Capitolo n° 14
Incomprensibile Bianco
Il
vento ulula fiero al di fuori della rocca agitando i rami secchi degli alberi
vecchi e spogli. Un sibilo risuona sinistro lungo i corridoi, diffondendo una
cantilena dolce e malinconica che si diffonde tra i cunicoli in un’unica nota. E un peso mi grava sul petto, mozzandomi il respiro,
facendomi boccheggiare. Fuggo verso la finestra e spalancandola, porgo fuori una
mano, mirando all’azzurro del cielo contaminato di nubi. Inspiro profondamente
e l’odore muschiato del giardino incolto mi giunge alle narici, calmando il mio
animo inquieto. Mi volto verso Gabriele che paziente, attende una mia qualsiasi
parola. Ma tutto ciò che vorrei dirgli mi muore in
gola.
“
Tutto quello che vuoi “ esclama infine esasperato, avvicinandosi e poggiando la
sua mano affusolata sulla mia spalla. Percepisco l’inspiegabile tremore del
palmo contro il mio corpo fattosi improvvisamente pesante.
“
Riguarda Ginevra.. “ sbiascico con aria apparentemente
scocciata, cercando di ignorare in qualche modo l’ampio sorriso sulle labbra
carnose di lui.
“
Devi assolutamente assistere Ginevra e spiegarle come creare una barriera…” concludo poi, dirigendomi verso la porta infondo al
corridoio.
“
Ma, come posso insegnarle a creare una barriera se poi,
non conosco la sua forza! “ ribatte perplesso. Leggo stupore nelle chiare iridi
contratte.
Ebbene si, la verità è che più questa storia va
avanti, e più la questione diviene pericolosa. Ho fatto una promessa a Daniel,
proteggerò sua figlia a costo della mia stessa vita eppure, temo per la sua
incolumità. In futuro non potrò garantirle la mia perenne attenzione; pertanto
desidero che impari fin da subito a proteggere se stessa.
“
Ricorda che in lei risiede anche la tua stessa natura; devi far scoprire a
Ginevra il lato buono del suo potere. Al resto penserò io.”
La
conversazione è terminata; poso la mano sulla maniglia ed apro la porta, richiudendomela
alle spalle ed avanzando nella stanza.
Michele
mi aspetta innanzi impaziente; vedo i suoi occhi soffermarsi sulle pareti
fuggevoli.
Una
goccia d’acqua cade sulla mia mano. Come può essere l’acqua tinta di verde? Mi avvicino
alla parete e poggio la mano sul muro freddo e stranamente umido. Poso lo
sguardo sui dipinti antichi che rivestono le pareti.
C’è qualche cosa si strano in questa stanza.
Mi
rendo conto con stupore che i colori delle raffigurazioni sono divenuti d’un tratto liquidi.
Osservo le differenti tinte suddividersi in flussi densi che percorrendo le
mura, le spogliano del loro splendore, continuando nella loro opera di
demolizione in tutta la stanza.
Ciò
che rimane della bellezza di quei visi angelici e sorridenti non
è che il nulla. Ammiro il muro di fronte denudarsi del proprio bagliore,
mostrando il bianco rimanente della sua superficie.
Un bianco candido, che non lascia spazio all’immaginazione. Un bianco deprimente
che non necessita nulla se non se stesso.
Perché il bianco non è altro che bianco.
Eppure, questo non è il colore splendente della neve
candida, è semplicemente bianco. Incomprensibile bianco.
Come
lo è Michele.
Cammino
nella dimensione parallela creata dall’angelo in questione.
La
tristezza assoluta si perde nell’aria
priva di ogni odore e colore; l’unica cosa
percepibile è il nulla.
Poi,
una luce chiara e tremolante si libera dai palmi aperti dell’angelo,
cristallizzandosi e prendendo consistenza.
Dopo
tanto tempo riammiro le due spade a manico corto con
cui Michele, in passato, mi ha
fronteggiato in innumerevoli battaglie. Che nostalgia!
“
Dunque, fai sul serio “ mormoro divertito dalla
serietà del suo volto.
“
L’allenamento ha inizio “ Bisbiglia tra i denti l’angelo, ignorando le mie
parole e cominciando a volteggiare quelle lame di cristallo affilate, fendendo
l’aria.
Fisso
le pareti circostanti; non c’è che dire, questo bianco riflette esattamente il
suo animo.
Perché
Michele non è perfetto, eppure dal di fuori non puoi
che percepirne l’irraggiungibile grandezza.
Proprio
come questo muro bianco che mostrandosi, ti fa vergognare del tuo torpore,
della tua imperfezione.
Senza perdere altro tempo, porto le mani sul grembo e concentrandomi,
richiamo a me tutte le forze. Come è successo col
mio avversario, una spada si materializza nelle mie mani.
La
lunga lama affilata, più pesante rispetto a quelle leggere dell’avversario, brilla nel vuoto assieme
alla luminescenza dell’impugna argentata.
La
mia fedele compagna, l’arma donatami da Lui. Il duello ha inizio.
Michele
mi studia a lungo dopodiché, parte all’attacco. I suoi movimenti sono secchi e
precisi, la tattica impeccabile.
Inutile
negarlo, la sua forza è ammirevole ed invidiabile.
Schivo
agilmente ogni suo fendente, cercando di anticiparlo nelle mosse per poi
contraccambiare.
Ma i miei movimenti a confronto, sono più legnosi e lenti
seppur mantengono una certa flessibilità ed eleganza. Osservo il sorriso
divertito increspare le labbra del mio avversario.
La
rabbia si risveglia imperterrita ed irruente.
“
Michele non ridere, vorrei vedere combattere te dopo aver dormito un sonno lungo millenni “ esordisco alla fine spazientito.
“
Non ti rammaricare Eladim, infondo, sei stato tu a
volere tutto questo “ risponde. Il tempo in questo luogo sembra non avere
dimensione e spazio. I secondi si prolungano all’infinto, componendosi in
minuti e poi ore.
Ma una nuova forza ora guida la mia spada. Non bado più al
dolore datomi dai muscoli contratti o dalle gambe irrigidite. Una sostanza
remota alimenta ogni fibra del corpo; si è questa la sensazione che provavo in passato ad ogni duello. Perché solo quando
combatto mi rendo conto di essere vivo; ascolto il
ticchettio furente del mio cuore impazzito. Nulla ha ora senso se non la mia lama e quelle
dell’angelo sfidante.
Percepisco
i movimenti divenire più fluidi e l’adrenalina aumentare nel corpo,
scatenandomi un piacevole tremore di impazienza.
Finalmente
la tensione mi ha abbandonato, lasciando spazio al più puro dei divertimenti.
Vedo l’espressione di Michele mutare, i suoi colpi ora non
sono
più così pesanti e devastanti.
Le
nostre lame gridano stridenti per poi riscontrasi e fronteggiarsi ripetutamente
in un turbine di emozione e spasmi.
Però, per
quanto l’istinto mi sproni a dare battaglia, il corpo non può sopportare oltre.
Senza manco rendermene conto, crollo a terra rovinosamente,
privo di qualsiasi forza. Quanto tempo sarà passato dall’inizio del
duello? Ho del tutto perso la condizione del tempo.
Il
sospiro soddisfatto di Michele contraddice la serietà del suo viso.
Le
spade si sgretolano in tasselli che si fondono con i nostri corpi.
Per
oggi abbiamo finito.
Un
turbine di colore schizza sul bianco delle pareti, macchiandosi delle
innumerevoli tinte. Mi diverto a seguire le traiettorie delle varie sfumature disporsi sulla superficie e
raggrumarsi fino a ricomporre il puzzle delle immagini originarie. Dunque siamo finalmente tornati.
Barcollando
non con poca fatica, mi trascino verso la porta, ritornando finalmente nel
mondo reale ed immergendomi nella luce del tramonto, ascoltando il tempo
scandito dal mio cuore agitato.