
«Mio zio lo diceva che saresti venuta. C’è anche tuo padre!»
Mi voltai a guardare nel punto che aveva indicato Hisui e anche Kasumi fece lo stesso, il chiacchiericcio degli altri bambini aumentò e alcuni come Mitsuo e Hisoka iniziarono a parlare male di lui guardandomi.
Sapevano che poteva sentirli ma continuarono, così strinsi forte i pugni e andai da loro mentre Hisui e Kasumi mi venivano dietro.
Afferrai per un braccio Mitsuo e lo feci voltare per bene verso di me, i miei occhi non erano dorati come quelli di mio padre ma se volevo anche io sapevo spaventare con un solo sguardo.
«Che cosa fai? Sei impazzita?!» mi urlò contro.
«Dillo ancora» lo esortai.
«Lasciami!»
«Dillo!» urlai torcendogli ancora di più il polso, poi gli diedi dei calci sulle ginocchia e lui cadde a terra.
Fino a quel momento ero riuscita a controllarmi, ogni volta che sentivo quegli stupidi abitanti parlare di noi ero stata calma, anche quando insultavano mia madre dicendo che era stata la sgualdrina del demone non avevo reagito ma ora non ce la facevo più.
Continuai a colpirlo senza fermarmi anche se Hisui ci stava provando, finché il maestro e mio padre non intervennero.
«Setsuna!»
Non mi fermai, ero piena di rabbia e volevo sfogarmi, liberarmi, tirarla tutta fuori o altrimenti sarei esplosa.
«Dillo ancora, codardo! Dillo!»
Sentii le braccia di mio padre afferrarmi e sollevarmi mentre ancora furiosa prendevo a calci l’aria e il vento mi soffiava sul volto accendendo ancora di più le mie guance rosse di rabbia e di vergogna.
Rabbia per tutti i commenti che avevo sentito negli anni ma che solo di recente avevo capito cosa davvero significassero, rabbia perché quegli stolti non riuscivano ad accettare la nostra diversità, rabbia perché nonostante mio padre difendesse il villaggio loro lo insultavano, rabbia per il modo in cui chiamavano mia madre nonostante fosse sempre buona e gentile con loro.
Vergogna per aver ceduto ai miei istinti peggiori, la verità è che quel giorno avrei potuto uccidere Mitsuo senza alcun problema, una parte di me, la parte peggiore e che non riuscivo a controllare lo voleva davvero.
«Calmati ora.»
Continuai a divincolarmi per un po’ finché alla fine mi arresi.
Fu un bene che mio padre si trovasse lì, sarebbe stato difficile da spiegare.
«E’ impazzita! L’avete vista no?» urlava Mitsuo al nostro maestro e ai nostri compagni che ci guardavano, sentii la sua mano stringermi un po’ più forte e vidi le vene del suo collo ingrandirsi.
Nascosi il volto rigato di lacrime nella coda di mio padre e rimasi così per un po’.
«Adesso basta tornate tutti al vostro posto!» disse il maestro.
Il chiacchiericcio cessò poco dopo e capii che i bambini si erano allontanati da noi.
Rimasi in braccio a mio padre non avevo il coraggio e nemmeno la voglia di vedere quei volti che pretendevano risposte e scuse.
«Setsuna, Mitsuo, una cosa simile non dovrà ripetersi mai più» disse lui con voce solenne «dovreste essere compagni d’armi indipendentemente dalla persona con cui fate squadra, non nemici l’uno dell’altra. Non voglio sapere cosa è successo o chi ha cominciato ma non voglio che si ripeta mai più. Se non riuscite a sopportare di stare nello stesso posto allora dovrete andarvene.»
«Zio! Setsuna ha sbagliato ma-»
«Hisui non devi difenderla tu, guardami» disse il maestro con una voce più gentile.
Mi asciugai il volto rigato dalle lacrime e mi voltai verso di lui.
Mitsuo era in piedi e mi guardava torvo, i suoi occhi come i miei erano carichi di rabbia.
«Pensi di riuscire a stare qui senza che si ripeta una cosa simile?»
Annuii, non volevo che la mia voce spezzata dal pianto suonasse ancora più lamentosa, di solito non lo ero.
«E tu Mitsuo?» domandò voltandosi verso il mio compagno, il suo volto era graffiato, la tuta in alcuni punti strappata e aveva un bel bernoccolo sulla fronte.
«Sì Sensei.»
«Bene, ora raggiungi gli altri» rispose, ma la gentilezza nel suo sguardo se ne era andata.
«Se vuoi portarla a casa ci vedremo domani.»
«Sta a lei decidere» rispose mio padre guardandomi.
«Resto» sussurrai.
La sua mano mi fece una carezza e poi mi posò a terra.
«Bene. Hisui andiamo, Setsuna ci raggiungerà tra poco. Signor Sesshomaru sono felice di averti rivisto, di a Rin che verrò senz’altro a trovarvi.»
Rimasi a guardare zio e nipote che si allontanavano raggiungendo gli altri bambini e incrociai lo sguardo di Kasumi che con mia grande sorpresa mi sorrise, sapevo che era un incoraggiamento, ricambiai debolmente quel sorriso.
«Setsuna-»
«Lo so, ho sbagliato padre ma… non mi sento affatto in colpa per quello che è successo. So che la mamma dice che dobbiamo essere sempre gentili anche con chi non lo è ma Mitsuo…»
Il suo sguardo gelido si posò su quel bambino e per un momento lo vidi tremare.
«Dovrei dirti che hai sbagliato ma la verità è che non lo penso, hai fatto ciò che anche io avrei voluto fare molte volte a molte persone in questo villaggio.»
La sua risposta mi stupì non poco, credevo che mi avrebbe punita.
«Non lo dirai alla mamma?»
«Dovrò farlo temo ma le dirò che abbiamo già parlato di questo. Con il tempo imparerai a non dare peso alle loro parole, ti scivoleranno addosso come se fossero acqua.»
Però nella mia testa continuava a risuonare sempre quella parola: mostro.
«Gli hai dato proprio una bella lezione, dubito che tornerà a darti fastidio.»
«Io ho usato gli artigli su Mitsuo.»
«Sì.»
Non girò troppo intorno alla risposta, non era da lui e a volta andava bene così ma altre avrei preferito che non fosse così diretto.
«Gli starò lontana il più possibile e se dirà altro proverò a ignorarlo.»
«Bene adesso vado, fai ciò che ti dice Kohaku.»
Annuii.
Il resto della lezione trascorse tranquillo, Hisui e Kasumi si comportarono come se non fosse accaduto nulla ma il Sensei ci punì comunque entrambi non facendoci mai combattere quel giorno, io in ogni caso avevo combattuto abbastanza e non me la sentivo di farmi avanti anche se mi ero calmata la mia rabbia era sempre lì e l’ultima cosa che volevo era ferire Hisui.
Fu mia madre a venire a riprendermi, vidi anche zia Kagome e ovviamente Asuka e Kikyo.
Asuka mi corse incontro e mi abbracciò e non potei fare a meno di chiedermi se anche lei avesse sentito quell’onda di rabbia che mi aveva travolta fino a straripare, e che mi aveva fatto usare gli artigli su un bambino del villaggio.
Mi abbracciò e per la prima volta non mi dispiacque, solitamente non amavo gli abbracci ma quel giorno ne avevo davvero tanto bisogno.
Quando mi separai da lei corsi da mia madre che mi prese in braccio e seppellii il volto nei suoi capelli scuri come i miei.
«Mamma!»
«E' passato» disse lei accarezzandomi, anche mia zia Kagome provò a confortarmi, ovviamente entrambe sapevano cosa i bambini stavano dicendo.
Nello sguardo di mia madre c’era molta tristezza e in parte era colpa mia, esserne consapevole era ancora più dura dell’aver sentito quelle frasi.
«E’ solo una mezzademone, come può Hisui averla scelta?» aveva detto Mitsuo.
«E’ vero» aveva confermato Hisoka.
«E’ la figlia di quel demone, mio padre dice che un tempo era spietato e che sua madre è solo una poco di buono per aver scelto di sposarlo.»

A ripensarci la rabbia risalì.
«Asuka, Kikyo andate avanti per favore» disse mia madre, loro mi guardarono e senza dire nulla corsero avanti a noi.
«Setsuna non devi dare ascolto a quei bambini» disse zia Kagome asciugandomi le lacrime «loro non capiscono ancora bene e ripetono ciò che sentono dagli adulti.»
«Loro ci odiano.»
«Non è odio è ignoranza ma di questo me ne occuperò io, sono pur sempre la sacerdotessa di questo villaggio.»
«Ma loro hanno detto cose brutte.»
«Lo so, non importa cosa dicono loro Setsuna tu devi essere superiore» aggiunse la mamma, «se offendono ignorali o sorridi. Non è la violenza la soluzione ai problemi.»
«Non volevo ferirlo ma non riuscivo a fermarmi.»
Mi guardai le mani, ripensai ai graffi sul suo volto e alla tuta strappata.
«Va tutto bene» disse mia madre prendendomi le mani tra le sue, ma in realtà non andava per niente bene perché quando arrivammo alla soglia di casa la trovammo colma di gente del villaggio armata.








 

Eccomi finalmente con il capitolo sette!
Spero che i precedenti capitoli vi siano piaciuti, ringrazio i lettori e chi commenta ogni volta e vi lascio con una piccola anticipazione!


 

Mia zia si voltò verso di lui con uno sguardo di rimprovero.
«Demone! Non ha importanza se hai protetto questo villaggio, non ti vogliamo qui! E quella bambina dovrà rispondere di ciò che ha fatto!»
Non fece in tempo a finire la frase che la frusta di mio padre lo colpì al volto facendolo sanguinare, sentii l’odore di sangue che si spandeva per l’aria fresca di quella sera con poche stelle, anche Asuka lo sentì e si nascose dietro alla mamma spaventata da ciò che stava accadendo.
«Sesshomaru fermati!»
«Ripetilo.»

  
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