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Autore: Little Firestar84    03/06/2021    7 recensioni
Mesi dopo il loro incontro a Tokyo, culminato con la caduta della setta di Visualize, Patrick Jane ritorna con prepotenza nella vita di Ryo e Kaori. Il suo compito è quello di chiudere un caso troppo difficile, e troppo personale, perchè Ryo possa farlo da solo... perchè anche stavolta è negli affetti più cari che lo sweeper si vede colpito.
Genere: Romantico, Thriller, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Nuovo personaggio, Ryo Saeba
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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Scrivere il seguito di Da Austin a Tokyo non è esattamente una cosa che avevo pensato di fare; ero davvero certa che l'incontro tra Patrick Jane, star di The Mentalist, e Ryo e Kaori fosse finito lì, con la caduta, letterale e metaforica, della setta di Visualize, presenza occulta per anni dello show porcedural americano.
Mi sbagliavo.
Ryo e Jane hanno preso il sopravvento, esigendo un nuovo incontro, di collaborare con un nuovo caso- che, dal titolo della storia, ispirato al crime Le Strade di San Farncisco, che ebbe il merito di lancviare la carriera attoriale di Michael Duglas, è facile capire dove sarà ambientato.
Ritroveremo tante facce, e ne incontrermo di nuove... e adesso, vi lascio alla storia.
Grazie e alla prossima!


La testa gli pulsava, ed avvertiva come un peso sul petto, un dolore lancinante che aumentava con ogni singolo respiro che prendeva, e gli sembrava che i polmoni stessi stessero andando a fuoco, che dovesse soffocare da un momento all’altro, annegare… annaspava, come se fosse stato sotto ad una valanga o cadendo negli abissi più profondi del mare, eppure sapeva, avvertiva di essere all’aria aperta.

I suoi organi andavano a fuoco, eppure, aveva freddo- tanto. Era come se il suo corpo fosse percorso da piccole scosse, come se milioni di minuscoli aghi lo pungessero nel medesimo istante, senza dargli tregua.

Tentò di sollevarsi.

Il primo tentativo andò a vuoto: i muscoli erano troppo doloranti, e parevano non voler rispondere ai suoi stessi comandi: il suo stesso corpo lo stava tradendo.

Strinse gli occhi. Prese un profondo respiro. Poi un altro ed un altro ancora. Dopo un tempo che gli parve lunghissimo, finalmente, si decise a riprovare, e stavolta riuscì a sedersi.

Lentamente, aprì gli occhi, mentre si stringeva nelle sue stesse braccia: era nudo, in un parco, ed era notte, anche se tra le fronde degli alberi poteva intravedere il sole sorgere.

Si guardò intorno, confuso, non ricordando come fosse arrivato lì, cosa fosse successo la notte precedente. Possibile che mentre girava con i suoi amici per locali avesse bevuto così tanto da finire per addormentarsi in giro, senza nemmeno rendersi conto di cosa stava facendo?

La sensazione di freddo – ed umido- non diminuì; anzi, più riprendeva conoscenza, più questa aumentava, ed ad essa si era unito anche una forte acidità di stomaco. Avvertì la bile salirgli in gola quando il suo olfatto percepì un forte odore ferroso, ed istintivamente si voltò, rigettando nell’erba gli acidi dello stomaco, vuoto se non per il liquore consumato in compagnia in quantità eccessiva.

Boccheggiando per aria, si pulì la bocca con il braccio, ma così facendo desiderò nuovamente rimettere, quando avvertì quello stesso odore sulle labbra.

Occhi sgranati, si guardò le mani: erano coperte di sangue.

“Fermo dove sei, non ti muovere!” Appena sentì la voce, alzò gli occhi; la luce di una torcia lo colpì nelle iridi scure, e il leggero senso di speranza che aveva osato provare per un solo attimo svanì nel nulla, rimpiazzato da un panico accecante come quella stessa luce bianca che gli veniva puntata in viso: qualunque cosa fosse accaduto nelle ore precedenti, sapeva di essersi messo nei guai, anche se non sapeva nemmeno lui quanto grandi - ma era facile intuirlo, dal tono e dal modo di fare della bella poliziotta che lo teneva sotto tiro. “Sei armato?”

“Cosa… io…..” rispose, confuso, guardandosi intorno, quasi stesse cercando un’arma o si aspettasse di trovarne una a portata di mano, proprio al suo fianco. Per un attimo, una frazione di secondo, in quella nebbia che avvolgeva il suo raziocinio si chiese se effettivamente lo fosse, ma non seppe darsi una risposta.

“In ginocchio e mani dietro la testa, adesso!” La voce femminile gli intimò, avvicinandosi. “Sei in arresto con l’accusa di omicidio. Hai il diritto di rimanere in silenzio, tutto ciò che dirai potrà essere usato contro di te in tribunale. Hai diritto ad un avvocato,  e se non puoi permettertene uno te  ne sarà assegnato uno d’ufficio…”

“Ma cosa… omicidio? Ma di che diavolo stai parlando?!” Lui sibilò a denti stretti, mentre prendeva ad agitarsi, ribellarsi; sentì che l’aria gli veniva a mancare, che il buio catturava i suoi occhi mentre il cuore gli batteva con una tale forza che temette gli sarebbe scoppiato nel petto. “Non ho ucciso nessuno!”

O almeno, ne era quasi del tutto certo: non pensava di poter avere alcuna certezza.

Il dolore al petto era ormai quasi lancinante, la visione si stava nuovamente offuscando, e temeva di non avere via di scampo, che ci fosse solo la morte ad attenerlo. Sapeva che non sarebbe accaduto, però.

Conviveva con saltuari attacchi di panico, di cui pochi o nessuno erano a conoscenza, da quando era tornato da quella terribile guerra tanti anni prima. Aveva visto l’orrore, la morte, il sangue, aveva sentito quel sapore, quell’odore troppe volte per poterlo dimenticare… e poi c’era stata quella volta, quella maledetta volta che lui non avrebbe mai dimenticato, per nessun motivo al mondo. I suoi amici, I suoi compagni, morti, come pure i loro nemici, e lui, che camminava, barcollava più morto che vivo in mezzo ai loro resti, avvolto da una nebbia, a malapena consapevole di essere un umano,  di essere vivo, la sua fidata compagna in mano, pronta… ma lui era rimasto solo, e lei aveva perso la sua utilità, divenendo una mera appendice del suo essere, che negli anni mai lo aveva abbandonato.

“Ascolta, la scientifica deve esaminarti, quindi non posso darti nulla da metterti addosso, ti chiedo solo di avere ancora un po’ pazienza. Ci vorrà solo un attimo.” Sentì il freddo metallico delle manette mentre gli venivano messe ai polsi, e la bella investigatrice lo aiutò ad alzarsi. Il suo tono era determinato, tuttavia, giusto, quasi compassionevole; era evidente che lei stava solo facendo il suo dovere. Non era una passacarte, né tantomeno rincorreva premi, denaro o promozioni: faceva quel lavoro perché ci credeva, perché desiderosa di aiutare la gente- la gente normale, le persone comuni – ad ottenere giustizia quando tutti gli altri si ostinavano a negarla loro. “Posso leggerti di nuovo i tuoi diritti, se non hai capito o non hai sentito…”

Mentre si alzava, lui scosse il capo, e vide, per terra, in una posizione innaturale, quasi fosse stata una bambola rotta, un corpo di donna inerte, straziato fino a renderlo irriconoscibile anche a chi l’avesse amata, gli occhi spalancati – o ciò che ne rimaneva - a guardare il cielo, eppure vitrei, i capelli corti che sembravano quasi essere un’areola intorno al capo.

Non sapeva chi fosse, o forse, semplicemente, non lo ricordava: la mente in una nebbia, era confusa su cosa fosse esattamente successo nei giorni prima.

“Posso… posso fare una telefonata?” Domandò, con voce tremante. Gli sembrava quasi di essere un cucciolo, o forse un bambino. Non ricordava di essersi mai sentito così: forse non aveva mai provato una tale emozione, un tale bisogno.

“Appena saremmo arrivati al Javits Building potrai fare una chiamata al tuo avvocato. Non prima.” La poliziotta gli rispose, con calma. Le rotelle del cervello dell’uomo  iniziarono a girare: il Javits Building era la sede dell’FBI di New York- almeno adesso aveva una vaga idea di dove si stesse trovando. La nebbia non si era ancora dipanata, ma almeno aveva quel singolo punto fermo, e forse, forse sarebbe potuto partire da lì per fare luce su cosa gli fosse accaduto, e perché pensavano che fosse un omicida, anche se c’era una domanda che lo incuriosiva e a cui non riusciva a dare risposta: da quando un omicidio era un reato federale? Non se ne sarebbe dovuto occupare il dipartimento di Polizia? Cosa rendeva diversa, particolare, la morte di quella donna?

Mentre era perso nelle sue elucubrazioni mentali, tecnici di laboratorio e investigatori forensi gli si avvicinarono, prelevando residui da sotto le unghie, campioni di DNA dal cuoio capelluto, dalla bocca, fotografando ogni centimetro del suo corpo mentre, alle sue spalle, un’altra squadra stava facendo lo stesso con il corpo della donna.

Non ricuciva a smettere di farsi quelle domande: dove diavolo era, chi era quella donna, e perché l’FBI stava indagando su un omicidio?

Strinse gli occhi, cercando di portare tutto in sottofondo, di vivere solo nell’attimo, conscio solo del suo cuore che pulsava e dei suoi polmoni che si riempivano e svuotavano di aria.

Dentro. Fuori. Dentro. Fuori.

Ancora, e ancora, e ancora.

Lentamente, riprese finalmente il pieno controllo del suo intero essere.

Una donna gli porse un pantalone della tuta ed una felpa, e dei calzini per non farlo camminare scalzo, poi gli rimise le manette e lo accompagnò verso lo scintillante SUV nero, facendolo poi accomodare sul retro.

Mentre guardava il paesaggio scorrergli davanti, la mente dell’uomo andò alla sua famiglia, e si chiese se ancora la sua fidanzata, quella bellissima donna dai capelli ramati che lo aspettava a casa col sorriso ed il cuore in mano, avrebbe voluto sposarlo da lì a pochi giorni dopo aver saputo di cosa era stato accusato- e se, conoscendo il suo passato, avrebbe mai potuto credere alla sua innocenza.

Non era nemmeno certo di credere lui stesso di non aver fatto nulla… non ricordava nulla, e soprattutto, conosceva il suo passato, il tipo d’uomo che era stato, e che sarebbe potuto facilmente tornare ad essere, se lei avesse deciso di voltargli le spalle, abbandonandolo al suo triste destino di uomo solitario che non aveva nessun’altro al mondo.

Non era al suo avvocato che avrebbe telefonato, anche perché ormai era da tempo che non ne aveva più uno di fiducia, sempre che mai ne avesse avuto uno- semplicemente, alla gente piaceva dire di essere suo amico. Usa o sarai usato: non c’era forse un detto simile? Non lo aveva forse imparato lui stesso, con quell’esistenza zingara al limite della legalità, nelle tante zone grigie che abitavano il mondo?

 No, la sua telefonata, lui l’avrebbe fatta a casa. Lei avrebbe saputo indicargli a chi rivolgersi, e soprattutto, avrebbe chiamato qualcuno che si sarebbe messo a districare il bandolo di quella matassa che, seppure ancora confuso, egli era certo essere fin troppo complicata per gli standard a cui l’FBI era abituata – e che mai e poi lui da sola sarebbe riuscito a risolvere da solo.

Per quanto gli dolesse ammetterlo, aveva bisogno di aiuto. Qualcosa bolliva in pentola, ne era certo. Qualcuno doveva averlo incastrato, anche se ancora non sapeva bene il perché – di certo, le persone a cui negli anni aveva pestatoi i piedi erano parecchie, ed era almeno da quando aveva venticinque anni che aveva smesso di tenere a mente nomi, volti e numeri di chi aveva giurato vendetta, di fargliela pagare ad ogni costo.

Qualcosa che aveva visto, o di cui qualcuno dei suoi informatori gli aveva parlato? O forse qualcosa su cui stava indagando o su cui aveva indagato in passato? Solo perché da quando si era fidanzato si era dato una “tranquillizzata” ciò non voleva dire che la sua vita fosse divenuta più semplice: aveva continuato a fare quello che faceva prima, a pestare piedi a destra e manca senza fare troppa attenzione a chi ne avrebbe subito le conseguenze, anche perché, lui, non era mai stato tipo da tollerare le ingiustizie, o accettare compromessi facili.

Eppure… eppure, non gli veniva in mente nulla – non di recente, almeno - che potesse richiedere una tale soluzione così drastica, non solo per screditarlo ma addirittura toglierlo dalla piazza. Sembrava troppo… esagerato, definitivo. Che dovesse guardare al passato? Magari addirittura alla sua gioventù?

Gettò il capo all’indietro, posandolo sul poggiatesta. Forse, l’unica persona che avrebbe davvero potuto aiutarlo era l’uomo che sarebbe dovuto divenire suo cognato da lì a un paio di giorni, se le cose non fossero andate a rotoli in un battito di ciglia: Ryo Saeba, il famoso City Hunter.

   
 
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