Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Brume    10/08/2021    1 recensioni
Ho preso in prestito i nostri personaggi per raccontare una storia privata, accaduta quasi ottant’ anni fa.
Una storia in cui a due giovani viene vietato, a causa della differenza di ceto, di vivere serenamente il loro amore che nel frattempo ha dato un frutto: un bambino biondo, dagli occhi verdi. Mio padre. Provo a scrivere questa storia da almeno vent’anni e ci riesco solo ora, scomodando i personaggi di un manga e di un anime che ormai fanno parte delle nostre vite e Vi chiedo perdono , sinceramente, per aver tirato in causa e maltrattato i nostri beniamini. Non è una storia “ acchiappa- recensioni”, è una cosa mia, vedetela come un esperimento terapeutico che sento di condividere, che voglio condividere; si tratta comunque pur sempre di un testo che vorrei far evolvere e diventare qualcosa di più quindi, qualsiasi punto di vista, sarà comunque ben gradito.
Questa storia è scritta per te, Vittoria Martina Barbara Bonetti. E’ solo un tentativo, ma fatto con il cuore.
B.
STORIA SOSPESA PER MOTIVI TECNICI
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parigi, primavera  1789

“Ora che intendete fare, Andrè?” 

Seduti al tavolo di una locanda sulla strada che conduceva a Parigi, i due uomini sorseggiavano del vino osservando i dintorni e l'andirivieni di persone di ogni genere.
“Tornerò a Parigi e starò tranquillo per un pò. Jarjayes non mi deve trovare” rispose l’ altro.
Fersen annuì.
“Mi auguro che possiate trovare la vostra Oscar quanto prima, anche se non sarà facile. Il Generale Jarjayes è sempre stato un fine stratega ed è conosciuto per questo. Oscar potrebbe essere ovunque” rispose.
Andrè non potè far altro che dargli ragione.
“Lo so, sono cresciuto in quella casa. Sapete, non credevo potesse arrivare a tanto... Mi ha sempre trattato come un figlio...mi ha persino permesso di accedere agli studi , con gli stessi precettori di Oscar….”

Fersen annuì e  tornò a bere il vino rimasto nel bicchiere, poi lo poggiò sul tavolo davanti a sè.
“E’ pur sempre un nobile…” buttò lì il Conte, quasi a difesa “ ed è logica la sua reazione...con ciò non è mia intenzione dire che accetti il suo comportamento ma...dovete capirlo” .
Un bicchiere di nuovo colmo di vino andò a toccare le labbra dello svedese.
“...Avete ragione. Forse, mi ero fatte troppe speranze” rispose semplicemente Andrè “ in ogni caso...trattare così sua figlia…”
Fersen si alzò, invitando Andrè a seguirlo, con un cenno del capo. Iniziarono quindi a passeggiare, lentamente , come due vecchi amici. Ad un tratto, Fersen si fermò accanto ad un piccolo stagno.
“Posso aiutarvi a trovarla, Andrè. Ma non posso garantirvi la riuscita, naturalmente. Devo pur sempre mantenere il mio status” disse d’ un fiato, abbassando gli occhi quasi si vergognasse di aver pronunciato ad alta voce l’ utlimo pezzo di quella frase.

“Voi sapete dove potrebbe trovarsi?” chiese Andrè con il cuore in gola, trattenendosi dall’ urlare.
“No. Ma posso pur sempre avvicinarmi a qualcuno, a Versailles...Naturalmente non potrò avvicinarmi più di tanto a certi ambienti  ma posso comunque provarci.
”Andrè rimase di stucco. Fersen...colui che per anni considerò il suo rivale, l’ usurpatore del cuore di Oscar...ora lo voleva aiutare?
“Perchè lo fate?” chiese, dunque.
Fersen lo fissò negli occhi.
“Sono in debito con lei. Inoltre...mi auguro che almeno voi, in questa vita, possiate essere felici” rispose prima di girare i tacchi.

 

Fersen fu di parola.

Una volta arrivati a Parigi, Andrè si presentò dai suoi vecchi amici. Necessitava di un nascondiglio e ne aveva bisogno quanto prima: Jarjayes, anche se non di persona, avrebbe potuto mandare i suoi a dargli fastidio o toglierlo di mezzo. Ormai...quel vecchio aveva completamente perso la ragione ed Andrè non aveva intenzione di dargli soddisfazione; non tanto per la paura che potesse capitargli qualcosa ma per lei. Per Oscar.

Passate alcune settimane, Fersen incontrò quindi Andrè e lo fece in una locanda.
Lo trovò in un angolo della grande stanza, lontano dal focolare, con il cappello calato quasi a coprire il viso. Andrè ed Alain non faticarono a riconoscerlo seppure fosse sotto travestimento.
“Mi dispiace avervi distolto dalla vostra riunione” disse il conte , senza aggiungere altro. Non era li per discutere di politica, ma solo per Oscar.  Andrè ed Alain lo salutarono con il nome fittizio che avevano concordato tramite una serie di biglietti ed una cameriera amica di Alain.
“Nessun problema. Ditemi, l’ avete trovata?” 
Andrè aveva occhi accesi, iniettati di sangue.
Molto probabilmente non aveva nemmeno dormito granchè da quando si erano lasciati con questa promessa. Fersen posò una mano su quella dell’ uomo.
“Si, Andrè. L’ ho trovata” rispose, sorridendo. 

Andrè si sentì..rinascere. Una selva di emozioni cominciarono a smuovere ogni sinoglo centimetro del suo corpo. Il cuore parve uscire dal petto.
Oscar era viva!
Molto probabilmente era lontana, ma viva! Tutto sarebbe stato possibile, ora: ritrovarsi e finalmente ricominciare a vivere.
“Ditemi, dunque” disse con voce tremante. 
Alain, al suo fianco, cercava di mantenere la sua solita maschera  ma si poteva notare un luccichio nei suoi  occhi.      
Fersen attese che la cameriera portasse il vino ed il cibo che avevano ordinato; poi, si guardò in giro.
“Siete proprio sicuro che qui...è possibile parlare?” chiese Fersen.
Alain rispose al posto di Andrè.
“Si, signore. Qui, quelli come voi di solito non entrano, quindi non vi è pericolo che qualcuno legato al vecchio pazzo ci ascolti. Al massimo, possono farle le scarpe….” rispose.
Fersen passò oltre le parole di Alain.
“Andrè, la vostra Oscar si trova lontana, ma è comunque in Francia. Si trova nella Generalità di Strasburgo...è con vostra nonna” disse.
Andrè, che in quell’ istante stava iniziando a mangiare, lasciò cadere la forchetta. I suoi occhi fissarono il piatto.
Fersen sorrise.
“Posso portarvi da lei, se lo desiderate” disse.
Andrè chiuse gli occhi: l’ avrebbe rivista. Magari a breve.
“Ora mangiate” disse Fersen dando una sonora pacca alla schiena dell’amico “ festeggiamo. Più tardi parleremo del resto”.     

Alain e Andrè si guardarono.
Increduli, non riuscirono nemmeno a parlare: troppa era l’ emozione dell’ uno e dell’ altro, nel sapere di Oscar viva e vegeta e probabilmente al sicuro e per Andrè la gioia fu doppia: vi era anche la nonna, con lei, unica superstite della sua sfortunata famiglia.

 

  Generalità di Strasburgo, 5 agosto 1789

Da quella notte concitata in cui il piccolo Guillame vide la luce, passarono parecchi giorni. 
Therese, la donna che le aveva accolte salvandole da quelli che si erano rivelati disertori di un esercito non ben precisato, le aveva ospitate  nella propria casa dove del resto si trovavano ancora: non era sicuramente una situazione ideale ma almeno, li, vi erano due uomini a dare una mano. Oscar, per quanto si fosse ripresa - grazie anche ad un fisico temprato dalle vicissitudini e dal lavoro di una vita - doveva occuparsi del piccolo Gil , un bambino che da subito si era dimostrato vivace e che poco tempo le lasciava per dormire; non poteva quindi unirsi ai due uomini nella costante guardia alla casupola...e le sue giornate passavano  in lunghe passeggiate e faccende di casa.

Spesso, sul calare della sera, si intratteneva con Therese, la quale si era rivelata una persona completamente diversa dalla semplice contadina che le si era presentata innanzi parecchie sere prima; discorrevano di tutto e di più.
“...Anche io avevo una vita simile alla vostra, sapete?” disse una sera la donna.
Oscar se ne stava seduta su una coperta insieme al figlio, lo sguardo attento ad ogni suo movimento; a sentire quelle parole, i suoi occhi si alzarono da punto in cui si trovarono per fissare quelli della donna, incredula
“Che intendete dire?” domandò, curiosa, accarezzando il viso del neonato.
Therese finì di stendere i panni e posò la cesta, poi la raggiunse. Il marito ed il figlio erano intenti a lavorare l'orto e Nanny sonnecchiava seduta su una panca di legno.
“Mia madre apparteneva alla vecchia nobiltà, la sua famiglia era vecchia di secoli. Sposò mio padre, un suo pari, per amore; la nostra, per un certo tempo, fu una vita felice...ma ben presto le cose cambiarono” disse. Oscar non potè che manifestare la sorpresa sgranando gli occhi.
“In che modo?” domandò.
Therese si sistemò i capelli , tolse la cuffietta che indossava e li lasciò liberi.

“Un giorno, mio nonno decise che era ora di farmi sposare ad una persona di sua conoscenza. Ma io… non volevo finire la mia vita accanto al un vecchio lascivo che a cui ero destinata... Ero giovane, piena di sogni...avrei voluto fare l’ astronoma, penste... così scappai. Scappai senza sapere dove andare ma imparai alla svelta come sopravvivere: cercai lavoro in una delle tante locande e riuscii ad avere i soldi almeno per mangiare e dormire ” disse.
Oscar, silenziosa, attese il resto del racconto.
“....poi, un giorno, conobbi colui che ho sposato. Un bravu’uomo, lo amo sinceramente e lui ama me. Il resto...lo vedete davanti a voi” concluse la donna.

Oscar rimase ancora un attimo in silenzio, indecisa se condividere la verità con quella persona o meno.
Osservò Nanny, osservò il bambino.
Parlare liberamente poteva rappresentare un pericolo; e se fossero emissari del padre? Che fine avrebbe fatto?Indugiò.
Gil si era ormai addormentato; aria fresca arrivava dal bosco.
Si alzò, prendendo delicatamente il bimbo con sè; con la mano libera raccolse la coperta e poi fece alcuni passi, posandola accanto a Nanny che si svegliò.
“Nanny, potresti tenere Gil con te, un attimo?” le chiese allora, a quel punto; la vecchia assentì. Dopo aver dato un bacio al piccolo, iniziò a camminare.
“Venite, Therese” disse voltandosi in direzione della donna “ debbo raccontarvi una storia”.

Aveva deciso.
Voleva fidarsi, era stanca di vivere nei suoi segreti.
Forse sarebbe stata una mossa azzardata; ma l'istinto, la pancia, diceva il contrario.Quando furono lontani dalla casupola, appena dentro il bosco, Oscar iniziò a parlare.
“...Io non sono scappata, mi ci hanno costretta, portata di forza, qui” esordì. “Appartengo ad una delle famiglie nobili più vecchie della Francia,  il mio nome completo è Oscar François de Jarjayes”.

Therese la ascoltò con attenzione.

“...Sono stata cresciuta come un uomo per continuare la tradizione di famiglia, ovvero continuare la stirpe di Comandanti Reali; ho vissuto a Versailles, ho conosciuto da vicino la Regina, ho servito fedelmente la Corona. ”
“Ho sentito parlare di Voi. Vivrò anche al limitare del bosco, ma vi assicuro che le voci arrivano anche qui, tanto più se riportano qualcosa che vada al di fuori dell'ordinario come può essere una vita simile alla vostra” la interruppe Therese. Oscar annuì.
“...Scusatemi ma...perchè vi hanno costretta?” chiese, poi, la contadina.

Oscar rimase in silenzio fissando le punte dei piedi.
“Ho deluso mio padre, esattamente come avete fatto voi. Mi sono innamorata del mio attendente, Andrè...il nipote di Nanny, la mia nutrice. Siamo cresciuti insieme, sin da piccoli;  è sempre stato al mio fianco.  Ci siamo innamorati...lui è’ il padre di Guillaume” concluse.

Therese guardò Oscar. 

“Lui...lui dove sta, ora?” domandò.Oscar sospirò.
“Non ne ho la minima idea, Therese. Mio padre non lo denunciò alle autorità, ma lo cacciò di casa...e temo che non sia nemmeno finita li; forse lo ha punito, non saprei. Non sa nemmeno del figlio, ho scoperto di essere gravida solo dopo essere arrivata qui” rispose.
Si passò una mano nei capelli; alzò gli occhi al cielo.
Stava facendo buio. Si alzò ed iniziò a camminare sulla via del ritorno.
“...Non preoccupatevi, Oscar, saprò mantenere il vostro segreto” disse Therese, dal nulla,  seguendola. Non chiede niente altro, non volle sapere nulla. In quel momento erano semplicemente due donne , ognuna con i propri trascorsi, unite da un destino simile che le aveva allontanate dai rispettivi mondi. Tanto bastava.

Quando rientrarono, la casupola era immersa nel silenzio; gli uomini si erano ritirati in casa, così come Nanny ed il piccolo.
Un altro giorno volgeva al termine, un altro giorno sarebbe iniziato.

Senza Andrè.
Lontano da lui.
Un altro giorno pieno di dolore.

 

Quella notte, dopo aver allattato il piccolo, prese carta e penna ormai dimenticate sul fondo di un vecchio sacco che aveva portato con se e iniziò a scrivere.
Non voleva più aspettare


 

Paris, 9 agosto

Andrè si svegliò in una stanza che subito riconobbe: era la stanza da lui occupata a casa di Bernard, parecchio tempo prima. Quando aprì gli occhi era in realtà sveglio da un pò ma aveva lasciato che i sensi si mettessero in moto, per così dire, senza forzarli; aveva ascoltato rumori, suoni e parole giungere dall’ esterno prima di tornare al mondo.
In un angolo della stanza vi erano i suoi abiti lisi, rattoppati, amorevolmente piegati ed appoggiati su di una sedia. Accanto a questa una struttura in metallo sosteneva un bacile ed una brocca e li vicino, su di una poltrona, sonnecchiava Rosalie.

“...Ro...Rosalie….” disse, sforzando un pò la voce roca.

La donna parve ridestarsi; si mosse, aprì gli occhi.

“Andrè! Andrè!” urlò, chiamando al contempo il marito.
Lui sorrise, abituato fin da sempre alle scene della donna; nel mentre, arrivò Bernard.
“Amico mio! Come stai?” chiese avvicinandosi al capezzale dell’ uomo. Andrè cercò di mettersi a sedere.
“Tutto rotto….” rispose, osservandosi le mani e le gambe seminude, scoprendosi da quel lenzuolo leggero.
“...Immagino! Il dottore ti ha visitato parecchie volte , eri conciato male. Hai avuto la frebbe alta per un pò...ma per fortuna le ferite non hanno leso organi interni o portato infezioni. Se ti dicessi dove ti ho trovato….” disse, trattenendo a stento l'emozione di rivedere gli occhi aperti di Andrè.
“...io ricordo un  gran poco: mi trovavo nel mezzo della battaglia, al mio fianco c’era Alain...poi ricordo una strada, la folla, mi hanno calpestato….” disse. La voce era rotta dall'emozione.
“Ricordi altro del tuo passato?” domandò Rosalie, avvicinandosi e porgendogli un bicchiere d’ acqua.
Andrè vagò con lo sguardo per la stanza, come volesse cercare un appiglio, un indizio.
“...si, ricordo di essermi messo alla ricerca di Oscar, dopo avere incontrato Fersen….ricordo di essere finito delle grinfie di Jarjayes più e più volte...ricordo la mia disperazione nel non riuscire a fare nulla...e ricordo l’ inizio della Rivoluzione…” rispose.
Il suo volto si irrigidì, i suoi occhi si spensero.
Bernard fece un cenno a Rosalie: forse era il caso di lasciarlo stare, per quel giorno, quindi cambiò argomento. Di tutto ciò ne avrebbero parlato con calma, nei tempi a venire, come effettivamente accadde, lasciando a bocca aperta i presenti tanto da una parte quanto dall’ altra.

 

18 agosto

“Scusate, siete voi Alain de Soisson?” chiese un ragazzotto dall'aria campagnola all’ uomo intento a bere un bicchiere di vino, seduto al tavolo con altri uomini. Alain si voltò, squadrando da cima a fondo il nuovo venuto.
“Chi mi vuole? Se sei qui alla ricerca di un padre, ti dico subito che potrei anche essere io, ma che non ho intenzione di prendere le mie responsabilità” disse sghignazzando, tirandosi dietro gli altri uomini.
Il ragazzotto non si scompose minimamente e rimase fermo al suo posto.
“No, signore, una madre ed un padre li ho. Sono qui per conto di...una certa persona che voi conoscete bene” disse.
Alain alzò gli occhi al cielo.
“Sbrigati a dirmi ciò che devi dire e vattene, ragazzo, sono impegnato” rispose quindi, pur di toglierselo di torno. Il giovanotto infilò una mano in tasca e diede il contenuto ad Alain.
“Da parte di Oscar” disse lasciando il biglietto sul tavolo accanto alle carte ed ai bicchieri di vino sparsi qua e la.
Alain impallidì, si alzò.
“Se sei un leccaculo del vecchio, vattene subito prima che possa farti del male!” disse diventando paonazzo,  voltandosi e prendendo il giovane per il colletto della camicia.
Il ragazzo non si fece intimidire.
“Non so a chi vi riferite, monsieur. Vi sto cercando da tre giorni. Tutto qui” rispose semplicemente.
Alain guardò per un attimo quel ragazzo negli occhi e poi lasciò la presa quindi, tornò al suo posto e iniziò a il biglietto chiuso solo da un filo di spago.

 

Mio caro amico, spero di trovarti in vita, con questa mia.
Ho affidato le parole al figlio di una conoscente; sè un bravo ragazzo ...quindi mi auguro che tu non lo abbia spaventato con i tuoi soliti modi…

Ti dico subito che sto bene.

Mio padre, come credo Andrè ti avrà raccontato, dopo averci scoperti mi ha mandato lontana, nella Generalità di Strasburgo; io e Nanny abbiamo vissuto ignare di qualsiasi cosa  per molti mesi  finchè una sera - per traversie che non ti sto a raccontare - ci  è venuta in aiuto una donna, Therese, che insieme a marito e figlio ci ha messo al sicuro. Ho aspettato Andrè per moltissimo tempo. Speravo mi venisse a cercare; io ero impossibilitata a muovermi e, se ci rivedremo, scoprirai anche il perchè. Spero sia vivo, il mio Andrè, spero stia bene; non scrivo a lui direttamente - e come vedi non ho neppure indirizzato la lettera -  perchè sono sicura che mio padre potrebbe intercettarla….mi affido al destino, augurandomi che sia dalla mia parte.

Ti prego di aiutarmi.
Il ragazzo resterà a Parigi per un pò di tempo da alcuni parenti nei pressi di Saint Honorè. 

Rimanfo in attesa di notizie, tue o di Andre, nella speranza di abbracciarvi quanto prima.

 

Oscar.

 

Alain rimase a fissare la lettera per un pò, senza profferire verbo.
Poi, lasciò carte e vino sul tavolo e senza dire nulla corse verso casa di Bernard, ad un isolato da li.

“Bernard, apri!” urlò battendo forte sulla porta, guardandosi in giro. Sudato, si passò una mano sulla fronte ed attese.
“Rosalie!” urlò, ancora.
“Diamine, Alain, smettila di urlare” gli rispose una voce aprendo la porta.
“Andrè, proprio te cercavo. Come stai?” disse, entrando.
Andrè, claudicante e ancora un pò sofferente, andò a sedersi sulla poltrona.
“...Non c’è male...ma dimmi...cosa è tutta  questa fretta?” chiese. Con una mano sposto i capelli sciolti e scuri dietro le orecchie.
Alain fece alcuni passi verso di lui e senza parlare gli lasciò il  biglietto tra le mani.
Andre lo prese, senza darci perso.
Lo aprì ed iniziò a leggere.


Non volò una mosca, in quegli istanti. Solo brividi.
Andrè lesse e rilesse quel foglio, poi lo lasciò cadere, quasi sotto shock; infine, si lasciò andare contro lo schienale della poltrona, alzando gli occhi al cielo.

“..andiamo da lei, Alain. Subito...non voglio perdere nemmeno un istante” rispose, alzandosi in piedi.
   
 
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