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Autore: PrincessintheNorth    08/04/2021    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MURTAGH
 
 
Katherine – non avrei mai smesso di dirlo – era la donna dell’impossibile.
Aveva metabolizzato il fatto che il ritorno alla vita avesse cancellato ogni singola cicatrice dai nostri corpi nel giro di cinque minuti, ed ora non smetteva di brontolare su quanta fame avesse.
Ma qualcuno si era mai preoccupato di insegnarle a dare la giusta priorità alle cose?
Ignorando i suoi continui piagnistei su quanto volesse della pancetta ma non avesse alcuna voglia di alzarsi ed andarsela a prendere, tornai a fissarmi allo specchio. Non ricordavo un periodo della mia vita in cui non avessi avuto almeno una cicatrice, più che altro perché non avevo molti ricordi precedenti i tre anni d’età. Da quella sulla schiena a quelle che erano venute dopo, in tutti i miei ricordi c’era almeno una cicatrice.
Vedere il mio corpo completamente intonso era un’esperienza che non sapevo nemmeno definire. Agghiacciante, perché era difficile associare la mia faccia al resto del corpo riflesso nello specchio. Liberatoria, perché non avevo più il costante ricordo delle torture e delle battaglie scritto sulla pelle.
Di certo era una cosa strana. Ma nonostante ciò, mi riempiva di felicità e di speranza per l’avvenire. Il significato di quel messaggio, la scomparsa delle cicatrici, era chiaro; era la possibilità, per me e per Kate, di scriverci un nuovo destino.
La sparizione della cicatrice sulla schiena era la possibilità, per me, di diventare una persona diversa. Prima avevo
costruito la mia intera personalità su quella cicatrice e su ciò che per me aveva significato; ora potevo ricominciare da capo.
Potevo effettivamente prendere mio padre come esempio. Potevo davvero ascoltare i suoi consigli senza la vocina fastidiosa nella mia testa che mi spingeva a dubitare di ogni sua singola parola. Potevo fare – ed essere – tutto quello che volevo.
«MURTAGH!» Kate protestò. «Non credere che lo spogliarello mi dispiaccia, anzi, ma preferirei qualcosa di più sostanzioso a quest’ora della mattina».
Quell’insulto riuscì a farmi distogliere gli occhi dallo specchio, e mi voltai verso di lei.
«Da quando una colazione è più sostanziosa di me?» sibilai.
«Da quando ho fame e, sfortunatamente, tu non sei commestibile. Non dubito che entro stasera ti troverò molto più appetitoso di un piatto di bacon, ma nel frattempo … per favore?» pigolò facendo gli occhi da cucciolo.
Per qualche momento rimanemmo immobili, fermi nelle nostre posizioni, combattendo la più grande guerra di sguardi del secolo … o forse della settimana, considerando quante volte al giorno ci sfidavamo in quel modo. Alla fine, però, come sempre, l’ebbe vinta lei.
«E va bene!» sbuffai, aprendo le ante del mio armadio e tirando fuori degli abiti da giorno adatti ad una giornata che, sapevo già, avrei passato a giocare con i piccoli. «Comunque, sappi che di questo me ne ricorderò stasera. Ogni promessa è debito, Kate».
«Ma io non ti ho promesso niente» ridacchiò mandandomi un bacio con la mano.
 
«Sarà meglio che mi prometti qualcosa, allora, perché altrimenti ti immobilizzo e mi mangio tutto il tuo bacon proprio di fronte a te» la minacciai con un sogghigno. Quando la sua espressione compiaciuta si contorse nello sconvolgimento, non potei che ritenermi soddisfatto.
Scacco matto, principessa.
«Mossa astuta» Kate sibilò incrociando le braccia. «Anche se un colpo così sleale da te non me lo sarei mai aspettato».
«Non avevamo stabilito alcuna regola per questo duello, mi pare» le ricordai. «Dunque ogni colpo era lecito».
«Si chiama onore».
«Oh, scusa. Sai, non essendo un principe non me l’hanno mai insegnato» la provocai, per poi saggiamente ripararmi dietro la porta. Dubitavo fortemente che sarei riuscito a sfuggire alla sua ira, altrimenti.
In realtà, però, anche quelle cose, come il bisticciare con lei e portarle la colazione, mi rendevano felice. Per certi versi, mi ricordava il periodo in cui eravamo solamente Kate, Belle ed io. Niente Galbatorix, niente problemi, solamente la nostra piccola famiglia.
Ora con tre bimbi in più, pensai, sorridendo, mentre mi avviavo verso le cucine.
Parlando di bimbi … magari c’è qualcuno di sveglio. Sono tutti e tre dei mattinieri, in fondo.
Diedi una rapida sbirciata nelle loro camerette; Belle dormiva, così come Evan … ma Killian era sveglio. Seduto sul suo letto, giocava con i propri pupazzi, facendo scontrare ripetutamente un lupo ed un orso.
«Killian?» lo chiamai sottovoce, per evitare di svegliare gli altri due, anche se erano in due camere diverse. La prudenza non era mai troppa.
Lui si voltò immediatamente, ed un enorme sorriso gli illuminò il viso. Somigliava tantissimo a Kate, quando sorrideva in quel modo; aveva la sua stessa luce negli occhi.
«Papà!» gridò, senza preoccuparsi minimamente dei suoi fratelli. Si liberò dalle coperte mentre raggiungevo il suo letto-scialuppa, ed in men che non si dica ce l’avevo tra le braccia.
Per gli dei, quanto mi era mancato. Erano passate poco più di due settimane da quando l’avevo lasciato nella Du Weldenvarden, ma mi sembrava che fosse passata una vita.
In un certo senso, riflettei, è proprio così.
Ma non era il momento per i pensieri cupi, quello; ero di nuovo vivo, a casa, con il mio bambino in braccio. Non volevo pensare ad altro.
«Papà sono contento che ti sei svegliato» Killian sorrise. «Mi sei mancato taaaantissimo».
«Davvero? Così tanto?»
Lui annuì con veemenza, facendo rimbalzare i riccioli castani sulla sua testa. Io non potei far altro che stringerlo più forte.
«Anche tu mi sei mancato taaantissimo» mormorai, allungando la parola proprio come aveva fatto lui. Fra tutti e quattro i bambini, Killian era quello verso il quale sentivo di avere il maggior debito; ero stato completamente ignaro della sua esistenza per più di un anno, non avevo potuto aiutare Kate a farlo nascere e ad accudirlo e avevo fatto un’enorme fatica, quando l’avevo conosciuto, a capire le sue parole ed il suo linguaggio. Quando ero tornato, Belle parlava già in maniera abbastanza fluente, ed avendo accudito Evan dal momento della sua nascita capirlo non era stato un gran problema. Il solo pensiero di quante volte avessi chiesto a Katherine di farmi da interprete con Killian bastava ed avanzava a farmi sentire il padre peggiore e più manchevole del mondo. Non capire quello che mio figlio cercava di dirmi … c’era qualcosa di più ignobile?
Per questo volevo assicurarmi, ogni giorno, che sapesse quanto gli volevo bene.
«Papi ho un po’ fame» Killian fece, e mi ci volle un bello sforzo per non scoppiare a ridere. Com’era possibile che quella mattina tutti mi chiedessero del cibo? Katherine, Killian, persino Victoria, che prima aveva cercato di attaccarsi ad un seno che non avevo.
«Andiamo a prendere la colazione, allora» dissi, proseguendo verso le cucine con lui in braccio. «E poi andiamo a mangiarla insieme alla mamma e a Vicky».
«Anche la mamma si è svegliata?» esclamò eccitato. «È sveglia davvelo? Non fa più la nanna?»
 Mi guardava con occhi pieni di meraviglia, e anche un po’ lucidi di commozione. Poverino, non gli sembrava vero di poter riabbracciare Kate di nuovo.  
«Ehi, ti avevo promesso o no che ti avrei riportato la mamma?» gli ricordai facendogli il solletico sulla pancia.
Killian sorrise ed annuì, estatico. Istintivamente, seppi che non era più la colazione la cosa che voleva di più.
«Vieni, ti porto dalla mamma».
Dopo mesi e mesi di lontananza, sia lei che lui meritavano (e avevano bisogno) di stare un po’ insieme.
Killian sembrava voler saltare dalla felicità; era tutto un tremore d’eccitazione, era incontenibile. Quando fummo davanti alla porta della nostra camera pretese di essere messo giù, e non appena aprii la porta di appena qualche centimetro ci saettò dentro.
«MAMMA!» gridò a pieni polmoni. «MAMMA!»
«KILLIAN!»
Attesi qualche secondo prima di raggiungerli, per dargli un po’ di ben meritata intimità. Quando varcai la soglia, però, trovai un Killian estremamente confuso ed una Katherine in lacrime.
«Mamma ma pecchè sei tliste?» Killian sussurrò, cercando di asciugarle le lacrime con le manine. «Non sei felice che sei a casa?»
Il piccolo rimase fermo a fissare Kate, in attesa di una risposta che lei non riusciva fisicamente a dargli; i singhiozzi che le perforavano il petto erano troppo violenti perché potesse anche parlare.
«Certo che è felice, Killian» lo rassicurai, abbracciando sia lui che Kate. «È che la mamma ha avuto un periodo un po’ difficile … sai, a volte capita di piangere quando si è molto felici per qualcosa».
«E quindi la mamma piange pecché è felice?»
«In un certo senso …» tergiversai, perché come spiegargli il vero motivo delle lacrime di Katherine? Non potevo dirgli che era scoppiata a piangere non appena l’aveva visto perché, dopo non averlo potuto vedere per mesi, aveva davvero temuto di non poterlo stringere di nuovo, o perché c’era stato un momento in cui aveva perso ogni speranza di tornare a casa. Non potevo spiegargli che quelle, oltre che di felicità, erano lacrime di disperazione, di sconvolgimento, di sofferenza, di nostalgia, di rabbia verso chi l’aveva privata di lunghissimi mesi con la propria famiglia. Comprendevo benissimo il suo dolore, perché era lo stesso che avevo provato io quando avevo rivisto Belle dopo due anni, ma la reazione che lei stava avendo era completamente diversa da quella che avevo avuto io … ma d’altronde, io avevo avuto due settimane per prepararmi all’idea che avrei rivisto Belle e Killian, Katherine no; inoltre, non era il genere di persona che rifletteva sulle proprie emozioni. Quando arrivava al limite, esplodeva. E visto che negli ultimi mesi aveva letteralmente vissuto l’inferno in terra, dubitavo che quel pianto non si sarebbe calmato presto.
Tuttavia, non potevo neanche restarmene lì impalato senza far niente; se non avessi agito Kate sarebbe peggiorata, perdendosi nel proprio dolore, e Killian si sarebbe spaventato.
Il problema? Non avevo idea di come calmarla. Non l’avevo mai vista così sofferente prima d’allora, a parte forse quando mi aveva confessato dell’aborto spontaneo di George. Visto che sapevo già tutto riguardo alla faccenda mi ero aspettato un suo crollo, e mi ero preparato a gestirlo; ma non credevo che la semplice vista di nostro figlio avrebbe potuto scatenare una reazione simile.
Per la verità, non ci avevo neanche pensato.
Idiota, mi rimproverai, per poi cercare un modo per calmarla.
Dopo mezz’ora di tentativi, ancora non avevo ottenuto alcun successo; Katherine singhiozzava ancora e Killian cercava, con timidezza, di aiutarmi a calmarla.
Alla fine, però, la salvezza arrivò: la porta si aprì e Miranda fece il suo ingresso nelle nostre stanze. Se fosse stupita di vederci vivi e vegeti non lo diede a vedere; aveva lo stesso sguardo di Katherine quando doveva gestire un ginocchio sbucciato, completamente focalizzato sull’obiettivo.
«Murtagh, prendi Vicky e Killian, portalo a mangiare qualcosa e di’ ai domestici di portarci la colazione qui, per piacere» fece, sedendosi accanto a Katie e raccogliendola fra le proprie braccia come si fa con un cucciolo ferito. «Qua ci penso io. Killian, non preoccuparti, la tua mamma non ha niente … pensa a qualche gioco da fare oggi pomeriggio mentre tu e papà fate colazione».
«Appetta» Killian sussurrò quando feci per condurlo verso la porta. Si arrampicò sul letto e si chinò verso Kate, dandole un bacino sulla guancia. «Adesso ci pensa la nonna a te mamma. Ti voglio bene».
Quello riuscì a farla smettere di piangere, anche se solamente per poco. Strinse Killian fra le braccia e ricambiò il suo gesto d’affetto lasciandogli un bacio sui capelli, per poi lasciarlo libero di andare. Si riaccovacciò fra le braccia di Miranda l’attimo dopo; evidentemente, era un aiuto materno quello di cui aveva bisogno.
«Andiamo, Killian» dissi dunque. «Andiamo a fare colazione nella torre di Castigo. È ora che la tua sorellina …»
«Impali a volale?» lui sorrise estatico.
Questo bambino subisce troppo l’influenza di Morzan.
«No, è troppo piccola per quello» gli spiegai. «È semplicemente giunto il momento per lei di conoscerlo».
Non sembrò molto contento della mia risposta. «Ooh …» mormorò. «Io pelò volevo davvelo che impalava a volale».
Quella era la prova che era proprio figlio mio. Anche io non vedevo l’ora di portarla a volare ... ma conoscevo Kate. Se l’avessi fatto avrebbe scatenato su di me tutta la perfidia di cui era capace, ed era parecchia.
«Un giorno» sorrisi, e proseguimmo verso le cucine.  
 
 
 
 
MIRANDA
 
Povera piccola, sospirai, stringendo Katie fra le braccia. Tutta la felicità che avevo provato nel momento stesso in cui avevo sentito la sua voce si era spenta nel momento in cui avevo visto in che condizioni versava. Mandare via Killian e Murtagh mi era sembrata la scelta più opportuna; il primo era rimasto terrorizzato dal pianto di Kate, ed il secondo atterrito.
«Che succede, amore?» le chiesi accarezzandole la schiena. Mi spezzò il cuore vedere come ogni suo tentativo di rispondermi venisse interrotto da un ennesimo accesso di singhiozzi. Aveva il volto chiazzato di rosso e segnato dalle lacrime, e continuava a soffiarsi il naso. Era palese che aveva sofferto oltre ogni limite, e quella consapevolezza mi portava a desiderare che Morzan e Derek avessero tenuto in vita Galbatorix; gli uomini potevano fregiarsi di essere crudeli, sì, ma non perfidi quanto una donna, e soprattutto una madre che voleva vendicare la propria figlia. Una semplice decapitazione come quella che Morzan aveva riservato all’aguzzino suo e dei nostri figli non poteva neanche definirsi una punizione.
Derek scelse proprio quel momento per fare il proprio ingresso nella stanza. Dietro di lui c’era Alec; entrambi avevano un sorriso sciocco e felice in volto, l’uno uguale all’altro.
Ovviamente, si accorsero prima del fatto che Katherine fosse sveglia che delle sue condizioni.
«KATIE!» entrambi gridarono, facendo per correre verso il letto. Li frenai con un gesto della mano, e fu a quel punto che notarono le sue lacrime.
«Ehm … che succede?» Alec domandò, avvicinandosi lentamente a noi.
«Non è un buon momento» feci sbrigativamente, e quei due ebbero persino la faccia tosta di alzare gli occhi al cielo. Cosa volevano che dicessi? Non sapevo nemmeno io per quale preciso motivo Kate fosse in preda a quella disperazione.
«Questo lo vedo» Derek commentò e si sedette di fianco a me e Kate, prendendole la mano. Alec, dal canto suo, disse qualcosa riguardo alla colazione e se ne andò.
Ti ha detto niente?, Derek mi chiese, preoccupato.
Io scossi la testa. L’ho trovata che stringeva Killian e piangeva disperata, spiegai. Penso che l’averlo rivisto l’abbia scossa parecchio, dopo tutto ciò che ha passato.
È possibile.
«Kate?» la chiamò dolcemente, accarezzandole i capelli e spingendole appena la testa verso l’alto per poter incrociare il suo sguardo. «Ehi, amore …»
«S-sa parlare b-bene …» Katie singhiozzò. Erano le prime parole che pronunciava da quando l’avevo rivista. «K-Killian …»
Derek la fissò sconvolto; io, invece, capii benissimo il significato delle sue parole.
Quando Galbatorix l’aveva rapita, Killian aveva ancora un po’ di difficoltà a parlare; in pochi, a parte i membri stretti della famiglia, riuscivamo a comprenderlo. Durante quei mesi, però, il piccolo aveva fatto passi da gigante, e nelle ultime due settimane aveva acquisito una parlantina spettacolare. Per Katherine, non poteva che essere un terribile memento di tutto ciò che si era persa e di ciò che aveva subito nel frattempo. Quando lo spiegai a suo padre, il suo sguardo, da smarrito, passò a furibondo, anche se poi addolcì immediatamente quell’espressione.
«Kate» la chiamai e lei alzò uno sguardo tremante e macchiato di rosso su di me. Il suo viso esprimeva una silenziosa richiesta di aiuto, di salvataggio. Perché una preghiera simile arrivasse da lei, più testarda ed orgogliosa di suo padre, doveva essere davvero allo stremo delle forze. «Kate, tesoro, adesso respira».
Anche perché, pensai, ci manca solo che svenga.
Derek ed io la aiutammo a rimettersi seduta, e lentamente lei prese qualche respiro. I primi furono difficili, e segnati da qualche colpo di tosse, ma dopo un po’ furono più profondi e sicuri.
È un bene che abbia pianto, Derek osservò. Murtagh ed Alec hanno detto che Galbatorix l’aveva distrutta ad un punto tale che lei aveva persino paura di parlargli.
Mandai giù un fiotto di saliva e ripresi Kate fra le braccia. Il torrente di lacrime si era calmato, ma era chiaro che aveva ancora bisogno di un bell’abbraccio, così come ne avevo bisogno io. Derek mi aveva detto a quale genere di torture Galbatorix aveva fatto ricorso per far sì che Katherine avesse paura di rivolgersi persino a Murtagh ed a suo fratello; il solo pensiero mi faceva star male, faceva rinascere in me il senso di terrore e di panico che avevo provato quando Derek mi aveva detto di non essere riuscito ad impedire a Galbatorix di rapirla. Avevo bisogno di sapere che la mia Kate era al sicuro, ed in quel momento, l’unico posto sicuro per lei in tutta Alagaesia era fra le braccia di sua madre.


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Uellà! Scusate per l'immenso ritardo, ma ... sono entrata a medicina! Un po' in ritardo, ma la graduatoria ha i suoi tempi. Ad ogni modo, questi ultimi giorni sono stati veramente pieni, perchè l'immatricolazione ed il cercare di recuperare il più possibile delle videolezioni hanno assorbito praticamente tutte le mie giornate, e per questo non sono riuscita ad aggiornare prima. Inoltre mi sto cimentando con Dreame, quindi tra lo studio e l'elaborare una nuova storia da zero sono stata un po' presa. 
Che dire ... spero di riuscire ad aggiornare presto, ahahah, e che ovviamente stiate tutti bene!
Alla prossima!
   
 
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