Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Tiferet    30/08/2009    1 recensioni
Anno 2030. In Cielo sono pronti all'epocale battaglia contro i demoni.
Una ragazza, moglie di Azrael, l'Angelo della Morte, si innamora di un Arcangelo.
Quella loro relazione, però, non porterà a nulla di buono.
Genere: Romantico, Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: il nome della Nephilim esatto è “Israfil”. Mi scuso se per caso ho sbagliato a scriverlo nel precedente capitolo.
 
Capitolo terzo
 
 
A Marco non interessava guidare bene. Voleva guidare e basta, per allontanarsi da quel luogo. E sapeva che anche lei, Israfil, la dolce ragazzina spaventata che si era raggomitolata sul sedile accanto al suo, lo voleva.
Israfil iniziò a tremare. L’emozione era stata tanta, ed era arrivata come un pugno nello stomaco. Neanche le piaceva Giuseppe, quel ragazzo che… neanche riusciva a pensarci!
Se, però, non le piaceva quel ragazzo, perchè aveva accettato ad uscire con lui? Per cercare di dimenticare l’unico ragazzo che le piaceva e che, secondo lei, non le avrebbe mai chiesto di uscire?
Senza dire una parola, avanzarono tra le strade illuminate artificialmente. La biondina si guardava le mani strette in grembo, mentre pregava tra sè e sè. Non importava quali preghiere dicesse, semplicemente recitava quelle che le venivano in mente, tutte quelle che al momento ricordava. Sperava solo che i Santi e gli Angeli intercedessero per lei al cospetto di Dio.
Il suo sguardo cadde sulla mano grande di Marco che cambiava marcia. Andavano veloci, e il motore sotto al cofano urlava arrabbiato, mentre mangiavano chilometri e chilometri di asfalto, senza una vera meta.
Risalì con lo sguardo dalla mano al suo braccio muscoloso, e sul suo viso concentrato sulla strada. Era paonazzo, mentre gli occhi neri parevano farsi rossi quando la luce li accecava.
Provò a sussurrare il suo nome, ma non reagì, limitandosi a prendere una curva stretta a gran velocità. Israfil sentì il cuore a mille quando il suo corpo fu sbalzato all’indietro, contro lo schienale del sediolino anteriore, rimanendo senza voce quando vide il muro di un palazzo sfiorare lo specchietto retrovisore.
Non l’aveva mai visto così sconvolto, con gli occhi spalancati e duri.
Si morse il labbro mentre gli occhi le si riempivano di lacrime per la paura. Odiava piangere, ma quando era Marco ad arrabbiarsi con lei, perdeva la forza di reagire.
Non si accorse di aver trattenuto il respiro fino a che il ragazzo non parcheggiò di fronte a casa sua. Non aveva voglia di scendere, ma solo di un abbraccio rassicurante. Lo guardò, ma lui non pareva intenzionato a muoversi.
Si spostò incerta verso di lui, e allungò la mano per accarezzargli la guancia. Era così bello, anche nel sentire sotto il suo tocco i muscoli tesi.
- Grazie- sussurrò per paura che sentisse.
Si voltò lentamente verso la portiera, ma non l’aprì, percependo il ragazzo tirare un sospiro rumoroso.
Chiuse gli occhi. Ora arrivava la ramanzina.
- Te l’ho detto che non mi piaceva-
Israfil sorrise e lo guardò.
- No, non l’hai fatto- ribattè tranquillamente.
- Ti ho detto che uno che si chiama, o si fa chiamare, Peppone non porta a nulla di buono, mai!-
Aveva alzato la voce, e lei alzò un sopracciglio.
- No. Il tuo unico commento è stato “che razza di nome è Giuseppe?”- rispose lei, scimmiottandiolo.
Marco si voltò per guardarla adirato.
- E’ la stessa cosa! Si chiama parlare tra le righe!-
- Più che parlare tra le righe, avrei dovuto criptarti, stupido!- esclamò lei con lo stesso tono irato, aprendo lo sportello della macchina e correndo verso casa.
Non le importava di non aver chiuso la portiera della macchina, e né di aver litigato con Marco. Era così difficile darle un bacio, o un abbraccio? In fondo non pareva chiedesse troppo.
Chiuse rumorosamente la porta dietro di sé, alzando lo sguardo sull’unico uomo che avrebbe mai potuto amarla davvero, e di questo poteva starne certa.
Senza dire una parola, non che ce ne fosse davvero bisogno, corse tra le braccia del padre, che la accolsero amorevolmente, stringendola con forza.
- Bambina mia, vita mia. Cosa è successo?- domandò l’uomo, preoccupato.
Il singhiozzi scuotevano il corpo della ragazza. La tensione che aveva accumulato le uscì fuori, e lei finì per scaricarla attraverso quelle lacrime, senza trattenere gemiti addolorati, causati anche dal cuore pulsante e dolorante.
 
 
Metatron osservava attentamente le pratiche da sbrigare che erano sulla sua scrivania, senza che le avesse in realtà afogliate. Non che ne avesse gran bisogno, ma era un modo per allontanare la noia.
L’Altissimo aveva denotato lui come proprio segretario, e lui ne era sempre stato compiaciuto. Ciò significava che Egli si fidava.
Afferrò quella richiesta, l’unica che non era impilata con le altre. Era strana ed interessante il suo contenuto, e si stava dilettando a immaginare cosa avessero detto gli altri Serafini.
Qualcuno bussò alla sua porta, e lui alzò il suo angelico volto verso la porta della stanza senza finestre e, nonostante ciò, illuminata. Non si sapeva come fosse possibile, ma quella era l’unica stanza dal perimetro ottagonale, privo di finestre e pieno di scaffali stracolmi di carte e fascicoli in ordine. Quelle che venivano elencati in quella enorme biblioteca non era che un quarto delle pratiche sbrigate in soli cinque o sei mesi. La scrivania dietro la quale era seduto Metatron, un Serafino dai capelli lunghi e biondi, dello stesso colore della luce che rischiarava le pareti e il soffitto, era posizionata al centro della sala, con dietro un’alta poltrona con la stoffa color dell’oro che ricordava vagamente le poltrone in stile Luigi XVI, e di fronte altre due sedie, in uno stile più sobrio e di un colore meno sgargiante.
- Avanti- disse il Serafino con la sua voce sottile ed elegante. Con molta probabilità conosceva già chi stava per entrare.
Incrociò le dita, e sul viso comparve un sorriso sornione. Era giunto, infine.
Uno splendido angelo fele il suo ingresso nella stanza, avvolto come tutti gli Arcangeli  dalla luce della sua Fede. A ben vedere, la sua Luce pareva essersi affievolita in seguito a quell’increscioso avvenimento, del quale non amava parlare.
- Uriele!- esclamò Metatron aprendo le braccia e appoggiando la schiena alla poltrona, - che piacere rivederti!-
Quello si limitò a sorridere, sedendosi su una delle poltrone di fronte alla scrivania. Tolse il logoro cappotto che indossava di ritorno dal Materiale (chiamata anche Terra), e lo appoggiò su un bracciolo. I suoi occhi scuri vibrarono quando incontrarono quelli quasi bianchi del Segretario di Dio.
Oscurità e Luce che si contendevano qualcosa che nessuno dei due aveva ancora nominato. Loro, però, erano solo due rappresentanti della forza del Signore, sebbene uno di loro fosse macchiato da una grave colpa.
- Metatron- esordì Uriele con la sua voce bassa e profonda, l’opposto di quella del Gran Segretario Metatron. – Come mai mi hai convocato?- chiese senza indugi.
L’Arcangelo Serafino che controllava e amministrava gli affari di Dio sorrise ancor di più. Allungandosi sulla scrivania. Era compiaciuto per il fatto che avesse lì il Bastardo Divino, come molti solevano chiamarlo.
- Come siamo formali, Uriele-, ribattè Metatron.
Sopra la scrivania era pronta una teiera di thè con delle tazze pulite, una zuccheriera e un piccolo contenitore del latte, tutti decorati minuziosamente. Ne versò due tazze e ne offrì una all’Arcangelo.
Quello guardò sospettoso il thè, poi scosse la testa, facendo così ondeggiare i suoi lunghi e lisci capelli neri, che parevano setosi e contrastavano con la pelle diafana.
- Ti ringrazio, ma non ne ho voglia-, dichiarò a bassa voce.
Metatron, dopo averne bevuto un sorso dalla sua tazza, posò la tazza sul piattino, con un leggero ed armonico “tlack”.
- Ah, Uriele. Sempre lo stesso, non è così? Ancora non ti fidi?- sospirò.
- Perché mi hai convocato?- ripetè Uriele, senza voglia di perder tempo. Non aveva alcuna intenzione di rispondere a quella provocazione.
Metatron lo guardò ancora per un attimo, quasi come se volesse captare cosa pensasse l’Umanità, ma quello che percepiva era un glaciale silenzio.
Afferrò dalla scrivania il foglio che fino a qualche minuto prima stava contemplando, completamente assorto e incuriosito.
Glielo allungò da sopra le altre pratiche, che spostò con un gesto tranquillo un po’ più a sinistra.
- Mi piacerebbe che ti esprimessi in merito- profferì chiaramente, abbandonando l’espressione bonaria, che aveva avuto fino a qualche secondo prima, la quale cedette il posto ad una seria e per niente incline al riso.
Nessuno riusciva a cambiare espressione con la velocità con cui lo faceva Metatron, ed era per tutti un vero mistero questa sua abilità, quasi al pari della luminosità della sua stanza. Lo si sarebbe di sicuro chiamato l’Angelo più incostante del cielo, dal carattere terribilmente volubile, se solo quell’appellativo non fosse esattamente uno di quelli di cui andare fiero per vari e tanti motivi, primi tra questi il fatto che l’incostanza e la volubilità erano tratti che contraddistinguevano i demoni, in particolare il primo demone dalle sembianze femminee: Lilith, tabù per ogni argomento lassù nel Regno di Dio.
- E’ interessante-, affermò Uriele dopo aver riletto più volte quella richiesta, scritta in maniera impeccabilmente elegante. – Qualcuno che vuole addossarsi l’oneroso compito di portare sulla retta via gli Innominabili, nemici nostri dai tempi dal principio della Rivoluzione-.
Metatron lo guardò, soddisfatto solo in parte. Assottigliò lo sguardo, in attesa che questi continuasse. Così, però, non fu, e il mezzo sorriso che si era fatto strada sul suo volto scomparve nuovamente.
- E’ semplicemente una richiesta di questo genere, o dovremmo temere qualcos’altro? D’altronde ci aiuta già in questo caso-, continuò al porto dell’Umanità.
Uriele si passò il pollice sul mento, guardando ora il Serafino ora il foglio che ancora teneva tra l’indice e il pollice con una leggerezza tale che qualcuno avrebbe pensavo che avesse paura di sgualcirlo. Diede un’ultima occhiata alla richiesta, e si soffermò sulla firma.
Entrambi gli angeli erano stati attraversati dalla medesima preoccupazione. E se lei avesse recuperato la sua memoria? Se quello che era stato fatto per sigillarla lì in Paradiso fosse stato del tutto inutile?
Eppure era lì, a chiare lettere leggibili. Una richiesta ufficiale.
- Perché chiedi tutto ciò a me? Perché non convochi lei e glielo dici chiaramente?- domandò l’Umanità.
L’atmosfera si tese di colpo, sebbene non vi fossero né ostilità né rivalità da entrambe le parti. Si percepiva ansia, e sospetto.
Con un sospiro, Metatron si alzò imperioso. Stando sempre seduto non si aveva mai la possibilità di vederlo in tutta la sua grande statura.
A passi lenti e cadenzati raggiunse la porta, oltrepassando il Bastardo senza neanche degnarlo di uno sguardo. Fu come se all’improvviso la goduria di avere lì Uriele fosse scomparsa del tutto dai suoi pensieri e dalle sue priorità.
Sfiorò semplicemente le porte, che si spalancarono con un tonfo udile.
- TAFRIEL!- tuonò a gran voce.
Il suo richiamò destò l’attenzione di tutti gli Angeli lì intorno e non solo. Riecheggiò ovunque nelle teste di tutti, acuta e penetrante. Si guardarono tutti intorno, spaesati. Era da molto che questi convocasse qualche Angelo con tanto zelo, e quel rombo improvviso richiamò tutti all’ordine.
Nessuno, però, sapeva perché Tafriel fosse stata convocata con ardente impazienza e vivacità.
 
 
Quando si svegliò, Tafriel si ritrovò nella stanza che tanto ormai conosceva.
Si mise a sedere e si voltò attorno. Il ragazzo era fermo, in piedi accanto a una delle grandi tende che coprivano le enormi finestre della stanza spaziosa.
Era bellissimo, con quei capelli castano scuro che gli ricadevano sul collo, lunghi e tenuti indietro. Si alzò e gli si avvicinò, nuda, ritraendo le ali dentro di sé. Splendeva come non mai, in quella stanza dove la luce filtrava solo attraverso le tende che l’Arcangelo della Fede aveva tirato, lasciando le finestre libere di far entrare la luce che splendeva tutt’attorno a loro.
Lo aspettò nell’ombra, per non andare sotto la luce.
Dove c’era luce, lì l’occhio divino sarebbe caduto inevitabilmente. E lui lo sapeva.
Lasciò che le tende si chiudessero con un suo gesto deciso, e le si avvicinò, prendendole il piccolo viso tra le mani e baciandola superficialmente. Sentiva quanto fosse calda ancora di sonno al solo suo tocco, ma non gli importava. La sua pelle era persino più chiara, e gli occhi risaltavano di più sul suo volto. Le piaceva davvero, e non avrebbe mai permesso che qualcuno gliel’avrebbe portata via. Come Azrael, ad esempio. Non gli era mai piaciuto come angelo. Era troppo cupo per la vivacità di Tafriel, e troppo riservato rispetto alla sua passionalità. Non aveva mai pensato che fossero fatti l’uno per l’altra, ma Raziel insisteva che così era. Però, almeno Haniel la pensava come lui. Era stato un peccato far sposare definitivamente Tafriel e Azrael. Il loro matrimonio sarebbe durato per sempre, poiché non c’era morte definitiva per gli angeli, a meno che Tafriel non si fosse reincarnata nuovamente. Allora, però, sarebbe dovuta morire sotto la spada dei Combattenti, e non voleva che entrasse in campo. Era un’idea che cercava di non tenere in considerazione, e se proprio sarebbe dovuto accadere, era inevitabile per lui pensare di essere egli stesso l’assassino della sua Tafriel.
Tutto ciò era l’opposto di quello che pensava lei, in verità.
Tafriel gli sorrise e gli sfiorò le labbra con le sue. Sentì il forte odore di tabacco pungerle le narici, e ne dedusse che avesse smesso da poco di fumare.
- Ben svegliata, Angelo mio- la salutò lui.
Tafriel si limitò a sorridere. Odiava dover parlare appena sveglia. Considerava quelle ore come completamente importanti, in cui riusciva a toccare ancora con la sua aura quello che era successo in quella stanza giusto qualche ora prima. Come tutti gli angeli, non avevano bisogno di dormire, ma era una giusta e rilassante occupazione che avevano preso dai Materiali. In fondo, gli impediva di pensare a quanto fosse strana la vita che avevano scelto per se stessi.
Eterni amanti, senza scampo.
Forse era proprio questa prospettiva a regalarle un momento per cadere in estasi pensando al suo Michael, il suo Arcangelo.
Michael si chinò a baciarle le labbra, come per completare quel rituale, come per restituirle il bacio che lei gli aveva dato. Le sfiorò una mano sulla spalla, per poi scendere lungo il suo braccio snello che ricadeva lungo il fianco invitante.
Dovette farsi forza e distogliere lo sguardo da quelle forme femminili così tremendamente provocanti, guardandola negli occhi, che per un attimo lo spiazzarono. Gli parve di intravedere qualcosa di più profondo della vita che lei stava vivendo con lui. Era come se Tafriel avesse qualche segreto che non avrebbe saputo rivelargli.
- E’ meglio che ti vesti, prima che cada in tentazione. Di nuovo.-
La Cancelliera sorrise, e piegò la testa, allungando una mano verso il petto del suo Arcangelo.
- Non mi dispiacerebbe- disse, con una punta di lussuria nella voce ancora calda per il sonno.
Bastò uno sguardo scambiatosi che capirono entrambi che era ora di tornare alle loro attività. Sebbene Michael non dovesse fare rapporto a nessun Angelo dal momento che nel Grande Libro la sua impresa era già stata registrata, aveva deciso di andare a vedere che combinavano le sue truppe. Di sicuro stavano giocando a scacchi, il massimo divertimento per i “puri”, o almeno per chi vuole far credere di esserlo ancora.
Mentre si stavano vestendo, una voce, acuta come una freccia che centra l’obiettivo, attraverso le loro menti, congelandole. Entrambi si piegarono al suono squillante di quella angelica e autoritaria voce, che ancora vibrava.
Michael guardò smarrito Tafriel, ma lei gli sorrise incoraggiante, e finì di aggiustarsi la toga di seta.
- Torno subito- disse, mentre legava dietro la testa i lunghi capelli biondi in un’alta coda di cavallo.
Il suo interlocutore corrugò la fronte, assottigliando lo sguardo. Con la toga, che indossava solo quando non doveva andare in guerra, ancora per metà messa, bloccò ogni movimento.
- Tafriel, che succede?-
Dalla sua voce si percepiva tensione e senso di colpa. Forse era stata chiamata perché erano stati scoperti.
- Nulla di cui preoccuparsi, Michael-, lo rassicurò lei.
Fece per andarsene, ma l’Arcangelo della Fede la bloccò con una stretta intorno al braccio molto forte. Tafriel si voltò, sconvolta. Sospirò e si allungò a dargli un altro bacio sulle labbra. Chiuse gli occhi, ed assaporò per qualche secondo il suo sapore amarognolo ed acre.
Sentì la stretta di lui allentare allo stesso modo di come la scia di suono che aveva lasciato il richiamo tornò a vibrare.
Appena ebbe l’occasione, la biondina si liberò e corse via.
Inutili furono le proteste di Michael, che si chiedeva perché Metatron avesse chiamato lei. Solo lei.
   
 
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