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Autore: H0sh1    27/06/2021    0 recensioni
Il silenzio oltre le dune - 砂丘の後黙 [Sakyū no ushiro moku ]
La Quarta Guerra Mondiale dei Ninja ha lasciato cicatrici profonde in tutte le Cinque Grandi Terre e, a quasi quattro anni dalla fine del conflitto, alcune di loro faticano ancora ad affrontarne le conseguenze. Tra queste, il Paese del Vento è arrivato ad un punto critico: la mancanza di denaro da investire nello sviluppo del villaggio e la perenne siccità del deserto sembrano essere i problemi più gravi che Gaara, in qualità di Kazekage, è chiamato a contrastare.
Qualcos'altro, tuttavia, si muove sotto il manto caldo del deserto: un'ombra, oscura e malevole, trama di spezzare il precario equilibrio di Sunagakure; un'ombra paziente, che non dimentica e minaccia di inghiottire tutto ciò che il capovillaggio ha più a cuore. Kimiko è una di queste, uno dei pilastri portanti su cui Gaara ha sempre potuto trovare sostegno e che, assieme ai fratelli del Kazekage e ai fedeli shinobi di Suna, è disposta a condividere il peso di questo nuovo momento buio, determinata a spalleggiarlo nel nome di quella pace ottenuta dal sacrificio di molti e per il bene di tutti.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kankuro, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Capitolo 3

- Gabbia d'oro -
 

Data l'ora tarda, Temari aveva deciso di andare a coricarsi già da diverso tempo mentre Gaara aveva scelto di restare sveglio, ad attendere il rientro di Kankurō. Si era portato dallo studio il lavoro accumulatosi negli ultimi tempi, con la speranza di riuscire a smaltirlo; alla luce del lampadario che penzolava sul tavolo, continuava a leggere imperterrito i resoconti e i risultati del Consiglio riunitosi pochi giorni prima, sorseggiando ogni tanto del tè dalla tazza lì vicino.

Kankurō non si era premurato di avvertirli che non avrebbe fatto rientro per cena, ma nessuno dei due si era allarmato per questo: capitava che si intrattenesse dopo il lavoro con i propri allievi o pari, dunque non era poi così inusuale. Al cigolio attutito della porta d'ingresso, Gaara aveva alzato la testa dai fogli e aveva puntato lo sguardo verso il corridoio buio, appena fuori dalla cucina. Il maggiore, attratto dalla luce ancora accesa, svicolò nell'ambiente, con le sopracciglia arcuate in un'espressione sorpresa.

«Credevo stesse dormendo, è un po' tardi» aveva esclamato nel vederlo; si era calato giù il cappuccio nero e lo stringeva in una mano mentre quella libera stava schermando un lungo sbadiglio.

«Perché non hai avvisato che non saresti tornato?» aveva domandato Gaara, stringendo la tazza ancora fumante e portandosela alla bocca.

«La mia intenzione era quella di rientrare, dato che doveva essere una bevuta veloce. Ci siamo dilungati un po'» si era giustificato l'altro con un sorriso aperto. Aveva mosso qualche passo fino a raggiungere la sedia più vicina, accomodandosi di fronte a lui.

«Un po', dici? È da quando avete finito che non ti sei fatto vedere.»

«Cos'è, sei geloso?»

«Non è questo, sto solo dicendo che potevi avvertire» aveva sostenuto Gaara.

«Avresti dovuto vedere Hotaka. Non avrei piazzato un ryō bucato a sapere che sarebbe stato in grado di buttar giù tre di saké tutto d'un fiato» aveva proseguito Kankurō, a metà tra il sorpreso e l'irritato, sorvolando a piè pari sull'osservazione ben meno divertente del minore.

Gaara lo aveva guardato accigliato: non aveva ancora capito appieno cosa trovassero di tanto entusiasmante nei loro giri di scommesse, faticava a comprenderne l'utilità e il divertimento.

«A quanto pare, hai perso di nuovo.» Si era poi alzato e si era incamminato verso il lavello. Stava lavando la tazza sotto l'acqua corrente mentre ascoltava l'altro che continuava a parlare concitato.

«Sì, ma sono convinto che se ne sia approfittato» aveva prorotto allora Kankurō con una sonora risata, in netto contrasto con la piega imbronciata che aveva avuto solo pochi attimi prima. Il riso improvviso era stato subito stroncato da Gaara, che aveva fatto cenno al piano superiore, alludendo a Temari che stava riposando.

«E tu perché hai accettato, se lo sapevi?»

«Pura curiosità» gli aveva risposto, con un'alzata di spalle.

Gaara si era avvicinato nuovamente al tavolo e aveva recuperato i vari fogli e rotoli che erano lì sparsi, lanciandogli uno sguardo interrogativo e iniziando a muoversi verso la scalinata che conduceva al piano superiore.

«Dovreste venire, una volta tanto.»

«Ammesso lo volessi, non potrei comunque» aveva obiettato, accigliato.

«Vedi, fratellino, è così che si creano nuovi legami.» Un largo ghigno gli aveva piegato gli angoli della bocca. «Esci, incontri gente nuova, è così che si fa.»

«Sono occupato, non ho molto tempo libero. E neanche tu, ad essere onesti» l'aveva rimbeccato atono il minore, iniziando a risalire la rampa.

«Non eri tu che dicevi di voler ampliare i tuoi orizzonti?» L'aveva sentito sghignazzare ai piedi delle scale e gli era parso di cogliere una certa ironia. Non poteva dargli torto perché ricordava di avergli confessato il desiderio di voler riuscire ad aprirsi di più con le persone, ma il peso della sua carica era troppo grande: lo teneva distante da tutto e scoraggiava chiunque ad avvicinarglisi, perciò non era ancora riuscito a creare dei veri legami che andassero oltre l'ufficialità, o la convenienza.

Prima di potersi rifugiare dentro la propria stanza, il fratello l'aveva lasciato con un monito: «La prossima volta ti porto con me e non voglio se o ma.»

Prima che Gaara avesse avuto la possibilità di controbattere in qualche modo, Kankurō aveva già frapposto tra di loro un ostacolo, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandolo così interdetto. Non riusciva a pensare di potersi ritagliare un attimo di libertà in quel mare di caos, trovava strano che il maggiore fosse così insistente.

Davvero insolito, si era detto tra sé e sé, piuttosto confuso, e per questo aveva pensato a qualcosa che avrebbe convinto Kankurō a desistere, ma aveva anche sottovalutato la sua tenacia.

Una sera, ad ora di cena, il marionettista si era di fatto recato nel suo studio e gli aveva intimato con sguardo serioso di lasciare tutto e di seguirlo. Gaara aveva provato a opporre resistenza, ribadendogli ancora una volta la triste condizione in cui Suna verteva, ma il maggiore, per una volta, sembrò irremovibile.

Ultimamente sei più stanco del solito, non puoi sempre strafare.

Alche, Gaara l'aveva seguito in silenzio, incerto. Si era fatto scortare presso una locanda che si affacciava sullo snodo principale del borgo: a primo acchito, sembrava essere frequentato da ragazzi e ragazze all'incirca della loro stessa età. Si sentiva un po' fuori posto mentre Kankurō si guardava intorno; aveva approfittato della sua distrazione per convogliare il chakra all'altezza dello stomaco, in modo da poter dissipare quel nodo che lo bloccava. Non sapeva con certezza quanto tempo avessero aspettato e infine, nella confusione generale, aveva riconosciuto i due figli di Mamoru Igarashi, capo famiglia e jōnin di lunga data che aveva sempre servito con onore il villaggio. Il duo si stava avvicinando a loro e, in un primo momento, non sembravano essersi accorti di quella presenza in più.

«Siete in ritardo» aveva esclamato Kankurō divertito, quando erano abbastanza vicini da poterlo udire senza problemi.

«Nostro padre ci ha trattenuti. Saremmo arrivati in tempo se qualcuno avesse fatto il suo dovere» aveva oppugnato il ragazzo, indirizzando uno sguardo torvo alla gracile figura accanto a lui, la quale aveva inarcato un sopracciglio, visibilmente urtata.

«Mi sono già scusata, è necessario portare avanti il dramma?» aveva sbuffato quella in risposta, puntellando le mani sui fianchi.

Gaara – visibilmente a disagio – aveva sentito Kankurō ghermirlo per le spalle e spingerlo in avanti di qualche passo, portandolo allo scoperto. «Mi sono preso la briga di portare mio fratello, questa sera. Spero non sia un problema.»

La sorpresa si era insinuata nei loro occhi anche se, una volta svanita, lo avevano accolto con un sorriso riverente.

«Non ti preoccupare, più siamo e meglio è» aveva esclamato gioviale la ragazza, prima di voltare il capo nella sua direzione. «È un piacere avervi con noi, Onorevole.»

Kimiko – così ricordava si chiamasse – gli aveva allungato la mano in segno di saluto. Gaara l'aveva stretta un po' tentennante, scoprendo che avesse una presa piuttosto forte, per la ragazza minuta qual era.

Erano poi entrati all'interno, Kankurō e Kimiko erano alla testa del gruppo e lo guidarono verso uno dei tavoli disponibili, salutando l'anziana signora che si trovava all'ingresso, dietro il registratore di cassa.

«Siamo sicuri che lo farà parlare? Quello mi sembra un po' incapace» stava dicendo Akinori mentre prendevano posto, riferendosi di certo allo shinobi terrorista catturato alcuni giorni prima. Era stato scoperto a mettere a ferro e fuoco uno dei piccoli villaggi poco distanti dalla Sabbia, ma non era l'unico della comitiva, e la loro squadra li stava ancora cercando.

«Lo spero per lui» aveva sentenziato Kankurō, torvo, mentre cercava di attirare l'attenzione di un cameriere che, una volta visti e riconosciuti, era subito corso verso di loro.

«Aspetta, vuoi dire che ancora apre bocca? Tenace» aveva asserito Kimiko, seduta di fronte a lui.

«No, e ne ha prese anche parecchie» aveva risposto Akinori, scuotendo demoralizzato il capo.

«Basta parlare di lavoro, però. Siamo qua per svagare» li aveva ripresi subito dopo Kankurō, sornione. Gaara aveva ricevuto una pacca sulla spalla da parte del fratello, che gli stava seduto affianco, e l'imbarazzo era cresciuto ulteriormente quando lo aveva spinto al centro della conversazione: «Non dimenticate che abbiamo un ospite d'onore.»

Non sapeva come approcciarsi nel modo corretto, con i compagni di Konoha era tutto molto più semplice: aveva combattuto con loro molte battaglie; persone come Naruto, o Rock Lee, lo avevano riconosciuto dapprima come avversario, poi nemico e, infine, amico, ma al villaggio la situazione sembrava essere alquanto differente.

«È strano vedervi fuori dal lavoro» aveva detto la ragazza, compiaciuta.

«Come è strano vedere te che ti impegni» l'aveva sbeffeggiata Akinori con un ghigno di scherno, subito respinto da una smorfia.

«E non stressarla, dalle tempo» lo aveva apostrofato Kankurō e Kimiko lo aveva ringraziato soddisfatta e con un ampio gesto della mano. «è chūnin da poco, lascia che si godi ancora un po' quel po' di libertà che le resta.»

«La guerra è stata dura, i danni riportati sono tanti» aveva risposto infine Gaara, risoluto. «voglio rendere possibile la rinascita del nostro villaggio, è ciò che più ho a cuore.»

Il trio, allora, gli aveva sorriso con il petto gonfio e, ancora una volta, aveva sentito una stretta calorosa al cuore: oltre alla stima, si percepiva chiara anche una profonda gratitudine. Era stata la ragazza a levare alto il bicchiere, seguita dal resto del gruppo: «E vi saremo eternamente grati, per questo.»

La cena aveva avuto sin da subito un'atmosfera gioviale e distesa, i dibattiti e le discussioni – alcuni accesi e altri più tranquilli – erano andati avanti per ore. Gaara aveva preferito rimanere in silenzio, senza sapere cosa fosse giusto dire, lasciando che fossero i suoi interlocutori a manipolare le conversazioni. Per una sera, aveva finalmente sentito la pesantezza del lavoro affievolirsi: anche solo ascoltando e entrando ogni tanto con qualche riflessione propria, sentiva comunque di star traendo giovamento dal quel piccolo momento di serenità che il fratello lo aveva aiutato a ritagliarsi.

«Ridi pure, quasi ci rimettevo un braccio» aveva esclamato Akinori tra un sorso e l'altro, quando la conversazione era virata sui ricordi di guerra.

«Ho preso un colpo, ma anche tu non è che sei stato così reattivo» aveva sospirato Kimiko.

Gaara sapeva si stessero riferendo allo scontro avuto con il secondo Mizukage, sul fronte desertico. Poco prima si era scontrato con Rasa, una battaglia di estrema importanza, per lui: non aveva solo affrontato suo padre, ma era anche venuto a conoscenza del grande amore che sua madre, Karura, aveva sempre serbato per lui, anche nei momenti precedenti alla sua morte; il momento nel quale tutto l'odio e il rancore nei suoi confronti avevano iniziato a svanire.

«Vero, eravate nella sua divisione» aveva sottolineato Kankurō, lo sguardo adombrato per via della piega che la conversazione aveva preso.

Kimiko aveva annuito in risposta, prendendo un sorso dal bicchiere ormai mezzo vuoto. «Senza contare che ti ho spillato un sacco di ryō, tra le altre cose. È stato fruttuoso, almeno per me» aveva gongolato poi verso Akinori, svuotandolo definitivamente .

«Ma dai, anche in guerra?» aveva esclamato esterrefatto Kankurō, riempiendoglielo nuovamente.

«Credo di ricordare qualcosa del genere» si era intromesso Gaara, colto da un ricordo improvviso. «Io e lo Tsuchikage stavamo scendendo da una duna dopo un'osservazione del campo di battaglia, era un momento di calma piatta. Un paio di ragazze del villaggio ci sono venute incontro con un panno...»

La grassa risata esplosa dalle gole di Kimiko e Kankurō avevano interrotto il suo racconto mentre Akinori si era limitato a sorridere imbarazzato, nascondendo il ghigno dietro la mano. «Ricordo di averti visto passare qualcosa a tuo fratello, che era lì vicino. Pensai fosse strano, anche curioso.»

«Sì, fu la meno proficua, ma anche la più soddisfacente» aveva sorriso tronfia lei. «Avrei scommesso anche di più, ma avevo solo pochi pezzi. Anche se ammetto che me ne sono un po' approfittata, visto che il fun club è così prevedibile.»

«Fun club?» aveva chiesto, confuso.

«È come chiama tutte le ragazze che ti ronzano intorno e di cui Temari si sbarazza» gli stava spiegando Kankurō sornione, prima di rivolgersi si nuovo a Kimiko. «Se continuiamo così, la prossima potresti essere tu.»

«Inquietante, ma se sparisco misteriosamente almeno sapete il perché.»

Gaara era a conoscenza di quella voce che correva al villaggio, ma non ci si era mai soffermato per mancanza di interesse. Aveva annuito lentamente, con malcelato imbarazzo.

Per quanto fosse stata una serata abbastanza strana e interessante, non era consapevole di aver iniziato il suo cammino verso quel qualcosa che sentiva mancare: un nuovo contatto, vero e profondo.

* * *

Le bacchette portarono pigre un sottile filetto di manzo nel piatto mentre sprazzi di un tranquillo discorso, proveniente dall'altro capo del tavolo, vennero percepiti come fosse il ronzio d'uno sciame d'api. Senza seguire la conversazione che stava animando i tre con i quali era in compagnia, Kimiko si limitò a tormentare incessante il pezzo di carne ancora fumante, punzecchiandolo con le punte dei lunghi bastoncini che stringeva tra le dita. In quel momento, Kankurō pareva star raccontando un aneddoto divertente, a giudicare dalla risata di Akinori e dal sorriso appena accennato di Gaara. Ormai distolta dal garbuglio di pensieri che si stavano annodando nella mente, fece un cenno con il capo nella sua direzione, abbozzando un sorriso e portandosi finalmente il filetto di manzo alla bocca, prima di chiudersi nuovamente dietro il muro difensivo e tornare a tentare di strecciare la matassa che stava custodendo.

Una frase, in particolare, pareva essere il centro di quell'intricato groviglio, parole che non avevano smesso di vorticare dal momento in cui erano state udite: “Comprendi anche che non sempre è un bene, specialmente quando diventa un'ossessione.”

Il tono più calmo e pacato con il quale Gaara le aveva parlato quella mattina, nello studio, le aveva infuso un briciolo di quella calma di cui aveva bisogno per tornare lucida. Per il paio d'ore d'allenamento privato trascorse assieme a Tsubaki non vi aveva dato orecchio, concentrata com'era sulla sua piccola allieva, ma quando era rimasta di nuovo sola, senza niente che potesse distrarla, l'udito carpì ancora una volta il sibilo che mormorava quelle parole.

Un'ossessione.

Sulla strada del ritorno verso casa, con gli ultimi raggi di sole che coloravano d'arancio le abitazioni del villaggio, si era interrogata a fondo: non aveva dato torto a Gaara, lo conosceva abbastanza da sapere che non utilizzava parole a caso ma, anzi, le soppesava sempre con cura. Era dunque così che lui vedeva il suo desiderio, come un'ossessione che la intrappolava in una gabbia d'oro e non le dava possibilità di fuggire? Certo era che, in trappola, ci si sentiva: ogni suo sforzo, ogni suo successo, veniva sempre oscurato dagli errori commessi, come se avessero maggiore importanza a discapito di tutto.

«Ho sentito della tua disattenzione nell'ultima missione. Mi auguro che farai presto qualcosa per rimediare.» Era stata l'unica cosa che il padre le avesse detto, quando era rincasata quel pomeriggio. La delusione che impregnava quello sterile commento l'aveva portata ad abbassare lo sguardo a terra, inchinarsi e sussurrare un appena accennato “Sì, padre” prima che quello si voltasse per scomparire nell'intimo salotto, lì da dove era arrivato. Al rientro in camera, si era poi sentita in dovere di riprendere in mano le stesse mappe astronomiche che la sera prima aveva adocchiato e si era persa a contemplare le stelle riportate su di esse, trovando così un ulteriore pretesto per non pensare a quelle parole.

«Ehi, tutto bene?»

Kimiko scosse finalmente il capo, sbattendo le palpebre più volte. Ridestatasi, notò come prima cosa Gaara, che l'aveva richiamata, osservarla abbastanza preoccupato, per poi scoprire che anche Kankurō e Akinori parevano piuttosto accigliati. Fece vagare frettolosa lo sguardo sui volti dei tre, prima di fare spallucce. «Sì, ero solo... soprappensiero.»

«Parecchio, direi. Non hai aperto bocca da quando siamo qui» asserì Kankurō, riempiendole il bicchiere ricolmo solo a metà di birra. Kimiko ne prese allora un lungo sorso, mandando giù il groppo che le aveva annodato d'improvviso la gola.

«Vacci piano, non ho intenzione di riportati a casa di nuovo in spalla» esclamò Akinori, con un sorrisetto che Kimiko trovò irritante.

«È successo solo una volta» lo rimbrottò di rimando, posando giù il bicchiere ormai vuoto. Si apprestò a mettere un nuovo filetto di manzo sulla brace incassata al centro del tavolo, nell'istante in cui Gaara si servì della propria porzione cotta.

«E credo anche che se lo ricordino un po' tutti» ammiccò Kankurō prima di bere. «Gaara di certo.»

A quel punto, terrorizzata, Kimiko si voltò lentamente verso sinistra: «Ho paura di chiedertelo, ma lo farò lo stesso. Cosa ho fatto?»

Il ragazzo posò le bacchette sul piatto vuoto, aggrottato nello sforzo di ricordare mentre Kankurō e Akinori presero a sghignazzare a mezza voce. «Credo blaterassi qualcosa sull'andare alle terme.»

La ragazza scosse stupita il capo, sollevata. «Tutto qui? Non è così imbarazzante.»

«Non se la proposta te la fa una che ha alzato troppo il gomito» le rispose Akinori tra una risata e l'altra. Entrambi si stavano tenendo la pancia per il troppo ridere al pensiero di qualcosa che Kimiko non riusciva a ricordare mentre Gaara, pacato, buttò giù l'ultimo sorso d'acqua che gli era rimasto. Ebbe come l'impulso di assestare loro un ceffone in pieno viso, ma riuscì a contenersi, lasciando che si tranquillizzassero da sé.

«Ah, piuttosto, credo tu mi debba qualcosa, no?» riprese poi Akinori quando si fu calmato, asciugandosi un lacrima nata dal troppo ridere, ammiccando vero l'amico sedutogli di fianco. Kankurō, ravanando innervosito all'interno delle tasche, tirò allora fuori un piccolo gruzzolo di monete lucide. Qualcosa, nella mente della ragazza, scattò, e la voglia di randellarli entrambi si ripresentò.

«E vi sentite anche nella posizione di stuzzicarmi?» sibilò avvelenata la ragazza mentre il fratello più grande sottraeva soddisfatto i ryō dalle mani del marionettista e iniziava a contarli. «Sappiate che non dimentico.»

«Mi fai una paura, guarda. E spero che tu sia contento» gli rispose allora Kankurō, tornando ad ingollare ciò che ancora stava nel suo piatto. «almeno fai che Saya sappia chi le ha davvero pagato la cena.»

Tutte e tre i paia di sguardi scrutarono Akinori, che aveva iniziato a far trasparire un lieve disagio: prese a grattarsi il retro della nuca, sorridendo imbarazzato. «Allora, quando sarà, ti penserò» aggiunse poi, prendendo un boccone di carne dalla brace.

«Già, ma aspetterei a farlo.» Kimiko intrecciò le dita sotto il mento e affabile si prese gioco del fratello più grande: «Vedi prima come finirà la serata, magari non ti converrà pensare a Kankurō.»

Akinori quasi soffocò e prese a battersi un pugno sullo sterno mentre il marionettista riprese a ridere sguaiatamente e Kimiko si crogiolò nel vedere le punte delle sue orecchie diventare rosse. Alla sua destra, invece, Gaara – rimasto nel più totale silenzio – fece vagare lo sguardo altrove, lontano dal gruppo.

«Questi sono fatti personali, sorellina» tossicchiò Akinori, riprendendo fiato e incrociando lo sguardo beffardo della più piccola. «non è che tutti devono saperlo.»

Sia Kimiko che Kankurō continuarono per un po' a stuzzicare il ragazzo, che non era riuscito a contenere l'imbarazzo. L'intero viso prese una sfumatura rossastra e continuava a pregarli di smetterla, ma sembrava non essere l'unico a disagio: Kimiko notò che Gaara rimase in disparte dal loro sadico divertimento, osservando ogni tanto Akinori solo per poi tornare a concentrarsi su qualcos'altro che non fossero le frecciatine che volavano da una parte all'altra del tavolo. Mentre Kankurō stava dando adito ad una nuova insinuazione, la ragazza si morse la lingua, sentendo qualcosa serpeggiarle sottopelle: un improvviso senso di colpa la travolse allo stesso modo in cui un maremoto inghiotte una barca.

«Cambiando discorso» disse infine, rivolgendosi direttamente a lui che continuava a picchiettare l'indice sul legno del tavolo. Gaara, finalmente, si voltò di nuovo verso di loro, con la fronte aggrottata. «hai poi parlato con il daimyō del Fuoco?»

«Sì, abbiamo fissato un incontro ufficiale.» La linea che gli marcava la fronte si distese e le spalle si rilassarono. Iniziò a raccontare di aver ricevuto una missiva qualche giorno addietro, in cui il signorotto del Paese del Fuoco gli richiedeva un incontro in cui discutere degli ultimi dettagli prima l'accordo tra i due Paesi diventasse finalmente ufficiale.

«Parti presto, quindi.»

«Sì, pensavamo al massimo tra un paio di giorni.»

«A proposito, chi ti scorta?» domandò Kankurō, curioso. Svuotò il proprio bicchiere che Akinori – ancora un po' imbarazzato – provvide a riempire nuovamente. «Temari può venire, non è che abbia molto da fare, a differenza mia. Ma credo che, data la situazione, ti serva almeno un secondo uomo, magari un terzo.»

«Sarà difficile trovarne anche solo uno» ribatté Gaara, reggendosi il mento tra pollice e indice con fare pensoso. «Quasi tutti i jōnin sono occupati con le difese o la ricerca e una buona parte è fuori dal villaggio.»

«Ma noi siamo qui.»

Parlò senza riflettere. Non si rese conto di aver dato voce ai propri pensieri finché Gaara non gli rivolse la sua attenzione e, per la seconda volta, tornò a punirsi mordendosi la lingua. Si affrettò ad aggiungere: «Se le cose non cambiano nei prossimi giorni, insomma.»

Il sorriso che le rivolse, tuttavia, sciolse del tutto il nodo che le aveva serrato lo stomaco.

«Ehi, lui mi serve qui» esclamò Kankurō in risposta, accennando ad Akinori, che lo fermò quasi all'istante.

«Potrei essere i tuoi occhi, amico mio. Se succede qualcosa lo vedrò personalmente e posso riportare tutto alla squadra.»

«Avere qualcuno dell'antiterrorismo potrebbe essere una buona cosa» convenne Gaara, tornando poi a rivolgersi direttamente a Kimiko. «Se non avrò nessuna missione per la tua squadra, potrò contare su di te?»

Non seppe di preciso il motivo, ma d'improvviso trovò anche solo il semplice atto di respirare difficoltoso: il cuore, ansioso, aveva iniziato a battere più forte e il respiro si era fatto pesante. Anche così, tuttavia, sorrise: «Certo, ovvio.»

Poco tempo dopo, saldarono il conto della cena e lasciarono finalmente il locale, immettendosi nella strada gremita di ragazzi intenti, con ogni probabilità, a godersi il fine settimana. Si fecero strada fino a superare la calca, lasciandosi alle spalle l'aria opprimente data dall'affollamento. Kankurō e Akinori procedettero di fronte parlando di qualcosa che Kimiko e Gaara, poco più indietro, non riuscivano a sentire per via della confusione che martellava incessante i timpani. Entrambi sembrarono farsi scivolare tutto il brio addosso, come se fossero rinchiusi in una bolla trasparente, sottile ma al tempo stesso impenetrabile.

L'agitazione ancora pompava dal cuore e lungo tutto il corpo: era stata lei stessa a farsi avanti, ma compreso che tutto si fosse concretizzato si era sentita soffocare: non sarebbe stata una semplice missione con i suoi allievi, ma una di grado S. Le era capitato di svolgere missioni diplomatiche assieme ai suoi ormai vecchi compagni di squadra, ma per quanto fossero impegnative sapeva che non potevano reggere il confronto: spazio per gli errori non ce n'era, e a sentir parlare Akinori e Kankurō della gravità della minaccia che aleggiava sul villaggio si era sentita schiacciare dal peso di quell'incarico così delicato.

«Non agitarti, non serve.»

Ancora una volta, il flusso dei suoi tormenti fu bloccato inevitabilmente. Alzò lo sguardo e si accorse che Gaara la stesse osservando, probabilmente lo stava facendo da quando si erano lasciati la locanda alle spalle.

«È così evidente?» gli rispose infine, imbarazzata. Intrecciò le mani dietro la schiena e prese a tormentarsi le dita con fare nervoso.

«Sei tornata ad essere molto silenziosa» constatò l'altro con ostentata calma, incrociando le braccia al petto.

«Sì, anche se l'ho proposto io ho poi sentito il peso della cosa.»

«Se non te la senti posso...»

«No, non è questo, posso farlo» si affrettò a rispondergli, adombrandosi. «devo riuscirci.»

D'improvviso, senti una mano posarsi sulla spalla e si voltò di scatto, colma di sorpresa. Gaara strinse leggermente la presa e, per un attimo, percepì il cuore perdere un battito. Non smise di torturarsi le mani, ma riuscì a mantenere il contatto visivo

«Non farti influenzare dalla paura di sbagliare, so che ci stai pensando» disse poi, la voce ferma. «non darle potere.»

Kimiko annuì piano con il capo, la bocca leggermente dischiusa, e il ragazzo fece ricadere la mano. La tortura a danno delle dita cessò di colpo e le strinse con forza in una stretta morsa, ma il cuore ancora correva e pulsava sonoro sotto la gabbia toracica, animato da un'agitazione diversa dalla precedente. Gli impose allora di calmarsi e, ricordando lo stratagemma che Gaara adoperava quando era sotto pressione, convogliò il chakra all'altezza del petto, sentendo il battito diminuire.

«Mi dispiace, per prima» disse infine, sciogliendo finalmente il vincolo delle falangi. Arricciò il naso e si strofinò la guancia con la punta dell'indice e Gaara la osservò perplesso. «ti ho messo a disagio, non volevo.»

«No, non preoccuparti» tentò di tranquillizzarla, assumendo un sorriso che avrebbe voluto essere rassicurante, ma che faceva ancora trasparire un certo imbarazzo.

«Eh, sì, invece. Volevo colpire Aki lì dove fa più male, mi sono fatta prendere la mano.» Un dubbio, però, le balenò nella mente: si sentì gelare di colpo, come se nelle vene fluissero innumerevoli aghi appuntiti. «Ci stavi forse ripensando?»

Gaara fece cadere quel lieve sorriso che gli era andato ad arricciare le labbra e si adombrò appena. Ad un simile cambio d'umore, sentì come se i polmoni stessero collassando, l'aria faticò ad entrare nel petto. Strinse con forza il pugno lungo il fianco, maledicendosi per non essersi saputa controllare.

«No, non ci stavo ripensando» rispose infine, scuotendo il capo. Guardò con insistenza il suolo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni bordeaux e facendo tintinnare appena le sottili catene che tenevano la piccola giara appesa alla cintura. «non lo faccio mai, e perché dovrei? È successo e non posso cambiare il passato, né tanto meno posso biasimarla.»

Si sentì sollevata al pensiero di non aver riportato in auge tristi ricordi e sospirò appena. Per quanto Gaara avesse sempre sostenuto di non essere stato toccato dalla cosa, quel fortissimo senso di rammarico continuava ad albergare nella parte più remota del suo animo e a corroderla dolorosamente, anche a distanza di anni: era un ragazzo di buon cuore, non lo aveva meritato.

 

   
 
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