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Autore: Fiore di Giada    16/08/2021    3 recensioni
Qualche minuto dopo, aprì gli occhi e si guardò intorno.
Una densa cappa grigia, simile alla nebbia, copriva il suo sguardo, mentre nuove, atroci fitte di dolore trapassavano la sua testa.
Un forte peso, come un masso, opprimeva il suo petto e violenti brividi scuotevano la sua schiena.
Si agitò un poco e gemette. Le sue membra erano trapassate da fitte di pena.
Ricordava solo l’arrivo di Ken, poi l’oscurità era calata su di lui.
– Ben svegliato. – borbottò una voce pacata.
Stupefatto, Genzo sbatté le palpebre e si accorse di essere disteso sul letto, mentre Ken, seduto a poca distanza da lui, scorreva con lo sguardo il giornale.
Genzo provò a muovere la bocca, ma le parole parvero impigliarsi sulle sue labbra, come insetti nella tela del ragno. Aveva fallito.
Col suo eremitaggio, aveva creduto di proteggere i suoi compagni dal disonore.
Eppure, Ken era lì e il suo sguardo scorreva su quei fogli di giornale, su cui era descritta la sua infamia.
Perché? Perché lo aveva seguito?
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Genzo Wakabayashi/Benji
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il ventilatore girava ad alta velocità e una forte corrente d’aria riempiva la stanza dell’abitazione, sobriamente arredata.
Genzo Wakabayashi, steso sul letto, lasciava smarrire lo sguardo sul soffitto. Era trascorso un anno, ma nulla era mutato.
Il silenzio di quell’abitazione, in un paese lontano, proteggeva la sua psiche, dilaniata dai rimorsi.
Se fosse rimasto in Germania, non avrebbe retto e si sarebbe spezzato.
O era una sua errata convinzione?
Si girò e posò lo sguardo sul giornale che era posato accanto al suo letto.
In prima pagina, severo, duro, implacabile, nereggiava il titolo:

I soldi hanno protetto un assassino. Che destino ha la nostra giustizia?
La giustizia tedesca è morta. Non si è visto dai tempi del processo di Norimberga un simile, intollerabile abuso.
Un giovane di venticinque anni, Andreas Schumann, con la passione per la bicicletta e il volontariato, è morto sulla strada, investito dalla BMW nera guidata da Genzo Wakabayashi, portiere nipponico e stella dell’Amburgo.
Andreas lascia i suoi genitori, Martin e Susanna, e sua sorella, Hilda, straziati dal dolore.
Tutti ricordano di lui la dolcezza, la passione per il ciclismo e l’estrema abnegazione verso i bambini disabili. Tutto questo non è più, a causa dei capricci di un ragazzino nipponico annoiato, desideroso di forti emozioni.
Con la sua crudele stupidità, ci ha sottratto un giovane prezioso, che tanto avrebbe potuto dare alla comunità.
Grazie ai soldi e alle testimonianze compiacenti, è libero, nonostante il sangue sulle sue mani. Può riprendere la sua carriera, ma qualcuno darà la vita ad Andreas?
Ai suoi genitori e a sua sorella sarà ridato il calore del suo sorriso?
Wakabayashi, grazie ai soldi e alle amicizie influenti, può rifarsi una vita e non pagherà il suo delitto. Come i nazisti a Norimberga, lui sarà amnistiato.
Questa è la giustizia della civile Germania.

– No… Basta! Basta!sibilò.
Di scatto, si alzò a sedere e si strinse la testa tra le mani, frenando a stento le lacrime. Non voleva ricordare, ma la sua mente, in un moto masochista, si perdeva nelle memorie di quella terribile giornata.
Con la sua automobile, aveva investito un giovane motociclista.
Lo aveva visto apparire così, come per un incantesimo, e non era riuscito a evitare l’impatto.
Giungeva ad una velocità folle, quasi stesse correndo un gran premio!
Quel giovane sventurato era volato per circa dieci metri e aveva battuto la testa.
Nemmeno le cure dei medici erano riuscite a salvarlo.
Grazie alla testimonianza di un giornalista, era stato scagionato dall’accusa infamante di omicidio, ma questo non aveva posto termine alle sue pene.
I media lo avevano trasformato in un mostro, a cui erano stati risparmiati anni di galera a causa del suo stato di stella del calcio.
Erano giunti al punto di paragonarlo ai criminali nazisti che, nonostante i loro orrendi crimini, erano stati amnistiati.
Consapevole della situazione, aveva deciso di ritirarsi dal calcio, con il consenso della dirigenza dell'Amburgo, per non coinvolgere nell'infamia i suoi compagni e si era allontanato dalla Germania.
Il dolore e il rimorso l’avevano seguito e lui, pur di non vedere nessuno, si era ridotto a uscire di sera.
Aveva paura dello sguardo delle persone, poiché temeva di vedere in loro il biasimo di quei genitori sofferenti.

Dei colpi alla porta interruppero le sue meditazioni.
Stanco, si alzò dal letto e andò ad aprire la porta. Forse, era il padrone di casa.
Ma perché era giunto lì? Aveva pagato l’affitto con la sua consueta puntualità.
Non gli aveva dato alcun motivo di lamentela.
– Ken? – esclamò, stupito. Pochi conoscevano il luogo di residenza.
Pur di non trascinare i suoi compagni di squadra nella rovina, aveva deciso di rescindere il contratto con l’Amburgo e di isolarsi in un villaggio sperduto della Romania.
Aveva domandato a Schneider e ai suoi compagni di non dire nulla e loro avevano acconsentito.
Perché Ken era giunto lì? Chi gli aveva rivelato la sua residenza?
Si passò una mano davanti al volto. Non sapeva perché, ma in quel momento avvertiva una morsa di calore stringersi attorno alla sua testa e provocargli atroci dolori.
Strinse i denti e sbatté le palpebre. L’alta figura del suo rivale cominciava a perdere i suoi contorni definiti, quasi fosse coperta dalla nebbia…
Inoltre, perché Ken muoveva la bocca senza emettere alcun suono?
Provò ad indietreggiare per farlo entrare, ma un accesso di nausea, come un pugno, lo colpì allo stomaco e svenne.


Qualche minuto dopo, aprì gli occhi e si guardò intorno.
Una densa cappa grigia, simile alla nebbia, copriva il suo sguardo, mentre nuove, atroci fitte di dolore trapassavano la sua testa.
Un forte peso, come un masso, opprimeva il suo petto e violenti brividi scuotevano la sua schiena.
Si agitò un poco e gemette. Le sue membra erano trapassate da fitte di pena.
Ricordava solo l’arrivo di Ken, poi l’oscurità era calata su di lui.
– Ben svegliato. – borbottò una voce pacata.
Stupefatto, Genzo sbatté le palpebre e si accorse di essere disteso sul letto, mentre Ken, seduto a poca distanza da lui, scorreva con lo sguardo il giornale.
Genzo provò a muovere la bocca, ma le parole parvero impigliarsi sulle sue labbra, come insetti nella tela del ragno. Aveva fallito.
Col suo eremitaggio, aveva creduto di proteggere i suoi compagni dal disonore.
Eppure, Ken era lì e il suo sguardo scorreva su quei fogli di giornale, su cui era descritta la sua infamia.
Perché? Perché lo aveva seguito?
Con un gesto sprezzante, l’ex karateka buttò il giornale sul pavimento.
Genzo, stupefatto, sbarrò gli occhi e lo guardò. Il suo volto era imperscrutabile, come una statua, eppure i suoi occhi ardevano d’ira…
Rise di sé. No, non poteva illudersi.
Ken, nonostante l’apparenza severa e dura, era d’animo limpido e non avrebbe mai tollerato un assassino accanto a sé.
E nessuno dei suoi compatrioti lo avrebbe mai accettato.
– Dovresti smettere di leggere questa robaccia. – dichiarò, pacato. Per fortuna, grazie ad una iniziativa estemporanea di Schneider, avevano saputo il luogo di ritiro del loro compagno.
Dopo varie discussioni, a lui era stato dato il compito di parlare con Genzo e aveva accettato.
I suoi vecchi compagni di squadra prima della Shutetsu, poi della Nankatsu, pur animati da buone intenzioni, erano ingenui, mentre Kojiro Hyuga avrebbe cercato di convincerlo a pugni che non era colpa sua.
Una simile violenza, pur generata da un sincero desiderio di giustizia, non avrebbe aiutato il loro compagno.
Per questo egli, Ken Wakashimazu, era stato ritenuto il più adatto.
Era fermo e deciso, ma non aveva l’impeto collerico del suo ex capitano, ai tempi della Toho.
La loro natura chiusa e schiva poteva costituire un insolito ponte tra di loro.


Un triste sorriso, per alcuni istanti, sollevò le labbra di Genzo.
– Perché? Certo, usano un linguaggio enfatico, da giornaletto scandalistico, ma non sono lontani dalla realtà. Immagino tu sappia tutto.rispose, ironicamente amaro.
Ken scosse la testa e un sospiro fuggì dalle sue labbra. Genzo, in quel momento, non riusciva a vedere l’assurdità di quell’articolo.
Continuavano ad accusarlo di quella disgrazia, ma non aveva alcun senso.
Un giornalista, che, per puro caso, si era trovato sul luogo dell’incidente, aveva filmato tutto e quel video mostrava l’assenza di colpe del loro compagno..
Anzi, aveva cercato di evitare l’incidente, ma non ci era riuscito e aveva rischiato anche egli la morte.
Si era rotto un braccio, eppure non aveva esitato a scendere dall’auto e a chiamare i soccorsi.
Un campione viziato e annoiato non si sarebbe preoccupato di soccorrere uno sconosciuto!
Perché avevano proseguito una simile campagna di esagerazioni e bugie?
Appoggiò la mano sull’avambraccio del rivale e, con suo dispiacere, lo sentì sussultare. Aveva paura di un tocco amichevole?
A tale punto era giunto il lavoro di convincimento dei media?
Il tenace e risoluto Genzo Wakabayashi era stato colpito, lacerato, polverizzato da uno scandalo assurdo, costruito su un evento tragico.
Al suo posto, su quel letto, giaceva un ragazzo spaurito, che non si riteneva degno di attenzione e rispetto.
E questo era colpa di una stampa degenerata, che, per compiacere la brama di drammi di alcuni suoi lettori stupidi, non esitava a manipolare una famiglia colpita da un lutto.
Strinse ancora di più la mano sull’avambraccio di Genzo. Il suo intervento non poteva guarire repentinamente l’anima ulcerata del suo rivale, ma non poteva desistere dal suo proposito.
Genzo aveva bisogno di un porto stabile ed egli, a nome suo e dei suoi compagni, glielo avrebbe donato.
L’ex portiere titolare chiuse gli occhi e alcune lacrime bagnarono le sue guance.
– Non dovreste preoccuparvi per me… Voi non c’entrate nulla con questa storia.– mormorò. Ne era sicuro, qualcuno dei suoi colleghi dell’Amburgo aveva raccontato tutto ai suoi compagni nipponici.
Non riusciva a provare rabbia verso di loro, ma solo stupore.
Che senso aveva coinvolgere i suoi vecchi amici in una storia tanto sordida, che riguardava lui solo?
– Questa è una scelta nostra, Genzo. – affermò Ken, la voce decisa.
Colto di sorpresa da quelle parole, l’ex titolare dell’Amburgo aprì gli occhi e li fissò in quelli dell’altro.
Non vi era alcun biasimo in quelle iridi nere.
Ken, avvedutosi della reazione dell’altro, accennò ad un sorriso. Quello sguardo, così confuso, riverberava di emozione e vita.
La speranza non era morta.
Il suo cuore, nonostante la sua devastante esperienza, non aveva perduto la sua generosità.
Era disposto a sopportare da solo un simile tormento, pur di non trascinare nella rovina le persone a lui care.
Ma non gli avrebbero permesso di consumarsi nella solitudine.
Ha un’enorme forza di volontà. Ma non può bastare in una situazione simile. Non da sola., rifletté. Quella tragedia era per lui causa di pena e occupava i suoi pensieri, ma il suo orgoglio, pur provato, era rimasto e gli aveva permesso di non crollare.
La dignità riverberava nei suoi occhi scuri e nel decoro spartano della casa da lui occupata.
Tale forza era encomiabile, ma quanto sarebbe durata?
Forse, è già al limite., pensò. Quando aveva bussato, aveva aperto la porta e, pochi istanti dopo, era svenuto.
E questo non era un segnale incoraggiante.
Il tormento dell’anima si riverberava sulla mente e sul corpo e rendeva problematica la cura della sua salute.
No, non dovevano lasciarlo da solo.
– Non ti chiedo di tornare a giocare a calcio o di affrontare ora questo tritacarne mediatico. Hai il diritto di prenderti il tempo che ti serve per curare le tue ferite. Ma una cosa devi sapere: nessuno di noi ti considera un mostro. Hai dei compagni pronti a sostenerti, sia in Germania che in Giappone. Sempre. E non puoi impedirci di scegliere di stare dalla tua parte. – concluse.
Le lacrime eruppero dagli occhi di Genzo, prive di controllo, e, d’istinto, si gettò nel petto del rivale. In quel momento, la diga dell’autocontrollo si era rotta e aveva cercato il conforto di un abbraccio.
Non gli importava di apparire patetico e stupido.
Si sentiva un tronco, sballottato da acque tempestose e bramava la stabilità.
Le sobrie premure di Ken davano requie al suo cuore, da tempo straziato dal tormento.
– Grazie… – balbettò.
Ken non rispose e strinse le braccia attorno alla sua schiena. In quell’istante, svaniva la sua natura schiva, soverchiata dalla preoccupazione per il suo amico, rivale e compagno di squadra.
Aveva bisogno di calore e di comprensione e non avrebbe esitato a donarglieli.
Di niente. – rispose e, d’impeto, lo strinse ancora di più contro di sé.



   
 
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