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Autore: Dslock01    28/06/2021    0 recensioni
Maya ha appena dodici anni quando, dopo aver perso il padre in un incidente d’auto, viene inviata dalla madre in un misterioso luogo che i suoi abitanti chiamano Santuario.
È lì che Maya scopre che sua madre, prima della sua nascita, è stata una grande Maestra delle Arti Mistiche, persone dalle capacità straordinarie che proteggono l’universo dalle minacce provenienti dalle altre dimensioni.
Comincia così un lungo addestramento che, dieci anni dopo, la porterà a divenire una potente Maestra.
Tuttavia, dopo la misteriosa scomparsa degli Avengers e, di conseguenza, del suo maestro, Maya si ritroverà da sola a gestire una nuova minaccia proveniente dall’universo: Vither.
Vither, braccio destro di Thanos, è sopravvissuta alla distruzione della forma fisica delle Gemme dell’Infinito e ora si sta dirigendo verso la Terra per recuperare le reincarnazioni viventi delle Gemme, dei bambini di appena sei anni.
Riuscirà Maya, insieme ai compagni che è riuscita a reclutare, a fermare Vither?
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Agente Maria Hill, Altri, Doctor Stephen Strange, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16 luglio 2046, 2:00 A.M.,
177A Bleecker Street,
New York City.


Il pianto di Vither la svegliò nel cuore della notte.

Maya sbuffò seccata e si mise seduta.

Le lenzuola caddero in avanti, scoprendole il petto nudo.

Strofinandosi un occhio, la giovane afferrò il baby monitor sistemato sul comodino e diede un’occhiata allo schermo: Vither si era svegliata e piangeva a squarciagola.

“Probabilmente ha avuto un incubo”, rifletté. “Aveva cominciato a dormire per più di quattro ore a notte prima di svegliarsi”.

Cooper si rigirò nel sonno, sistemandosi a pancia in giù sul materasso.

Facendo attenzione a non svegliare il compagno, Maya scivolò fuori dal letto e indossò la vestaglia azzurra sistemata accanto alla porta.

Si strinse il nodo intorno alla vita e si inoltrò nel corridoio in punta di piedi.

Ora che Vither aveva compiuto sette mesi, gli abitanti del Santuario avevano deciso, di comune accordo, di trasferirla in una camera tutta sua.

«In questo modo», le aveva detto Joy, «tutti gli abitanti del Santuario avranno la possibilità di raggiungere la sua stanzetta e consolarla. Inoltre, tu avrai la tua intimità con Cooper. In fondo, state insieme da pochi mesi e vorrete godervi il vostro tempo insieme.»

Maya aveva deciso di fare una prova e, per quanto le mancasse avere la piccola Vither accanto a sé, doveva ammettere che quel metodo si stava rivelando davvero efficace.

Raggiunse la porta della cameretta di Vither ed entrò.

«Ehi, piccolina, tutto bene?», domandò, sollevando la bambina fra le braccia. «Di solito mi svegli più tardi. Hai avuto un incubo?»

Vither continuò a singhiozzare mentre Maya la cullava, tentando di calmarla.

Poco dopo, quando ebbe la bambina smise di piangere, la giovane Maestra si accomodò sulla sedia a dondolo che Joy aveva sistemato accanto alla finestra che dava sul cortile.

«Vediamo di darti da mangiare, Vither, così posso tornare a letto», mormorò, soffocando uno sbadiglio.

Afferrò lo Sling Ring che portava agganciato al collo e lo utilizzò per evocare un piccolo portale arancione che dava sulla cucina.

Infilò il braccio al suo interno e recuperò uno dei biberon pieni di latte, tenuti sempre pronti nella dispensa.

Ritrasse il braccio e, dopo aver riscaldato rapidamente il latte sussurrando un incantesimo, avvicinò la bottiglietta alle labbra della bimba.

Subito, Vither prese a poppare con voracità, afferrando il biberon con le manine.

Nel giro di qualche minuto, tutto il latte era scomparso.

«Certo che avevi fame, eh?», le domandò con una risata, sistemando la piccola sulla spalla per farle fare il ruttino.

Concluso, riprese a cullarla, cercando di farle riprendere sonno.

Infine, quando si fu assopita, Maya si alzò e sistemò la piccola nel suo lettino, coprendola con il lenzuolo rosso fuoco.

Sorrise, regalandole un’ultima carezza sulla testolina, coperta ormai da una folta peluria bianca che Magda aveva preso l’abitudine di sistemarle in due piccoli codini.

Silenziosa, uscì dalla camera e si chiuse la porta alle spalle, in modo che la bambina potesse riposare tranquilla.

Raggiunse la sua camera e si risistemò sotto le lenzuola dopo essersi liberata dalla vestaglia.

Cooper borbottò qualcosa e si voltò su un fianco, avvolgendo le proprie braccia intorno al bacino di Maya.

L’avvicinò a sé e la strinse, infilando il volto nell’incavo della sua spalla.

«Si è tranquillizzata?», le domandò, la voce impastata di sonno.

«Sì, aveva solo un po’ di fame.»

L’uomo assentì mentre l’ennesimo sbadiglio coglieva Maya.

«Se desideri, la prossima volta posso alzarmi io. Sai che non mi pesa.»

«Ti ringrazio», sorrise lei. «Sono solo molto stanca. Ieri notte Magda ha dato di matto e non si è addormentata prima che l’alba sorgesse.»

Infatti, dal momento in cui Magda era ritornata da Pyrus, era tormentata da continui incubi che la tenevano sveglia.

Per di più, il continuo altalenare dei suoi sentimenti aveva portato a continui scoppi di energia che avevano costretto i Maestri del Santuario, a turno, a trascorrere la notte al fianco della donna, in modo che la situazione non degenerasse.

«Chi controlla Magda, oggi?», le domandò Cooper, riportandola al presente.

«Valk», rispose. «In questo modo, possono tenersi compagnia a vicenda. Ultimamente, anche lui ha qualche difficoltà nell’addormentarsi.»

Terminato il suo compito di guardiano di Tanar, Valk aveva deciso di restare un altro po’ sulla Terra, in modo da studiare più approfonditamente i costumi e le tradizioni del pianeta.

In realtà, Maya sospettava che Valk avesse paura di tornare sul suo pianeta e raccontare al Consiglio dei Saggi ciò che era capitato in quei mesi.

Tuttavia, Valk era un suo grande amico e non gli avrebbe mai intimato di lasciare il Santuario, specialmente dopo essersi proposto di fare compagnia a Magda durante le sue notte insonni.

Cooper la strinse più forte a sé.

«Che ne dici di tornare a dormire?», s’informò. «Sto morendo di sonno.»

Maya sorrise e si voltò a fronteggiarlo, appoggiando la propria fronte contro quella di lui.

«Grazie», mormorò, stampandogli un rapido bacio sulle labbra. «Grazie, di tutto.»

Cooper sorrise, intenerito.

«Per cosa?», replicò. «Se non fosse stato per te, non sarei mai stato in grado di rivedere mio padre. Sono io che dovrei ringraziarti.»

Maya sorrise, prima che Cooper le si avvicinasse e posasse le proprie labbra sulle sue.

La giovane Maestra avvertì il cuore accelerare i propri battiti e chiuse gli occhi, godendosi quel momento.

Sì, la sua vita poteva essere colma di ostacoli e difficoltà, ma non l’avrebbe mai cambiata con nulla al mondo.



* * *



21 luglio 2046, 8:00 P.M.,
Brooklyn,
New York City.


Deborah osservò il bambino riposare tranquillo nella sua culla.

Sorrise intenerita quando Kevin contrasse il volto nel sonno e si portò il pollice alle labbra.

«Certo che è davvero carino, non trovi?», le domandò Athena, avvicinandosi alla culla.

L’erpetologa assentì, la mano bionica premuta sulla spalletta della culla.

«La prossima volta che tuo padre viene a trovarci, gradirei che non lo portasse con sé su quell’astronave di matti. Quel procione non me la racconta giusta», replicò Deborah, sollevando lo sguardo sulla moglie.

Grazie all’intervento di Pepper e Maria Hill, il bambino era stato affidato loro in tempo record: in fin dei conti, Athena e Deborah erano state vitali per la salvezza dell’universo e lo Stato aveva voluto ringraziarle.

La storia di Kevin non aveva fatto che accelerare il suo affidamento alle due donne: sua madre era deceduta a causa di un cancro appena dopo averlo partorito e il padre, agente della S.H.I.E.L.D., era caduto nella battaglia contro Vither.

Athena accennò una breve risata, riportando Deborah al presente.

«Non dovresti dubitare di Rocket. Quel procione ha aiutato nel salvataggio dell’universo e si è rivelato un vero e proprio padre per Groot, sai? Lui e mio padre sono molto amici e non mi dispiace affatto che Kevin li conosca. Specialmente ora che hanno deciso di trascorrere un po’ di tempo sulla Terra.»

«Lo so, ma desidero che Kevin abbia un’infanzia il più normale possibile e, detto fra noi, i Guardiani della Galassia non si possono considerare esattamente “normali”.»

«Anch’io sono cresciuta con loro e ti assicuro che la mia infanzia è stata molto felice. Inoltre, nessuno dei nostri amici può essere considerato “normale”. Desideri forse tenere Kevin lontano dagli Avengers del N.A.P.?»

«No, certo che no!», smentì Deborah di scatto, richiamando alla mente le immagini dei restanti componenti del New Avengers Project, il nome che Maria Hill aveva dato al nuovo gruppo di Avengers che avevano sconfitto Vither.

“In questo modo”, aveva comunicato loro la direttrice della S.H.I.E.L.D., durante l’ultima riunione da lei indetta, “in caso di una nuova minaccia o di una possibile scomparsa da parte degli Avengers appena ritornati, saprò a chi rivolgermi.”

Kevin aprì gli occhi e scoppiò in lacrime.

Subito, Athena si piegò sulla culla e raccolse il bambino fra le braccia, nel tentativo di calmarlo.

«Credo che abbia bisogno di un cambio di pannolino», mormorò, quando la puzza le giunse alle narici. «Non preoccuparti, ci penso io. Tu comincia a preparare la cena, per favore, sto morendo di fame.»

Deborah assentì e, dopo averla ringraziata, si diresse di buon passo verso la cucina.

Pensò di preparare una veloce omelette, quando udì la voce di Perceus chiamare lei e Athena dal piano di sopra.

«Ehi, Perceus, cosa succede?», domandò, raggiungendo l’uomo.

Malgrado fossero gemelli, Athena e Perceus era piuttosto diversi.

Mentre la prima possedeva lunghi capelli biondi, occhi azzurro cielo e tratti del volto e del corpo molto simili a quelli di Thor, il secondo presentava corte ciocche rosse, occhi verdi e un aspetto decisamente pingue per essere il figlio di una divinità.

«Io e la mamma volevamo sapere se ci raggiungerete per la cena», l’invitò Perceus, risistemandosi gli occhiali dalla montatura nera scivolati sulla punta del naso. «Mia madre ha preparato le lasagne.»

Deborah assentì con l’acquolina alla bocca.

Jane era estremamente portata nella cucina, specialmente ora che aveva il tempo di sperimentare grazie al pensionamento.

«Accetto con piacere e sono certo che Athena sarà felice almeno quanto me», gli confermò.

Perseus annuì e lasciò che Deborah tornasse al piano di sotto per avvertire Athena.

Poco dopo, Athena e Deborah tornarono al piano superiore, portando Kevin fra le braccia, ora addormentato.

«Perché non l’avete lasciato al piano di sotto?», domandò Perseus, osservando il piccolo dormiente, la testolina posata sul petto di Athena.

«È stato una mia idea», gli spiegò la sorella.

Raggiunse il seggiolino sistemato accanto alla poltrona su cui sua madre era solita accomodarsi nei momenti in cui si prendeva cura del suo nipotino, quando entrambe erano a lavoro.

«Ho paura che possa svegliarsi mentre stiamo cenando e scoppi in lacrime non vedendoci lì con lui.»

Il suo gemello scoppiò a ridere, fulminato immediatamente da un’occhiataccia di Jane.

«E pensare che prima di adottarlo eri tu che dicevi di non volerlo viziare troppo.»

«Questo non è viziare», lo rimproverò la madre, passandosi una mano fra i capelli sale e pepe, «Kevin ha appena cinque mesi e necessita di cure. Alla sua età, tu piangevi non appena mi allontanavo da te.»

Perceus tacque, rosso in volto per la vergogna.

Deborah ridacchiò, divertita.

Athena sistemò il bambino dormiente nel seggiolino, lo assicurò con le cinghie e, successivamente, lo coprì con una leggera coperta giallo limone.

Kevin continuò a riposare, la bocca tutta gengive leggermente socchiusa.

«Venite a mangiare, forza», le invitò Jane, servendo due grosse porzioni di lasagna nei piatti di Athena e Deborah.

«Mamma, non è troppo?», domandò l’agente della S.H.I.E.L.D., scrutando la sua razione di cibo.

«Non dire sciocchezze, Athen!. Avete bisogno di energia per prendervi cura del mio nipotino.»

L’immagine della sua famiglia si fece largo nella mente di Deborah: sua madre intenta ai fornelli, suo padre sprofondato nel divano di fronte al televisore, suo fratello intento a studiare matematica piegato sui libri…

Chissà come stavano?

Erano anni che non aveva loro notizie.

Si domandò se fosse ancora possibile recuperare il loro rapporto.

In fondo, Kevin era anche loro nipote.

“Sì”, decise, “Domani cercherò i loro contatti e tenterò di comunicherò loro che Raptor non è più un problema. Inoltre, scommetto che vorranno incontrare Kevin.”

«Cosa succede, cara, non hai fame?», le domandò Jane, risvegliandola dai suoi pensieri. «Non hai toccato nulla.»

La giovane si riscosse e affondò la forchetta nella lasagna, portandosene una generosa quantità alla bocca.

Ingoiò il boccone e le sorrise, riconoscente.

«È buonissima, Jane», la gratificò. «Ero solo persa nei miei pensieri.»

Jane le restituì il gesto e ricominciò a mangiare, rivolgendo a Perceus una domanda riguardante il turno di lavoro dell’indomani per accordarsi sul pranzo.

Deborah percepì una piacevole sensazione di calore propagarsi nel suo petto: quella era davvero la felicità.

Una famiglia che teneva a lei, un nuovo lavoro che adorava, una compagna che l’amava e un bambino da crescere insieme.

Sì, la sua vita era decisamente completa.



* * *



25 luglio 2046, 7:00 P.M.,
New Asgard,
Scozia.


«Ottimo lavoro, Connor», si complimentò Valchiria, sorridendo soddisfatta. «La pesca è stata davvero fruttuosa oggi.»

Il ragazzo la ringraziò con un cenno del capo, osservando le reti da pesca ricolme di ogni tipo di frutto di mare: pesci spatola, merluzzi, tonni, polpi e persino alcuni pesci gatto proveniente da uno dei fiumi vicini.

«Di questo passo, avremo i soldi necessari per comprare e addestrare altri cavalli e forgiare delle nuove spade. La battaglia contro Vither ci ha colto davvero alla sprovvista e abbiamo perso più cavalli e armi di quanto mi aspettassi», continuò la regina.

Malgrado indossasse la salopette di gomma verde e gli stivali al ginocchio, l’aura da generale non l’aveva affatto abbandonata.

Connor, invece, privato dei suoi abiti di cuoio rinforzato, il pettorale dell’armatura e la sua spada, si sentiva davvero fuori luogo.

Paige attraversò la passerella e si affiancò ai due, lo sguardo fisso sulle reti da pesca.

«Paige», la chiamò Valchiria, sorridendole cordiale. «Connor mi ha raccontato che ti sei unito alla sua ciurma di pescatori. Penso tu abbia portato fortuna alla “Lady Sif”.»

La ragazza scoppiò a ridere e Connor la imitò, sinceramente divertito.

La regina di New Asgard aggrottò le sopracciglia, confusa.

Cosa aveva detto di così divertente?

«Perdonaci, Valchiria. Non è stato a causa delle tue parole, ma devi sapere che è grazie a Paige se siamo riusciti a pescare così tanto: ha utilizzato i suoi poteri per stordire i pesci, in modo che non potessero sfuggire dalla rete», le spiegò Connor.

Valchiria soppesò le parole dell’uomo, palleggiando il suo sguardo fra i due.

Infine, rivolse tutta la sua attenzione su Paige.

«In questo caso, ti ringrazio per l’aiuto. Di questo passo, la Lady Sif diverrà il nostro peschereccio più fruttuoso.»

Paige la ringraziò con un cenno del capo.

«Valchiria!», chiamò uno dei pescatori della Warrior, uno dei pescherecci più piccoli di New Asgard. «Ivar e i suoi sono rimasti bloccati al largo. Sembra che abbiamo terminato il carburante prima del dovuto.»

«Arrivo. Comunica a Ivar che sarò lì a breve.»

Si congedò da Connor e Paige e si diresse verso le stalle, raggiungendo il suo stallone alato.

Malgrado avessero potuto raggiungere il peschereccio via mare, utilizzare il pegaso era decisamente più veloce e comodo.

Pochi minuti dopo, gli abitanti di New Asgard osservarono il pegaso candido spiccare il volo con Valchiria in groppa.

Il cavallo alato raggiunse la Warrior e, dopo che Valchiria si fu informata sulla posizione del peschereccio di Ivar e fissate alle sacche da sella due taniche di benzina, partì a tutta velocità verso nord.

Connor e Paige la seguirono con lo sguardo finché non fu scomparsa all’orizzonte.

«Che ne dici di tornare a casa? La Lady Sif per oggi ha finito e non resta che scaricare il pesce», propose Connor.

La ragazza acconsentì e i due raggiunsero rapidi la piccola abitazione di Connor, una delle tipiche case dalla struttura esile tinta di verde e dal tetto spiovente.

«Casa, dolce casa», pronunciò il ragazzo, sfilandosi gli stivali di gomma e l’impermeabile giallo. «Sono davvero esausto. Tu, no?»

Paige sistemò i propri stivali nella scarpiera posizionata accanto all’ingresso e lasciò l’anta aperta, in attesa che Connor la imitasse.

Il ragazzo sorrise fra sé e sé.

In seguito alla battaglia in cui avevano sconfitto Vither, la loro conoscenza si era evoluta in una vera e propria relazione che stava procedendo a gonfie vele.

Paige aveva portato con sé non solo l’amore, ma anche una buona quantità di nuove abitudini.

La scarpiera era solo una di quelle, dal momento che la giovane si era rivelata una vera e propria maniaca dell’ordine.

Connor infilò gli stivali nella scarpiera e sistemò l’impermeabile all’attaccapanni, muovendosi poi verso il salone.

«Qualche idea per la cena?», domandò.

Paige lo raggiunse e compose una frase nel linguaggio che aveva ideato con Greyson.

“Mi dispiace, ma non posso restare stasera. Ho promesso a Greyson di cenare con lui.”

Connor annuì, comprensivo.

Negli ultimi mesi, Greyson si era avvicinato molto a una ragazza di Detroit che aveva salvato da un potenziale stupro.

Da quel giorno, tra Greyson e Jessica vi era stato un continuo tira e molla e quella sera, per l’ennesima volta, la ragazza aveva dato buca all’eroe di Detroit.

«Allora ti lascio andare, ma, a questo punto, credo che Greyson dovrebbe mollarla. Dovrebbe aver compreso che Jessica non ha alcuna intenzione di avere una relazione seria con lui.»

Paige recuperò dalla cintura il piccolo Sling Ring che Maya le aveva donato.

«Questo Sling Ring è speciale», le aveva spiegato la Maestra delle Arti Mistiche. «Non ha bisogno di alcun addestramento magico per essere utilizzato, ma conduce soltanto a un’unica destinazione. L’ho creato apposta per te: ti basterà indossarlo, disegnare un portale ed esso ti condurrà a New Asgard o a Detroit in base ai tuoi pensieri.»

Allora, Paige l’aveva abbracciata per ringraziarla del magnifico regalo.

La ragazza sollevò una mano e disegnò rapida un portale d’energia verde.

Si voltò verso Connor e depositò un leggero bacio sulle sue labbra prima di sparire all’interno del portale, diretta a Detroit.

Giunta al suo appartamento, la ragazza trovò Greyson accomodato sul divano in canottiera e pantaloncini, un barattolo di gelato al cioccolato stretto fra le mani.

Alla televisione stavano trasmettendo un reality show che Paige considerò subito di pessimo gusto.

«Paige», la salutò il ragazzo, infilandosi in bocca l’ennesimo cucchiaio di gelato. «Sei già qui? Credevo saresti rimasta a New Asgard ancora un po’!»

La donna sospirò e lo raggiunse, togliendogli la confezione di gelato dalle mani.

«Ehi! Che fai?», la rimproverò con fastidio, tendendo le mani verso di lei per recuperare il barattolo.

“Ti rendi conto di come ti sei ridotto, Greyson?”, compose Paige con la mano libera. “Questo soltanto perché Jessica ti ha dato buca?”

Greyson abbassò lo sguardo al pavimento e assottigliò le labbra, irritato.

«Ha avuto un imprevisto e non poteva davvero incontrarmi», la giustificò, poco convinto.

“Non mentire, Greyson. Jessica ha avuto imprevisti per gli ultimi due appuntamenti e quando vi incontrate non fate altro che litigare. Credo che anche tu abbia compreso che la vostra relazione è tossica per entrambi.”

Il ragazzo si morse le labbra con forza, addolorato.

«Sono ben consapevole che il nostro rapporto è tossico», replicò con voce tremante.

“Allora perché non tronchi i rapporti con lei?”

Greyson sollevò lo sguardo e Paige notò, con un nodo alla gola, che gli occhi dell’amico erano lucidi di lacrime.

«Perché non ho ancora lasciato Jessica, mi chiedi? La risposta è molto semplice: mi sento solo. Dal momento in cui tu e Connor vi siete messi insieme, passi molto tempo in sua compagnia. Mi manca molto il tempo che trascorrevamo insieme. Inoltre, papà ha cominciato a stare male e sua nipote non vuole neppure farmi avvicinare al suo ospedale.»

Una lacrima rigò il volto di Paige che subito lo raggiunse e lo cinse in uno stretto abbraccio.

L’uomo la strinse a sé e si sciolse in lacrime, dando sfogo a tutti i suoi sentimenti.

Paige non ebbe bisogno di comporre alcuna parola.

Si erano ritrovati molte volte in quella situazione e quell’abbraccio stava parlando per entrambi: nonostante non fossero fratelli di sangue, lo erano certamente nel cuore.

Lei ci sarebbe sempre stata per lui e lui ci sarebbe sempre stato per lei.

Qualsiasi cosa accadesse.

Quando si staccarono, Greyson asciugò le lacrime passandosi la mano sugli occhi e accennò un piccolo sorriso malinconico.

«Domani andrò a casa di Jessica e taglierò i ponti con lei. Poi, raggiungerò l’ospedale di papà: costi quel che costi, devo essere presente durante i suoi ultimi giorni di vita. Sento che glielo devo…»

Paige cercò di restituirgli il sorriso e, con mani tremanti d’emozione, compose: “Verrò con te.”

Perché era questo che faceva una famiglia: restare unita, nel bene e nel male.



* * *



25 luglio 2046, 7:30 P.M.,
Stark Industries - Sede principale,
New York City.


Victor sollevò lo sguardo al cielo, osservando la splendida torre che sua madre e Maria Hill avevano fatto costruire.

I lavori, sollecitati dalla S.H.I.E.L.D., erano stati completati in sette mesi precisi ed era pronta a entrare in funzione.

Come specificato nel progetto originale, la torre sarebbe servita come nuovo quartier generale degli Avengers e del neonato N.A.P., progetto di cui Maria Hill andava molto orgogliosa.

Infatti, come Nick Fury molti anni prima, l’attuale direttrice della S.H.I.E.L.D. aveva proceduto con l’ufficializzare il progetto chiamato New Avengers Project e dedicare loro alcuni piani della nuova torre.

Inoltre, la maggior parte di coloro che avevano lottato contro Vither avevano dato a Maria Hill la loro piena disponibilità: in caso di minaccia o pericolo, il N.A.P. sarebbe intervenuto.

Per il bene della Terra e dei suoi abitanti.

Victor abbassò lo sguardo sui piani inferiori della torre, dove sarebbero stati sistemati i laboratori di ricerca.

Iron Man sapeva che, fra i loro progetti, vi era la localizzazione del Figlio dell’Infinito.

Dopo aver pronunciato il suo ultimo discorso, il ragazzino era davvero scomparso e, da quel momento, si erano perse del tutto le sue tracce.

Persino gli abitanti di Wakanda, con la loro tecnologia avanzata e la geniale mente di Shuri concentrata sulla ricerca, non aveva ancora ottenuto alcun risultato.

“Scommetto che nessuno troverà il Figlio dell’Infinito se lui non vorrà farsi trovare”, rifletté il giovane, accarezzandosi il pizzetto scuro, striato da alcuni peli rossi. “Ho conosciuto Velia e, se quel ragazzino ha solo la metà delle sua caparbietà, allora non lo troveranno mai.”

«Victor!», lo chiamò la familiare voce di sua sorella. «Dove sei?»

«Qui, accanto alla vetrata.»

Morgan lo raggiunse con poche falcate, affiancandolo all’enorme vetrata che separava la Stark Tower dall’esterno.

«Cosa stavi guardando?», gli domandò la sorella, curiosa.

Victor notò che indossava ancora il sobrio completo nelle tonalità del grigio che portava ogni giorno in ufficio.

Evidentemente, Morgan era appena uscita da una riunione.

«Osservavo la nuova torre degli Avengers», le rispose, sincero. «Mi domandavo se, ora che tutti gli Avengers, sia i vecchi che i nuovi, sono riuniti, riusciremo a restare uniti. Non vorrei mai che si avesse una nuova Civil War. Pensa a cosa accadrebbe se si scatenasse una guerra fra noi ora che gli Avengers sono così tanti: vittime, danni, una nuova scissione...»

«Calma, fratellino, non credi di correre troppo?», lo interruppe Morgan, trattenendo una risata. «Non credo proprio che si scatenerà una nuova Civil War. Maria Hill e il suo pugno di ferro non lo permetteranno. Inoltre, credo che tutti gli Avengers siano impegnati in ben altre cose, come rifarsi una vita dopo essere stati confinati sei anni in una dimensione parallela, per esempio.»

Victor sollevò gli occhi al cielo, infastidito dall’ironia della sorella di fronte a una questione così rilevante.

«Ma se accadesse, cosa farebbe la S.H.I.E.L.D. a fermare un intero esercito come i Maestri delle Arti Mistiche o gli Asgardiani?», insistette.

Morgan scoppiò a ridergli in faccia.

«Tu credi che Valchiria e Connor permetterebbero agli Asgardiani di ammutinarsi? Senza dire che, per quanto possa starmi antipatica, Maya non è certo una guerrafondaia e lo stesso vale per Joy. Stammi a sentire, ti stai preoccupando inutilmente.»

«Tu prendi tutto con leggerezza», la rimproverò il fratello.

«E tu ti preoccupi per un nonnulla.»

«Possibile che non riusciate a discutere senza punzecchiarvi a vicenda?», intervenne Pepper, entrata nella stanza nel frattempo.

«È colpa di Victor, non fa altro che preoccuparsi per cose inutili», tentò di spiegarle Morgan, prima che Pepper la interrompesse con un cenno della mano.

«Non voglio sapere nulla. Mi piacerebbe soltanto che voi due andaste d’accordo per una sera. Potete farlo per me? Vorrei consumare una cena tranquilla con i miei figli.»

Victor e Morgan si scambiarono un’occhiata, poi assentirono: per quella sera, avrebbero potuto andare d’accordo per il bene della madre.

«Ah, figliolo», lo richiamò allora Pepper. «Oggi ha chiamato Minus. Tu eri rinchiuso nel tuo laboratorio e gli ho chiesto di richiamare domani.»

Victor scosse lentamente il capo, esasperato.

In seguito alla battaglia contro l’esercito di Vither, il ragazzo si era convinto che solo addestrandosi ogni giorno avrebbe potuto migliorare le proprie capacità e i suoi poteri.

E, dopo essersi trasferito con la famiglia nella nuova torre, Minus aveva preso l’abitudine di rivolgersi a Victor per ottenere diverse tecnologie che lo aiutassero con il suo addestramento.

Tuttavia, il ragazzo aveva distrutto una grande quantità di macchinari che Victor non aveva ancora riparato.

«Non è nulla di preoccupante, mamma», la tranquillizzò con un sorriso. «Minus avrà rotto l’ennesima apparecchiatura.»

Un sorriso si aprì sulle labbra di Morgan.

«F.R.I.D.A.Y., apri il tetto», ordinò, mentre batteva una mano sull’orologio d’argento che portava al polso.

Subito, la sua nuova armatura nei toni dell’argento e del blu ricoprì il suo corpo.

«L’ultimo che arriva alla torre paga il conto!», esclamò divertita, attivando i propulsori per il volo.

Il tetto, una cupola di vetro, si ritirò in una manciata di secondi e Morgan scattò verso l’alto, dirigendosi verso l’Avengers Tower.

Madre e figlio accennarono a loro volta un sorriso prima di attivare le loro armature, rossa e oro per Victor e cobalto e argento dorato per Pepper.

Entrambi abbandonarono la Stark Tower, all’inseguimento di Morgan.

Ben presto il ragazzo superò sua madre e affiancò la sorella, dando vita a uno scontro testa a testa.

Pepper sorrise fra sé e sé.

Tony sarebbe stato senz’altro orgoglioso dei suoi figli.



* * *



5 Agosto 2046, 11.00 A.M.
???


Il Figlio dell’Infinito sorrise, sollevato.

Sette mesi erano trascorsi dalla sua partenza e la situazione sulla Terra e nell’universo procedeva a gonfie vele.

Malgrado i componenti del N.A.P. avessero sentito la sua mancanza, sembrava che tutti si stessero ricostruendo una vita.

La fusione delle Gemme dell’Infinito era solito osservare periodicamente i componenti del N.A.P., per accertarsi che le gentili persone che avevano recuperato e protetto a rischio della loro stessa vita le reincarnazioni delle Gemme stessero bene.

Per fortuna, dopo un iniziale periodo di ripresa, le vite di tutti sembravano aver ritrovato la tranquillità.

«Mio signore», lo chiamò una voce familiare. «Dovresti riposarti un po’. Sei rimasto in questa posizione per almeno quattro ore.»

Il Figlio dell’Infinito riaprì l’occhio, rivelando la sua iride cristallina.

Il suo corpo smise di brillare e si depose con dolcezza sull’erba, ai piedi del grande albero che aveva scelto quella mattina.

Subito, Soul lo raggiunse al galoppo e gli lappò la guancia con la lingua umida.

«Ti ringrazio, Gadha», sorrise alla donna di fronte a sé, accarezzando il muso del suo pony. «Avevo bisogno di accertarmi che sulla Terra tutto procedesse per il verso giusto. In fondo, saranno loro i futuri paladini del nostro universo.»

Gadha accennò un sorriso intenerito.

Nonostante quel ragazzino potesse essere considerato una delle creature più potenti dell’interno universo, riponeva le sue speranze in un gruppo di umani.

Certo, terrestri con capacità uniche, ma pur sempre mortali.

«Sbagli a pensare a loro come semplici mortali», la rimproverò bonariamente il Figlio dell’Infinito. «Da soli possono essere deboli, ma insieme hanno creato un’armata inarrestabile che è riuscita persino a fermare la tua Signora. I terrestri hanno i loro difetti, certo, ma possiedono una forza nascosta che viene dal cuore che li rendono nemici temibili.»

Gadha assentì, l’immagine di Joy fissa nella mente.

“Lui è davvero speciale” rifletté fra sé e sé. “Spero di rivederlo, un giorno.”

Tuttavia, non sapeva spiegarsi cosa lo rendesse così speciale.

Era una sensazione a pelle, che nasceva dal suo istinto…

Il suo stomaco gorgogliò, annunciandole che era giunta l’ora di mettere qualcosa sotto i denti.

Il Figlio dell’Infinito accennò una risata e si rialzò, dirigendosi verso la capanna di roccia che avevano scelto come dimora, seguito a breve da Soul.

Quel pianeta verde si era rivelato una vera manna dal cielo: ricco di frutti, abitato da poche creature e con un clima simile a quello terrestre.

Un luogo idilliaco su cui trascorrere il resto della vita in pace e armonia con la natura.

Sì, Gadha si considerò davvero fortunata: dopo aver tanto penato, aveva finalmente trovato la sua felicità a fianco del Figlio dell’Infinito.



Angolo dell'Autore:
Salve e benvenuti all'epilogo del N.A.P.!
Lo so, avevo detto che avrei pubblicato ogni tre giorni tre capitoli, ma ho dovuto anticipare la pubblicazione degli ultimi capitoli a causa di impegni personali che mi terranno impegnata nei prossimi mesi.
Spero non vi dispiaccia avere a vostra completa disposizione l'intera storia!
Detto questo, il progetto del N.A.P. vi è piaciuto, sentitemi liberi di lasciare una recensione, che positiva o negativa che sia: mi piacerebbe molto conoscere cosa ne pensate di questa storia.
Detto questo, vi ringrazio immensamente per essere arrivati fin qui!
A presto!

   
 
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