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Autore: denna    28/06/2021    1 recensioni
Dopo essere sopravvissuti alla Meteorfall e aver salvato il pianeta, i nostri eroi dovranno fronteggiare una nuova terribile sfida contro un avversario mai affrontato prima: una vita normale.
Prima fanfiction ambientata nello straordinario universo di Final Fantasy VII, spero di coinvolgervi in una piacevole lettura.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Cloud Strife, Tifa Lockheart
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: FFVII, Advent Children
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Buonasera, ecco qui il capitolo finale! Spero che vi piaccia e che in generale vi sia piaciuta tutta la storia.
Per l'ultima volta, buona lettura ;) .

Epilogo

«Oh mio dio! Tutto bene?»

«Sembra che sia svenuto… alziamogli le gambe!»

«Ma quanto pesano??»

«Falso magro… me lo porterei a casa lo stesso.»

Il capannello di persone si allargò; un altro uomo si unì al primo volenteroso che stava sorreggendo le gambe del ragazzo steso a terra.

«Ma che gli è successo?»

«L’ho visto che scendeva dalla moto… poi ha iniziato ad ansimare come se avesse corso la maratona ed è crollato.» commentò un anziano. 

«Aveva una faccia… sembrava davvero sconvolto!»

«Secondo me potrebbe essere un drogato! Dobbiamo chiamare la polizia!» proruppe una signora.

Finalmente, Cloud riaprì gli occhi; cercò di alzarsi di scatto, ma varie mani lo bloccarono.

«Vacci piano, ragazzo.» lo ammonì uno degli uomini. Cloud non lo ascoltò e si rimise in piedi, guardandosi intorno in cerca della moto. Non riusciva a capire cosa fosse successo.

«Mi… hanno aggredito?» mormorò, disorientato.

«No, sei caduto da solo come un sacco vuoto.» rispose uno dei passanti.

Improvvisamente tutti gli eventi della giornata gli tornarono in mente.

«Marlene!!» gridò, saltando in sella e partendo di gran carriera.

Gli astanti lo guardarono, confusi, poi ognuno di loro tornò a farsi gli affari propri. Cloud sfrecciò tra i quartieri di Edge senza una meta precisa, cercando disperatamente di individuare la piccola figura in abito rosa in mezzo al marasma della città.

“Ogni momento che passa si allontana di più… dov’è finita?!? Non posso perderla, non posso!!”

“L’avranno rapita? Qualcuno che vuole farmela pagare… ma non mi hanno chiesto un riscatto, non mi hanno contattato… forse vogliono ucciderla e basta!!”

“Non ho guardato nei tombini, forse dovrei tornare al mercato e scendere nelle fogne…”

“Con che faccia tornerò a casa senza di lei?? Tifa e Barret mi uccideranno… Tifa mi lascerà!!”

“Dovrei chiedere aiuto? Ma a chi… andare alla polizia forse? Lo sapevo che non ero pronto a fare il genitore!!!”

Continuò le ricerche per qualche tempo, guardando in continuazione il sole che iniziava a scendere sull’orizzonte, terrorizzato che il suo telefono potesse squillare.

Quando squillò, rischiò di finire fuori strada; inchiodò, spaventando alcuni passanti, e tirò fuori il cellulare, rispondendo senza neanche vedere chi fosse.

«Chi è??»

«Puoi chiamarmi “il tuo salvatore”, oppure “mio eroe”, ma di solito mi conosci come Andrea Rhodea.»

«Andrea, non ho tempo per le tue cazzate!!» berciò Cloud, evitando per un pelo di stritolare il telefono dalla rabbia.

«Hai tutto il tempo che vuoi invece… mi risulta che tu abbia perso una certa… Medine?»

«MARLENE!! Cosa sai?!» gridò il ragazzo, attirando dei commenti infastiditi dalla gente che passava.

«So che è molto sveglia, per la sua età. E che si accompagnava a un certo biondo, sbadato ma molto sexy…» 

«Piantala!! È una cosa seria!! Non so dov’è, potrebbe essere morta!! Se sai qualcosa, dimmelo, o lasciami stare!»

Dall’altra parte del telefono, una vocina rispose:

«Cloud? Sei tu? Sto bene, sono al… al… come si chiama? È difficile!»

«Honeybee Inn, my dear

«Devi cambiare nome, è troppo complicato!»

«Marlene!!! Stai bene! Come è… arrivo! Non ti muovere più di lì!! Arrivo! Non farla muovere da lì!!»

«Sarò certamente più bravo di te in questo…» commentò l’entertainer.

“Non lo posso ammazzare subito… ma lo farò. Dopo.” pensò Cloud, mentre attaccava e ripartiva a tutto gas. 

Pedoni, auto e moto gli cedevano il passo, allontanandosi in fretta dalla traiettoria di Fenrir e lanciandogli qualche insulto, mentre sfrecciava a velocità allarmante per le vie della città.

Arrivò all’Honeybee Inn in tempo record, parcheggiò sgommando senza badare troppo ai segni lasciati dagli pneumatici o a quanti posti occupava. Saltò giù da Fenrir con un balzo e si precipitò all’interno, ignorando i clienti in fila e il saluto entusiasta del buttafuori.

Attraversò di corsa la hall, rischiando di travolgere un’apetta insieme al suo cliente.

«Ciao Cloudy!» salutò la ragazza, una volta ripresasi dallo spavento.

«Dov’è Andrea??» chiese subito Cloud, ignorando il saluto.

«Ti aspetta di sopra, nella sua stanza.»

«Ok… grazie!»

La ragazza ridacchiò, mentre Cloud scattava su per le scale e attraverso il pacchiano corridoio. Arrivò alla stanza di Andrea e spalancò la porta: l’entertainer era intento in un can can con tre apette e con Marlene, vestita con un piccolo costume da ape e con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Appena lo vide, gridò:

«Cloud!!» 

«MARLENE!!»

I due si corsero incontro e si abbracciarono. 

“Non morirò single con una pallottola in mezzo agli occhi!”

«Riesco a sentire le mie ovaie che si rompono…» sussurrò una delle ragazze.

«Le ho sentite anche io, contieniti.» bisbigliò Andrea.

«Ma è legale?»

Le altre due apette ridacchiarono, mentre osservavano la scena.

«Ciao anche a te, Cloud! Non c’è di che, Cloud!!» disse Andrea, alzando leggermente la voce per attirare l’attenzione del biondo.

«Ciao Cloud!» trillarono le tre apette, trasognate. Cloud li ignorò tutti e quattro e chiese a Marlene:

«Come hai fatto ad arrivare qui?? Dov’eri finita??»

«... quando mi lasci te lo racconto!» rispose la piccola.

Cloud trasalì.

“Oddio, mi ha abbracciato, la sto abbracciando!” 

«Si, scusa. Dimmi che è successo!!» disse, lasciandola andare.

Andrea si fece avanti e iniziò a declamare:

«È una storia incredibile, e naturalmente ho avuto un ruolo fondamentale! Tutto ha avuto inizio quando…»

«Non l’ho chiesto a te!» lo interruppe seccamente Cloud.

 

***

 

Qualche ora prima.

 

Spuntate tutte le voci della lista, i due tornarono soddisfatti verso la moto. Cloud portava la spesa in una grossa scatola, mentre Marlene lo seguiva, pregustando il gelato promesso.

Da un vicolo, non visto dal ragazzo, improvvisamente spuntò un piccolo gattino bianco, che si guardò intorno e iniziò a leccarsi una zampa.

“Ooooh che carino!!” pensò la bambina, avvicinandosi pian piano e tendendo una mano. Il felino la guardò per un momento con gli occhi sgranati, poi si rifugiò nel vicolo.

“Nooo! Torna qui!!” 

Marlene seguì il gattino, addentrandosi tra i due edifici, decisa a non farselo scappare. Si era nascosto sotto ad uno scatolone di cartone: cercò di sollevarlo con attenzione, ma il micio scappò di nuovo, velocissimo. Continuò a inseguirlo, svoltando un angolo e stando attenta a non calpestare alcuni sacchetti di rifiuti; il gattino raggiunse un cassonetto e ci si infilò sotto, sparendo in un lampo. La bambina cercò di seguirlo, ma non c’era abbastanza spazio per strisciare. Fece il giro e notò che nella parete del vicolo c’era un foro, grande abbastanza per farla passare; incuriosita, si fece coraggio ed entrò nell’apertura. Un coro di miagolii la accolse. La bambina rimase a bocca aperta: si trovava all’interno di un giardino, che a giudicare dalla flora incolta che lo popolava, doveva essere abbandonato. Decine e decine di gatti di ogni taglia e colore correvano per il prato, o si stiracchiavano sull’erba, mentre altri dormivano raggomitolati nei vasi vuoti. 

“Ooooh!! Ma quanti sono!!”

Marlene non credeva ai propri occhi: si avvicinò a uno dei gattini, sdraiato a poca distanza da lei. Il micetto si dimostrò molto amichevole, miagolando e alzandosi per strusciarsi sulle sue gambe. Altri si avvicinarono, curiosi, reclamando attenzioni e carezze; persino il gattino bianco si fece finalmente coccolare.

“Come vorrei avere qualcosa da mangiare per loro!” pensò, anche se sembravano tutti ben pasciuti. Accarezzò tutte le piccole teste pelose che riuscì a vedere; i micetti sembravano gradire le coccole, continuando a strusciarsi sulla bambina, facendo le fusa.

«Vorrei tanto portarvi tutti a casa con me!» disse la bambina, con una nota di rammarico nella voce.

“Magari posso provare a chiedere a Tifa e Cloud…”

«Cloud!!» esclamò di botto, facendo sussultare i gatti; alcuni di loro soffiarono perfino. Corse fuori dal giardino, ripercorrendo il vicolo fino a tornare sulla strada, ma di Cloud non c’era traccia.

Si guardò intorno, spaesata. Non c’era nemmeno la moto.

“È… andato via senza di me?”

Provò a fare qualche passo, ma non sapeva decidere in che direzione andare. Intorno a lei, persone sconosciute le passavano accanto con indifferenza, o al massimo osservandola brevemente prima di proseguire.

Le venne da piangere; si sedette con la schiena appoggiata alla parete di un edificio e nascose la testa tra le braccia.

“Voglio tornare da Tifa! Voglio tornare al Seventh Heaven!”

“Voglio il mio papà!”

Iniziò a singhiozzare. Riuscì a smettere solo dopo qualche minuto; sconsolata, alzò gli occhi pieni di lacrime. Le persone che camminavano per la strada sembravano tutte uguali. In lontananza, qualcosa di giallo si faceva largo tra la folla e i veicoli.

Si asciugò gli occhi e guardò meglio: era un chocobo, che trainava una delle diligenze che giravano per Edge.

“... Cloud e Tifa le usano, per tornare a casa…”

Senza pensarci, si alzò e corse verso la strada. Poco lontano riconobbe una fermata, ma ebbe paura del capannello di passeggeri che attendevano. Guardò il veicolo arrivare e fermarsi, lasciando scendere delle persone e facendone salire altre. Non riuscì a intrufolarsi all’interno prima che chiudessero le porte e la diligenza ripartì; all’ultimo momento notò, sul retro del veicolo, una ringhiera e un piccolo spazio dove avrebbe potuto appoggiare i piedi. Con una corsa e un salto riuscì ad aggrapparsi, mentre la diligenza acquistava velocità. Sorrise soddisfatta; ora avrebbe dovuto solo aspettare l’arrivo della fermata del Seventh Heaven.

Passarono svariati minuti e un paio di altre soste; le mani cominciavano a farle male e doveva abbassarsi spesso, per evitare di essere vista. Non riconosceva gli edifici intorno a lei, ma cercò di avere pazienza.

“Ma quanto ci mette?” pensò sospirando. Rimanere aggrappati alla ringhiera si stava rivelando più faticoso e meno divertente di quanto pensasse.

D’improvviso intorno a lei l’ambiente cambiò: c’erano molte più luci, ma colorate di rosso e di giallo. Anche le persone erano diverse e molte non avevano una bella faccia, sebbene molte di loro sembrassero allegre e ridessero sguaiatamente; si fece piccola piccola, cercando di non farsi notare. La diligenza si fermò, ma stavolta i passeggeri scesero tutti e nessuno salì. Marlene cercava di capire cosa stesse succedendo, quando un uomo con un cappello a falda larga, camminando intorno alla diligenza, arrivò fino a lei.

Entrambi rimasero interdetti per un attimo, poi la bambina saltò giù e corse via, senza nemmeno sapere dove si trovasse.

«Hey bambina! Aspetta!!» gridò l’uomo, ma Marlene non si voltò nemmeno, continuando a correre.

“Dove sono?? Come farò a tornare a casa?? Non dovevo prendere la diligenza!” pensò con un nodo alla gola, mentre attorno a lei le luci e le piccole stradine si susseguivano una uguale all’altra.

Si fermò in mezzo alla strada, senza fiato per la corsa; lì vicino c’era un capannello di persone con bicchieri e bottiglie in mano. Alcuni si erano girati a guardarla con sguardi stupiti.

«Ho bevuto troppo…? O quella è una bambina?»

«È la prima volta che vedo una ragazzina in questo quartiere.»

Marlene ricominciò a correre.

«Aspetta! Sei una allucinazione? Sei una nana?!» continuò a strillare l’uomo, sollevando il bicchiere e agitandolo a caso, tra le risate degli altri presenti.

“Se papà fosse qui li picchierebbe!”

Prese una stradina laterale e sbucò dopo pochissimo su un’altra strada, più illuminata e meno frequentata. Non sapeva più cosa fare, aveva un nodo alla gola e tanta fame. Iniziò a singhiozzare disperata, appoggiandosi ad un muro.

Ignorò dei passi che si avvicinavano, finché una voce che le sembrò familiare disse:

«Marlene? Cosa ci fai qui??»

La bambina alzò lo sguardo, impaurita. Il volto che la fissava sembrava gentile, anche se preoccupato. 

“Ha detto il mio nome… ma non mi ricordo chi è.”

Jules la guardava, in attesa di una sua reazione.

«Sei qui con Cloud e Tifa? Loro dove sono? provò a domandare.

Marlene cercò per un attimo le parole per rispondere, ma poi scoppiò in un pianto dirotto. Il culturista si avvicinò, porgendole una mano.

«... ho capito, non sei qui con Cloud e Tifa. Vieni con me, li chiameremo e gli diremo che sei qui. Ok?» 

La bambina smise di piangere, tirò su col naso e balbettò:

«Tu-tu… hai il n-numero di… di T-t-tifa?»

«Certo, anche quello di Cloud. Sono sicuro che ti stanno cercando, ma è difficile trovare qualcuno se non sai dov’è! Non preoccuparti, per cena sarai a casa.» disse Jules.

Marlene prese la mano dell’uomo, tremando leggermente. Lui le rivolse un sorriso a cui lei rispose con una smorfia.

«Ma… tu chi-chi sei?»

«Sono Jules. Non ti ricordi di me? Ci siamo visti al matrimonio del mio amico Jay, a Wutai.»

La bambina lo guardò meglio, socchiudendo gli occhi.

«Mi ricordo il matrimonio… ma non mi ricordo bene di te.» rispose infine.

«C’era anche mio fratello Andrea. Lui ha celebrato le nozze.»

«Quell’uomo matto vestito con le piume? Di lui mi ricordo.»

«Proprio lui. Stiamo andando al suo locale, adesso. È qui vicino. Io non posso aspettare Cloud e Tifa insieme a te, ma lui può.»

L’uomo fu di parola: in breve tempo arrivarono davanti a un edificio adornato da così tante luminarie da illuminare a giorno lo spazio circostante, sebbene fosse ormai il crepuscolo. 

«Eccoci qua.»

«Ho… hooooni… come si legge? È difficile!»

«Honeybee Inn.»

Arrivarono alla porta, che era guardata a vista da un omone vestito di nero. Una lunga fila di persone si snodava lungo il marciapiede.

«Salve Res, c’è mio fratello?» disse Jules, salutandolo.

«E dove altro vuoi che sia a quest’ora… devo farlo chiamare?»

«Si, per favore. Abbiamo una piccola da riportare a casa.»

Il buttafuori annuì ed entrò nel locale. Dopo qualche minuto, Andrea Rhodea uscì, spostando teatralmente le tende di velluto rosso. Le persone in fila lanciarono grida di gioia per l’apparizione a sorpresa del loro beniamino.

«Fratello… benvenuto. Di cosa si trat-Marlene?? Che ci fa qui?» esclamò l’entertaner, ignorando i suoi ammiratori.

«Tu sei quello matto vestito di piume!» esclamò la bambina, battendo le mani.

Andrea e Jules ridacchiarono. Il buttafuori cercò di trattenersi, ma gli scappò un grugnito.

«Presto, aggiornate il titolo della mia autobiografia. “Il matto e le piume”, sarà un bestseller.» disse l’entertainer.

«Io lo comprerei!» esclamò una delle donne in fila, mentre scattava delle foto ad Andrea con il cellulare.

«Ne avrebbe ben donde. Dunque, che succede? Come mai Marlene è qui senza i suoi accompagnatori?»

Jules sospirò.

«Si è persa. Chiameresti Tifa, così la tranquillizziamo?»

«E non potevi pensarci tu?» gli chiese Andrea, inarcando un sopracciglio.

«Non sei l’unico che lavora, devo occuparmi della palestra! E non volevo trascinarla in mezzo agli energumeni che frequentano la sala pesi.»

«Devo sempre fare tutto io… e va bene. Vieni Marlene, ti faremo compagnia finché non verranno a prenderti.»

La bambina guardò dubbiosa Jules, che le fece un cenno di incoraggiamento; prese la mano che Andrea le tendeva e varcò la soglia dell’Honeybee Inn.

«Bene… chiamiamo subito Cloud.» disse Andrea, prendendo il telefonino. 

«... non Tifa?»

«My dear… suppongo che tu fossi in giro con Cloud. Tifa non ti avrebbe mai perso di vista.»

Marlene sgranò gli occhi e annuì piano, mentre guardava ammirata tutte le decorazioni e i tappeti lussuosi del locale.

«... e conoscendo il nostro amico Cloud, sarà preoccupatissimo per te in questo momento.»

“Oltre che disperato e a un passo dal suicidio.”

«Preoccupato per me?» chiese la bambina. Andrea annuì, mentre si portava il cellulare all’orecchio.

«Certo. Ha un cuore, sotto quella spada… vediamo un po’, sta squillando…»

Dopo pochi secondi la voce di Cloud urlò qualcosa.

«Puoi chiamarmi “il tuo salvatore”, oppure “mio eroe”, ma di solito mi conosci come Andrea Rhodea.» rispose l’entertainer, facendo l’occhiolino a Marlene.

 

***

 

«Dovrò ringraziare Jules, appena tornerò in palestra…» affermò Cloud, mentre aspettava pazientemente che Marlene si togliesse il costume da ape.

«Come?? E io allora?» ribatté Andrea, sorseggiando un drink.

«Il signor Andrea mi ha fatto divertire! Insieme alle apette!» esclamò Marlene da dietro il paravento dove si stava cambiando.

«Oh, che tesoro. Tranquilla, my dear, sono abituato all’ingratitudine del signor Strife.» la rassicurò l’entertainer. 

«E io alla teatralità fuori luogo del signor Rhodea.» replicò il ragazzo, impassibile. 

«Ma cosa stai bevendo??»

«Un Virgin Canyon. Non bevo più da quando mi avete quasi ucciso.»

«Oh, e sarei io quello teatrale!»

«E comunque devo anche guidare.»

Marlene finalmente uscì da dietro il separé, rivestita. Rivolse un grande sorriso alle ragazze, che l’avevano aiutata a cambiarsi, e disse:

«Sapete, voglio fare anche io l’apetta quando sarò grande!»

Le ballerine ridacchiarono, compiaciute; Cloud sbiancò, e anche Andrea sembrava a disagio.

«Hai anche un nome da apetta…» mormorò l’entertainer, lisciandosi il pizzetto.

«Voglio ballare anche io! Ma su un palco vero, non solo in una stanza.» aggiunse la bambina, improvvisando due goffi passi di danza. Cloud tornò a respirare.

«Ma che dolce che è!» mormorò una delle apette.

«Ci farcirei i cornetti la mattina.» le fece eco un’altra.

«Cloud… se tu fossi un’apetta, come ti chiameresti?»  domandò d’un tratto la bambina, guardando curiosa il ragazzo, che tornò paonazzo in un secondo.

«Secondo me Cloudine…» mormorò una delle apette. Un’altra le fece eco:

«Secondo me Cloudette…» 

«Secondo me siete matti! Non potrebbe mai essere un’apetta. Sarebbe uno dei miei fuchi!» esclamò Andrea, mettendogli un braccio intorno alle spalle.

«Non mi interessa.» replicò il ragazzo, infastidito.

«Ma sai che potresti venire a lavorare qui in qualsiasi momento!» disse allegro l’entertainer.

«Si, ti faremmo un corso accelerato!»

«Ti faremmo tante cose…»

«Come mai sei così rosso?» chiese Marlene, indicando Cloud con un dito.

«Ehm… fa caldo qui.» rispose il ragazzo, scivolando via dalla presa di Andrea.

«Conoscendo tuo padre, non penso che sarebbe molto d’accordo. Ma diventando grande potrai diventare tutto quello che vorrai!» disse l’entertainer, accarezzando la testa della bambina.

«Signor Rhodea, posso chiederle una cosa?»

«Chiamami pure Andrea, my dear. E chiedi pure, le mie umili conoscenze sono a tua disposizione.»

Cloud alzò gli occhi al cielo.

«Come nascono i bambini?»

Stavolta tutti gli adulti presenti piombarono in un silenzio imbarazzato.

«Ehm… che domanda strana… perché lo chiedi a me?» domandò Andrea, cercando di non diventare paonazzo come il biondo vicino a lui.

«Perché il mio papà mi ha detto che c’entrano le api e i fiori, ma non ho capito bene. Visto che ha un locale con le api, pensavo che magari lo sapesse.»

«Mi offro volontaria per mostrarle come si fa, insieme a Cloud!» si offrì una delle apette, sorridendo maliziosa. Cloud sarebbe arrossito ancora, se fosse stato possibile.

“Barret… che cazzo! Dovevi usare proprio le api e i fiori?”

Andrea la gelò con un’occhiataccia, poi si schiarì la voce e disse:

«Veramente i bambini si trovano sotto i cavoli! Li portano le cicogne, questo lo sanno tutti. Si sarà confuso con il miele, forse dovresti chiederglielo di nuovo, quando tornerà.»

La bambina annuì pensierosa. La tensione scese e Cloud tornò man mano al suo solito pallore.

«Credo che per voi due sia il momento di tornare a casa… Tifa vi starà aspettando.» disse l’entertainer. Cloud sgranò gli occhi.

“TIFA!!”

«Si in effetti dobbiamo proprio andare, si è fatto tardi. Anzi, ora le scrivo che stiamo tornando, mentre andiamo alla moto.»

«Ma… e il gelato? Io ho tanta fame!» protestò Marlene.

«Tieni, prendi un love shot intanto.» disse Andrea, passandole un familiare bicchierino di cioccolata. Zittì le proteste di Cloud con un cenno della mano, dicendo:

«È come piace a te… virgin. Mica siamo animali!»

«Colpa vostra.» borbottò il ragazzo.

«Veramente, signor Rhodea, se siete api siete insetti e gli insetti sono animali!» disse Marlene, prima di bere.

«Ah ha ha, hai proprio ragione, my dear…» esclamò Andrea, aggiungendo poi in un sibilo, «... odio i bambini.»

Cloud scrisse un veloce messaggio a Tifa, intanto che Marlene finiva il love shot. Poi prese per mano la bambina e la condusse verso l’uscita.

«Vorrei tanto che qualcuno mi tenesse per mano così…» mormorò una delle ragazze.

«L’ho sempre detto che tu hai problemi con la figura paterna.» commentò Andrea.

 

***

 

Raggiunsero una gelateria a tempo di record; Cloud era desideroso di tornare a casa il più in fretta possibile. La risposta di Tifa al suo messaggino gli era sembrata un po’ troppo sbrigativa.

“Ok. Che cavolo significa “ok”?? È sicuramente arrabbiata, che sappia già tutto? Sono praticamente morto… morto e single.”

«Ho tanta famissima!!» esclamò Marlene, saltando giù dalla moto e atterrando sul piede di Cloud.

“Ahia.”

«Si, scusa.» disse Cloud, spegnendo la moto e scendendo a sua volta. Entrarono nella gelateria e si sedettero ad un tavolo; Marlene cominciò a guardare il menù dei gusti, mentre saltellava sul suo sgabello. Cloud vide che ai primi posti nella lista c’era un discutibile gelato azzurro, al gusto “Mako”. Un altro, bianco con striature verdi, era al gusto “Lifestream”. Quando lesse il gusto “Etere”, di un bel viola acceso, si convinse di essere entrato nella gelateria sbagliata. Sbuffò, contrariato. Un cameriere si avvicinò per prendere l’ordinazione.

«Siete pronti per ordinare?»

Marlene sollevò lo sguardo dal menù e domandò a Cloud.

«Cosa posso prendere?»

«Ehm… non lo so.» fece lui, spiazzato. «Prendi quello che vuoi.»

«Tutto quello che voglio?» chiese lei, illuminandosi. Il cameriere scosse lentamente la testa.

«... si.» ribadì Cloud. 

Pochi minuti dopo, due monumentali coppe, stracolme di gelato e di sfere di cioccolato colorate arrivarono al loro tavolo.

«Si mangia!!» esclamò Marlene, agguantando il cucchiaio.

«Piano, se no ti viene mal di testa!» la ammonì il ragazzo, stupendosi subito dopo di quanto detto.

“... cosa sto diventando??”

Scosse la testa e si concentrò sulla sua coppa di gelato: alla fine si era convinto a prendere una coppa di Mako e Lifestream. Doveva sapere.

Contro ogni previsione, il gelato era fantastico. Marlene ordinò anche un frullato, nell’attesa che Cloud finisse la sua coppa. Beveva dalla cannuccia e lo fissava con insistenza, borbottando.

«Dai, quanto ci metti! Voglio andare a vedere come sta Tifa!»

“Come ha fatto a metterci così poco? Dove lo ha messo?” pensò atterrito il ragazzo, mentre faceva sparire in fretta le ultime cucchiaiate di gelato. Ignorò la fitta di gelo al cervello e andò a pagare il salato conto.

Marlene lo seguì e aspettò tranquilla, tenendolo per mano. Cloud, nonostante ciò, non la perse di vista un momento. 

«Andiamo andiamo andiamo!!» esclamò la bambina, trascinandolo fuori. Si lasciò condurre a Fenrir e si prepararono alla partenza.

Il Seventh Heaven non distava molto; a metà strada, però, la testa di Marlene iniziò a ciondolare pericolosamente.

«Ho tanto sonno! Posso appoggiarmi?» mormorò la bambina. Cloud non sentì niente, tra il fischio del vento e il rombo del motore; si accorse solo che Marlene si era abbandonata su di lui e aveva chiuso gli occhi. Rallentò immediatamente e tolse una mano dal manubrio per sorreggerla. Fortunatamente erano quasi giunti a destinazione.

Arrivò al Seventh Heaven e lasciò Fenrir vicina all’ingresso principale, visto che il locale era chiuso. Con una certa difficoltà, si caricò Marlene in braccio ed entrò silenziosamente.

Pensava di essere stato molto furtivo, ma arrivato alle scale vide che Tifa, imbacuccata nella coperta, lo aspettava.

Quando lo vide si portò una mano alla bocca, orripilata, e urlò:

«Cosa??? È morta?!?»

Cloud la zittì con un gesto, preoccupato che la bambina si svegliasse.

«Sta dormendo!» sussurrò, con tono indignato.

La ragazza arrossì, sgranando gli occhi. Sembrò sul punto di rispondere, ma tornò frettolosamente nella sua camera senza dire niente. Il ragazzo rimase senza parole, anche se non osava sperare di riuscire ad evitare una ramanzina.

Cloud portò Marlene nella sua stanza. Riuscì nell’impresa di mettere a letto la bambina senza svegliarla e le rimboccò le coperte; dopo un attimo di esitazione, decise di lasciarle il viso scoperto. Soddisfatto, tornò di sotto per andare a recuperare la spesa e la sistemò in cucina.

“Come ha fatto a pensare che fosse morta?? Ma sono così pessimo?” si chiese amareggiato, mentre metteva a posto dei ravanelli. 

“Beh, l’hai persa e l’hai recuperata da un bordello nel quartiere a luci rosse… non diventerai il genitore dell’anno” disse una vocina maligna nella sua testa.

“Si ma l’ho recuperata! Non è colpa mia se è scomparsa appresso ai gatti! E non sono un genitore!” ribatté lui.

“Si ma stai calmo.”

“Perché sto parlando da solo? Sono troppo stanco, dovrei andare a riposare.” si disse, scuotendo la testa.

Salì le scale, diretto verso la stanza di Tifa. Lei era sdraiata ma non si era ancora addormentata. Appena ebbe richiuso la porta, lei lo assalì con un fuoco di fila di domande:

«Cosa è successo? È tardissimo! Dove siete stati? Hai comprato i ravanelli? Lei sta bene?»

«Si che sta bene! Ho comprato i ravanelli!» si difese Cloud, mentre si cambiava per andare a dormire.

«Non cercare di distrarmi! Non attacca… oooooh! No, Tifa, concentrati! Che è successo?? Mi sento tutta dolorante e calda, vieni a farmi le coccole!»

Cloud la osservò preoccupato dimenarsi tra le coperte, per poi lasciarsi andare sui cuscini.

«... sono sicura che è successo qualcosa e domani ti sgriderò! Ma ora non ce la faccio, sono troppo malata. Vieni a contagiarti, rotolati nei germi insieme a me! Tanto ti piaccio lo stesso, vero?» disse, per poi soffiarsi rumorosamente il naso.

«... si.» ammise lui, sottovoce.

«Non ti sento! Sono troppo malata, non vedo cosa dici!»

Cloud iniziò seriamente a preoccuparsi.

«Forse dovrei chiamare il dottore…»

«No, non chiamare il dottore, ho già preso tutte le medicine che mi aveva prescritto.»

“Oh, ora tutto si spiega-aspetta, mica avrà usato il dosaggio per me??” pensò allarmato il ragazzo.

«Tra poco faranno effetto e potrò tornare a cavalcare.»

“Stanno già facendo effetto” 

«... non hai mai fatto equitazione.» fu tutto quello che riuscì a dire.

«Invece si, sciocchino. È lo sport preferito dalle ragazze, e sai perché?»

«No.» rispose Cloud, mentre si infilava cautamente sotto le coperte di fianco a lei. Il letto era rovente.

«Perché il cavallo ha il culo grosso, quindi quello della ragazza sembra più piccolo, mentre cavalca.»

«Secondo me dovresti riposare.» dichiarò il ragazzo, desideroso di terminare quel dialogo surreale.

«... si, ma prima voglio le coccole!» disse Tifa, aggrappandosi a lui e stampandogli un bavoso bacio sul collo. Era decisamente lei la causa del calore estremo.

“Se domani mattina non migliora, mi sa che la dovrò portare all’ospedale.” pensò, restituendo dubbiosamente l’abbraccio. Non fece in tempo a darle un bacio sulla fronte, che lei era già caduta addormentata, russando sonoramente.

 

***

 

Cloud fu svegliato in piena notte da qualcosa che gli sfiorava il braccio nella penombra. Riuscì a trattenere a malapena un urlo: appena riuscì ad aprire gli occhi, impastati dal sonno, vide che Marlene era in piedi accanto al letto, il visino pallido contratto dal dolore.

«Cloud, mi fa tanto male qui…» sussurrò, tenendosi la pancia con una mano.

«Ehm… aspetta, ehm… forse devi andare in bagno?» sussurrò lui di rimando, cercando di tirarsi su senza svegliare Tifa, le cui membra sembravano essere distribuite alla rinfusa nel letto.

«Forse si, hai ragione. Vado. Tu aspettami fuori però.» rispose la bambina, tirandolo per un dito fuori dalla stanza.

“Aiuto…” pensò sconsolato Cloud, mentre Marlene correva lungo il corridoio e si chiudeva nel bagno. Si sedette sul pavimento, ascoltando suo malgrado i sinistri rumori che provenivano da dietro la porta.

Passarono solo pochi minuti, prima che un Cloud sovrappensiero venisse quasi ucciso dall’apparizione di Tifa nel corridoio, sempre imbacuccata nella coperta.

«Cosa succede? Si sente male?» chiese.

Il ragazzo riuscì solo ad annuire, mentre cercava di riprendersi dallo spavento.

«Marlene? Come stai? Posso entrare?» disse Tifa, bussando alla porta.

«Si, ma non Cloud!» rispose la vocina della bambina.

«No, Cloud ci aspetta fuori.»

«Allora ok.» 

La ragazza entrò, non prima di aver lanciato a Cloud un’occhiata indecifrabile. Lui le sentì parlottare ma non riuscì a capire cosa si stessero dicendo. Poco dopo sentì Tifa urlare:

«Cloud! Sta vomitando!! Chiama immediatamente il dottore!»

Il ragazzo si precipitò al telefono e nel giro di un quarto d’ora il dottor Homu si presentò nella stanza di Marlene, visibilmente assonnato.

«Mi fate fare troppi straordinari in questa famiglia. Siete tutti cagionevoli… su, vediamo un po’ cosa è successo.»

Cloud fu cacciato dalla stanza per permettere al dottore di effettuare la sua visita. Si rassegnò ad aspettare, quando cominciò a sentire un leggero fastidio. Cercò di ignorarlo, finché non si trasformò in vero malessere. Quando le fitte allo stomaco iniziarono a farlo piegare su se stesso, corse verso il bagno, maledicendo la gelateria, il gelato e la sua accondiscendenza.

Quando Tifa aprì la porta della stanza di Marlene, con la ramanzina per Cloud già pronta ad esplodere, non lo trovò. Avanzò nel corridoio, cercandolo con lo sguardo.

«Dove sei?? Torna qui a prenderti la tua sgridata! Lo sapevo che qualcosa non andava!» disse, trattenendosi dall’alzare la voce.

«Tifa, non ti arrabbiare troppo! Sono cose che succedono!» esclamò il dottore, ancora nella stanza di Marlene.

«Tu però, non dovevi mangiare così tanto gelato!» continuò in tono bonario, rivolto alla bambina.

«Si, ma avevo tanta fame…» squittì lei, stringendo a sé la coperta. 

«Ah, i bambini… che teneri frugoletti. Ah, Tifa, hai trovato Cloud?»

«Si. È nel bagno a vomitare.»

«Questo ci conferma che è stato il troppo gelato a farvi stare male…» disse allegramente il dottore, «... ma non vi preoccupate, domani sarete come nuovi!»

Poi, rivolgendosi a Tifa, aggiunse:

«Puoi far venire qui Cloud, appena sarà in grado di uscire dal bagno?»

«Perché?» chiese Marlene, confusa.

«Bisogna fare una piccola punturina.» rispose il dottore, iniziando ad armeggiare con aghi e siringhe. 

«Come? No, non mi va di fare punturine…» pigolò la bambina, atterrita, nascondendosi sotto la coperta.

«Non ti preoccupare, Cloud ci farà vedere come si fa. Tanto la deve fare anche lui.»

Un ghigno malefico si dipinse sul volto di Tifa. 

«Vado subito a prenderlo.» disse, uscendo di nuovo dalla stanza a grandi passi. Lo raggiunse proprio mentre subiva gli ultimi conati.

«Hey, biondo. Ti vogliono al pronto soccorso per un’iniezione.»

«Cosa…?» fece lui, mentre si puliva la bocca con un asciugamano.

«Devi prendere una medicina e dare il buon esempio a Marlene.» disse Tifa.

«No, mi passerà, mi sento già molto meglio.» replicò il ragazzo, rialzandosi.

«Niente storie. Su, ti farà bene.» insistette la ragazza, con un tono che non ammetteva repliche.

Cloud abbassò lo sguardo, rassegnato. Non aveva la forza di continuare a discutere e si fece condurre nella stanza di Marlene come del bestiame verso il macello. Il solo pensiero dell’ago gli faceva sobbalzare orrendamente lo stomaco, già provato dai conati.

«Bene, eccoti. Sono quasi pronto, siediti pure qui.» disse il dottore, mentre aspirava del liquido con una grossa siringa.

Il ragazzo e la bambina sgranarono gli occhi con la stessa espressione atterrita. Tifa scivolò pian piano fino a mettersi al fianco di Cloud e, non vista da Marlene, gli posò una mano sulla schiena.

«Cloud, ma davvero non hai paura?» chiese la bimba, con un filo di voce.

«Cloud è super coraggioso, vero?» intervenne Tifa, lanciandogli un’eloquente occhiata.

«... si.» mormorò lui. Marlene lo guardò ammirata, abbassando un po’ la coperta che aveva all’altezza del naso.

“Meno male che Sephirot non aveva una siringa. Ma che mi succede?? Non posso aver paura di un ago!!” si disse il ragazzo, cercando di darsi un tono. 

«Siamo pronti allora?» domandò il dottore, che aveva aspirato il contenuto di una seconda boccetta. Il ragazzo annuì e porse il braccio, che il dottore disinfettò velocemente, prima di compiere l’iniezione con un solo, sicuro movimento.

Cloud cercò di reprimere tutte le smorfie di dolore, disgusto e terrore, cui avrebbe tanto voluto dare libero sfogo, suscitate dalla sensazione dell’ago all’interno del suo corpo. Marlene osservava con la bocca aperta e gli occhi spalancati, trattenendo il fiato.

«Visto? Assolutamente niente! Come ti senti, Cloud?»

“Penso di stare per svenire, odio la medicina.”

«... sto già meglio.» riuscì a rispondere il ragazzo, con un filo di voce. Tifa lo cinse con un braccio, dandogli un veloce bacio sul collo.

«Davvero? Allora voglio fare anche io l’iniezione!» proclamò Marlene, arrotolandosi la manica del pigiama.

«Arriva subito.» disse allegramente il dottore, strizzando un occhio in direzione di Cloud.

«Ma perché a me è così piccola??» protestò la bambina, alla vista della siringa che il dottore aveva preparato.

«Cloud è… era, un SOLDIER. Lui è fatto diversamente da noi e ha bisogno di più medicina.» le spiegò.

«Oh… ma mi sentirò meglio lo stesso?»

«Si, vedrai. Ora stai ferma e in un attimo avrò finito.»

 

***

 

«Ultimamente vedo più voi che mia moglie e mia figlia!» si lamentò il dottore, con tono velatamente ironico, mentre scendeva le scale.

«Mi dispiace.» disse il ragazzo che lo seguiva.

«Non dispiacerti, anzi reputati fortunato che ci sia io. Non mi risulta che ci siano altri da queste parti che hanno studiato la biologia dei makonoidi e altri organismi alterati dal mako. I miei colleghi tremano al solo pensiero di avere di nuovo a che fare con te, dopo la faccenda dell’avvelenamento.»

«Non me la ricordare…» 

Arrivarono in fondo all’ultima rampa di scale ed entrarono nel bar deserto.

«Non devi per forza accompagnarmi…» lo rassicurò il dottor Homu. «Dovresti riposare insieme a loro due.»

«È che… mi sento in colpa.» ammise Cloud. «E sto bene.»

«Beh, se proprio vuoi sdebitarti, potresti offrirmi un drink.» rispose l’uomo, indicando il bancone del Seventh Heaven.

Cloud annuì ed entrò nel bar, iniziando ad armeggiare con bottiglie e bicchieri.

«Oh, io veramente… ma si, perché no.» mormorò il dottore, sedendosi su uno sgabello.

«Ma può bere? Non è in servizio?» chiese il ragazzo, mentre rimetteva a posto un super alcolico.

«Non sono in servizio. Non più, almeno. Tornerò dritto a casa dalla mia famiglia.»

«Ok, allora un Cosmo Canyon.» disse Cloud, riprendendo in mano la bottiglia e uno shaker.

«Bella cosa, avere una famiglia. E i bambini la completano, non trovi?» gli chiese il medico, accennando un sorriso.

Cloud fece un mezzo cenno affermativo, intento a contare le once di liquore da inserire.

«Anche se non è sempre facile. Ti capisco riguardo il gelato… nemmeno io riesco a dire di no a Hoshi. Mia moglie è più brava di me, in questo.»

Cloud alzò lo sguardo e lo guardò perplesso.

«Cosa?»

«Si, credo che ci sia successa esattamente la stessa cosa! Che coincidenza… qualche settimana fa ho portato anche io la mia bambina in quella gelateria. Hai provato il gusto Lifestream?»

“Si ma non solo in gelateria…”

«Si…» rispose Cloud, iniziando a shakerare.

Il dottore attese che il frastuono dei cubetti di ghiaccio finisse, prima di continuare:

«Hoshi ha voluto la coppa enorme… e non sono riuscito a negargliela! L’ho presa anche io, ma non mi sono sentito male. Sicuro di non essere allergico a qualcosa?»

«Non che io sappia.» rispose Cloud, guardando il dottore con rinnovato interesse.

«Bene… in ogni caso, poi mi sono sentito davvero colpevole. E mia moglie ci ha messo il carico, quando Hoshi si è sentita male a casa.»

Cloud terminò la preparazione e servì il drink al dottore. Esitò, guardando quanto ne era rimasto sul fondo dello shaker.

«Non ci pensare neanche, sei sotto l’effetto dei medicinali.» lo ammonì il dottore.

«Cosa? No no, io sono astemio adesso.»

«Come no. C’entra per caso l’ultima volta che ti ho visto all’Honeybee Inn? Non sembravi molto in te. Nemmeno i tuoi amici… che serata memorabile. Anche se gli spari ci hanno fatto sobbalzare.»

Cloud impallidì.

«Si, sembra che io abbia un talento nell’andare in quel locale quando ci sei anche tu. O forse è l’istinto di fan di mia moglie.» ridacchiò il dottore, assaggiando il drink. Fece un verso soddisfatto e bevve una lunga sorsata.

«Comunque, sei troppo severo con te stesso. Tutti possono sbagliare… sia nel bere, sia nell’essere improvvisamente dei genitori. Dopotutto, l’esperienza è solo il nome che diamo ai nostri errori.»

Cloud non sapeva cosa rispondere, continuando a fissare il fondo dello shaker. Lo prese e lo rovesciò nel lavandino, prendendo una bottiglietta di succo e sbattendola ripetutamente contro il palmo.

«Sei diventato un barman esperto…»

«Ho una brava insegnante.»

«Imparerai anche molte altre cose, ne sono sicuro.»

 

***

 

«Cloud, ma cosa ci fai qui?» sussurrò Tifa. Si era svegliata in piena notte e non aveva trovato il ragazzo accanto a sé; dopo una breve ricerca, lo aveva visto nella stanza di Marlene, seduto su una sedia con il mento appoggiato alle mani, intento a guardare fisso la bambina addormentata.

«Controllo.» mormorò lui.

Tifa si strinse nella coperta e si avvicinò a lui; anche nella penombra, si notavano le sue occhiaie.

«Ma cosa vuoi che le succeda adesso? È notte, siamo a casa…»

«Non… le deve succedere niente.»

«Cloud, ma… cosa è successo oggi?»

«... al mercato l’ho persa di vista un attimo ed è sparita. Non riuscivo a ritrovarla.»

Tifa spalancò gli occhi.

«Puoi sgridarmi nell’altra stanza… me lo merito.» aggiunse lui.

«... intanto raccontami bene cosa è successo.» disse la ragazza, facendogli cenno di uscire.

Cloud le raccontò tutto: l’ansia, la disperazione, e come per miracolo l’avessero ritrovata Jules e Andrea nel mercato murato.

«E come ci è arrivata lì?» esclamò la ragazza, basita.

«Con una diligenza. Si è appesa al retro ed è scesa al capolinea, poi per fortuna l’hanno trovata. Se penso che… potevano non trovarla…»

«Non ci pensare. È andata bene. Ma devi stare più attento! È solo una bambina, è normale che si distragga e possa andarsene per conto suo.»

Cloud alzò la testa, stupito della moderazione con cui Tifa aveva appena parlato.

“Mi aspettavo una sfuriata…”

«Sono sicura che non farai di nuovo lo stesso errore.» dichiarò la ragazza, guardandolo in modo eloquente.

Lui annuì.

«Quello che ho provato, quando l’ho persa… non voglio provarlo mai più.»

Tifa lo strinse a sé in un caldo abbraccio, avvolgendolo con la coperta.

«Su, torna a letto, mamma chioccia.»

 

***

 

«Allora, le abbiamo imparate queste addizioni?»

«Si!!»

“Per fortuna… ho bisogno di una pausa.”

«Bene, direi che ci siamo meritate una merenda.»

«Toast??» propose Marlene.

«... si, toast.»

«Ma come li fa Cloud?»

«Dovrebbe essere sveglio adesso, perché non vai a chiedere a lui di prepararli?»

Marlene saltò giù dalla sedia tutta contenta e salì le scale a due a due gridando “Cloooud!!”. Tifa sorrise e si stiracchiò, alzandosi dalla sedia. Era incredibile come la situazione fosse cambiata negli ultimi giorni: Cloud e Marlene erano passati dall’essere terrorizzati l’uno dall’altra, a giocare e passare del tempo insieme. Finalmente sembravano davvero una famiglia. Non avrebbe potuto essere più felice. In quel momento la vocina di Marlene la chiamò dal piano di sopra:

«Tiiifa! Mi sa che Cloud sta male!!»

«Sarà solo stanco.» la rassicurò Tifa, intanto che preparava il pane e la marmellata. Dopotutto, il ragazzo veniva fuori da una settimana infernale di corso accelerato da papà a tempo pieno, mentre lei era ancora convalescente. Doveva ammettere che nonostante qualche scivolone iniziale, Cloud se l’era cavata abbastanza bene. Era davvero orgogliosa di lui.

«Ma dice lui di chiamarti, perché si sente male!»

A quelle parole la ragazza mollò pane, burro e marmellata dov’erano e corse immediatamente di sopra. L’ultima volta che aveva visto Cloud fuori combattimento, era stato dopo le sue bravate in arena.

“Stavolta non l’ho perso di vista! Cosa avrà combinato??”

Trovò Cloud disteso a letto, coperto fino al naso e tremante, con la bambina che cercava di coprirlo ancora di più.

«Secondo me è ancora per via del gelato. Vedi che trema dal freddo?» disse Marlene.

«Non credo sia colpa del gelato.» commentò Tifa.

“E se nemmeno quella volta fosse stata colpa del gelato?” si chiese, sedendosi accanto a lui. 

«Come ti senti?»

«... male.» bofonchiò la sagoma sotto le coperte.

Tifa represse un sospiro, poi gli chiese:

«Perché non sei più specifico?»

«Già! Come facciamo a curarti se no?» esclamò Marlene, dandogli un piccolo schiaffo sui capelli.

«Mi ha fatto male anche quello schiaffo. Ho freddo e mi fanno male le ossa.» rispose Cloud, con un filo di voce.

“Oh, no…” si disse Tifa, frugando nel suo cassetto per trovare un termometro. Lo prese e lo mise di prepotenza in bocca al ragazzo, ignorando le sue proteste.

«Fermo così per un po’. Io intanto vado a fare i toast.»

«Uffa Cloud! Proprio all’ora della merenda dovevi ammalarti??» si lamentò Marlene, mentre seguiva Tifa al piano di sotto.

Cloud borbottò debolmente qualcosa a bocca chiusa, guardandole uscire.

 

***

 

“Oh mio Dio! I termometri arrivano davvero fino a quarantadue!?” pensò Tifa, guardando terrorizzata la colonnina di mercurio.

«Come sta?» trillò Marlene, che si era di nuovo accoccolata vicino al ragazzo.

«Sta… benissimo. Stai un momento con lui, mentre faccio una telefonata.» disse la ragazza, uscendo dalla stanza.

I due la sentirono chiaramente urlare qualcosa, ma quando tornò da loro sembrava calmissima. Non disse nulla, ma prese una vecchia maglietta dall’armadio e la inzuppò nell’acqua fredda, per poi arrotolarla intorno alla fronte in fiamme di Cloud.

“Niente panico, niente panico. È un SOLDIER, magari per lui è solo un’alterazione-ma che dico, sta bruciando!! Homu, sbrigati!!”

Per un attimo pensò di prendere anche la materia elementale e una immunizzante, per evitare che il suo ragazzo si cuocesse dall’interno, poi scosse la testa.

“Come fai a trovare sempre nuovi modi per farmi venire un infarto??”

Fortunatamente in pochi minuti arrivò il dottor Homu, con il suo solito fare allegro e spensierato.

«Tre su tre! Complimenti! Dov’è il paziente?» chiese, con un sorriso smagliante.

«In padella!! Si sbrighi la prego!!»

«Non eravamo d’accordo di darci del tu? Comunque, fammi strada.»

La ragazza represse la voglia di colpirlo e lo spinse su per le scale. Cloud era scosso da brividi e cercava in continuazione di non annegare nella maglietta fradicia che Tifa non gli permetteva di togliersi dalla faccia.

«Cloud, Cloud, Cloud… che hai combinato?» disse il dottore, scuotendo la testa.

«... niente.» rispose il ragazzo, scuotendo la testa.

«Secondo me è stato il gelato!» disse Marlene, scrutandolo mentre si lisciava il mento.

«Ah, ci avevo pensato anche io, ma purtroppo, credo che qualche giorno fa tu stessi manifestando i primi sintomi dell’influenza... che ora si è presentata più violenta che mai. Una di voi sarà stata l’untrice!» dichiarò il medico, indicandole in modo teatrale.

Entrambe sussultarono. Tifa sentì il senso di colpa attanagliarle lo stomaco.

«L’ho contagiato io?» esalò, guardando il suo ragazzo tremante.

«Vivete sotto lo stesso tetto, potrebbe essere stata anche la nostra Marlene. Ma non importa, ora la malattia deve soltanto fare il suo corso. Mi dispiace di averti fatto un’iniezione senza motivo, l’altro giorno. Ora dovrò anche fartene un’altra.» disse il dottore, tirando fuori una siringa.

«Tanto Cloud è super coraggioso!» trillò Marlene, mentre sistemava meglio la maglietta che era scivolata dalla fonte del ragazzo.

«... basta che poi stia meglio.» esalò Cloud, incapace di opporsi all’ennesima puntura.

«Certo! A meno che non sbagli il dosaggio.»

«COSA??» urlò Tifa.

«... scherzavo. Finora non ho mai sbagliato un dosaggio.»

Cloud sollevò la maglietta e guardò il dottore con sguardo dubbioso.

«Su, su! È normale delirare sotto antidolorifici, specie se la dose per farti effetto deve essere tre volte quella normale! Ora fatemi lavorare.» esclamò il medico, mentre afferrava delle boccette.

«Allora io intanto vado a prepararti un toast!» annunciò Marlene, precipitandosi giù per le scale.

Il dottore la guardò uscire con un sorriso; tornando ad armeggiare con la siringa, disse:

«Qualcuno qui deve aver imparato.»

 

***

Qualche giorno dopo...

«Cloud! Cloud!!» gridò Marlene, appena mise piede nel Seventh Heaven.

Il ragazzo urlò una risposta dalla sua camera, ma né lei né Tifa riuscirono a sentirla.

«Dai, prendi la sua coppetta e portagliela. Sai che è un pigrone.»

Marlene prese la bustina dalla mano della ragazza, ma si indignò:

«Sta male! Dobbiamo prenderci cura di lui!»

Tifa alzò bonariamente gli occhi al cielo, guardandola mentre scattava verso le scale, gridando: “Abbiamo preso i tuoi gusti preferiti! Mako e Lifestream!”

“Una settimana fa non lo guardava nemmeno negli occhi, ora si autoproclama sua infermiera.”

Sistemò alcune cose e li raggiunse al piano di sopra, appena in tempo per vedere che Marlene, nonostante avesse già mangiato il suo gelato, era seduta sul letto accanto a Cloud e si stava facendo imboccare.

«Ma insomma? Non abbiamo imparato che troppo gelato fa male?» esclamò, mettendosi le mani sui fianchi.

I due chinarono la testa e mormorarono delle scuse.

«Come sta?» domandò.

Marlene gli mise una mano sulla fronte e decretò:

«Mi sembra che stia meglio. Il gelato sta facendo effetto.»

«Si, in effetti mi sento meglio.» concordò il ragazzo, sorridendo lievemente.

«E scommetto che non vedi l’ora di abbandonare quel letto.» lo prese in giro Tifa.

«Ho un sacco di consegne arretrate da fare.»

«Edge e dintorni riusciranno a fare a meno di te, finché non ti sarai ripreso.» affermò la ragazza, evitando accuratamente di menzionargli le innumerevoli telefonate di clienti disperati o infuriati che aveva ricevuto negli ultimi giorni.

«Goditi il gelato, io devo andare in bagno!» disse Marlene, scendendo dal letto e caracollando fuori. Tifa la guardò sorridendo.

«Le cose vanno bene tra voi due.»

Cloud annuì, la bocca piena di gelato.

«L’ultima volta che hai conquistato qualcosa che ti odiava, siete entrambi quasi morti.» commentò la ragazza.

«Molto spirit-aspetta, mi odiava?» fece Cloud, preoccupato.

«Beh… di sicuro non le stavi simpatico.»

«In effetti no.»

«Stavolta ti è bastato fare cose normali… per fortuna.»

Lui inarcò un sopracciglio. Lei ridacchiò.

«Non hai dovuto essere un supereroe, è stato sufficiente preparare un toast. L’hai conquistata con la tua normalità. E mostrandole che tieni a lei.»

Cloud sgranò gli occhi, poi ammise, distogliendo lo sguardo e arrossendo:

«Hai ragione.»

«Che carino che sei quando arrossisci…» disse Tifa, prendendogli il viso tra le mani e avvicinandosi a lui. Le loro labbra si erano appena sfiorate, quando Marlene piombò di nuovo nella stanza e iniziò a fare finta di vomitare.

«Bleaaah! Che schifo!!»

«Marlene!» esclamarono i due ragazzi, contrariati.

 

Epilogo

 

Il furgone sfrecciava lungo la strada sterrata costeggiata da colline brulle, che diventavano man mano più verdeggianti.  

«Siamo arrivati?»

«No.»

«Uffa, quanto ci vuole?!»

«Questo furgone non va veloce.»

«Invece va benissimo!» rispose Tifa, piccata, dal posto di guida. «Così possiamo andare tutti insieme!»

«Ancora non ho capito dov’è che stiamo andando…» ammise Denzel, con una nota di imbarazzo nella voce.

«È normale, non ci sei mai stato.» disse Cloud, che era seduto accanto a lui.

«Stiamo andando da Meteor a fare un pic-nic.» gli disse Tifa.

«Siii! Meteor ti piacerà, è così soffice!! E poi si può cavalcare!» disse Marlene, iniziando a saltellare dall’eccitazione.

«È un bel po’ che non ci andiamo…» aggiunse.

«Siamo stati… impegnati negli ultimi tempi.» disse Tifa, leggermente in difficoltà.

“Impegnati, ma come mi escono… bel modo di definire il Geostigma, Sephiroth e impedire un’altra apocalisse.” si ritrovò a pensare. 

«Ma ora che stiamo tutti bene di nuovo, possiamo fare una gita!»

«Siiii!» esclamarono in coro i due bambini.

“Dovrò ringraziare Yuffie per il cartello che ci ha regalato…” pensò Cloud, per niente entusiasta al pensiero di quanto la ninja avrebbe gongolato.

«Oh guardate, eccoci! La Chocobo Farm!!» annunciò Tifa.

Oltrepassarono il cancello principale e percorsero la stradina interna, fino ad arrivare vicino ad un grosso fienile. Mandrie di chocobo li avevano seguiti per un tratto, costeggiando le staccionate dei loro recinti; Denzel li osservava rapito, mentre Marlene non riusciva a stare seduta.

Scesero dal veicolo, trattenendo per la collottola la bambina che voleva correre subito verso i recinti. Dopo pochi attimi, un anziano signore corse loro incontro, salutandoli entusiasta e scambiando un’energica stretta di mano con Cloud, seguita da diverse pacche sulle spalle.

«... ho già visto quel signore… non è venuto alla chiesa per curarsi?» domandò Denzel, sorpreso da quella calorosa accoglienza.

«Si.» confermò Tifa, con un sorriso.

Il chocobiere li salutò, poi si rivolse nuovamente a Cloud.

«La bestiaccia l’ho dovuta spostare in un altro recinto, hehehe…»

«Cosa? Come mai?» fece Cloud, preoccupato.

«Nessun problema, sta benissimo! Vi lascio scoprirlo da soli, il perché. Da quella parte, il secondo cancello sulla sinistra.» disse l’uomo, indicando una delle stradine con un sorriso.

Tifa si strinse con un braccio a Cloud, mentre Marlene trascinava Denzel in una corsa sfrenata.

«Chissà come mai lo ha spostato…» mormorò il ragazzo, con velo di preoccupazione sul volto.

«Dai, non preoccuparti. Ha detto che sta bene, che mamma chioccia che sei!» lo prese in giro lei, dandogli un bacio. Giunsero alla loro destinazione: Marlene e Denzel li aspettavano, indecisi. 

«Entro prima io.» disse Cloud, mentre guardava sospettoso il recinto. Non si vedevano chocobo in giro, l’unico elemento degno di nota era una piccola stalla che sorgeva sul lato opposto dello steccato.

“Perché è vuoto?” si chiese.

Tifa lo guardò entrare cautamente, poi notò che la recinzione aveva maglie molto più strette del solito. Si chiese come mai, poi di colpo si rese conto del motivo. Voleva urlare per avvertire Cloud, ma aveva paura di spaventare i bambini; cercò di chiamarlo con il tono di voce più naturale che potè:

«Cloud… Cloud!!» 

Il ragazzo non si voltò, continuando ad avanzare verso la stalla. Meteor fece capolino da una delle finestre, lanciando un richiamo acuto.

«Kuiiiih!!» (Madre!! Temevo che la vecchiaia vi avesse costretta nel nido!)

Dalla porta della stalla uscirono altri chocobo. Piccoli chocobo. Prima due, poi tre, poi altri due.

Cloud sorrise, intenerito dall’improvvisa rivelazione. Poi inorridì per una seconda rivelazione.

«Oh ma che cariiini!!» trillò Marlene.

«CLOUD!! SCAPPA!!» urlò Tifa, aggrappandosi al cancello. Il ragazzo fece due cauti passi indietro, poi si lanciò in una corsa disperata. I pulcini fecero altrettanto, caracollando sul terreno e starnazzando come degli indemoniati.

«Ma… che succede?» mormorò Denzel, che era il più confuso di tutti.

«Meteor è diventato papà! Ma…» disse la bambina.

«Cloud sbrigati!!» strillò ancora Tifa. Il ragazzo era quasi al sicuro, quando scivolò e cadde riverso sull’erba.

Tifa spalancò il cancello e si lanciò all’interno, decisa a difendere il suo biondo dalla torma di piccoli biondi assassini che si stavano lanciando su di lui. Meteor uscì dalla stalla e lanciò un imperioso richiamo:

«KUEEEEEH!» (Progenie!! Trattate in modo consono la vostra progenitrice e i suoi congiunti!!)

«CLOOOOUD!» strillò Tifa, raggiungendo il ragazzo che era ormai sommerso tra batuffoli gialli.

«Aspetta!» riuscì a dire Cloud, sollevando una mano. Tifa riuscì per miracolo a trattenere il destro che stava per calare su uno dei pulcini: i piccoli si stavano strofinando su Cloud, pigolando felici.

«Kuuuiii!» (Oh, nonna! Che piumaggio strano che avete!)

«Io… non ho parole…» disse la ragazza, col pugno ancora in aria, mentre fissava incredula la scena.

«Nemmeno io… ho avuto paura…» sussurrò il ragazzo, che non osava comunque muovere un muscolo.

Meteor nel frattempo si era avvicinato, insieme ad un altro chocobo adulto di colore leggermente più chiaro di lui. Si chinò verso Cloud, strofinandosi sulla sua testa e accettando le coccole. Poi diede una becchettata affettuosa all’altro animale al suo fianco.

«Kuuueh!» (Madre, vi presento la mia consorte, la Duchessa Antonine Fuagrà III.) 

«Meteor ha una fidanzata!» ridacchiò Marlene, che li aveva raggiunti insieme ad un Denzel sempre più stupito.

I pulcini si sparpagliarono, pigolando felici e annusando curiosi i nuovi venuti.

«Ma quanti sono! Meteor… sono bellissimi!» disse entusiasta Marlene, accarezzando uno dei piccoli. Perfino Denzel non seppe resistere e si avvicinò ad un altro pulcino.

«Kueeeh…» (Gran parte del merito va a Antonine… una covata esemplare!)

«Kuiiih.» (Vi ringrazio, mio cavaliere.)

Cloud finalmente si azzardò ad alzarsi. Non aveva osato accarezzare nemmeno uno dei piccoli che scorrazzavano intorno a lui; uno si avvicinò e gli becchettò i lacci degli stivali.

Il ragazzo lo guardò per un attimo, poi lo prese delicatamente in braccio, accarezzandogli il muso.

«Sono carinissimi, vero Cloud?» chiese Tifa, mentre faceva le coccole ad un altro piccolo. Non ottenne risposta, così si voltò a cercarlo con lo sguardo: Cloud stava lanciando in aria il pulcino, riacchiappandolo al volo, e il chocobo sembrava estasiato.

«Kuuuuiiiih!!» (Osservatemi! Mi libro tra le braccia di nonna!!)

La ragazza lo guardò inorridita. 

«È pericoloso!» esclamò.

«Ma no!» la tranquillizzò lui, mentre lanciava di nuovo in alto il pulcino entusiasta.

“Sarà meglio che non si azzardi a farlo con nostro figlio!” pensò, passandosi istintivamente una mano sulla pancia. Ma c’era ancora tempo per spiegargli come si trattano i neonati. Doveva ancora comunicargli la novità.

“Ogni cosa a suo tempo…” considerò, mentre si avvicinava a Cloud. 

“E intanto…”

«Congratulazioni… nonna chioccia.» gli disse, stampandogli un bacio sulla guancia.

 

FINE 

 
  
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