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Autore: __Lily    07/04/2021    1 recensioni
«Come potresti essere un mostro? Chi te lo ha detto?»
Mi strinsi nelle spalle.

Quella volta stavo giocando con Asuka non lontana da casa e lei era andata a riprendere la palla che era rotolata lontana, degli uomini ci videro e uno di loro disse «sono le figlie di quel demone, altri due piccoli mostri.»

Non ricordo il loro volto ma le loro parole non le ho mai dimenticate.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kagome, Naraku, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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OTTO.




Mio padre e Jaken erano fuori dall’ingresso, Jaken agitato muoveva il bastone a due teste facendogli sputacchiare un po’ di fuoco, guardai quella scena incredula e sentii le mie gambe tremare e cedere.
Tutto ciò stava accadendo per causa mia, gli abitanti infuriati erano giunti fino a lì per quello che io avevo fatto quel giorno, perché non ero stata capace di controllarmi e ora rischiavano di morire tutti.
«Kikyo rimani qui. Rin ci penso io, tu resta con le bambine» disse zia Kagome facendosi largo tra gli abitanti del villaggio.
«Setsuna!»
Asuka mi aiutò a rialzarmi, guardai mia madre e per la prima volta le vidi rabbia sul volto e non sorrisi, quei calorosi sorrisi che erano in grado di scaldare il cuore come una giornata estiva.
«Vi do ancora una volta la possibilità di andarvene» disse mio padre torvo.
Asuka e Kikyo mi stringevano la mano mentre eravamo bloccate lì a guardare quella scena.
«Non avremmo mai dovuto accettarvi in questo villaggio!» disse un uomo alzando in aria la sua accetta.
«Basta! Che cosa state facendo?»
Zia Kagome aveva raggiunto mio padre e Jaken e cercava di calmare gli abitanti come meglio poteva.
«Divina Kagome andatevene non è voi che vogliamo.»
«E chi vorreste? Datemi ascolto e tornate alle vostre case, adesso!»
Gli abitanti la guardarono e poi guardarono verso i due demoni che erano dietro di lei.
«Li difendete solo perché anche voi siete sposata con uno di loro!» sbottò un altro uomo facendosi avanti.
«Dovreste essere grati a Sesshomaru, se non fosse per lui il villaggio verrebbe attaccato molto spesso da altri demoni. Perché credete che stiano alla larga da noi? Non è un nostro nemico!»
«Volete dire che non ha mai ucciso umani?» chiese qualcun’altro.
«Ciò che ho fatto non vi riguarda» rispose mio padre «ma se tenete così poco alla vostra vita allora fatevi avanti.»
Mia zia si voltò verso di lui con uno sguardo di rimprovero.
«Demone! Non ha importanza se hai protetto questo villaggio, non ti vogliamo qui! E quella bambina dovrà rispondere di ciò che ha fatto!»
Non fece in tempo a finire la frase che la frusta di mio padre lo colpì al volto facendolo sanguinare, sentii l’odore di sangue che si spandeva per l’aria fresca di quella sera con poche stelle, anche Asuka lo sentì e si nascose dietro alla mamma spaventata da ciò che stava accadendo.
«Sesshomaru fermati!»
«Ripetilo.»
L’uomo si alzò da terra traballante per il colpo ricevuto.
«Asuka rimani qui con tua sorella e con tua cugina» disse la mamma, ci guardò e poi come aveva fatto la zia si fece largo tra la folla e raggiunse nostro padre.
«Madre!»
«Asuka ferma!» disse Kikyo prendendola per un braccio prima che anche lei scomparisse in mezzo agli abitanti infuriati, inghiottita come un relitto dal mare.
«Ora basta! Kagome ha ragione dovreste essere grati a mio marito per ciò che ha fatto per ognuno di voi e invece adesso siete qui, non solo minacciate lui ma anche mia figlia. Andatevene e dimenticheremo quello che è accaduto.»
«Tu non appartieni nemmeno a questo villaggio! Sei solo la sgualdrina di un demone!» disse l’uomo che era caduto a terra poco fa, quella volta la frusta lo colpì ancora più forte e squarciò ancora di più la sua ferita.
«Basta! Che ognuno di voi se ne torni a casa!» tuonò una voce dietro di noi e con grande gioia vidi arrivare la venerabile Kaede insieme a zio Inuyasha, al suo fianco c’erano anche zio Miroku e la zia Sango nella sua tuta da sterminatrice e con in mano Hiraikotsu.
«Venerabile Kaede!»
«Ho detto andatevene, ora!»
Gli abitanti protestarono ancora un po’ ma alla fine piano piano pur continuando a imprecare se ne andarono ma uno di loro passandomi a fianco mi colpì talmente forte che persi i sensi e rimasi incosciente per un giorno intero.




Quando iniziai a svegliarmi sentii le voci di alcune persone che non abitavano con noi, una di quelle era la voce della venerabile Kaede la sacerdotessa più anziana del villaggio.
«Cerca di ragione Sesshomaru, si tratta solo di poco tempo.»
«No» rispose risoluta la sua voce «non ce ne andremo da questo villaggio solo perché un branco di bifolchi dalla mente ristretta non ci vuole qui.»
«Kaede, Sesshomaru ha ragione non possono costringerci ad andarcene» disse mia madre sostenendo mio padre.
«Lo so mia cara ma sarebbe solo per poco tempo.»
«No Kaede non voglio andarmene, questa è casa mia!»
«Rin ha ragione, non devono andare via» disse mia zia, ma la sua voce veniva da più vicino delle altre, volevo aprire gli occhi ma faticavo a farlo.
«Quello che è accaduto la notte scorsa… sarebbe potuta andare molto peggio di così.»
«Per loro» disse mio padre.
«Non voglio altre lotte interne in questo villaggio, gli dei solo sanno quante ce ne saranno con la nascita e la caduta dei potenti. Parlerò con loro ancora, ma voi cercate di non-»
«Hanno aggredito la mia famiglia, davvero credevi che sarei rimasto a guadare sacerdotessa? Non dimenticare con chi stai parlando.»
«No non lo dimentico, so cosa sei in grado di fare e so che quei colpi erano  nulla se paragonati alle tue vere abilità. Ahh, vedo che non c’è modo di farvi ragionare.»
«Kaede sai che raramente sono dalla sua parte ma non è giusto che se ne vadano per colpa di altri. Setsuna ha perso il controllo è vero ma è anche vero che è stata provocata, questo non la giustifica ma è ancora una bambina e deve imparare a controllare la sua forza, non merita di essere punita per questo.»
In quel momento riuscii finalmente ad aprire gli occhi e il primo volto che vidi fu quello di mia zia china su di me che mi medicava la ferita che avevo ricevuto il giorno precedente.
«Zia Kagome» dissi ma ero così debole che faticavo a parlare.
«Setsuna!»
Non feci in tempo a realizzare che vidi mio padre accanto alla zia, mi aiutò a tirarmi su e mi strinse a sé, la mamma arrivò subito dopo con le lacrime agli occhi.
«Come ti senti?» mi chiese preoccupata.
«Mi fa male la testa» risposi, ed era vero, era come se il mondo fosse esploso dentro la mia testa e poi si fosse tutto capovolto più e più volte.
«Adesso ti preparo un infuso che ti farà stare meglio» disse mia zia.
La testa mi pesava e poco dopo mi accasciai contro il corpo di mio padre, trovai rassicurante la morbidezza della sua coda, il suo calore e il suo odore, era forse la cosa che più gli invidiavo oltre alla forza innata che aveva.
«Rin hai qualche erba di Jinenji?»
«Sì, ne ho alcune ma non so se andranno bene.»
«Mostramele.»
«Posso andare a prenderne altre» disse mio padre, ma avevo paura dopo quello che era successo così mi strinsi più forte a lui ricordando i contadini infuriati con loro misere armi appostati alla nostra casa nel tentativo di mandarci via.
«Mi dispiace, è stata colpa mia» dissi e poi scoppiai a piangere, non volevo, odiavo, odiavo davvero piangere e mostrarmi debole ed era già due volte che accadeva nel giro di poco tempo ma forse meritavo quella punizione per aver ferito Mitsuo, per aver usato gli artigli su di lui mentre ero in preda alla rabbia.
«No non è colpa tua» disse mio padre ricambiando la stretta.
«Non vanno bene queste erbe.»
«Vado io a prenderle, dimmi quali ti servono Kagome» disse zio Inuyasha guardandomi.
Io e lui eravamo così simili, entrambi non eravamo mai stati accettati all’interno del villaggio ma per fortuna c’erano persone che ci volevano bene lo stesso e ci supportavano.
«Digli che sono per un forte mal di testa, Jinenji saprà quali darti.»
Guardai mio zio uscire di corsa da casa nostra ma poi all’improvviso notai l’assenza di Asuka, non c’era, non era da nessuna parte.
Mi tirai su guardando ovunque ma niente.
«Dov’è Asuka? E’ ferita?» chiesi con crescente preoccupazione.
«Sta bene tesoro è con zia Sango e zio Miroku, anche Kikyo è con loro» disse la mamma sedendosi vicina a noi.
«Se non avessi aggredito Mitsuo gli abitanti non sarebbero venuti fin quì, io-»
«Sarebbero venuti lo stesso per qualche altra ragione, Setsuna quello che è accaduto con quel bambino faremo in modo che non si ripeta.»
«Non voglio stare qui, voglio tornare al tuo palazzo» dissi tra le lacrime, ormai nemmeno il corso del Sensei aveva più importanza per me, volevo solo andarmene, sparire da Musashi e non tornarci mai più.
«No vorrebbe dire dargliela vinta, così gli permetteremmo di cacciarci» rispose mio padre ma i suoi occhi dorati erano carichi di rabbia, sembravano come fulmini durante una tempesta.
«E’ meglio che continui a riposare, parlare e agitarsi non la aiuterà a stare meglio» disse zia Kagome facendomi sdraiare di nuovo, solo non volevo lasciare andare la mano di mio padre, sentirlo mentre stringeva la mia mi faceva sentire al sicuro, protetta, non servirono spiegazioni capì senza che dicessi nulla e rimase al mio fianco finché non mi addormentai di nuovo.



Asuka fece ritorno qualche giorno dopo insieme a Kikyo e non appena entrò in casa correndo come una furia, mi saltò addosso e mi abbracciò piangendo, poco dopo anche Kikyo era stretta a me e mi sentii così grata di averle nella mia vita, avrei fatto di tutto per loro.
«Sto bene» dissi a entrambe mentre continuavano a stringermi.
«Basta così, Setsuna deve prendere la sua medicina» disse zia Kagome.
Stavo bene ma il mal di testa non era passato ancora del tutto e volevo rimettermi il prima possibile perché quella sera il mio maestro sarebbe venuto a cena da noi e non volevo che mi trovasse stesa sul futon, quasi malata io che non lo ero mai stata.
Presi la medicina di mia zia senza fare storie anche se era molto amara e come ricompensa mi diede un po’ di cioccolato che proveniva dal suo tempo, avevo sentito così tante storie che riuscivo quasi ad immaginarmi lì ma non avrei mai potuto vederlo a differenza di Kikyo.
Rimasero con noi fino al tramonto poi mia zia e mia cugina se ne andarono ma promisero che sarebbero tornate il giorno successivo.
«Madre posso rimanere a dormire qui domani?» chiese Kikyo.
«Se i tuoi zii sono d’accordo sì.»
Mia cugina guardò mio padre e mia madre con occhi supplicanti e nessuno dei due fu in grado di dirle di no, così tutta felice tornò a casa sapendo che domani saremmo state insieme tutto il giorno.
Mi alzai dal futon per cambiarmi ma ricordai che la mia tuta si era rovinata e anche quello mi fece sentire male, triste e in colpa.
«Cosa succede?» domandò la mamma raggiungendomi.
«Ho rovinato la mia tuta.»
«E’ questo che ti ha fatta intristire? Non preoccuparti la aggiusteremo o ne faremo una nuova, ciò che conta è che tu e Asuka stiate bene.»
«Ci avevi lavorato così tanto.»
«E’ solo una tuta Setsuna, chiederò a Sango di aiutarmi a farne una nuova. Vuoi ancora le spalline rosa?» chiese nel tentativo di confortarmi.
Annuii poi Asuka mi prese per mano e scelse per me un kimono, alla fine mi era indifferente quel kimono non era la mia tuta da sterminatrice, quel kimono mi rendeva una bambina come le altre.
Mi ero appena sistemata e stavo per legarmi i capelli quando mio padre mi chiamò, lasciai il nastro ad Asuka e lo raggiunsi fuori.
«Padre?»
Rimasi sorpresa nel vedere Kasumi fuori dalla nostra casa che mi aspettava con un sacchettino in mano.
«Setsuna! Sono felice che stai meglio» disse posando il sacchettino a terra e poi mi abbracciò «ero preoccupata ma Hisui ha detto che eri guarita.»
«Kasumi.»
Lei mi sorrise, era una dei pochi abitanti del villaggio a non vedermi come un terribile mostro e nemmeno la presenza di mio padre sembrava spaventarla.
«Tieni è per te» disse lei prendendo il sacchettino.
Lo guardai per qualche istante timorosa, nessuno a parte la mia famiglia mi aveva mai fatto dei regali.
Alla fine lo presi con la mano che un po’ mi tremava.
Kasumi mi osservava mentre lo aprivo, i suoi occhi erano gentili e lo erano stati fin dal nostro primo incontro.
«So che non è molto ma si abbinano alla tua tuta» disse lei senza smettere di sorridermi.
Erano dei nastri rosa come le spalline che avevo chiesto di nuovo a mia madre poco fa, il colore che Asuka preferiva.
«Kasumi io… grazie.»
«Sono felice che ti piacciano. Setsuna tornerai vero?»
Rimasi a guardarla senza sapere bene cosa dire, volevo tornare?
Sì lo volevo.
Avevo paura?
Sì, temevo di perdere di nuovo il controllo e in parte temevo di incrociare lo sguardo di Mitsuo.
«Kasumi!»
«Setsuna devo andare ora, spero di rivederti presto» disse poi inaspettatamente mi abbracciò, rimasi così sorpresa che non riuscii a ricambiare quell’abbraccio anche se mi fece infinitamente piacere.
La guardai correre verso sua madre che la aspettava impaziente, tempo dopo scoprii che Kasumi era orfana, suo padre era morto in guerra e lei e la madre erano rimaste sole.
«E’ stato un bel gesto» disse mio padre guardando il punto in cui era sparita Kasumi.
«Sì, quando tornerò alle lezioni del Sensei vorrei ricambiare il suo dono.»
«Cosa vorresti regalarle?» chiese mio padre con curiosità ma forse ciò che lo sorprese non era tanto il fatto che volessi farle un dono ma che avevo detto di voler tornare a frequentare le lezioni dello zio di Hisui.
«Non lo so, non sono brava a fare regali.»
Lo sguardo mi cadde sul braccialetto che Asuka aveva fatto per me e Kikyo e pensai che forse se Kasumi avesse fatto parte del nostro gruppo sarebbe stato più bello e divertente.
«Padre puoi trovare altre perle come queste?» gli chiesi mentre rientravamo in casa e il sole tramontava alle nostre spalle tingendo di arancione l’orizzonte.







 

Spero che tutti voi che leggete questa ff stiate bene visto il periodo ancora orribile che stiamo vivendo... nel mio piccolo vi esorto a seguire le regole e vi chiedo inoltre di lasciarmi un feedback sulla storia ❤️
Vi lascio con un estratto come sempre.



 

«Setsuna, sei davvero cresciuta» disse la donna demone.
I suoi capelli erano come quelli di mio padre, i suoi occhi però non erano così calorosi ma più duri, più freddi e più cupi in parte.
Però la coda… la coda era come quella di mio padre e il suo odore era come il suo.
«Chi sei?» domandai avvicinandomi ancora un po’.
«Non temere non vi farò del male, vieni.»
Stavo per raggiungerla quando sentii la mano di mio padre sulla spalla, la sua presa era decisa e mi aveva fermata prima che potessi raggiungerla.
«Asuka vieni qui» disse lui con un tono freddo ma deciso.
Lei guardò il demone con la coda come quella di nostro padre e poi nostro padre e corse subito da noi.
Lui ci superò mettendosi d’avanti come a volerci proteggere.
«Che cosa fai qui? Non sei la benvenuta.»

 

  
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