Bella
Farsi cullare dalle braccia di
Edward era stato
stupendo, ma mi stupii il fatto che riuscissi a formulare pensieri
piuttosto
coerenti. E mi stupii di essermi stupita. Mi stavo svegliando.
A quel punto capii cosa fosse a
tirarmi su verso la
coscienza del letto caldo. Avevo un fastidio imprecisato
all’addome che man
mano, con la consapevolezza di essere sveglia, si faceva sempre
più forte. Si
irradiava dalla pancia alle gambe, dandomi la sensazione di uno strano
e
fastidioso formicolio.
Forse semplicemente mi era tornato
il ciclo. Decisi di
alzarmi e andai in bagno. Restai un po’ lì, seduta
sul bordo fresco della
vasca; sapevo che non sarei mai riuscita a riaddormentarmi subito. Ma
il dolore
aumentò, e allora capii che non aveva nulla a che fare con
il mio ciclo -
ancora inesistente.
Avrei dovuto chiamare Edward. Mi
aveva lasciato il mio
cellulare sul comodino e mi aveva assicurato che avrebbe tenuto il suo
sempre
acceso. E io avevo promesso di dirgli tutto, se lo fosse venuto a
sapere da
Alice poi sarebbe stato peggio. Gli nascondevo già
abbastanza cose, come la
nausea e i capogiri.
Tuttavia, quando finii di
sciacquarmi il viso il
dolore era scomparso. Sospirai sollevata. Non sarei comunque riuscita a
dormire
in quelle condizioni, così, come mi era stato suggerito da
Rosalie, afferrai
dal mobiletto sul lavandino il flacone di sonniferi, ne misi uno sulla
mano e
lo mandai giù, insieme all’acqua che avevo messo
nel bicchiere che solitamente
usavo per sciacquarmi i denti.
Mi ero un po’ pentita di
aver lasciato andare Edward,
ma sapevo che se non l’avessi fatto il giorno dopo non mi
sarei mai potuta
trasferire con lui a casa nostra.
Presi il tappo del flacone che
avevo poggiato sul
bordo del lavandino, ma quando feci per avvitarlo - un po’
perché ero ancora
mezza addormentata, un po’ per la mia goffaggine che non si
faceva sentire da
tempo - si rovesciò da un lato. Tutte le compresse caddero
sulla ceramica
bianca umida del lavandino, bagnandosi ed iniziando a sciogliersi.
Sbuffai frustrata. Solo a me
potevano capitare cose
del genere. Quanto avrei voluto sentire nel mio orecchio le parole di
Edward…
che però non arrivarono. Perché ero stata
così stupida da chiedergli di
lasciarmi sola. Dannazione!
Ormai il danno era fatto. Aprii il
getto dell’acqua
facendo sciogliere completamente le compresse, poi presi il flacone
vuoto, per
buttarlo nel cestino della stanza di Edward. Sentivo la testa pesante e
leggera
insieme. Possibile che i sonniferi stessero già facendo
effetto?
Andai in camera di Edward, verso il
cestino, ma la
testa cominciò a girarmi più veloce, e il dolore
alla pancia comparve ancora.
Ansavo e mi sentivo piuttosto stordita. Non era un malessere
passeggero, avevo
delle fitte distinte a un punto dell’addome. Non feci in
tempo ad arrancare
verso il cellulare, che la vista mi si appannò completamente
e caddi svenuta
sulla moquette.
Edward
Avevo lasciato tutti indietro, ero
sfrecciato via non
appena le immagini nella mente di Alice si erano diradate, pieno di
angoscia e
rabbia. Appena arrivai di fronte a casa, raggiunsi la finestra
direttamente con
un balzo, per entrare in camera mia.
Bella era esattamente come nella
visione di Alice:
pallida e priva di sensi. Mi fiondai immediatamente al suo fianco.
Nonostante
fosse proprio come nella sua visione, però, vederla dal vivo
era molto più
doloroso.
«Amore mio, amore mio, mi
senti?» sussurrai afflitto
ad un suo orecchio.
Con gesti veloci le sfiorai una
guancia: era ancora
calda. Anche il polso mi pareva regolare. Ma non si muoveva, non
reagiva in
alcun modo.
Dovevo aspettare Carlisle, ma se
non fosse arrivato in
tempo…! Ringhiai frustrato, scuotendo la testa. No, non
poteva essere.
Controllai la boccetta di
sonniferi. Sì, era quella,
ed era vuota.
La portai al naso inspirandone
l’odore e lo confortai
con quello del sangue del mio angioletto.
Era lo stesso.
Rabbiosamente scaraventai lontano
quell’oggetto
inutile, rimproverandomi per la mia stoltezza, e presi la mia unica
ragione di
vita fra le braccia, scuotendola leggermente.
«Bella, Bella! Amore, ti
prego, rispondimi» gemetti
sofferente.
La sollevai fra le braccia,
tirandomi su.
La testa e le membra ricaddero
all’indietro senza
vita, dando una pugnalata al mio cuore già morto.
Perché?!
Perché l’aveva fatto?! E perché ero
stato
così stupido da lasciarmi convincere?!
Singhiozzai, baciando le labbra
inanimate di
quell’umana così fragile da avere il potere di
togliermi la vita.
La sua vita era come acqua in quel
momento. Acqua, che
mi scivolava dalle mani.
Bella
Sentii freddo. In faccia. Freddo e
dolore su una
guancia. Voci, agitate. E acqua. Di nuovo voci. Ancora acqua. In bocca
e sugli
occhi. Un altro schiaffetto, la mia bocca si aprì e
l’acqua entrò dentro
impedendomi di respirare.
Aprii gli occhi, sporgendo
automaticamente la testa e
il busto in avanti e tossendo fuori l’acqua che era entrata
nei polmoni. Ero
sconvolta, non capivo cosa stesse accadendo. Tentai di orientarmi. Ero
fra
della braccia fredde e sotto la doccia che emetteva un getto
altrettanto
gelato. Smisi di tossire. C’era Edward. E anche Carlisle.
Vedevo a frammenti i
loro volti agitati e preoccupati.
«Si è
svegliata!». Era la voce di Edward. Mi teneva
lui in braccio e la sua camicia si era bagnata per lo stesso getto
d’acqua che
investiva il mio volto.
Mi ritrovai fuori dal box doccia.
Che cosa stava
accadendo? Perché erano tutti così agitati? La
mia mente era annebbiata e
pesante. Edward… dov’era lui?
Gemetti, distinguendo il suo odore
e avvicinandomi con
il naso al suo collo. «Edward» biascicai, in
maniera quasi incomprensibile.
Le sue braccia si mossero
scuotendomi. «Bella?! Amore,
su, apri gli occhi!».
Un altro schiaffetto in viso.
Infastidita e dolorante
aprii gli occhi, scontrandomi con quelli angosciati di Edward. Acquisii
maggiore razionalità, ma la testa ancora mi girava
impedendomi di comprendere
cosa stesse accadendo. «Edward» farfugliai ancora.
«Non ti preoccupare
amore, ci sono io adesso» disse
stringendomi disperato fra le sue braccia.
Distinsi Carlisle che con
un’espressione concentrata
in viso passò a Edward un bicchiere.
Perché stava succedendo
tutto quello? Ricordavo solo…
la testa… che mi girava… il dolore alla
pancia… il buio. Ma cosa…?
Edward lo afferrò e me
lo portò alle labbra. «Bevi
amore, su, dai» mi esortò agitato.
Ero disorientata, non capivo, ma
feci come mi diceva.
Dopo un sorso però mi
piegai disgustata a vomitare nel
water. Acqua e sale. Molto sale. Non capivo più
nulla… Perché Edward mi aveva
dato quella cosa?
Mi esortò a bere ancora.
Lo guardai confusa e sconvolta.
Perché faceva così?
Non aveva visto quello che mi aveva fatto?
La sua espressione divenne ancora
più supplichevole e
angosciata.
«Devi dargliene
ancora» disse Carlisle, posandomi una
mano ghiacciata sulla fronte.
«Ti prego Bella, bevi,
starai meglio dopo, davvero»
disse addolorato. «Te lo prometto, adesso bevi».
Non potevo non fidarmi di lui.
Bevvi ancora, e
inevitabilmente vomitai ancora. Due, tre volte.
«Basta» mi
lamentai esausta cadendo con la testa sulla
sua spalla.
«Portala di
là, prova a farla stare in piedi» era
ancora la voce di Carlisle.
Ero molto più lucida
ora, e la lucidità mi portava la
confusione per gli avvenimenti che si stavano susseguendo. Non capivo i
loro
comportamenti, non capivo la loro agitazione, non capivo
perché mi avessero
fatto vomitare…
Edward mi prese per i fianchi e mi
tirò su. In un
primo momento incespicai sui miei piedi malfermi, ma poi mi feci
trascinare
nella sua stanza.
Carlisle era a un lato del letto, e
trafficava con una
bacinella vuota. «Esme, soluzione fisiologica a 38
gradi» distinsi sulle sue
labbra.
Alice era appollaiata su una sedia.
Le lanciai
un’occhiata confusa.
«Edward»
mormorai con più decisione.
Lui mi stava trascinando da un lato
all’altro della
stanza, tenendomi un braccio intorno ai fianchi.
«Falla
camminare» disse Alice, dondolandosi sulla
sedia con gli occhi vacui. «Non farla
addormentare». Non la smetteva di
oscillare avanti e indietro, probabilmente tentando di concentrarsi.
«Lo so Alice» ribattè lui
secco e rabbioso.
«Edward» lo
chiamai ancora.
Lui si voltò si scatto
verso di me. «Non ti
preoccupare amore, ci sono io adesso, cammina, non
addormentarti» disse ansioso
spingendomi verso l’altro lato della stanza.
«Che…»
fissai il pavimento, disorientata. Deglutii
«che succede?» dissi mettendo nuovamente i miei
occhi nei suoi.
Nelle sue iridi dorate
passò un attimo un lampo scuro,
poi si riprese. «Non è nulla, cammina…
vieni» disse tirandomi ancora.
Ansimai. Cosa stava accadendo?
«Edward… ti prego
dimmi… dimmi cosa succede…».
Lui non parlava e continuava a
camminare, portandomi
con sé.
Carlisle, che per un attimo era
scomparso, comparve
con una bacinella colma d’acqua «Edward
devi…».
«Devi controllare che non
sia ipotermica. Asciugale i
capelli sta tremando» concluse Alice con lo stesso tono del
padre.
«Alice!»
esclamò Edward agitato e arrabbiato, «devi
vedere più lontano!».
In quell’istante capii
cosa stesse facendo, stava
cercando di leggere il mio futuro. Alice sobbalzò, scomparve
in due istanti e
ricomparve accanto a noi con un asciugamano. Alla stessa
velocità si mise
ancora nella stessa posizione di prima, ricominciando a dondolarsi con
gli
occhi vacui.
Edward prese
l’asciugamano e me lo strofinò sui
capelli.
Io non capivo nulla, mi facevo
tenere in piedi da lui
e facevo quello che mi diceva, ma non capivo, non capivo! Sentii ancora
il
formicolio fastidioso alla pancia.
Edward mi mise una mano ghiacciata
sulla fronte. «35 e
5 circa…» disse a Carlisle.
Lui comparve dinanzi a me,
scrutandomi, aumentando il
mio senso di disorientamento ed angoscia.
Tutto avveniva così
velocemente, e io mi sentivo
sempre più disorientata. Non capivo cosa stesse accadendo,
erano tutti così
nervosi, agitati. Mi portai una mano alla testa. Appena provavo a
concentrarmi
su una cosa ne facevano un’altra, troppo velocemente. Gemetti
frustrata.
Carlisle mi passava le mani sulla
fronte, sui polsi,
mi guardava… non capivo più nulla. Mi faceva male
la pancia e non volevo stare
ancora in piedi.
«Edward» mi
lamentai, «fammi sedere».
Lui non mi ascoltò e
continuò a trascinarmi per la
stanza, parlando velocemente con Carlisle rispondendo a delle sue
domande mute.
Alice oscillava, Edward camminava, Carlisle ci seguiva, mi girava la
testa, mi
faceva male la pancia, non capivo più nulla, parlavano
veloci, camminavano
veloci, si muovevano veloci.
«Basta!»
esclamai decisa, nonostante il mio tremore,
piantandomi con i piedi a terra. Ignorai ogni malessere.
Tutti si bloccarono. Anche Alice,
che concentrò le sue
iridi dorate su di me.
«Cosa sta
succedendo?!» chiesi perentoria, portandomi
una mano al petto per bloccare il respiro angosciato.
«Devi
dirglielo» disse asciutta Alice, rivolta a
Edward.
In un istante mi prese fra le
braccia, stringendomi a
sé con possessione. «Non sai niente di quello che
devo fare» replicò furente,
ringhiando.
«Edward, devi
dirglielo» disse anche Carlisle, serio.
Spalancò gli occhi,
finalmente dorati. Scosse il capo.
«No, no» si lamentò a denti stretti. Poi
si voltò a fissarlo «che differenza
fa?! Tanto ora non è lucida, sarà peggio quando
lo ricorderà!».
Lucida?! Ricordare?!
«Edward!» esclamai, defilandomi
dalla sua presa e reggendomi sulle gambe malferme. «Dimmi che
sta succedendo!»
dissi affitta.
Lui mi fissò afflitto e
disperato. «Hai preso i
sonniferi» sussurrò «Tutti».
Mi bloccai, sbarrando gli occhi. I
sonniferi… tutti.
Tutti? Tutti i sonniferi? Avevo preso tutti i sonniferi?!
«Emmett,
Jasper» disse Alice, ricominciando ad
oscillare. Notai con la coda dell’occhio la figura di
Carlisle scomparire.
Edward mi strinse a sé.
Tutti i sonniferi… No.
Non era andata così, no! I
sonniferi… erano… il flacone… il
lavandino. I sonniferi erano caduti nel
lavandino!
«Portala sul
letto» disse Carlisle comparendo
nuovamente nella stanza.
«No!» urlai.
Edward mi sollevò di
peso. Scalciai inutilmente. «No,
Edward, no, ti stai sbagliando!» urlai ancora.
Lui mi poggiò sul
materasso, tenendomi ferma. «Ti
sembra abbastanza lucida?» chiese agitato a Carlisle,
indicando un oggetto nero
che teneva in mano.
«Si, ma se non collabora
potremmo fare ben poco» disse
lui alzandosi e prendendo qualcosa dalla sua borsa.
«Edward, aspetta, non
è come credi tu! Non è successo
quello che dici tu!» esclamai ancora, supplichevole, tentando
di evadere dalla
sua resa ferrea.
Lui mi accarezzò
frenetico i capelli ancora umidi. «Shh
amore, non ti preoccupare, ora ci sono io qui».
Carlisle si avvicinò con
una siringa.
«No!» urlai
dimenandomi e scoppiando in lacrime. «No
Edward, no!».
Lui mi tenne ferma, mentre Carlisle
mi sollevava la
manica del pigiama.
«No! Fermi!»
piansi, disperata. «Edward!».
Mi bloccò il braccio,
con un’espressione afflitta e
addolorata.
Singhiozzai amaramente. Poi mi
ricordai di una cosa,
un’ultima cosa, un’ultima speranza. «Sì,
mi fido. Non mettere mai in dubbio la fiducia che ripongo in te, amore»
piansi, ricordandogli le sue stesse parole. «È
questo che mi hai detto Edward,
non te lo ricordi più?! Non ti fidi più di
me?!» dissi fra i singhiozzi.
Sentii Edward irrigidirsi e
comprendere finalmente che
ero molto più lucida di quanto non pensasse.
«Carlisle!» esclamò in un fiato,
bloccandolo con un gesto della mano.
Singhiozzai ancora, facendo
scendere abbondanti
lacrime dai miei occhi e tentando di concentrarmi nonostante il dolore
alla
pancia. «Non li ho presi» singhiozzai
«non li ho presi tutti… solo uno…
io… mi
sono caduti… sono solo caduti…».
Edward mi sollevò dalle
braccia, mettendomi seduta sul
materasso e guardandomi negli occhi. «Dove?».
«In bagno… nel
lavandino» mormorai gemendo.
«Dice la
verità» disse Alice sorpresa, scomparendo e
ricomparendo nella stanza.
Edward sospirò, come
svuotato del terrore che fino a
quel momento l’aveva preso. Il terrore che sua moglie non
volesse più vivere.
Poi mi abbracciò, prima lentamente, poi con forza,
accarezzandomi con gesti
agitati e baciandomi la fronte. Sentivo dai suoi fremiti che avrebbe
tanto
voluto piangere. Mi cullò fra le sue braccia, cullando me e
sé stesso insieme.
«Scusami» sussurrò pianissimo al mio
orecchio.
Lo strinsi forte a me.
«Non volevo farti preoccupare»
mormorai poi «Io… ti stavo per
chiamare… davvero».
«Che cosa è
successo?» mi chiese prendendomi il volto
in una mano e fissandomi negli occhi.
Poggiai la testa sulla sua spalla,
esausta,
stringendomi le braccia sulla pancia dolorante. «Mi sono
svegliata» dissi
riportando alla memoria quello che era accaduto «ho preso un
sonnifero e… mi
faceva male la pancia… molto male… mi girava la
testa e poi tutto è diventato
buio».
Carlisle mi accarezzò
una guancia, e potevo vedere dai
cuoi occhi che, nonostante tutto, era molto più sereno e
controllato di prima.
«Ti fa ancora male?» mi chiese osservando le
braccia strette all’addome.
Annuii. «Sì,
un po’».
Alice si avvicinò a noi
abbracciandomi goffamente,
perché Edward mi teneva ancora stretta a sé, per
nulla intenzionato a lasciarmi
andare. «Mi dispiace così tanto, davvero. Ero
convinta che tutto sarebbe andato
bene» disse afflitta.
Sentii una fitta più
forte alla pancia e serrai gli
occhi, gemendo fra i denti.
Subito Alice si staccò
da me, mentre Edward mi baciò
la fronte, tentando di confortarmi. «Dobbiamo portarla in
ospedale» disse poi
rivolgendosi a Carlisle.
M’irrigidii, spaventata. «No»
fremetti «vi prego» pigolai tremando.
«Bella. Ha ragione
Edward, c’è qualcosa che non va, lo
vedi anche tu» tentò di convincermi Carlisle.
«No…
no… vi prego… non sono pronta, non ce la faccio,
non
ci voglio anda-»
le parole mi morirono in gola. Ero
sopraffatta da un’altra fitta.
Carlisle sospirò.
«Calmati» disse accarezzandomi i
capelli. «Cosa vedi?» chiese ad Alice.
«Non lo so»
disse lei, persa nelle sue visioni. «La
vedo vampira… ma… Non riesco a vedere
più vicino. Ci sono decisioni da prendere.
Mi dispiace» aggiunse afflitta «non voglio che
decidiate sulla base delle mie
visioni. Non ancora».
«Alice…»
pigolai. Le volevo dire che non era colpa
sua, che non poteva prevedere sempre tutto. Ma mi sentivo molto debole
e
dolorante.
Carlisle mi guardò con
razionalità e serietà. «Posso
intento visitarti ed escludere qualcosa di più grave, va
bene?» disse
tendendomi una mano.
Non appena l’ennesima
fitta passò, annuii, prendendo
la sua mano e stendendomi sul letto.
«Mi sapresti dire di
preciso dove senti dolore?» mi
chiese Carlisle.
Scossi il capo, stringendo con
maggior forza la mano
di Edward. «No… è… non lo
so… non capisco… solo quando sento più
dolore…».
«Senti come delle
fitte?».
«Sì,
ma… solo a volte. Sento sempre un fastidio, come
un formicolio alla pancia» sussurrai.
Lui annuì, poi prese a
tastarmi l’addome. Io mi voltai
verso Edward, perdendomi nel suo sguardo color oro, preoccupato ma allo
stesso
tempo rassicurante.
«Senti più
dolore se faccio così?» mi chiese Carlisle
tastandomi su un lato.
Scossi il capo in segno di diniego.
Lui ricominciò a
tastarmi, poi lo vidi scambiarsi
un’occhiata con Edward, che negò velocemente con
la testa. «Alice, puoi andare
a chiamare Rosalie?».
Quando Carlisle terminò
il suo esame tornai fra le
braccia di Edward. «Ti fa ancora male?».
«Sì, ma meno
di prima» mormorai contro la camicia
bagnata di Edward. Respirai a pieni polmoni il suo odore, che riusciva
a
calmarmi come il migliore degli psicofarmaci. Lui mi strinse a
sé, cullandomi
piano.
«Bella» disse
Rosalie entrando in camera «sta meglio?»
chiese poi a Carlisle.
Lui si sollevò dal bordo
del letto, su cui era seduto,
e le andò incontro uscendo dalla stanza insieme a lei.
Sentivo ancora quella strana
tensione alla pancia e
alle gambe, ma non era nulla di insopportabile. «Mi dispiace
molto» sussurrai
arrossendo, rivolta a Edward «che tu ti sia preoccupato
così tanto».
Lui mi accarezzò una
guancia. «Dispiace a me di aver
tratto una conclusione così affrettata» fece
addolorato, distogliendo lo
sguardo «Ti ho visto nella visione di Alice, così
pallida, svenuta a terra, e
poi la boccetta di sonniferi vuota» scosse la testa,
scacciando i brutti pensieri.
Gli posai una mano sulla guancia,
seria, desiderosa
come non mai di rassicurarlo. «Mi dispiace di averti dato
modo di pensare, con
il mio comportamento, che avrei potuto fare qualcosa di così
estremo. Lo so,
sai» abbassai il capo con un sorriso stanco «che
devi controllare ogni tuo
gesto, ogni tua parola per paura di ferirmi. Volevo solo che tutto
questo
finisse. Non avercela con Alice».
Distolse lo sguardo, come se il
ricordo della sua
visione fosse ancora troppo doloroso. Sospirò.
«Adesso occupiamoci di te; hai
ancora dolore?».
Scossi il capo. «No, lo
giuro. È solo un piccolo
formicolio». Corsi con i pensieri a Carlisle e Rosalie.
«Carlisle sa cos’ho?».
Edward scosse il capo. «Purtroppo
no. Sospetta qualcosa e sta chiedendo conferma a Rosalie. È
un medico vampiro
con 300 anni di esperienza, ma non alcun super potere. Per una diagnosi
ci
vorrebbe almeno un’ecografia».
Arrossii.
«Pensa» mormorai, mordicchiandomi il labbro
«pensa che io abbia una sorta
d’infezione?».
Edward mi sorrise con gentilezza,
accarezzandomi le
guance rosse. «Qualcosa del genere».
Carlisle rientrò in
camera insieme a Rosalie e si
sedette nuovamente sul bordo del letto con un’espressione
concentrata, per poi
sorridermi confortante. «Mi puoi dire con precisione i
sintomi che hai avuto
negli ultimi giorni?».
Annuii, stanca, e con
l’ausilio di Edward e Rosalie mi
misi a raccontare, senza particolari reticenze. «La
nausea… quasi sempre. La
testa mi gira ogni tanto invece… quando mi alzo velocemente
o mi giro di
scatto… mi credo sia normale. E poi… non
so… non mi viene in mente nient’altro,
a parte il dolore alla pancia…».
Rosalie dovette notare le mie
palpebre che tendevano
sempre più ad abbassarsi. «Sono le quattro di
notte, devi avere sonno».
Sbadigliai.
«Sì, ma non credo che riuscirò a
dormire»
confessai, agitata. «Però» aggiunsi,
torcendomi le mani in grembo «se possibile
non vorrei prendere altri sonniferi. Non stasera, per favore».
Edward lanciò
un’occhiata a Carlisle. «Potrebbe essere
un effetto collaterale? Dei calmanti?».
Lui sollevò le
sopracciglia, perplesso. «Ti è mai
capitato qualcosa di simile?» chiese rivolgendosi a me.
Ripensai alla mia vasta esperienza
con i farmaci, ma
non ricordai altri episodi del genere. Prendevo dei sonniferi a volte -
molto
raramente - ma non mi avevano portato alcun effetto nocivo. Anche
se…
«Quando ero
bambina… avevo più o meno… otto
anni… mia
madre dovette portarmi in ospedale a causa degli effetti collaterali di
alcuni
farmaci, ma non ricordo quali fossero» mormorai concitata.
«È davvero
poco probabile» disse Carlisle con un’espressione
pensierosa «comunque, ricordi per caso il componente di quei
farmaci che ti causò
questa crisi?».
Sospira afflitta. Mia madre me
l’aveva detto ma… forse
avrei dovuto chiamarla… «No, forse»
biascicai, mordicchiandomi il labbro «non
lo so, forse cominciava con la B».
Mi
portai una mano alla testa, frustrata, tentando in qualche modo di
ricordare.
Edward nel frattempo prese la
coperta che gli aveva
passato Rose e me l’avvolse intorno. Poi si tolse la camicia
bagnata e si mise
una maglietta asciutta, rimettendomi sul suo petto.
«Non mi
ricordo» sbottai infine abbattuta. Subito
sentii un’altra fitta all’addome e dovetti serrare
i denti per soffocare un
gemito.
Carlisle mi accarezzò un
braccio.
Sospirai, era già
passato, con la stessa velocità con
cui era comparso.
«Bella» mi
disse lui con un sorriso «cerca di stare
tranquilla. Sai cosa possiamo fare? Adesso ti do il foglio
illustrativo, leggi
i nomi dei componenti e vedi se ti viene in mente qualcosa»
concluse con una
carezza rassicurante sulla guancia. Sapevo che la prossima mossa
sarebbe stata
insistere per andare in ospedale. Vedevo già le occhiate che
si scambiava con
mio marito.
Annuii, nervosa.
«Vado a
prenderlo» disse lui scomparendo dalla mia
vista.
Edward, notando il mio tremore, mi
fece stendere sul
letto, avvolta nella coperta, invitando a rilassarmi. Mi accoccolai in
posizione
fetale, chiudendo gli occhi. Lui mi strofinò con dolcezza
una mano dietro la
schiena, rassicurandomi.
«Ti prego, non voglio
andare» iniziai a supplicarlo.
Mi portò un dito sulle
labbra. «Lo so. Vogliamo solo
che tu stia bene».
Presi un respiro tremante. Sapevo
che non ci sarebbe
stato niente di utile su quel foglietto. Sapevo che avevano bisogno di
quella
dannata ecografia per capire cosa stesse accadendo. Ma lo volevo
davvero
sapere? «Verrai con me? Lo affronteremo insieme?»
domandai, tentando di farmi
forza nonostante la mia voce tremante.
Mi carezzò i capelli,
baciandomi la fronte. «Come
tutto, mia piccola, fragile e forte umana».
Passò poco tempo che
Carlisle tornò con un foglietto
fra le mani. «Non metterti fretta» disse
porgendomelo.
Io lo afferrai con una mano
tremante e mi stropicciai
gli occhi, stanchi e secchi. Cosa mai avrei potuto trovare che mi
salvasse?
Edward accese la luce
dell’abat-jour e io cominciai a
scorrere con gli occhi, arrendevole, sulle scritte piccole e leggere.
“Casa Farmaceutica, Principio attivo, Modo
e Dosi
d’uso…”.
Improvvisamente mi bloccai, gli
occhi sgranati e la
bocca aperta. Il cuore arrestò il suo cammino
così come la mia respirazione. Il
sangue defluì completamente dalle guance, lasciandomi
fredda, pallida e
shockata.
Non era possibile.
Non era possibile.
Eppure, c’era una sola
spiegazione. Eppure, tutto
quadrava.
Quella, era la soluzione.
“Non
usare in
caso di gravidanza o allattamento”.
…caso di gravidanza o
allattamento…
…gravidanza o
allattamento…
…gravidanza…