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Autore: Little Firestar84    08/06/2021    5 recensioni
Mesi dopo il loro incontro a Tokyo, culminato con la caduta della setta di Visualize, Patrick Jane ritorna con prepotenza nella vita di Ryo e Kaori. Il suo compito è quello di chiudere un caso troppo difficile, e troppo personale, perchè Ryo possa farlo da solo... perchè anche stavolta è negli affetti più cari che lo sweeper si vede colpito.
Genere: Romantico, Thriller, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: City Hunter
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Ed eccoci qui, con la stporia che entra nel vivo e l'introduzione di facce vecchie e nuove... e sopratutto dei nostri! Vedo con piacere che il il mio trucchetto ha funzionato, e che diversi di voi hanno pensato che fosse Ryo quello che era stato arrestato e che fosse Saeko la bella poliziotta che gli punta l'arma addosso! Vi rtingrazio per il feeback e vi auguro buona lettura!

“Certo che vi siete proprio messi in un bel casino, eh?” Ryo scrollò le spalle senza nemmeno prendersi la briga di rispondere al suo interlocutore. Badge di visitatore al collo, da dietro il falso specchio ascoltava minuziosamente cosa Chris avesse da dire alla bella poliziotta, tale Agente Kay Daniels, che aveva appena fatto il suo ingresso in sala interrogatori. “Hai fatto bene a chiamarmi. La burocrazie federale può essere una brutta bestia da affrontare da soli, non la raccomanderei al mio peggior nemico.”

Ryo prestava poca o nulla attenzione a cosa il suo “amico” gli stesse dicendo: anche lui era curioso di sapere cosa il futuro cognato, Chris Barton, ex fotoreporter di guerra,  avesse da dire.

Mentre guardava le istantanee della scena del crimine, Ryo non smetteva di porgere l’orecchio alla conversazione che avveniva dentro la sala interrogatori, senza prestare attenzione invece a Patrick Jane, consulente dell’FBI, nonché alleato in un caso che, circa un anno e mezzo prima, li aveva visti affrontare, a Tokyo, un pazzo maniaco che si nascondeva dietro una presunta setta. Quel caso aveva, nel bene e nel male, stravolto le loro vite: Jane era riuscito finalmente a placare i demoni che da anni attanagliavano il suo animo, dopo la scomparsa violenta della sua prima moglie e della loro figlia, e Ryo, dopo aver quasi perso Kaori, aveva finalmente accettato di vivere quell’amore tormentato invece che continuare a rifuggirlo, nascondendosi dietro a mille scuse.

“Ammettilo: volevi solo fare il mio nome per entrare qui dentro.” Jane lo prese in giro. Appena Chris aveva potuto, aveva chiamato casa, informando Sayuri  dell’accaduto, sapendo che lei avrebbe chiesto l’intervento di Ryo, che con Kaori li aveva raggiunti per festeggiare insieme le imminenti nozze e l’arrivo previsto, da lì a qualche mese, del loro primogenito.

E Ryo, appena saputo che era all’FBI che Chris era tenuto in custodia, aveva fatto una chiamata al suo consulente di fiducia dell’FBI, Patrick Jane. Ryo si era immaginato che Jane avrebbe chiamato qualche amico, fatto il loro nome, presentato il caso a qualcuno dei piani alti, ma invece, il mentalista, che si trovava a Chicago in visita alla famiglia della moglie Teresa, si era bellamente presentato alla loro porta poche ore dopo, con un sorriso bianco accecante a trentadue denti, ed aveva finito per accompagnare Ryo nell’imponente palazzo di cristallo.

“Se avessi voluto entrare qui avrei potuto farlo anche da solo, Jane, fidati.” Ryo lo canzonò, sollevando leggermente la foto della vittima e guardandola meglio: aveva qualcosa di stranamente famigliare, anche se non riusciva a capire cosa, esattamente. Un viso che aveva visto quando viveva in America? Magari, semplicemente, assomigliava a qualcuno che aveva incontrato chissà dove, chissà quando- dopotutto, si diceva che tutti avessero almeno sei o sette persone nel globo che assomigliavano loro…

“Sì, ma non lo avresti fatto in modo legale,” Jane ribatté, abbassando la voce. Braccia incrociate, si avvicinò allo specchio e studiò attentamente Christopher, per capire se nell’interrogatorio avrebbe mentito: per ora, tutto della sua fisicità sembrava indicare che fosse sincero, ma Jane sapeva che all’ufficio di New York poco o nulla importava della sua opinione.  “Lo hanno già interrogato o questa è la prima volta?”

“Primo interrogatorio,” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, braccia conserte, appoggiandosi mollemente contro il muro a gustarsi la scena. “Lo hanno tenuto sulla graticola. Sai come sono certi poliziotti vecchio stampo, gli piace far cuocere lentamente i loro polli. Sperano in una confessione facile per sfinimento, e il capo di questa Daniels sembra così. Peccato che così hanno fatto il nostro gioco.”

“Già, siamo riusciti a prenderci un posto in prima fila per l’interrogatorio del tuo cognatino.”  Jane sospirò mettendosi accanto a Ryo, che sbuffò, quasi quella parola l’avesse seccato leggermente. A differenza dell’amico – gli sembrava ancora strano definire così Saeba, eppure, in un modo molto peculiare, era ciò che erano diventati dopo il loro incontro a Tokyo - lui stava prendendo la cosa molto seriamente. Anche lui, quasi vent’anni prima, era stato dove si trovava Christopher in quel momento: in una sala interrogatori, ammanettato ad un tavolo, dopo aver mangiato un panino, senza acqua da ore, sotto alle luci accecanti della sala interrogatori: tutte metodologie di una guerra psicologica studiata per far confessare i possibili colpevoli, ma che tante, troppe volte, avevano portato allo sfinimento anche di innocenti, che per poter respirare di nuovo un po’ di aria, avere il sollievo di una goccia d’acqua nelle gole arse dalla sete,  erano pronti anche a confessare di aver assassinato la madre.

“Signori,” Deakins, il capo di Daniels, una donna forse più vicina ai sessanta che ai cinquanta, magra e dal cipiglio militare, fece il suo ingresso nella stanza; mani dietro la schiena, si mise con la schiena al falso specchio, guardando i due uomini. “Spero non vi dispiaccia se vi faccio compagnia mentre assistete ad un interrogatorio nella mia unità.”

Li guardò negli occhi, sorridendo un po’ malevola, quasi a sottolineare che quel luogo era suo e di nessun altro, e che loro non erano i benvenuti: forse, non fosse stato per la buona parola messa da qualcuno che era ben più in alto di lei – e del cui nome il suo diretto superiore non aveva ritenuto di doverla informare – lei non avrebbe mai permesso che quei due “soggetti” dalla dubbia moralità, ma che a quanto sembrava avevano fornito un contributo di non poco conto a un “caso molto importante” occupassero  quel  luogo su cui, fino ad allora, lei aveva regnato sovrana.

“Mister Barton, conosceva la vittima?” Daniels domandò, calma ne tranquilla; tutto della sua fisicità era studiato per infondere pace ed un senso di sicurezza nel suo interlocutore, e Jane si chiese quanto vi fosse di vero e quanto fosse studiato ad arte.

“No, non ho la più pallida di chi fosse quella donna.” Chris abbassò il capo, tentando di grattarsi la nuca, e scosse la testa, le labbra serrate in una perfetta linea orizzontale. “Io… non ricordo nulla della notte scorsa.”

Mentre Christopher faceva quell’ammissione, il capo era basso, i pugni stretti: sembrava che si vergognasse, o che, peggio, si sentisse colpevole, o credesse di esserlo. A sentire quelle parole, ma soprattutto quel tono, Deakins sorrise compiaciuta, certa di avere ormai il caso in mano: aperto e chiuso, era un nuovo personalissimo record per lei e la sua unità, che le sarebbe valso i complimenti del Vice Direttore dell’FBI.

“Posso garantire per lui fino alle due circa,” Ryo ammise, giocherellando con una sigaretta spenta, continuando a guardare l’interrogatorio con fare falsamente disinteressato, il tono sempre un po’ sbruffone e canzonatorio. “Siamo stati ad Atlantic City a giocare al Tropiacana fino a mezzanotte circa, potrete vederci alle telecamere di sorveglianza che sono certo un posto come quelle abbia in quantità- sempre che non vagliano nascondere qualcosa. Col gioco d’azzardo non si sa mai…”

“Quindi lei e Mister Barton siete amici signor… Saeba, giusto? Giapponese?” Deakins gli domandò, con vivo interesse, mentre Ryo prese a stringere tra i denti il filtro della sigaretta spenta. “Devo farle i complimenti, non sono molti i giapponesi con un inglese eccellente come il suo.”

“L’ho incontrato per la prima volta l’altro ieri mattina, in realtà, ma le nostre fidanzate sono sorelle. Siamo arrivati qui dal Giappone per il loro matrimonio.” Ryo non si sbottonò sulle sue origini, né la ringraziò per il complimento per la lingua. Tuttavia, ammise a controvoglia, non era esattamente entusiasta di dover mettere in mezzo Kaori in quella spinosa faccenda; tuttavia, temeva che prima o poi sarebbe potuto accadere, anche perché, tecnicamente, stava fornendo un alibi al futuro cognato, o comunque ristringendo la finestra del tempo in cui quell’orrendo crimine poteva essere stato commesso, quindi quasi certamente anche Sayuri presto o tardi sarebbe stata interrogata. “Siamo arrivati a New York verso le due di notte, poi io sono tornato in albergo, e lui è andato a farsi un giro con degli amici perché volevano fare le ore piccole.”

Deakins apparve pensierosa: certamente stava pensando a chi affidar il compito di fare tutti i dovuti controlli- i ticket dell’autostrada e dei sottopassi, le telecamera di sorveglianza…

Iniziò a farsi i dovuti calcoli: Barton era stato trovato accanto al cadavere alle sei e quarantacinque minuti circa: avrebbe avuto il tempo di uccidere la donna, o qualcuno lo aveva messo lì? Solo il medico legale, indicando una più precisa ora del decesso, avrebbe potuto toglierle questo dubbio.

Per ora, però, prove e circostanze sembravano indicare lui come colpevole. La donna soppesò ciò di cui era stata informata; poi, con cipiglio militaresco, sospirò, e tornò ad interessarsi all’interrogatorio, senza prestare attenzione a Saeba, cercando, anzi, quasi di eliminarlo, quasi la sua presenza non fosse null’altro che rumore bianco.

“Christopher, non sei obbligato a rispondere a nessuna domanda, e ricorda, puoi appellarti al quinto emendamento.”* L’avvocato, un ometto sui quaranta, con gli occhialini, gli rammentò, posandogli una mano sull’avanbraccio. Christopher era arrivato fino a oltre quarant’anni senza aver mai avuto un “suo” avvocato di fiducia: se si metteva nei guai per lavoro, erano i giornali, le reti televisive, le agenzie di stampa che lo pagavano a fornirgli la difesa necessaria, e anche quando aveva divorziato da Amanda, la sua prima moglie, la cosa era stata consensuale perciò si erano limitati a lasciar fare all’avvocato di lei, gestendo la pratica da entrambe le parti…

Niente figli, niente animali, erano in affitto, era stato tutto facile ed indolore, come togliere un cerotto, ognuno si era ripreso quello che aveva prima delle nozze e quel poco che avevano preso durante il matrimonio lo avevano diviso equamente a secondo anche del valore effettivo. Amanda era stata fin troppo comprensiva, lui avrebbe lasciato tutto a lei molto volentieri. L’ultimo anno del loro matrimonio era stato difficile, lei aveva sofferto molto, e Chris aveva solo voluto una cosa, lasciarla libera di ricominciare da capo, lontano da quel fardello che lui era divenuto dopo quell’incidente in guerra.

Astringendo di denti, Chris, lo sguardo vuoto, fissò la donna davanti a lui che lo interrogava. Aveva sempre saputo, in un piccolo angolo della sua mente, che quel giorno sarebbe tornato  a fare capolino nella sua esistenza, che la felicità non sarebbe durata a lungo… e che presto o tardi avrebbe dovuto pagare caro il prezzo per aver osato sperare di essere finalmente fuggito dall’Inferno della sua mente.

 

“Non capisco una cosa, perché è l’FBI ad indagare su un omicidio? Credevo che questo genere di cose fosse di competenza della polizia…” Kaori domandò a Jane, immaginando che, essendo lui un locale ed un federale, potesse avere più facilmente risposta a quella domanda. Inoltre, non voleva apparire sciocca, ma dopotutto, tutta la sua conoscenza dei metodi di investigazione degli americani derivava dalla visione di film e serie tv, lettura di gialli e qualche chiacchierata con il buon amico Mick.

“In realtà è una mera questione di cavilli,” Jane fece spallucce, guardando le foto della scena del crimine, un occhio sempre attento che nessuno arrivasse ad interromperli. “L’omicidio è avvenuto su di un terreno di proprietà del governo federale quindi anche l’investigazione è di competenza del governo federale. “Le solite quisquilie, in una parola.”

 Kaori sospirò, sempre più incerta sul da farsi. Lei e Ryo avevano raggiunto Sayuri nel piccolo appartamento che divideva con Christopher, in attesa di trovare qualcosa di più grande una volta che la data del parto si fosse avvicinata, e adesso la donna era seduta su quello che fino a poche ore prima era stato il loro letto, abbracciando con occhi tristi il grembo colmo di vita. Oramai, chiunque poteva vedere che la giornalista era in stato interessante: i lineamenti erano stati addolciti dalla gravidanza, ed il ventre, giorno dopo giorno, diveniva sempre più pronunciato.

Un maschio: il primogenito di Christopher sarebbe stato un maschio. Solo il giorno prima, a pranzo, stavano scherzando con Kaori e Ryo di come fossero alla disperata ricerca di un nome che potesse essere adatto tanto ad un giapponese che ad un americano, ed adesso… adesso, Chris rischiava di passare il resto dei suoi giorni chiuso in una cella, senza neppure mai conoscere veramente il suo stesso sangue.

“Davvero non ricorda nulla?” La donna chiese, guardando alternativamente Ryo e Jane.

 “Zero. L’avvocato dice che è molto confuso, non riesce nemmeno a ricordare bene gli ultimi giorni. Figurati che non ricordava nemmeno che fossimo già arrivati, era convinto di essere uscito solo con i suoi amici come faceva di solito.”

Ryo spense la sigaretta nel posacenere che aveva posato sul davanzale, e guardò le strade brulicare di vita: era un quartiere tranquillo, però, adatto a crescere dei bambini, non certo come quello in cui lui e Kaori vivevano a Tokyo. Chris e Sayuri meditavano di trasferirsi, cercare magari a Manhattan, vicino al loro ufficio, ma non capiva il perché: ragazzini che correvano, che giocavano a pallone, fiori alle finestre, niente strade affollate di traffico soffocante, niente spacciatori… perché rinunciare ad un paradiso del genere?

“Credi che gli tornerà in mente cosa è successo?” la sua compagna, di lavoro e vita, gli domandò, sedendosi sul davanzale accanto a lui. Kaori vide i bambini correre dietro al pallone e sorrise, sognante, e Ryo si domandò a cosa stesse pensando; poi, lei avvertì lo sguardo del compagno su di sé, e arrossì, cercando invece di scrutare, con la coda dell’occhio, la sorella.

Approfittando di quella momentanea distrazione, Ryo sorrise, immaginando che fosse alla maternità che la ragazza stesse pensando, che stesse sognando dei figli loro. Da quando, oltre diciotto mesi prima, avevano fatto il grande passo, non avevano mai toccato l’argomento, forse perché per lei era già tanto che lui avesse accettato di vivere quel loro amore a lungo contrastato dallo stesso sweeper, ma entrambi sapevano che prima o poi uno dei due avrebbe rotto il ghiaccio al riguardo, soprattutto adesso che Sayuri era in attesa.

E comunque, Ryo lo sapeva: Kaori era nata per essere madre.

E lui stava iniziando a credere che forse, anche con quel lavoro, avere dei figli, qualcuno da amare, fosse possibile, e se le cose si fossero fatte troppo complicate, sparire, fingere la propria morte, ricominciare da capo altrove, con un nuovo nome, un passato fabbricato ad arte non era poi così complicato, come Ray Hefner stesso aveva insegnato loro.

E poi, stava diventando quasi un chiodo fisso: quasi se la vedeva, una piccola guerriera dai capelli rossi e gli occhi neri. Un bambino loro, un mix perfetto dei loro geni, qualcuno da amare come era stata amata lei, su cui riversare l’amore che lui non aveva ricevuto.

“Beh, allora?” Kaori lo chiamò, risvegliandolo da quello stato catatonico in cui era caduto mentre   fantasticava sul loro futuro. Ryo si imbarazzò un po’, come tutte le volte che capitava che Kaori lo prendesse in contropiede, si grattò nervosamente il collo, cercando di ricordare di cosa stessero parlando….. Ah, giusto. Chris non ricordava nulla e Kaori si chiedeva se avrebbe mai rammentato i fatti dei giorni precedenti.

Schiarendosi la voce, tornò all’argomento principale. 

“Beh, è difficile a dirsi. Se è stato drogato potrebbero aver usato qualcosa che gli ha bruciato del tutto i ricordi, altrimenti, piano, piano, gli ultimi giorni porrebbero tornargli in mente.” Ryo sospirò, pensieroso, chiedendosi se Jane sarebbe stato in grado di fargli avere i campioni di Chris, o anche solo i risultati delle analisi, per sapere dal Professore cosa ne pensasse. Purtroppo Ryo sapeva bene – anche da esperienza diretta- che certe droghe erano capaci di cancellare del tutto la nozione di cosa fosse accaduto, trasportare l’io in uno stato tale che chi le assumeva avrebbe potuto fare qualsiasi cosa…. Anche uccidere. E molte di quelle sostanze non erano nemmeno schedate, viste le quantità astronomiche di porcherie con cui i chimici se ne uscivano fuori ogni anno: senza sapere esattamente cosa cercare, a meno che non si trattasse di qualcosa di standard, difficilmente su un  esame basico sarebbero uscite fuori. “Se è stato drogato.” L’uomo ammise a malavoglia, mani incrociate dietro al capo.

“Cioè?” Kaori gli domandò. Che Chris fosse colpevole non le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello: Sayuri diceva che era innocente, credeva con tutta sé stessa che lo fosse, quindi doveva essere così. Poche persone erano giudici di carattere buoni come sua sorella, che non era certo il tipo di donna da farsi inginocchiare dal primo venuto.

“Quegli agenti dell’FBI sono parecchio in gamba, anche se mi duole ammetterlo. Hanno decisamente fatto i compiti per bene.” Ryo ammise a malincuore.

“Deakins ha fatto aspettare per interrogare Chris per farlo innervosire, ma anche perché voleva notizie ed informazioni. Che ha ottenuto.” Guardò la compagna con sguardo intento, deciso, serio. Kaori quasi rabbrividì: quel Ryo era lontano anni luce da quello che lei vedeva di solito, non era il maniaco assatanato o il cretino, ma lo sweeper micidiale senza paura e senza pietà – l’angelo della morte di cui tutti le parlavano, e che lei aveva sempre pregato di non incontrare sul suo cammino. “Chris era al seguito delle truppe statunitensi in Afghanistan. Un giorno la loro unità subì un’imboscata, due kamikaze si fecero saltare, insieme a delle autobombe, mentre il loro convoglio passava attraverso un villaggetto fatto di baracche. Non sopravvisse nessuno, da ambo le parti, solo Chris, che trovarono tre giorni dopo, che vagava in mezzo ai cadaveri. Al ritorno iniziò a soffrire di Stress Post Traumatico e una notte, pensando di essere in una zona di guerra, ha quasi ucciso la moglie durante un flashback…”

“Ah!” Kaori sussultò, facendo un passo indietro, una mano al cuore. Di nuovo guardò in direzione della sorella, chiedendosi se sapesse e non le avesse detto nulla per pudore, o forse vergona, o se Chris avesse tenuto la verità sulla fine del suo matrimonio celata anche alla sua nuova compagna. “Quindi… credi che possa davvero essere stato lui?”

“Chi lo sa,” Ryo le rispose un po’ distaccato, e freddo, scrollando le spalle. “Potrebbe anche essere. Non sarebbe il primo che tornato dalla guerra fa una cazzata del genere senza nemmeno rendersene conto. Deakins sembra pensarlo, e non vorrei che si impuntasse e non facesse altre indagini. Certo, se fosse andata effettivamente così, sarebbe comunque una bella attenuante, il cognatino si farebbe qualche anno di manicomio giudiziario e poi, se non gli friggono il cervello con l’elettroshock, potrebbe essere libero come un uccellino in men che non si dica.”

La mente di Ryo andò a Deakins, a ciò che la donna aveva detto, ma soprattutto il modo: negli anni aveva visto tante, troppe volte poliziotti troppo zelanti che volevano chiudere un caso in fretta per fare bella figura o perché davvero desiderosi di togliere dalle strade dei delinquenti, granitici nelle loro opinioni… anche Kaori, da quando era divenuta City Hunter, ne aveva viste a bizzeffe di cose simili, per non parlare di tutti gli sfoghi sentiti in gioventù dal padre prima e dal fratello poi.

Il fantasma che però lei non conosceva direttamente era quello che invece a Ryo era fin troppo familiare: quello della guerra. Cambiavano gli anni, cambiava il continente, cambiavano le motivazioni, ma alla fine il risultato era sempre lo stesso.

Quanti ex compagni aveva visto, dopo gli anni della guerriglia, quando il Professore lo aveva preso con sé, cadere vittima di quel destino crudele? Ricordava di un suo ex compagno, che una notte si era svegliato nel letto di una prostituta e l’aveva massacrata a calci e pugni, perché pensava di essere stato attaccato, che lei fosse un nemico e  lo volesse uccidere. Che quello fosse stato lo stesso destino di Chris? Dopotutto, la guerra era uno sporco affare, non guardava in faccia nessuno, non le importava il colore della tua pelle, il tuo ceto sociale o il perché combattessi: non lasciava scampo, ti piegava, chiunque tu fossi, e da dovunque tu provenissi.

Ryo guardò i bambini correre in strada: loro non sapevano ancora come il mondo potesse essere crudele e sporco, e se fossero stati fortunati non lo avrebbero mai scoperto, a differenza di lui e Kaori, che nella vita avevano sofferto fin troppo, fin dalla più tenera età, vittime entrambi delle scelte di genitori degeneri.

Guardò l’orologio: a quell’ora, il partner di Daniels sarebbe dovuto essere ancora in giro a fare domande, capire la linea temporale degli eventi, mentre Jane gli aveva detto che sarebbe andato a rompere le scatole al medico legale. Lo sweeper si alzò, decidendo di raggiungerlo: forse avrebbe avuto nuove informazioni che avrebbero fatto loro comodo.

Non tanto su Chris… ma su quella misteriosa donna che l’uomo era accusato di aver assassinato. Ryo era certo di non conoscerla personalmente - lei era troppo giovane, e lui mancava da troppo tempo dagli Stati Uniti - eppure c’era qualcosa in lei di vagamente famigliare, che gli ricordava qualcuno, solo, non sapeva esattamente chi… e la cosa gli rodeva.

Perché Ryo ne aveva la certezza assoluta: quella sensazione avrebbe potuto portare alla risoluzione del caso.

 

*Il quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce che ogni individuo non possa essere obbligato  a fornire informazioni pregiudizievoli e/o incriminanti per sé stesso dal Governo, permettendogli di rimanere in silenzio (una delle formule presente nel cosiddetto “Miranda”  - he il diritto di rimanere in silenzio, ha il diritto ad un avvocato…).

   
 
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