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Autore: Brume    13/08/2021    2 recensioni
Ho preso in prestito i nostri personaggi per raccontare una storia privata, accaduta quasi ottant’ anni fa.
Una storia in cui a due giovani viene vietato, a causa della differenza di ceto, di vivere serenamente il loro amore che nel frattempo ha dato un frutto: un bambino biondo, dagli occhi verdi. Mio padre. Provo a scrivere questa storia da almeno vent’anni e ci riesco solo ora, scomodando i personaggi di un manga e di un anime che ormai fanno parte delle nostre vite e Vi chiedo perdono , sinceramente, per aver tirato in causa e maltrattato i nostri beniamini. Non è una storia “ acchiappa- recensioni”, è una cosa mia, vedetela come un esperimento terapeutico che sento di condividere, che voglio condividere; si tratta comunque pur sempre di un testo che vorrei far evolvere e diventare qualcosa di più quindi, qualsiasi punto di vista, sarà comunque ben gradito.
Questa storia è scritta per te, Vittoria Martina Barbara Bonetti. E’ solo un tentativo, ma fatto con il cuore.
B.
STORIA SOSPESA PER MOTIVI TECNICI
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Generale Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che era accaduto in quei molti mesi passati lontano, Andrè non lo poteva immaginare. 


Non vedeva Oscar dall’ autunno del 1788; ne aveva passate delle belle e aveva rischiato di morire più volte; aveva provato a cercarla ed ogni volta si era trovato davanti ad ostacoli insormontabili. Da un pò, tuttavia, Jarjayes non dava notizie... forse si era deciso davvero a lasciare la Francia, dopo Calais, o forse viveva ancora nel Paese sotto mentite spoglie...ma tutto questo non lo toccò affatto: ora che sapeva dove andare, ora che sapeva dove stava Oscar, avrebbe potuto organizzare il suo viaggio, magari in compagnia di  Alain,  Rosalie, Bernard nonchè gli altri uomini; doveva trovarla, riabbracciarla.
Al dopo...a quello ci avrebbero pensato.
La compagnia partì, dunque, tre giorni dopo l'arrivo di quella lettera: giusto il tempo di prepararsi ad ogni evenienza ed organizzare il percorso.Ognuno arrivò con la cavalcatura che ancora possedeva:i due coniugi salirono a cassetta di un piccolo calesse, Andrè sul carro che il marito ed il figlio di Therese avevano utilizzato per arrivare in città. Alain, invece, riuscì a recuperare un paio di cavalli. Uno per sè ed uno di scorta, disse.
Avrebbero percorso, alla giornata, non più di quanto gli animali potessero reggere ovvero l’ equivalente di trentamila tese (*1) e si sarebbero fermati a dormire dove capitava; Alain avrebbe svolto il ruolo di guardiano, dandosi il cambio con gli altri.
Così facendo, avrebbero raggiunto la Generalità entro una settimana (*2).


Partirono dunque, di buona lena, il 21 di agosto.
All’ alba la compagnia si trovava già in viaggio e la presenza del cittadino Bernard fu un lasciapassare di tutto rispetto; guardia nazionale e cittadini  presidiavano la città ed i suoi passaggi cruciali.
Andrè , seduto accanto ai due, rimase zitto gran parte del viaggio di quel primo giorno;  i due erano cortesi e non mancarono di farlo sentire a suo agio ma...vi era qualcosa che non tornava e questa sensazione lo portò a rinchiudersi sempre di più. Anche gli altri, Alain in primis, non furono molto loquaci: l’ attenzione doveva rimanere alta, quel vecchio pazzo poteva essere ovunque ed inoltre, la strada, era frequentata ormai da anni da gente di malaffare.

Quando, a sera, si fermarono nei pressi di una delle locande , poterono trarre un respiro di sollievo. Quella prima giornata era andata bene ed ora, con tutta probabilità, li aspettava una buona cena ed il riposo.
Tranquillizzati dalle parole di Alain che aveva pure dato una occhiata nei dintorni, finalmente entrarono.
L’ oste, un uomo sulla quarantina affiancato da una donna di poco più giovane, non fu affatto sorpreso di trovarsi davanti quella compagnia: erano molte le persone che, in seguito ai fatti di luglio, si erano messe in movimento; persone di tutte le età e di tutti i ceti, senza distinzione di sorta.
“Come posso esservi utile?” domandò, come prassi, andando incontro ai nuovi venuti.
“Ci servirebbe un buon pasto ed alcune camere. Va bene tutto ciò che ha, non abbiamo pretese” disse Alain, scaltro.
L’ oste si guardò in giro.
La locanda era discretamente affollata; poi osservò la compagnia.
“Ho a disposizione tre camere, se vi adattate” rispose.
Alain, Andrè e Bernard si fissarono. Era perfetto: padre e figlio avrebbero occupato una camera, i coniugi Chatelet la seconda ed infine, Alain avrebbe condiviso la sua con Andrè, come ai vecchi tempi della caserma.
“Va bene” disse Bernard, prendendo dalle tasche alcune livres.  I presenti si accomodarono, dunque.


Così ebbe inizio il loro viaggio, ultimo ostacolo per riabbracciare Oscar.

 

Il giorno dopo e quelli seguenti, Andrè parve vivere in un limbo. Emozioni contrastanti si scontravano nella sua anima e nel suo cuore; era come se...qualcosa non tornasse.
Gli sguardi dei due uomini con i quali viaggiava erano talvolta pensierosi, talvolta sfuggenti; vi era forse una verità che ancora non conosceva?
Lasciò che questi pensieri vagassero e, nelle brevi soste che facevano per sgranchirsi le ossa, si appartava in totale solitudine. Cercava un albero, di solito, a cui appoggiarsi o stendersi e li, sovente, ammirava il cielo azzurro tra le fronde e le chiome delle piante.
“Mi dici che ti prende?” gli chiese un giorno Alain, cogliendolo di sorpresa. Andrè aprì gli occhi e lasciò cadere il filo d’ erba che teneva fra le labbra, un vezzo che si portava dietro fin da quando era bambino.
“Nulla, Alain…” rispose.
L’ amico fece spallucce.
“Non me la racconti giusta. Che c’è, sei preoccupato che la tua bionda non si trovi più li o si sia trovata un altro uomo?” domandò sarcastico. Andrè si mise a sedere, paonazzo in viso.
“Dai, sto scherzando, non stancarti. Sei ancora sulla via della guarigione” rispose Alain calmando gli animi.
Andrè si appoggiò al fusto della pianta dietro di lui.
“...C’è qualcosa di strano, Alain. I due uomini che sono con noi...parlano raramente e, quando viaggio con loro, gli sguardi sfuggono. Non so, è come se volessero nascondermi qualcosa” rispose lui.
Alain , che aveva avuto la stessa impressione, cercò comunque di smorzare i pensieri.
“E’ gente così, Andrè. Contadini, abituati a fare invece che a parlare” tagliò corto. Poi, notando che gli altri li stavano chiamando, si alzò, seguito dall’ amico.
“...sarà…” mormorò Andrè, alzandosi e pulendosi i pantaloni; poi, prese il bastone e seguì Alain. Il suo sesto senso aveva colto effettivamente qualcosa, ma nemmeno lui poteva immaginarne la portata.




 

Generalità di Strasburgo, 25 agosto.

“Domani è il compleanno di Andrè, Nanny” disse Oscar, cullando tra le braccia il piccolo Gil, come ormai aveva preso a chiamare il piccolo. La nonna stava aiutando Therese a preparare la zuppa; sollevò lo sguardo da ciò che stava facendo e guardò la donna.
“Quanti sono?...trenta...trentacinque, giusto?” disse mettendosi a contare con le dita. Oscar sorrise.
“Si, nonna. Trentacinque. E’ più grande di un anno rispetto a me” rispose.
La nonna guardò il viso della giovane.
Nonostante tutto era sereno; tranquillo, in un certo modo.
Talvolta lo aveva visto pensieroso, soprattutto i primi tempi del loro esilio, quando di tanto in tanto ricevevano visite o lettere dal Generale; ora, invece, pareva tranquillo.
“...Chissà che fine ha fatto vostro padre...” si lasciò sfuggire Nanny. Oscar impallidì.
“...Non posso odiarlo, perchè in fondo mi ha donato la vita: ma spero sia il più lontano possibile da qui. Spero si sia salvato dalla furia di quel giorno e dalla Rivoluzione...ma non credo di volere più aver niente a che fare con lui” rispose.

Nanny sospirò.
“...eppure, un tempo, non era così” disse.
“Non riesco ad immaginarlo, Nanny cara” rispose Oscar. Gil si era addormentato, quindi con la massima cautela lo posò nella cesta di vimini li accanto. Sarebbe stato comodo, tra strati di coperte.
“...Lui è...era come te, Oscar. Sanguigno, pieno di vita, dedito totalmente al lavoro e, soprattutto, sa cosa significa amare. Ha sposato vostra madre per amore, non per costrizione” disse Nanny.
Oscar faticò ad immaginare il proprio genitore in tale vesti. Lei aveva conosciuto un uomo risoluto, con un pazzo desiderio per la testa per quella figlia che avrebbe dovuto essere un uomo.
“...Nonostante questo, Nanny, non riesco a perdonarlo. Spero...spero di non vederlo mai più” rispose, prima di uscire con gli occhi colmi di lacrime.

Passeggiò a lungo, Oscar, quella mattina.
Si incamminò lungo il sentiero, verso la strada sterrata che portava al paese vicino; respirò a pieni polmoni l’ aria, il profumo dei fiori, percepì l'umidità proveniente dalla piccola fonte e sfiorò con esili dita le foglie che sporgevano dai cespugli, vivi, carichi di vita.
Solo li si sentiva bene, si sentiva libera.
Solo li poteva ripensare alla sua vita, a ciò che era stata, nonchè al futuro che poteva attendere lei ed il piccolo.
Già: il futuro.
Cosa avrebbe fatto?
Dove sarebbe andata?
Non avrebbe potuto fermarsi da Therese ancora a lungo: prima o poi  sarebbe stata costretta a prendere una decisione.

Tornare a Parigi? La casa in Normandia?  Arras?
Tutti quei luoghi, legati a lei ed alla sua famiglia e pure ad Andrè, erano decisamente fuori questione. Troppo ovvi, troppo pericolosi.
Inoltre: cosa avrebbe fatto per mantenersi?
A parte fare il soldato, non aveva mai svolto alcuna mansione. Si era arrangiata, aiutata da Nanny, a svolgere le faccende di casa...ma non avrebbe mai potuto divenire governante.

“Istitutrice, forse…” disse, a voce bassa, dando voce ad un pensiero. Poi sorrise, sorrise nel rendersi conto di parlare da sola; alzò gli occhi al cielo, osservò quella distesa azzurra, riprese fiato.

Era ora di tornare indietro, prima che qualcuno si preoccupasse.


“Dove sei stata?” le domandò Therese.
Lei e la nutrice avevano finito di preparare la zuppa; Gil dormiva ancora, guardato a vista, mentre le due donne riposavano sedute accanto al tavolo.
“Ho fatto un giro nei dintorni” rispose lei recandosi subito a controllare il piccolo. Poi prese posto con le altre donne.
“Vostro marito e vostro figlio non sono ancora tornati?” chiese.
Therese allungò la mano appoggiandola a quella di Oscar.
“No. Ma credo non tarderanno di molto. Vedrete che...vi porteranno buone nuove” disse, sorridendo.
Oscar si lasciò scappare un sospiro.
“Mi basterebbe solo sapere che sta bene….” mormorò “questo...questo mi farebbe felice. Non pretendo altro”
Nanny la guardò con occhi colmi di tristezza.

27 agosto

“Dovermo quasi esserci. Siamo appena entrati nella regione, la nostra casa non è molto distante” disse ad un certo punto il vecchio, facendo quasi spaventare Andrè, che stava sonnecchiando.
Appena si riprese, volse lo sguardo nei dintorni:  il territorio pianeggiante si apriva letteralmente su vasti prati che all’ orizzonte  lasciavano intravedere tetti e campanili. Il suo cuore vacillò per un attimo. Alain, che faceva la spola tra gli Chatelet e quel carretto, si avvicinò a lui, sorridente.
“Tra poco ci siamo, Andrè” gli disse, offrendo una borraccia con dell’acqua al proprio amico.
“Già…. “ rispose Andrè, prendendo con mani tremanti “...io..io non so cosa dire...come ringraziare tutti voi…”
“Non devi ringraziare me, ma questi signori” rispose pronto l’ amico; Andrè, per la prima volta, vide un sorriso sul volto di quei due uomini e sembrò che i dubbi, le perplessità...insomma gli sembrò che quelle strane sensazioni provate fino ad allora svanissero.
Sorrise.
Sorrise anch’esso, come mai aveva fatto.

 

La compagnia era in viaggio da sei giorni, ormai: erano tutti stanchi, provati da quel viaggio e dai pericoli che ne potevano derivare; così quella sera, ad un paio di ore circa di cammino dalla casa in cui Oscar ormai viveva, decisero di fermarsi.
In realtà, quella pausa fu una scelta ben meditata: di comune accordo, Alain Bernard e Rosalie si sarebbero tenuti in disparte almeno per un paio di giorni, lasciando così il tempo ad Andrè ed Oscar di rivedersi, parlare. solo quando li avrebbero visti comparire in quella locanda, si sarebbero palesati.
Andrè venne tenuto all’ oscuro, gli fu semplicemente detto che la partenza, l'indomani, non sarebbe stata all’ alba, ma che se la poteva prendere con calma.
Dopo aver cenato, quindi, rimasero insieme un pò tutti a chiacchierare, lasciando ad Alain il compito di sorvegliare; quando un campanile lontano suonò le dieci, tuttavia, si ritirarono.

Andrè si recò quindi nella sua camera. Si spogliò, si lavò e si infilò a letto; era stanco e le ossa dolevano. I postumi della battaglia e di ciò che gli era accaduto poi lo avevano lasciato temporaneamente claudicante e debole...ma per il resto, non poteva lamentarsi.
Guardò il soffitto a lungo, prima di addormentarsi: nella sua mente comparirono uno per uno i ricordi di una vita con Oscar, da quando erano bambini fino all’ età adulta. Rivide i loro primi incontri, i loro primi baci, la loro prima notte insieme; l’ emozione lo prese, ed una lacrima scese dal suo viso.
“Domani, Oscar, se Dio vuole...ti rivedrò” disse; poi, si rigirò sul fianco e provò a dormire. Nel giro di pochi minuti, il sonno profondo lo colse, tanto che non sentì neppure Alain rientrare, sbronzo come pochi.


Il mattino seguente, prima che l’ alba comparisse nel cielo, Andrè era già pronto per partire.
Aveva fatto un buon sonno, si sentiva bene; ma in quel letto non ci rimase a lungo. Presto, dunque, si era preparato ed ora si apprestava a svegliare il compagno, che russava pesantemente.
“Alain, Alain, svegliati” disse scuotendolo senza molti complimenti. Il braccio dell’ uomo si alzò come volesse scacciare una mosca e Andrè dovette fare un salto all’ indietro per non essere colpito.
“...Che vuoi, diamine?” aveva domandato con gli occhi chiusi e la bocca impastata.
“Dobbiamo andare. Fare colazione. Preparare i cavalli ed il carro” rispose Andrè.
Alain sorrise.
“Io non vengo. Lasciami dormire” rispose tirandosi sul viso il lenzuolo.
L’ amico lo guardò, sconcertato.
Le mani sui fianchi e la faccia seria, lo fissò.
“Come sarebbe a dire io non vengo, lasciami dormire?” chiese dunque, strappando via, poi, quel lenzuolo.
Le nudità di Alain, a cui era abituato dopo molto tempo di caserma, comparvero ai suoi occhi.
“...Santo Cielo, Alain, copriti” disse Andrè fingendosi scandalizzato “ ...e muoviti. Forza. Senza tante storie”.
Alain si mise a sedere, con moltoa fatica aprì anche gli occhi.
“Sei proprio una testa di legno. Andrè, da Oscar ci andrai da solo. Io e gli altri vi aspetteremo qui…” disse, facendo seguire alle sue parole un sonoro sbadiglio.
Andrè, lo fissò.
“Ma...io…”fece per dire.
“Che c’è, hai paura del tuo ex comandante? Eh si che si hai vissuto una vita, insieme” disse Alain ridendo.
Andrè fece lo stesso.
Rise.
“...allora...io vado” disse , dando una pacca sulla spalla all’ amico.
Alain sorrise, lo osservò uscire  e tornò al suo sonno, felice più di quanto volesse dar a vedere per quell’ amico che reputava come un fratello.
Andrè raggiunse la sala comune dove l’ oste, già in piedi a servire altri foresti di passaggio, gli portò qualcosa da mettere sotto i denti; padre e figlio lo raggiunsero dopo poco.
“...Ci vorranno altre due ore, prima di arrivare” disse il ragazzotto, con aria ancora assonnata, dopo averlo salutato. Andrè sorrise.
“E’ sicuro, qui?” chiese, poi.
“Da questa locanda in poi passeremo per un piccolo villaggio ..infine prenderemo una deviazione, che ci porterà a casa nostra” rispose il padre.
“Grazie, signori, per tutto ciò che avete fatto” disse Andrè addentando un pezzo di pane e del formaggio.
I due sorrisero.
“Avrà una bellissima sorpresa, quando arriverà” si lasciò sfuggire il figlio, prima che tutti uscissero da quella stanza: Andrè si immobilizzò per un attimo, pensiero, poi li seguì. Era troppo felice, non stava più nella pelle. Voleva arrivare a destinazione veloce come il vento.


“Therese, stanno arrivando” disse Nanny, osservando il carro procedere lento, a qualche centinaio di metro da lei. Le donne posarono la cesta di biancheria. Oscar si trovava all’ interno ad allattare il piccolo Gil.
Therese lasciò le varie incombenze ed andò verso il pozzo: sia cavalli che uomini avrebbero gradito dell’ acqua fresca.
Nanny, invece, continuò nel suo lavoro; prese le lenzuola, le piegò e le mise in una cesta. Nonostante l’età, si sentiva ancora bene ed in forma e le piaceva dare una mano.

Il carro si avvicinò, sempre di più, fino a fermarsi e raggiungere la piccola stalla a fianco di casa. Therese andò quindi incontro a marito e figli, tornando con loro e raggiungendo la nutrice di Oscar.
“Vi trovo bene, come è andata a Parigi? Che notizie portate?” chiese quest’ ultima.
“Notizie...molte. Ma da Parigi vi abbiamo portato altro,Madame Grandier” rispose il giovane guardando il proprio genitore.
Nanny posò lo sguardo sull’ uno e l’ altro; i due, allora, decisero di condurla dove avevano appena lasciato i cavalli.

 

Andrè, il suo unico nipote e tutta la sua vita, era li.

In piedi,  un bastone ad aiutarlo, camminava piano verso la casa facendo quei pochi passi come se volasse; era cambiato, portava addosso le ferite degli scontri ma anche quelle dell’ anima. I suoi magnifici occhi verdi erano diversi, intensi.

“Andrè….” mormorò la donna, avvicinandosi al ragazzo.
Lui anzò lo sguardo, sorpreso, emozionato.
“Nonna, cara nonnina mia... Vi ho trovato, finalmente…” disse con un filo di voce, aprendo le braccia per accoglierla e poi stringendola forte.
La vecchina iniziò a singhiozzare.
“Non...non sapevamo più cosa pensare” disse, stretta in quell’ abbraccio “ io e Oscar non sapevamo davvero più che fare”
Andrè la strinse ancora di più.
“Ora sono qui. Avremo modo di parlare, l’ importante è...essersi ritrovati. Dove...dove è, lei?” chiese l’ uomo. I due si sciolsero dall’ abbraccio, la nonna si aggiustò la veste, poi lo prese per mano.
“Vieni con me” disse, iniziando a camminare, passando tra Therese ed i suoi ed arrivando davanti alla piccola porta semiaperta. Andrè la seguì senza fiatare.
“Ora...entra. Tu, da solo. Troverai Oscar in camera...ci sono solo tre stanze in questa casa, non potrai sbagliarti” disse.
Andrè annuì. Posò la mano sulle assi di legno, le spinse piano, entrò. Il grande spazio comune e quel profumo misto di legno ed aromi appesi alle travi lo avvolse.
Fece alcuni passi verso una delle porte davanti a sè.
In preda all’ emozione, si trattenne dall’ urlare il nome di Oscar, dal correre tra le sue braccia; tremava e la sua voce stentava quasi ad uscire.
Andrè rimase fermo per un attimo, quindi, davanti a quella porta. Il suo cuore pareva voler uscire dal petto e serie infinite di pensieri e parole invadevano la sua mente.
Aprì la porta, piano.

 

Mai, mai nella sua vita avrebbe mai avuto una sorpresa simile. Mai lo aveva immaginato, mai lo aveva pensato.
Oscar era davanti a lui: i capelli raccolti, una camicia chiara come i pantaloni che quasi mai aveva dismesso - tranne che nel periodo della gravidanza- la donna era china su una culla in legno, dove un bimbo dai capelli chiari sembrava dormire.
“....Oscar” bisbigliò, quasi per non disturbare.
Lei alzò il viso, un viso incredulo, quasi pallido. Gli occhi parvero uscire dalle orbite e la bocca si aprì, quasi a voler pronunciare parole che però non uscirono; poi, in meno di una frazione di secondo, la donna si alzò e corse incontro ad Andrè, abbracciandolo forte.
I loro corpi si fusero in quell’ abbraccio che anelavano da tempo, stringendosi forte. Mani impazzite sfioravano capelli, guance, braccia, visi; automaticamente, le loro labbra si cercarono, la cosa più naturale al mondo.
“Io e Gil ti abbiamo aspettato tanto” disse Oscar, quasi in un soffio. Andrè fissò la donna e poi la culla. Il suo sguardo a metà tra il sorpreso e l’interrogativo fece la spola tra la piccola culla ed il viso di Oscar, sorridente.
Lo prese per mano.
Accompagnò Andrè davanti a quella culla dove il bimbo sonnecchiava, beato.Andrè guardò il bambino, carezzò la piccola e soffice guancia, sorrise. Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa dire, quasi non si rendeva conto delle cose.
Chi era quel bambino? Poteva essere che….

Oscar lo tolse dall’ impiccio.
Stringendo ancor di più la mano dell’ uomo, lo guardò.
“....Lui è Guillame André Marie Philippe. E’ nostro figlio, Andrè...e ti aspettava da un pò di  tempo” disse, senza aggiungere altro se non lacrime di gioia.


*1: circa 50 km
*2: la distanza tra Parigi e Strasburgo città è di circa 500 km. Ho adattato un pò le cose e, calcolando la percorrenza massima di una cavallo di circa 60 km al giorno ad una andatura variabile (trotto, galoppo, passo) ho tirato un pò le somme facendoli correre un pò e percorrere la distanza in 7 giorni circa ahahahahahaha
   
 
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