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Autore: Iam_Cactus    27/08/2021    1 recensioni
Ci si può innamorare in 7 giorni?
(......)
E poco importava quanto poco maschile potesse essere lasciarsi trasportare in quel modo, o quanto irritante fosse trovare piacevole il contatto col suo petto contro la propria schiena, in quel momento nella mente di entrambi c’era un unico pensiero a farsi spazio nella mente.
Non era stata affatto male quella giornata insieme.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 2

Secondo giorno

 



 

 

La luce del sole mattutino strappò Eijiro dall’abbraccio di Morfeo, catapultandolo in una realtà sconosciuta.

Gli ci volle qualche secondo prima di comprendere che quella stanza non fosse la propria, e ripercorrere ogni singolo avvenimento del giorno prima si rivelò decisamente più imbarazzante del previsto. Non solo si era lasciato trasportare per tutto il tragitto come un peso morto, ma si era anche addormentato sull’autobus del ritorno e, a rigor di logica, quella stanza era di Katsuki.

Si rigirò sul futon alla sua ricerca, ritrovandoselo a pochi centimetri dal viso, ancora addormentato.

Riuscì miracolosamente a trattenere un sussulto di sorpresa, incapace di credere alla veridicità di quel momento.

Bakugo Katsuki era disteso al proprio fianco, sopito in un sogno probabilmente sereno, data l’espressione stranamente pacata che aveva dipinta sul viso.             Stentava quasi a riconoscerlo, abituato com’era a vederlo perennemente sul punto di fare a botte con chiunque si azzardasse ad invadere il suo spazio personale.

Kirishima si concesse il lusso di imprimersi nei ricordi quell’immagine di cui solo lui poteva godere, egoisticamente come non aveva mai fatto, trovandolo meraviglioso, e mai come in quel momento desiderò vederlo dormire ancora.

«Smettila di fissarmi, sembri un pervertito.»

Un leggero gridolino sgorgò dalla gola del rosso, il volto paonazzo per essere stato colto in fragrante.

«Da quanto sei sveglio?»

Gli occhi cremisi di Bakugo si rispecchiarono in quelli altrui, ed uno strano nodo gli strinse la bocca dello stomaco.

«Da parecchio, dormi troppo, ecco perché hai sempre quella faccia da idiota beato. Andiamo, ho preparato la colazione.»


28 Luglio


A differenza del giorno prima, quella mattina nuvole plumbee cariche di pioggia sostavano nel cielo minacciando un temporale estivo.

Kirishima le osservava con sguardo sconsolato, sbocconcellando il riso senza alcun appetito, sotto le occhiatacce indispettite del biondo che, vedendo il cibo toccato a malapena, sbottò acido:

«Se non ti piace basta dirlo.»

«Uh? Oh, scusami. Stavo pensando che con questo tempo è impossibile divertirsi. Sembra che questo giorno andrà sprecato.»

«E per quale motivo?»

«Bhe.. mi sembra ovvio, non si può uscire.»

Katsuki lo fissò di sottecchi per qualche istante, cercando in ogni modo di farsi scivolare addosso quello sguardo privo dell’entusiasmo che lo illuminava ieri.            Era frustrante ammetterlo, ma vedere il volto del rosso privo di allegria sembrava quasi alieno, soprattutto per qualcosa di così stupido.

«Non c’è bisogno di uscire per divertirti.»

Proruppe d’improvviso, il tono rauco e serioso attirò l’attenzione dell’ospite.

«E cosa fai quando sei costretto in casa?»

«Ci sono molti giochi che si possono fare anche qui, o puoi fare.. che cazzo ne so, una maratona di una serie.»

Lo sguardo intorpidito dal sonno terminato poco prima tornò a splendere, ed il biondo sentì qualcosa di simile ad un mezzo sorriso distendergli istintivamente le labbra, come se avesse appena vinto il premio più ambito e non volesse lasciar trapelare la contentezza.

«Hai ragione, facciamo la maratona di una serie!»

Facciamo?

«Non ti ho invitato a restare.»

«Allora vieni da me.»

Bakugo bevve un sorso di spremuta.

«Kirishima, non credi sia il caso di stare un po’ con la tua famiglia?»

Gli occhi di Eijiro cambiarono nuovamente, e Katsuki iniziava ad odiare il modo in cui riuscisse a percepire senza alcuno sforzo le sfaccettature di quel ragazzo, pagandone conseguenze frustranti che mai avrebbe lasciato intravedere.

«Non sei affatto come tutti credono.»

«Perché, cosa credono? E chi sarebbero questi “tutti”?»

Chiese il biondo, infastidito, ma la rabbia iniziale mutò in un imbarazzo scomposto ed iroso quando il ragazzo seduto di fronte a sé si protese in avanti per stringere tra le proprie mani la sua.

«Vieni a casa mia, faremo la maratona di qualsiasi serie tu voglia. Lo so che dovrei passare più tempo con la mia famiglia, ma vedere mia madre sull’orlo delle lacrime ogni volta che mi guarda mi fa sentire così.. impotente.»

Il tono di Kirishima vacillò, e si costrinse ad abbassare lo sguardo quando le lacrime sfumarono il volto dell’altro.

«Mio padre non lo lascia a vedere, ma la notte lo sento pregare di prendere lui anziché me. So che quello che sto facendo è egoista e disgustoso, ma se davvero il tempo che mi rimane su questa terra potrebbe finire da un momento all’altro, io non voglio passarlo a chiedermi quando il mio cuore smetterà di battere.»

Una mano gentile, che stentava a credere fosse quella di Bakugo, gli si posò sui capelli.

«Solo se finisci la colazione.»

༺❀༻

 

La casa in cui Eijiro era cresciuto seguiva perfettamente le guide delle antiche dimore nipponiche, le porte spalancate del salotto gli davano la piena visuale del curato giardino, ora accarezzato dalla pioggia di quel giorno.

Il ticchettìo sordo dell’acqua che si scontrava sul terreno e sui petali delicati cullavano l’udito di Katsuki a tal punto da rendergli faticoso tenere gli occhi aperti.

«Hai avvisato i tuoi genitori?»

La voce possente di un uomo lo risvegliò dal tepore in cui si stava lasciando sprofondare.

Il padre di Kirishima –una montagna umana dall’aspetto addirittura più minaccioso di Mitsuki- poggiò sul basso tavolino una breve pila di vecchi DVD, mostrandogli un sorriso gentile e timido, molto diverso da quello del figlio.

«Si, per loro non è un problema dato che lavorano tutto il giorno.»

Lo guardò annuire, abbassando poi lo sguardo e schiarendosi la voce.

«So che Eijiro ti ha detto della sua malattia, e vorrei ringraziarti.»

«Di cosa?»

«Di rimanere un suo amico. Soffrire è terrificante, soprattutto quando il dolore è causato dalla consapevolezza di non poter vedere più quella persona.»

Katsuki distolse lo sguardo, tornando ad osservare l’esterno.

Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato, non si sentiva a disagio, ed era certo che fosse tutto merito del modo in cui i suoi genitori lo avevano introdotto ad un argomento tanto delicato come la morte.

«Quando mia nonna morì avevo sette anni. Per quel che ricordo, mio padre non pianse, e quando gli chiesi il motivo lui mi prese in braccio e mi indicò tutte le persone presenti al funerale, poi mi disse che una vita vissuta circondati da tanto amore non può che essere una vita piena e meravigliosa, ed era felice di sapere che la nonna aveva avuto la fortuna di viverla.»

Benjiro Kirishima sorrise, ingoiando le lacrime che rischiavano di sgorgare un momento all’altro.

«Sono davvero felice che tu e mio figlio siate amici, sei davvero un bravo ragazzo.»

Dal corridoio giunsero due voci distinte che ridacchiavano con la più dolce delle complicità.

Una donna piccola e minuta, seguita da Eijiro, fece capolino nella stanza, gli occhi di pece erano leggermente gonfi ed arrossati, e portò un dito affusolato a raccogliere una lacrima.

«Scusa se ti abbiamo fatto aspettare, ma Eiji-chan voleva a tutti i costi attaccare un nostro lenzuolo bianco al muro.»

Sorrise, affiancando il marito, che gli cinse la vita con un braccio.

Sembrava ancora più piccola e fragile, ora, ed il dolore che stentava a celare coperto dall’abbraccio di un amore tanto forte da essere incomprensibile agli occhi del biondo –e non perché i suoi genitori non si amassero, anzi, ma davanti al figlio Mitsuki si lasciava difficilmente andare- parve annichilirsi per un istante.

«Non c’è problema, grazie a voi dell’ospitalità.»

«Non devi ringraziarci, se non fosse stato per te Benjiro sarebbe impazzito ieri. Se non avessi chiamato tu, a quest’ora avrebbe mobilitato tutto il quartiere alla ricerca del nostro bambino»

L’uomo ridacchiò, indicando il figlio.

«Nessuno riesce a trattenerlo, e come biasimarlo. Sai, quando ero giovane…»

Eijiro intervenne subito, afferrando il compagno di classe per il polso –di nuovo- prima che suo padre potesse iniziare uno dei suoi interminabili racconti colmi di rigiri di cui, poi, dimenticava il finale.

«Scusa papà, ma il giorno è breve ed i film sono tanti, ci trovate in camera.»

Afferrò in fretta e furia i DVD e corse nella propria camera, trascinandosi dietro il ragazzo che gli sbraitava contro insulti di cui ignorava addirittura l’esistenza, ma in tono decisamente meno alto del normale.

«Che diamine fai? Non avevi intenzione di passare del tempo con loro?»

«Sono a casa, ceneremo con loro ed hanno conosciuto un mio amico, è più di quanto credi.»

Gli sorrise il rosso, posizionando un vecchio proiettore dalla scrivania al pavimento, di modo che puntasse verso il telo bianco appeso alla parete.

«E poi ho chiesto a mia madre come si usa questo, ne è stata felicissima.»

«Per quel coso polveroso? E perché mai?»

«Era suo, lo comprò per il terzo appuntamento con papà. Si sono scambiati il primo bacio sotto gli spari di Terminator, non è romantico e virile?»

Bakugo inarcò un sopracciglio con fare scettico, osservando i movimenti sapienti del ragazzo mentre armeggiava col primo DVD da inserire, per poi sedersi al suo fianco, incredibilmente vicino.

Non gli diede alcun fastidio, anzi, e relegò la cosa come un’abitudine: gli aveva pur sempre ceduto metà del suo letto, non avrebbe avuto senso fare l’acido in quel momento.

E poi…

Senza rendersene conto, aveva iniziato ad osservare i tratti morbidi e dolci di Eijiro, accarezzati ed adombrati dalle luci del film appena iniziato.

Le ciocche rosse erano ancora basse, ma scostate da una fascia bianca che impediva loro di non importunare la curiosità di quegli occhi docili ed accoglienti.

D’un tratto quegli stessi occhi furono puntati in quelli del biondo, facendogli notare quella lontana luce di consapevolezza, la stessa che gli era scivolata sul viso sottoforma di lacrime quella mattina.

«Bakugo, c’è una cosa che ti volevo chiedere, da stamattina.»

Il tono di Kirishima era più basso del solito, quasi sottomesso ad un imbarazzo che gli colorava le guance.

«E per quale motivo hai aspettato tanto?»

«Uhm, non mi sembrava il momento opportuno, ecco.»

«Muoviti allora, o non riesco a seguire il film.»

Il rosso si umettò le labbra, decidendo di sorvolare sul fatto che, da quando le immagini avevano iniziato a scorrere sul telo, si era sentito i suoi occhi puntati addosso.

«Questa mattina hai detto di esserti svegliato prima di me, giusto?»

«Esatto, Einstein, ho anche avuto il tempo di preparare la colazione per entrambi.»

«Allora per quale motivo eri accanto a me quando mi sono svegliato?»

Katsuki sussultò visibilmente a quella domanda, diventando paonazzo ed indietreggiando quando il viso del coetaneo si fece pericolosamente vicino al proprio.

«Non è che…»

«Chiudi il becco. Qualsiasi cosa tu stia per dire, non dirla!»

Esclamò il biondo, furente per un motivo che gli era sconosciuto, alzando un braccio come a volersi coprire da un imminente pugno.

Era solo Kirishima.

Lo stesso Kirishima che quella mattina gli dormiva accanto, che sembrava totalmente beato e sano.

Lo stesso Kirishima che il giorno prima non aveva fatto altro che sorridere per tutto il pomeriggio, per poi spegnersi tra le braccia dell’unica persona che gli stava dando il rispetto e l’egualità che altri non sarebbero riusciti a dargli.

Era solo lui, non era cambiato nulla, non lo aveva notato per un anno, ed in due giorni sembrava non aver mai indossato alcuna maschera con lui, mostrandogli una limpidezza che mai avrebbe creduto possibile in una persona che si conosce appena.

«Scusami.»

Quella parola gli giunse come un soffio.

Si scoprì il volto ancora arrossato, ritrovando il sorriso comprensivo del ragazzo davanti a sé, tanto vicino da poterlo sentire respirare.                                                               Le braccia di Eijiro gli cinsero il collo senza alcuna fretta, dandogli tutto il tempo di rifiutarlo nel caso in cui quel contatto gli fosse sembrato totalmente inappropriato, ma tutto quel che fece il biondo fu lasciarlo fare, ancora scosso per i pensieri che si erano susseguiti uno dopo l’altro in un turbinio caotico.

«Di che diamine ti scusi?»

Riuscì a ringhiare, lasciandosi stringere in quello strano abbraccio fuori contesto.

Gli parve quasi di sentirlo urlare, quel cuore malato, sbattendo forsennatamente contro la propria cassa toracica alla ricerca di un appiglio.

«Scusami, Bakugo.»

 

 

 

   
 
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