“Certo
che vi siete proprio messi in un bel casino, eh?” Ryo
scrollò le spalle senza
nemmeno prendersi la briga di rispondere al suo interlocutore. Badge di
visitatore al collo, da dietro il falso specchio ascoltava
minuziosamente cosa
Chris avesse da dire alla bella poliziotta, tale Agente Kay Daniels,
che aveva
appena fatto il suo ingresso in sala interrogatori. “Hai
fatto bene a chiamarmi.
La burocrazie federale può essere una brutta bestia da
affrontare da soli, non
la raccomanderei al mio peggior nemico.”
Ryo
prestava poca o nulla attenzione a cosa il suo
“amico” gli stesse dicendo: anche
lui era curioso di sapere cosa il futuro cognato, Chris Barton, ex
fotoreporter
di guerra, avesse
da dire.
Mentre
guardava le istantanee della scena del crimine, Ryo non smetteva di
porgere
l’orecchio alla conversazione che avveniva dentro la sala
interrogatori, senza
prestare attenzione invece a Patrick Jane, consulente
dell’FBI, nonché alleato
in un caso che, circa un anno e mezzo prima, li aveva visti affrontare,
a
Tokyo, un pazzo maniaco che si nascondeva dietro una presunta setta.
Quel caso
aveva, nel bene e nel male, stravolto le loro vite: Jane era riuscito
finalmente a placare i demoni che da anni attanagliavano il suo animo,
dopo la
scomparsa violenta della sua prima moglie e della loro figlia, e Ryo,
dopo aver
quasi perso Kaori, aveva finalmente accettato di vivere
quell’amore tormentato
invece che continuare a rifuggirlo, nascondendosi dietro a mille scuse.
“Ammettilo:
volevi solo fare il mio nome per entrare qui dentro.” Jane lo
prese in giro.
Appena Chris aveva potuto, aveva chiamato casa, informando Sayuri dell’accaduto,
sapendo che lei avrebbe
chiesto l’intervento di Ryo, che con Kaori li aveva raggiunti
per festeggiare
insieme le imminenti nozze e l’arrivo previsto, da
lì a qualche mese, del loro
primogenito.
E
Ryo,
appena saputo che era all’FBI che Chris era tenuto in
custodia, aveva fatto una
chiamata al suo consulente di
fiducia
dell’FBI, Patrick Jane. Ryo si era immaginato che Jane
avrebbe chiamato qualche
amico, fatto il loro nome, presentato il caso a qualcuno dei piani
alti, ma
invece, il mentalista, che si trovava a Chicago in visita alla famiglia
della
moglie Teresa, si era bellamente presentato alla loro porta poche ore
dopo, con
un sorriso bianco accecante a trentadue denti, ed aveva finito per
accompagnare
Ryo nell’imponente palazzo di cristallo.
“Se
avessi
voluto entrare qui avrei potuto farlo anche da solo, Jane,
fidati.” Ryo lo
canzonò, sollevando leggermente la foto della vittima e
guardandola meglio:
aveva qualcosa di stranamente famigliare, anche se non riusciva a
capire cosa,
esattamente. Un viso che aveva visto quando viveva in America? Magari,
semplicemente, assomigliava a qualcuno che aveva incontrato
chissà dove, chissà
quando- dopotutto, si diceva che tutti avessero almeno sei o sette
persone nel
globo che assomigliavano loro…
“Sì,
ma non
lo avresti fatto in modo legale,” Jane
ribatté, abbassando la voce. Braccia incrociate, si
avvicinò allo specchio e
studiò attentamente Christopher, per capire se
nell’interrogatorio avrebbe
mentito: per ora, tutto della sua fisicità sembrava indicare
che fosse sincero,
ma Jane sapeva che all’ufficio di New York poco o nulla
importava della sua
opinione. “Lo
hanno già interrogato o
questa è la prima volta?”
“Primo
interrogatorio,” Ryo fece schioccare la lingua contro il
palato, braccia
conserte, appoggiandosi mollemente contro il muro a gustarsi la scena.
“Lo
hanno tenuto sulla graticola. Sai come sono certi poliziotti vecchio
stampo,
gli piace far cuocere lentamente i loro polli. Sperano in una
confessione
facile per sfinimento, e il capo di questa Daniels sembra
così. Peccato che
così hanno fatto il nostro gioco.”
“Già,
siamo
riusciti a prenderci un posto in prima fila per
l’interrogatorio del tuo
cognatino.” Jane
sospirò mettendosi
accanto a Ryo, che sbuffò, quasi quella parola
l’avesse seccato leggermente. A
differenza dell’amico – gli sembrava ancora strano
definire così Saeba, eppure,
in un modo molto peculiare, era ciò che erano diventati dopo
il loro incontro a
Tokyo - lui stava prendendo la cosa molto seriamente. Anche lui, quasi
vent’anni prima, era stato dove si trovava Christopher in
quel momento: in una
sala interrogatori, ammanettato ad un tavolo, dopo aver mangiato un
panino,
senza acqua da ore, sotto alle luci accecanti della sala interrogatori:
tutte
metodologie di una guerra psicologica studiata per far confessare i
possibili
colpevoli, ma che tante, troppe volte, avevano portato allo sfinimento
anche di
innocenti, che per poter respirare di nuovo un po’ di aria,
avere il sollievo
di una goccia d’acqua nelle gole arse dalla sete, erano pronti anche a
confessare di aver
assassinato la madre.
“Signori,”
Deakins, il capo di Daniels, una donna forse più vicina ai
sessanta che ai
cinquanta, magra e dal cipiglio militare, fece il suo ingresso nella
stanza;
mani dietro la schiena, si mise con la schiena al falso specchio,
guardando i
due uomini. “Spero non vi dispiaccia se vi faccio compagnia
mentre assistete ad
un interrogatorio nella mia unità.”
Li
guardò
negli occhi, sorridendo un po’ malevola, quasi a sottolineare
che quel luogo
era suo e di nessun altro, e che loro non erano i benvenuti: forse, non
fosse
stato per la buona parola messa da qualcuno che era ben più
in alto di lei – e
del cui nome il suo diretto superiore non aveva ritenuto di doverla
informare –
lei non avrebbe mai permesso che quei due
“soggetti” dalla dubbia moralità, ma
che a quanto sembrava avevano fornito un contributo di non poco conto a
un “caso molto importante”
occupassero quel
luogo su cui, fino ad allora, lei aveva regnato sovrana.
“Mister
Barton, conosceva la vittima?” Daniels
domandò, calma ne tranquilla; tutto della sua
fisicità era studiato per infondere pace ed un senso di
sicurezza nel suo
interlocutore, e Jane si chiese quanto vi fosse di vero e quanto fosse
studiato
ad arte.
“No,
non ho la più pallida di chi fosse quella donna.”
Chris abbassò il capo, tentando di grattarsi la nuca, e
scosse la testa, le labbra serrate in una perfetta linea orizzontale. “Io… non ricordo nulla della
notte scorsa.”
Mentre
Christopher faceva quell’ammissione, il capo era basso, i
pugni stretti:
sembrava che si vergognasse, o che, peggio, si sentisse
colpevole, o credesse di esserlo. A sentire quelle parole,
ma soprattutto quel tono, Deakins sorrise compiaciuta, certa di avere
ormai il
caso in mano: aperto e chiuso, era un nuovo personalissimo record per
lei e la
sua unità, che le sarebbe valso i complimenti del Vice
Direttore dell’FBI.
“Posso
garantire per lui fino alle due circa,” Ryo ammise,
giocherellando con una
sigaretta spenta, continuando a guardare l’interrogatorio con
fare falsamente
disinteressato, il tono sempre un po’ sbruffone e
canzonatorio. “Siamo stati ad
Atlantic City a giocare al Tropiacana fino a mezzanotte circa, potrete
vederci
alle telecamere di sorveglianza che sono certo un posto come quelle
abbia in
quantità- sempre che non vagliano nascondere qualcosa. Col
gioco d’azzardo non
si sa mai…”
“Quindi
lei
e Mister Barton siete amici signor… Saeba, giusto?
Giapponese?” Deakins gli
domandò, con vivo interesse, mentre Ryo prese a stringere
tra i denti il filtro
della sigaretta spenta. “Devo farle i complimenti, non sono
molti i giapponesi
con un inglese eccellente come il suo.”
“L’ho
incontrato per la prima volta l’altro ieri mattina, in
realtà, ma le nostre
fidanzate sono sorelle. Siamo arrivati qui dal Giappone per il loro
matrimonio.” Ryo non si sbottonò sulle sue
origini, né la ringraziò per il
complimento per la lingua. Tuttavia, ammise a controvoglia, non era
esattamente
entusiasta di dover mettere in mezzo Kaori in quella spinosa faccenda;
tuttavia, temeva che prima o poi sarebbe potuto accadere, anche
perché,
tecnicamente, stava fornendo un alibi al futuro cognato, o comunque
ristringendo la finestra del tempo in cui quell’orrendo
crimine poteva essere
stato commesso, quindi quasi certamente anche Sayuri presto o tardi
sarebbe
stata interrogata. “Siamo arrivati a New York verso le due di
notte, poi io
sono tornato in albergo, e lui è andato a farsi un giro con
degli amici perché
volevano fare le ore piccole.”
Deakins
apparve pensierosa: certamente stava pensando a chi affidar il compito
di fare
tutti i dovuti controlli- i ticket dell’autostrada e dei
sottopassi, le
telecamera di sorveglianza…
Iniziò
a
farsi i dovuti calcoli: Barton era stato trovato accanto al cadavere
alle sei e
quarantacinque minuti circa: avrebbe avuto il tempo di uccidere la
donna, o
qualcuno lo aveva messo lì? Solo il medico legale, indicando
una più precisa
ora del decesso, avrebbe potuto toglierle questo dubbio.
Per
ora,
però, prove e circostanze sembravano indicare lui come
colpevole. La donna
soppesò ciò di cui era stata informata; poi, con
cipiglio militaresco, sospirò,
e tornò ad interessarsi all’interrogatorio, senza
prestare attenzione a Saeba,
cercando, anzi, quasi di eliminarlo, quasi la sua presenza non fosse
null’altro
che rumore bianco.
“Christopher,
non sei obbligato a rispondere a nessuna
domanda, e ricorda, puoi appellarti al quinto emendamento.”* L’avvocato,
un ometto sui quaranta, con gli occhialini, gli
rammentò, posandogli una mano sull’avanbraccio.
Christopher era arrivato fino a
oltre quarant’anni senza aver mai avuto un
“suo” avvocato di fiducia: se si
metteva nei guai per lavoro, erano i giornali, le reti televisive, le
agenzie
di stampa che lo pagavano a fornirgli la difesa necessaria, e anche
quando
aveva divorziato da Amanda, la sua prima moglie, la cosa era stata
consensuale
perciò si erano limitati a lasciar fare
all’avvocato di lei, gestendo la
pratica da entrambe le parti…
Niente
figli, niente animali, erano in affitto, era stato tutto facile ed
indolore,
come togliere un cerotto, ognuno si era ripreso quello che aveva prima
delle
nozze e quel poco che avevano preso durante il matrimonio lo avevano
diviso
equamente a secondo anche del valore effettivo. Amanda era stata fin
troppo
comprensiva, lui avrebbe lasciato tutto a lei molto volentieri.
L’ultimo anno
del loro matrimonio era stato difficile, lei aveva sofferto molto, e
Chris
aveva solo voluto una cosa, lasciarla libera di ricominciare da capo,
lontano
da quel fardello che lui era divenuto dopo quell’incidente in
guerra.
Astringendo
di denti, Chris, lo sguardo vuoto, fissò la donna davanti a
lui che lo
interrogava. Aveva sempre saputo, in un piccolo angolo della sua mente,
che
quel giorno sarebbe tornato a
fare
capolino nella sua esistenza, che la felicità non sarebbe
durata a lungo… e che
presto o tardi avrebbe dovuto pagare caro il prezzo per aver osato
sperare di
essere finalmente fuggito dall’Inferno della sua mente.
“Non
capisco una cosa, perché è l’FBI ad
indagare su un omicidio? Credevo che questo
genere di cose fosse di competenza della polizia…”
Kaori domandò a Jane, immaginando
che, essendo lui un locale ed un federale, potesse avere più
facilmente
risposta a quella domanda. Inoltre, non voleva apparire sciocca, ma
dopotutto,
tutta la sua conoscenza dei metodi di investigazione degli americani
derivava
dalla visione di film e serie tv, lettura di gialli e qualche
chiacchierata con
il buon amico Mick.
“In
realtà
è una mera questione di cavilli,” Jane fece
spallucce, guardando le foto della
scena del crimine, un occhio sempre attento che nessuno arrivasse ad
interromperli. “L’omicidio è avvenuto su
di un terreno di proprietà del governo
federale quindi anche l’investigazione è di
competenza del governo federale. “Le
solite quisquilie, in una parola.”
Kaori sospirò,
sempre più incerta sul da farsi.
Lei e Ryo avevano raggiunto Sayuri nel piccolo appartamento che
divideva con
Christopher, in attesa di trovare qualcosa di più grande una
volta che la data
del parto si fosse avvicinata, e adesso la donna era seduta su quello
che fino
a poche ore prima era stato il loro letto,
abbracciando con occhi tristi il grembo colmo di vita. Oramai, chiunque
poteva
vedere che la giornalista era in stato interessante: i lineamenti erano
stati
addolciti dalla gravidanza, ed il ventre, giorno dopo giorno, diveniva
sempre
più pronunciato.
Un
maschio:
il primogenito di Christopher sarebbe stato un maschio. Solo il giorno
prima, a
pranzo, stavano scherzando con Kaori e Ryo di come fossero alla
disperata
ricerca di un nome che potesse essere adatto tanto ad un giapponese che
ad un
americano, ed adesso… adesso, Chris rischiava di passare il
resto dei suoi
giorni chiuso in una cella, senza neppure mai conoscere veramente il
suo stesso
sangue.
“Davvero
non ricorda nulla?” La donna chiese, guardando
alternativamente Ryo e Jane.
“Zero.
L’avvocato dice che è molto confuso,
non riesce nemmeno a ricordare bene gli ultimi giorni. Figurati che non
ricordava nemmeno che fossimo già arrivati, era convinto di
essere uscito solo
con i suoi amici come faceva di solito.”
Ryo
spense
la sigaretta nel posacenere che aveva posato sul davanzale, e
guardò le strade
brulicare di vita: era un quartiere tranquillo, però, adatto
a crescere dei
bambini, non certo come quello in cui lui e Kaori vivevano a Tokyo.
Chris e
Sayuri meditavano di trasferirsi, cercare magari a Manhattan, vicino al
loro
ufficio, ma non capiva il perché: ragazzini che correvano,
che giocavano a
pallone, fiori alle finestre, niente strade affollate di traffico
soffocante, niente
spacciatori… perché rinunciare ad un paradiso del
genere?
“Credi
che
gli tornerà in mente cosa è successo?”
la sua compagna, di lavoro e vita, gli
domandò, sedendosi sul davanzale accanto a lui. Kaori vide i
bambini correre
dietro al pallone e sorrise, sognante, e Ryo si domandò a
cosa stesse pensando;
poi, lei avvertì lo sguardo del compagno su di
sé, e arrossì, cercando invece
di scrutare, con la coda dell’occhio, la sorella.
Approfittando
di quella momentanea distrazione, Ryo sorrise, immaginando che fosse
alla
maternità che la ragazza stesse pensando, che stesse
sognando dei figli loro.
Da quando, oltre diciotto mesi prima, avevano fatto il grande passo,
non
avevano mai toccato l’argomento, forse perché per
lei era già tanto che lui avesse
accettato di vivere quel loro amore a lungo contrastato dallo stesso
sweeper,
ma entrambi sapevano che prima o poi uno dei due avrebbe rotto il
ghiaccio al
riguardo, soprattutto adesso che Sayuri era in attesa.
E
comunque,
Ryo lo sapeva: Kaori era nata per essere madre.
E
lui stava
iniziando a credere che forse, anche con quel lavoro, avere dei figli,
qualcuno
da amare, fosse possibile, e se le cose si fossero fatte troppo
complicate,
sparire, fingere la propria morte, ricominciare da capo altrove, con un
nuovo
nome, un passato fabbricato ad arte non era poi così
complicato, come Ray
Hefner stesso aveva insegnato loro.
E
poi,
stava diventando quasi un chiodo fisso: quasi se la vedeva, una piccola
guerriera dai capelli rossi e gli occhi neri. Un bambino loro, un mix
perfetto
dei loro geni, qualcuno da amare come era stata amata lei, su cui
riversare
l’amore che lui non aveva ricevuto.
“Beh,
allora?” Kaori lo chiamò, risvegliandolo da quello
stato catatonico in cui era
caduto mentre fantasticava
sul loro
futuro. Ryo si imbarazzò un po’, come tutte le
volte che capitava che Kaori lo
prendesse in contropiede, si grattò nervosamente il collo,
cercando di
ricordare di cosa stessero parlando….. Ah,
giusto. Chris non ricordava nulla e Kaori si chiedeva se
avrebbe mai
rammentato i fatti dei giorni precedenti.
Schiarendosi
la voce, tornò all’argomento principale.
“Beh,
è difficile
a dirsi. Se è stato drogato potrebbero aver usato qualcosa
che gli ha bruciato
del tutto i ricordi, altrimenti, piano, piano, gli ultimi giorni
porrebbero
tornargli in mente.” Ryo sospirò, pensieroso,
chiedendosi se Jane sarebbe stato
in grado di fargli avere i campioni di Chris, o anche solo i risultati
delle
analisi, per sapere dal Professore cosa ne pensasse. Purtroppo Ryo
sapeva bene
– anche da esperienza diretta- che certe droghe erano capaci
di cancellare del
tutto la nozione di cosa fosse accaduto, trasportare l’io in
uno stato tale che
chi le assumeva avrebbe potuto fare qualsiasi cosa…. Anche
uccidere. E molte di
quelle sostanze non erano nemmeno schedate, viste le
quantità astronomiche di
porcherie con cui i chimici se ne uscivano fuori ogni anno: senza
sapere
esattamente cosa cercare, a meno che non si trattasse di qualcosa di
standard,
difficilmente su un esame
basico
sarebbero uscite fuori. “Se è
stato
drogato.” L’uomo ammise a malavoglia, mani
incrociate dietro al capo.
“Cioè?”
Kaori gli domandò. Che Chris fosse colpevole non le era
nemmeno passato per
l’anticamera del cervello: Sayuri diceva che era innocente,
credeva con tutta
sé stessa che lo fosse, quindi doveva
essere
così. Poche persone erano giudici di carattere buoni come
sua sorella, che non
era certo il tipo di donna da farsi inginocchiare dal primo venuto.
“Quegli
agenti dell’FBI sono parecchio in gamba, anche se mi duole
ammetterlo. Hanno
decisamente fatto i compiti per bene.” Ryo ammise a
malincuore.
“Deakins
ha
fatto aspettare per interrogare Chris per farlo innervosire, ma anche
perché
voleva notizie ed informazioni. Che ha ottenuto.”
Guardò la compagna con
sguardo intento, deciso, serio. Kaori quasi rabbrividì: quel
Ryo era lontano
anni luce da quello che lei vedeva di solito, non era il maniaco
assatanato o
il cretino, ma lo sweeper micidiale senza paura e senza
pietà – l’angelo della
morte di cui tutti le parlavano, e che lei aveva sempre pregato di non
incontrare sul suo cammino. “Chris era al seguito delle
truppe statunitensi in Afghanistan.
Un giorno la loro unità subì
un’imboscata, due kamikaze si fecero saltare,
insieme a delle autobombe, mentre il loro convoglio passava attraverso
un
villaggetto fatto di baracche. Non sopravvisse nessuno, da ambo le
parti, solo
Chris, che trovarono tre giorni dopo, che vagava in mezzo ai cadaveri.
Al
ritorno iniziò a soffrire di Stress Post Traumatico e una
notte, pensando di
essere in una zona di guerra, ha quasi ucciso la moglie durante un
flashback…”
“Ah!”
Kaori
sussultò, facendo un passo indietro, una mano al cuore. Di
nuovo guardò in
direzione della sorella, chiedendosi se sapesse e non le avesse detto
nulla per
pudore, o forse vergona, o se Chris avesse tenuto la verità
sulla fine del suo
matrimonio celata anche alla sua nuova compagna.
“Quindi… credi che possa
davvero essere stato lui?”
“Chi
lo
sa,” Ryo le rispose un po’ distaccato, e freddo,
scrollando le spalle.
“Potrebbe anche essere. Non sarebbe il primo che tornato
dalla guerra fa una cazzata
del genere senza nemmeno rendersene conto. Deakins sembra pensarlo, e
non
vorrei che si impuntasse e non facesse altre indagini. Certo, se fosse
andata
effettivamente così, sarebbe comunque una bella attenuante,
il cognatino si
farebbe qualche anno di manicomio giudiziario e poi, se non gli
friggono il
cervello con l’elettroshock, potrebbe essere libero come un
uccellino in men
che non si dica.”
La
mente di
Ryo andò a Deakins, a ciò che la donna aveva
detto, ma soprattutto il modo: negli
anni aveva visto tante, troppe volte poliziotti troppo zelanti che
volevano
chiudere un caso in fretta per fare bella figura o perché
davvero desiderosi di
togliere dalle strade dei delinquenti, granitici nelle loro
opinioni… anche
Kaori, da quando era divenuta City Hunter, ne aveva viste a bizzeffe di
cose
simili, per non parlare di tutti gli sfoghi sentiti in
gioventù dal padre prima
e dal fratello poi.
Il
fantasma
che però lei non conosceva direttamente era quello che
invece a Ryo era fin
troppo familiare: quello della guerra. Cambiavano gli anni, cambiava il
continente, cambiavano le motivazioni, ma alla fine il risultato era
sempre lo
stesso.
Quanti
ex
compagni aveva visto, dopo gli anni della guerriglia, quando il
Professore lo
aveva preso con sé, cadere vittima di quel destino crudele?
Ricordava di un suo
ex compagno, che una notte si era svegliato nel letto di una prostituta
e
l’aveva massacrata a calci e pugni, perché pensava
di essere stato attaccato,
che lei fosse un nemico e lo
volesse
uccidere. Che quello fosse stato lo stesso destino di Chris? Dopotutto,
la
guerra era uno sporco affare, non guardava in faccia nessuno, non le
importava
il colore della tua pelle, il tuo ceto sociale o il perché
combattessi: non
lasciava scampo, ti piegava, chiunque tu fossi, e da dovunque tu
provenissi.
Ryo
guardò
i bambini correre in strada: loro non sapevano ancora come il mondo
potesse
essere crudele e sporco, e se fossero stati fortunati non lo avrebbero
mai
scoperto, a differenza di lui e Kaori, che nella vita avevano sofferto
fin
troppo, fin dalla più tenera età, vittime
entrambi delle scelte di genitori
degeneri.
Guardò
l’orologio: a quell’ora, il partner di Daniels
sarebbe dovuto essere ancora in
giro a fare domande, capire la linea temporale degli eventi, mentre
Jane gli
aveva detto che sarebbe andato a rompere le scatole al medico legale.
Lo
sweeper si alzò, decidendo di raggiungerlo: forse avrebbe
avuto nuove
informazioni che avrebbero fatto loro comodo.
Non
tanto
su Chris… ma su quella misteriosa donna che l’uomo
era accusato di aver
assassinato. Ryo era certo di non conoscerla personalmente - lei era
troppo
giovane, e lui mancava da troppo tempo dagli Stati Uniti - eppure
c’era
qualcosa in lei di vagamente famigliare, che gli ricordava qualcuno,
solo, non
sapeva esattamente chi… e la cosa gli rodeva.
Perché
Ryo ne
aveva la certezza assoluta: quella sensazione avrebbe potuto portare
alla
risoluzione del caso.
*Il
quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti
garantisce che ogni individuo non possa essere obbligato a fornire informazioni
pregiudizievoli e/o
incriminanti per sé stesso dal Governo, permettendogli di
rimanere in silenzio
(una delle formule presente nel cosiddetto
“Miranda” -
he il diritto di rimanere in silenzio, ha il
diritto ad un avvocato…).