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Autore: Altair13Sirio    10/09/2021    4 recensioni
[Darling in the FranXX]
Mille anni di pace non bastano a far svanire il passato. Quando dalle profondità della terra emergono dei giganti antichi, Hachi e Nana capiscono che il futuro dell'umanità è nuovamente incerto e dovranno agire per proteggere il mondo che hanno aiutato a costruire.
Formata una squadra di nuovi Parasite, i due adulti metteranno a disposizione le loro conoscenze e la loro esperienza per guidarli verso la battaglia, ma non tutto sarà facile per la nuova squadra e i ricordi di vecchi amici ritorneranno a galla dopo tanto tempo.
"Non credo che il caso possa andare così lontano... Forse il destino... E' così e basta. E ora noi dobbiamo prenderci cura di quei ragazzi!"
Genere: Azione, Science-fiction, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Ai ragazzi era concesso fare ritorno alle proprie case una volta al mese. Inizialmente non era stato possibile viste tutte le cose da sistemare al loro arrivo e le condizioni a cui abituarsi, ma ora che la pressione si era allentata e gli allenamenti erano diventati regolari, Hachi e Nana avevano deciso di concedergli un po' di riposo tra un allenamento e l’altro.
Alcuni dei ragazzi furono prelevati dalle loro famiglie a Mistilteinn stesso con l'intento di passare una giornata fuori città e divertirsi in spensieratezza, altri presero i mezzi pubblici per tornare a casa; c'era una fermata dell'autobus proprio fuori Mistilteinn e i ragazzi erano già diventati pratici di quelle corse, sfruttandolo anche nei finesettimana per passare il pomeriggio in città, ma una volta arrivati a destinazione dovettero separarsi.
La stazione degli autobus permetteva di arrivare praticamente ovunque ad Anemone, la prima città. I ragazzi conoscevano bene le rotte degli autobus cittadini, ma era facile confondersi e finire da tutt'altra parte.
Ad attendere che arrivasse il prossimo mezzo c'erano Kya e Ryo, Momo, Aki e Rin, Suzuko e Naho;  fino a pochi attimi prima anche Aiko e Tetsuya gli avevano fatto compagnia, ma avevano dovuto prendere i rispettivi mezzi e allora si erano separati dal resto della squadra, dicendo che li avrebbero rivisti quella sera stessa.
Erano due mesi che i ragazzi non vedevano i loro genitori; c'era tensione all'interno del gruppo anche se alcuni erano più bravi a mascherare questa emozione e altri la sbandieravano senza timidezza, cercando di mandarla via in quel modo. Era così che Kya aveva finito per chiacchierare a ruota libera con le altre ragazze, mentre Aki e Ryo invece restavano leggermente in disparte, osservando gli autobus che scorrevano di fronte ai loro occhi.
Faceva caldo; era una delle ultime giornate calde della stagione, prima che arrivasse l'autunno e poi l'inverno, ed entrambi sapevano quanto potesse essere duro l'inverno ad Anemone; Nana e Hachi avevano detto che una volta, quando l'umanità aveva cominciato ad estrarre l'energia magmatica dalle profondità della terra, le stagioni erano gradualmente scomparse. La terra si era trasformata in un vasto deserto privo di vita e lo stesso concetto del tempo era diventato quasi un'illusione, vista la capacità di gran parte della popolazione di poter vivere in eterno. Tuttavia, dopo che i VIRM erano stati scacciati e gli Stridiosauri erano tornati nel sottosuolo, la natura era tornata a vivere e il mondo si era riassestato ai ritmi del passato.
I due ragazzi si chiedevano se il ritorno in superficie degli Stridiosauri potesse significare che la terra avrebbe perso il suo nutrimento, desertificandosi nuovamente come mille anni addietro, ma convennero sul fatto che, avendo buone intenzioni nei confronti degli umani, questa volta avrebbero evitato che ciò si verificasse.
Era buffo pensare che quello che era successo mille anni addietro si stesse ripetendo più o meno come allora; l'idea di dover diventare dei guerrieri per affrontare delle creature venute dallo spazio era ancora assurda per loro, però pensare che qualcuno avesse condiviso il loro destino – e ancora meglio, il pensiero che fossero riusciti nella loro missione – li rincuorava e gli dava più speranze per il futuro, che restava comunque incerto e minaccioso.
<< Cambiamo argomento, per favore. >> Borbottò Aki guardando l'asfalto e seguendo un segno lasciato dagli pneumatici di un automezzo molto pesante. Ryo lo guardò dispiaciuto, rendendosi conto di quanto quella storia gli mettesse ansia.
<< Ok. >> Mormorò. << I vostri genitori lo sanno che adesso non siete più "Mizuru" e "Kawakami"? >>
Aki si girò e ghignò, come se Ryo stesse cercando di proposito di metterlo in difficoltà con argomenti pungenti. << No, non lo sanno ancora. Ma immagino che saranno molto sollevati quando glielo racconteremo, perché anche loro possono essere molto ansiosi… >>
Ryo strinse i denti. Certo, da qualcuno dovevano pur aver ereditato quel loro comportamento… Non riusciva a immaginare a come si potessero essere sentiti i loro genitori, all'idea di fare una scommessa come quella con i loro figli scoprendo poi che erano stati selezionati entrambi per il programma Parasite.
<< Il nostro autobus! >> Fece una voce alle loro spalle appartenente a Rin, nel momento in cui un grosso veicolo blu svoltò nella corsia dove stavano aspettando. La ragazza si alzò dalla panca e abbracciò le sue compagne prima di raggiungere il fratello, che si avvicinò un po' al bordo del marciapiedi.
<< Mamma e papà saranno contenti di rivederci. >> Disse lei mettendo una mano sulla schiena di Aki. Lui annuì pensieroso.
Al bordo si avvicinarono anche le altre ragazze. << Che peccato, speravo di potervi raccontare la fine della storia… >> Mormorò Kya stiracchiandosi.
<< Dovrai aspettare, perché voglio sapere assolutamente come finisce! >> Rispose l'altra voltandosi verso di lei e facendole l'occhiolino.
<< Quale storia? >> Chiese Ryo, che avvertì improvvisamente un brutto presentimento.
Kya fece qualche passo indietro per allontanarsi da lui e rise furbescamente. << Oh, la storia di quando cercasti di entrare dalla finestra del mio bagno perché non volevi aspettare che uscissi per giocare assieme, niente di che! >>
Il ragazzo diventò rosso in volto e cominciò a sbraitare dicendo che non poteva raccontare storie così imbarazzanti sul suo conto, mentre questa gli sfuggiva agilmente e rideva di gusto per la sua reazione spropositata. Le altre ragazze non poterono trattenere le proprie risate di fronte a quella vista; l'unica che non rideva era Suzuko, che diede un ultimo saluto a Rin prima che questa salisse a bordo, e rimase ad agitare una mano con la solita compostezza durante la sua partenza.
Dopo che l'autobus fu andato, la Sentakami sbuffò e si voltò verso gli altri. << Il mio autobus sta per arrivare, sarà meglio che mi avvii. >> Disse con un sorriso cordiale.
I due litiganti si fermarono; Ryo era riuscito ad afferrare Kya per un braccio ma lei aveva continuato a dimenarsi, risultando in una buffa e sconclusionata coreografia. << Giusto, la tua fermata è più avanti. >> Mormorò la ragazza mollando il suo amico. << Allora ti accompagniamo! >>
Kya avanzò verso la ragazza, ma Suzuko rifiutò con gentilezza. << Non ce n'è bisogno, rischierete di perdere le vostre fermate! >> Rispose, e fece un passo in direzione della strada per attraversare. Alzò una mano e salutò debolmente. << Ci rivediamo questa sera. >>
<< A presto! >> La salutarono Momo e Naho, poi la piccoletta si incamminò da sola senza più voltarsi.
<< Peccato. >> Mormorò Kya abbassando la voce. Erano rimasti in quattro, e quando il gruppo si rimpiccioliva Suzuko sembrava sempre un po' a disagio; forse era solo una sua impressione, ma avrebbe voluto saperne di più.
<< Allora abitate vicino? >> Domandò Momo, facendo distogliere l'attenzione da Suzuko che si allontanava. Kya e Ryo si girarono di scatto.
<< No, ci conosciamo da tanto tempo ma non viviamo nella stessa strada. A dire il vero, neanche nello stesso quartiere… >> Spiegò il ragazzo.
<< Ma come avete fatto a incontrarvi così piccoli allora? >> Chiese Naho perplessa osservandoli con la fronte aggrottata. Da quanto fossero intimi i suoi due compagni, avrebbe pensato che fossero cresciuti praticamente attaccati.
<< E' una storia strana. >> Iniziò Kya mettendosi le mani ai fianchi.
<< Non c'è niente di strano, i nostri genitori ci portavano sempre a giocare al grande ciliegio e ci siamo incontrati là. >> Reagì Ryo facendo subito abbassare i toni della conversazione, poco propenso a stare al gioco dell’amica.
Kya sbuffò e assunse una posa da offesa, dicendogli di raccontare la storia da sé visto che doveva essere tanto antipatico. E Ryo iniziò a raccontare.
<< Bé, in pratica io me ne stavo per conto mio a leggere quando questa idiota mi è caduta di fronte. >> Disse il ragazzo con un ghigno soddisfatto mentre la sua partner si voltava contrariata. << Avreste dovuto vedere come piangeva, è sempre stata una piagnucolona… >>
<< NON E’ VERO, NON STAVO PIANGENDO! >> Esclamò lei mettendosi in mezzo, agitando le braccia come se volesse scacciare uno sciame di insetti. Poi si ricompose un momento e aggiunse con stizza:<< E non sono inciampata! >>
<< Sì, invece. Sei sempre stata la solita maldestra.>> Ribatté quello mettendosi le mani in tasca.
Le ragazze rimasero in silenzio mentre Kya si arrabbiava con Ryo, lamentando il fatto che avesse tolto tutta la magia a quel racconto.
<< Il motivo per cui ci siamo conosciuti in questo modo è dovuto al destino, che ha fatto sì che noi due potessimo incontrarci! Sono state le stelle a decidere che saremmo stati inseparabili, non un caso dovuto alla mia fantomatica impacciatezza! >> Puntualizzò la ragazza con tono sdegnoso, rifiutandosi di volgere lo sguardo all’amico che sembrava averla profondamente offesa. Ryo però contestò che quel ragionamento non avesse senso e ricevette un’altra sfuriata dell’amica, che tentò di mettergli le mani in faccia.
Per quanto potesse sembrare fantasioso, Naho era dalla parte della sua amica; credeva che ci fosse qualcosa di "magico" in quella storia. Se non altro, perlomeno ciò che ne era scaturito lo era diventato visto quanto fossero attaccati i due ragazzi.
<< Siete sempre stati così? >> Chiese Momo sopprimendo una risatina mentre i due continuavano ad infastidirsi.
<< Così come? >> Fece Kya bloccandosi con una mano a strizzare la guancia di Ryo mentre il ragazzo le tirava una ciocca di capelli. Quella scena fece ridere le due ragazze ancora di più e prima che ci potessero essere altre spiegazioni, un rumore in lontananza fece voltare i due amici.
<< Ma quello è il nostro autobus! >> Esclamò Kya mollando la presa da Ryo. Anche il ragazzo si sporse in avanti e spalancò gli occhi incredulo.
<< Ci sta lasciando qui! >> E ancora prima di poter dare qualsiasi spiegazione alle loro due compagne di squadra, Kya e Ryo le salutarono e iniziarono a correre dietro all'autobus che, da una corsia poco distante dalla loro, stava per lasciare la stazione. Se non avessero fatto in tempo avrebbero dovuto fare la strada a piedi e non sarebbe stato per niente piacevole.
Naho e Momo rimasero ad osservare la scena e videro Ryo avanzare per fare segno al conducente di aspettare, battere le mani sul portellone in modo insistente fino alla frenata del mezzo, mentre Kya arrancava dietro di lui rischiando di incespicare. Una volta fermatosi, l'autobus aprì le portiere e li lasciò salire ma si poté vedere chiaramente dalle espressioni dei due amici che il conducente li stava rimproverando per bene, prima che salissero a bordo.
<< Non pensano mai a niente. >> Commentò Momo, frustrata dalla leggerezza d'animo della sua amica, che tuttavia era una delle qualità che apprezzava di più di lei.
Naho annuì facendosi improvvisamente seria. Erano rimaste sole e questa era l’occasione perfetta per porle una domanda che aveva da tempo, prima che Momo dovesse andarsene.
<< Sei sicura di stare bene? >>
La ragazza più alta si girò inarcando un sopracciglio, chiedendole che cosa intendesse. Naho però non credeva a quel tono innocente; aveva notato quanto fosse stata silenziosa per tutto il tempo e anche nei giorni precedenti Momo si era comportata in modo troppo insolito.
<< Mi sei sembrata molto giù, negli ultimi tempi… E' da parecchio che ti vedo così, a dire il vero. >> Spiegò alla fine, abbandonando lo sguardo severo che aveva assunto per cercare di intimorire la sua amica. << C'è qualcosa che ti preoccupa? >>
Momo sorrise con sorpresa e scosse la testa. Chiuse gli occhi per evitare il suo sguardo e mormorò:<< Tu voli troppo con la fantasia, Naho. >>
Naho si rabbuiò, sentendosi presa in giro da quella reazione così scontata e in cui Momo aveva messo veramente poco impegno. Non era minimamente capace di mentire, glielo si poteva leggere in faccia che non stava bene, eppure si ostinava a fare finta di niente.
<< Sei preoccupata per il test con Hoshi? >> Chiese alla fine, ignorando gli sforzi della sua amica di distogliere l'attenzione da quell'argomento.
Questa volta la fronte di Momo si corrugò e la ragazza sembrò più allarmata. Non rispose, ma era evidente dalla sua espressione quanto quella cosa la preoccupasse.
<< Non hai parlato con lui, vero? >>
<< Stiamo studiando assieme. >> Rispose stizzita la ragazza voltandosi dall’altra parte. << E con l'Aros abbiamo fatto grandi passi in avanti, quindi non ho motivo di essere preoccupata! >>
Naho si intristì. Avrebbe voluto tenere la bocca chiusa, ma doveva sapere che la sua amica stava bene e non stesse solo cercando di tranquillizzarla:<< Però lo sei lo stesso. >>
Momo si ammorbidì; non riusciva a tenere quella maschera di offesa a lungo, infatti si scusò subito con Naho per il tono che aveva assunto.
<< Non è per quello… >> Rivelò questa volta con meno nervosismo. << Sono solo un po’ tesa perché non vedo la mia famiglia da tanto tempo. Tornare a casa adesso sarà… Strano. >> Spiegò abbassando lo sguardo.
Naho non era sicura che Momo fosse stata completamente onesta con lei, ma non volle infierire oltre e cercò invece di capire cosa intendesse la sua amica con quell’ultima frase. << Perché? Saranno felicissimi di vederti! >>
<< E anche io lo sono, ma vederli sapendo che dovrò andarmene presto mi mette una tristezza enorme… >>
Momo sospirò profondamente e le sue spalle si abbassarono, come se avesse liberato un po' di tensione accumulata nel corpo. Naho avrebbe voluto dirle qualcosa per aiutarla, ma non sapeva quanto la sua amica fosse attaccata alla sua famiglia e non era sicura che qualche parola di conforto sarebbe bastata a farla sentire meglio; in fondo loro avevano un compito pesante da portare a termine e come se questo non bastasse a mettergli un sacco di ansia, le persone che avrebbero dovuto supportarle incondizionatamente durante quell'avventura erano costrette a rimanere lontane.
Questo però non significava che fossero sole. Si avvicinò un poco a Momo e le sorrise mettendole una mano sulla spalla.
<< Cerca di non pensarci troppo. >> Disse con tono spensierato. << Goditi questa giornata con i tuoi e non pensare a quando dovrai salutarli di nuovo; al resto ci penseremo insieme una volta tornate a Mistilteinn. >>
Perplessa, come se le avesse letto nel pensiero, Momo studiò il volto lentigginoso di Naho e si abbandonò a un sorriso pieno di gratitudine prima che un nuovo autobus di passaggio attirasse la sua attenzione.
Senza dire niente, Momo fece capire che quella fosse la sua fermata e sembrò riluttante a lasciare la sua amica da sola sul marciapiedi.
<< Vai, non ti preoccupare! >> Disse però Naho dandole una piccola spinta. << Non vorrai rischiare di dover inseguire l'autobus come Kya! >>
Momo rise di rimando e la salutò agitando una mano mentre si affrettava ad attraversare la strada per raggiungere la propria fermata. Così Naho rimase da sola ad attendere il passaggio del proprio autobus e visto che non sapeva ancora quando sarebbe passato, tornò a sedersi alla panchina e tirò fuori dalla borsa un libro che aveva portato con sé.
 
*
 
<< Bentornato a casa, tesoro! >>
Il modo in cui lo accolse la madre fece pensare a Hoshi che non avesse minimamente pensato a come si fosse sentito quando lei lo aveva costretto a partire. Le rivolse un'occhiata esasperata mentre lei gli rivolgeva tutte le attenzioni del mondo, abbracciandolo e accarezzandolo come un cucciolo.
Era appena sceso dalla macchina e la madre già lo trattava come un bambino, eppure non ci aveva pensato due volte a lasciarlo a sé stesso quando lo aveva fatto arruolare nel programma Parasite.
Il padre di Hoshi sfilò accanto a sua moglie dicendole di dover rispondere a una chiamata e sparì nell'altra stanza mentre lei restava a salutare suo figlio. Sembrava quasi che andare a prenderlo a Mistilteinn con l'auto fosse stata una seccatura e volesse allontanarsi da lui il prima possibile.
<< Andiamo di là. Papà sarà impegnato per un po', ma non ci vorrà molto tempo e nel frattempo potremo chiacchierare un po' solo noi due… >>
La donna gli fece strada all'interno della casa, come se non conoscesse quelle stanze da quando era nato; non gli sembrava che fosse cambiato niente, e in fondo era ovvio che fosse così, ma si aspettava quasi che la madre avesse già buttato via tutte le sue cose dopo averlo fatto partire per il programma Parasite.
Akane Kondō era una donna dall'aspetto composto che nascondeva una personalità solare. Era abituata a viziare suo figlio e per molto tempo quella cosa non aveva mai turbato Hoshi, che però da quando era entrato nella squadra aveva cominciato a serbare un certo rancore nei suoi confronti vedendo quelle sue attenzioni come dei tentativi per compensare al suo tradimento.
<< Aspetta che ti porto un succo di frutta, intanto mettiti comodo… >> Disse Akane facendo sedere il figlio sul divanetto del soggiorno. << Ti sarà mancata la tua casa. >> Gli disse dall'altra stanza mentre Hoshi si guardava intorno con poco interesse.
Quando la donna tornò con un vassoio con sopra due bicchieri di succo di frutta e una caraffa ancora piena, Hoshi si spostò un poco sul divano e le permise di prendere posto accanto a lui, posando il vassoio sul tavolino di fronte a sé.
<< Voglio sapere tutto di questa nuova casa e dei tuoi compagni di squadra, ma prima dimmi come stai tu! >> Disse porgendogli un bicchiere e cominciando a toccarlo. << Mi sembri cresciuto dall'ultima volta che ci siamo visti! E questi capelli non ti sembreranno un po' troppo lunghi? >>
<< Mamma, smettila! >> Reagì di scatto Hoshi tirandosi indietro. Il ragazzo le rivolse un'occhiata infastidita mentre la donna ritirava il braccio con aria ferita e si girava fingendo che la cosa non l'avesse turbata.
<< Sei ancora arrabbiato, allora? >> Mormorò Akane prendendo il bicchiere di succo di frutta per sé e rimanendo in silenzio.
Hoshi la fissò, cercando di interpretare il suo linguaggio del corpo. Certo che era arrabbiato, credeva che sarebbe bastato tenerlo lontano da casa per farlo ricredere? Credeva veramente che si sarebbe lasciato coinvolgere, quando era stato deciso tutto contro il suo volere?
<< Certo che sono arrabbiato. >> Disse secco lui prima di bere un sorso dal proprio bicchiere. << Mi hai letteralmente cacciato di casa, hai deciso tutto quanto di testa tua e ora dovrei fare finta che non è successo niente? Hai idea di quanto è difficile per me trovarmi in questa situazione, adesso? >>
<< Non ti piacciono i tuoi nuovi compagni? >> Domandò tristemente la madre. Hoshi non pensava che quello fosse il punto centrale della discussione, ma era comunque rilevante.
<< No. Bé, non che non mi piacciano, ma sono io a non piacere a loro… >> Disse confuso. << E la mia partner è asfissiante e cerca sempre di parlarmi di sopra! In pratica è come te, mamma. >>
Quello che decisamente non sembrava un complimento arrivò alle orecchie di Akane come qualcosa di molto simile, perché la donna alzò lo sguardo e sorrise distrattamente. << Oh. >> Mormorò nascondendo un sorrisetto, poi si avvicinò di nuovo al figlio e gli chiese:<< Ed è carina? >>
<< Mamma! >>
Akane tornò indietro trattenendo una risata mentre suo figlio diventava rosso dall'imbarazzo. Non gli aveva mai fatto domande del genere, anche se avrebbe dovuto aspettarsele una volta tornato; in fondo sua madre era stata sempre molto attenta alle sue relazioni con altri ragazzi e ragazze della sua età, proprio perché erano così rare; tuttavia non era mai stata così diretta con Hoshi.
Si ammutolirono entrambi e per un po' si sentì arrivare solo la voce del padre di Hoshi dall'altra stanza, particolarmente coinvolto in quella chiamata che stava facendo. Il ragazzo sapeva già cosa sarebbe successo: tra qualche minuto l’uomo avrebbe concluso la telefonata e sarebbe comparso dicendo di dover andare a risolvere un problema improvviso in ufficio, di essere tremendamente dispiaciuto e che si sarebbe fatto perdonare; non avrebbe mancato di dare un bacio a moglie e figlio prima di lasciare la casa, pur non mettendoci neanche un po' di impegno per sembrare dispiaciuto. Akane si scurì in volto quando Hoshi glielo disse, probabilmente perché anche lei stava pensando la stessa cosa.
<< Tuo padre è sempre stato così… Impegnato. >> Cercò di giustificarlo la moglie, ma Hoshi strinse le spalle.
<< Ci sono abituato. In fondo è da quando ero piccolo che mi scaricate sempre a qualcun altro per i vostri impegni. >>
Akane abbassò lo sguardo con dispiacere, ma questa volta volle ribattere al figlio. << Ascolta, Hoshi: so che ti sembrerà che la mia decisione sia stata egoista e improvvisa, ma è solo per il tuo bene se ho voluto farti arruolare in quel programma…
<< Hai ragione quando dici che io e papà ti abbiamo sempre trascurato, ed è per questo che abbiamo sempre cercato di rimediare fornendoti un'istruzione di primo grado, ma ci siamo resi conto che così facendo ti stavamo togliendo la parte più bella della tua infanzia, e cioè fare amicizia con i tuoi coetanei e creare profondi legami con altre persone. >>
<< Se era questo il problema, avresti potuto iscrivermi a un collegio qualunque e avresti evitato di mandarmi letteralmente in guerra! >> Rispose stizzito il ragazzo guardando davanti a sé. << Ancora meglio un collegio maschile, così avremmo evitato tante situazioni imbarazzanti! >>
<< Ah, allora la tua partner è veramente carina! >> Si illuminò Akane con un ghigno, mentre Hoshi scattava sulla difensiva e cercava di nascondere il proprio volto per non farle vedere che stava arrossendo di nuovo. << Però, sai… In un collegio qualsiasi non saresti incentivato a fare amicizia come lo sei ora. Non dico che rimarresti sempre da solo, ma conoscendoti avresti difficoltà ad ambientarti. >>
<< E che cosa ti fa pensare che questo sia meglio? >>
Akane alzò lo sguardo per fissare il figlio dritto negli occhi; per un attimo la sua espressione gioiosa sparì e si mostrò seria come mai aveva fatto prima. << Nulla. Tuttavia so che prima o poi, tutti dobbiamo fare un salto nel vuoto; questo è il tuo, Hoshi. Vorrei che riuscissi a vedere questa cosa da un punto di vista diverso… >>
<< Tipo? >> Sbuffò esasperato il ragazzino. Non riusciva a vedere un modo in cui la madre avrebbe potuto convincerlo a vedere quella situazione con occhi diversi, ma pensò che fosse meglio che non dire niente.
Akane posò il proprio bicchiere e si sedette in modo composto. << Per esempio, la tua partner: hai detto che è ossessiva e che ti parla di sopra… Ma forse è semplicemente molto premurosa, e magari non sa veramente cosa tu voglia e vede un ragazzino timido e indifeso da aiutare ad ambientarsi meglio nella squadra. In fondo hai detto che mi somiglia, no? Forse se parlassi un po' con lei, potreste capirvi meglio, e vi piacereste di più. >>
Hoshi fece roteare gli occhi con fastidio. Se avesse potuto avrebbe preferito non pensarci, però era vero che certe volte Momo gli ricordava molto sua madre, soprattutto con la sua eccessiva premura nei suoi confronti, quasi come se anche lei stesse cercando di compensare per qualcosa… Ma non riuscì a immaginarsi una situazione in cui la ragazza potesse cambiare.
<< E i tuoi amici… >> Continuò Akane. << Sono sicura che tu gli piaccia! E' solo che sei sempre così prevenuto nei confronti delle persone e hai paura di essere ferito… Ma io lo so che sotto questa faccia burbera c'è un grande sorriso amorevole! >>
La donna gli passò una mano tra i capelli e scese fino ad accarezzargli una guancia. Hoshi non si scansò e non disse niente, rimanendo ad assaporare quella carezza che non credeva gli sarebbe potuta mancare tanto.
Quel momento di silenzio e calma fu interrotto quando dalla porta uscì Kyoichi Kondō, il padre di Hoshi, che con aria spaesata andò a salutare il figlio come si deve, passando a scusarsi un attimo dopo.
<< In ufficio è successo un casino e adesso hanno bisogno di me… >> Spiegò in modo sbrigativo, nel tentativo di giustificare il suo bisogno di andare via.
<< Ma caro, oggi è il tuo giorno libero! >> Protestò la moglie. << Hai anche richiesto specificamente di non essere disturbato oggi per poter passare la giornata con Hoshi. >>
Kyoichi strinse le spalle scuotendo la testa. << Lo so, ma quell'idiota di Nishimura ha combinato un guaio e non sapeva chi altri chiamare. Mi dispiace amore… >> E si abbassò per dare un bacio sulla fronte alla donna, che mostrò tutto il suo disappunto nello sguardo.
Kyoichi uscì in tutta fretta dalla casa e fuori dalle finestre si poté sentire il sibilo elettrico dell'automobile che si allontanava dalla casa. Hoshi tirò un lungo sospiro e sprofondò nel divano, sua madre lo osservò con dispiacere; era ovvio che fosse deluso, nonostante il ragazzo avesse detto di esserci abituato aveva sicuramente sperato di poter passare del tempo con entrambi i suoi genitori quel pomeriggio.
<< Bé, io non vado da nessuna parte. >> Disse alla fine Akane posizionandosi meglio sul divano per rivolgere completamente la sua attenzione ad Hoshi. Con un rapido gesto della mano, spense il telefono e lo gettò dietro di sé. << Che cosa vuoi fare oggi? >>
Hoshi girò lo sguardo verso sua madre e la osservò per un momento, sfiduciato. Immaginava che inevitabilmente Akane avrebbe dovuto mollarlo come aveva fatto suo padre, ma forse almeno per un po’ sperava di poter tornare a comportarsi normalmente… Ma potevano veramente ignorare tutto quello che li aveva portati a litigare fino a quel punto e passare del tempo assieme come madre e figlio?
Alla fine sul volto del ragazzo affiorò un sorriso e si posizionò in modo da voltarsi completamente verso la madre, che accolse quel suo gesto con un sospiro di sollievo.
 
*
 
Lo sguardo severo di suo padre torreggiava su di lui. Taishō Ojizaki non era un uomo di molte parole, ma quando incontrava il suo impertinente figlio diventava sempre più loquace e scontroso, proprio come sperava di vederlo Yoshiki.
Non aveva accettato la sua decisione di arruolarsi nel programma Parasite, ma la cosa che lo aveva fatto veramente infuriare era il fatto che lo avesse deciso in gran segreto senza neanche consultarlo; Yoshiki sapeva già cosa avrebbe utilizzato per dimostrare che quella bizzarra idea di entrare in un corpo speciale non fosse adatta a uno come lui, ma aveva deciso di ignorare completamente tutto quello creando di fatto una frattura all'interno della sua famiglia.
<< Hai finalmente deciso di riporre le armi e tornare a casa? >> Gli domandò senza staccargli gli occhi di dosso. Yoshiki lo fissò di rimando con i suoi occhi tetri, rispondendo a tono.
<< Non essere ingenuo, padre. Questa è solo una visita di cortesia. >> Non si era neanche preso la briga di sistemarsi quei capelli lunghi, sembrava che ogni cosa che facesse fosse mirata a infastidire il padre.
Taishō grugnì con arroganza e si voltò. << Bé, non startene lì sulla porta! Resti pur sempre mio figlio, una visita ogni tanto è il minimo che ci si possa aspettare in fondo… >>
<< A dire il vero preferirei andare senza indugiare troppo. >> Disse Yoshiki rapidamente, facendo voltare il padre quasi fuori di sé.
<< Cosa?! >> Esclamò l'uomo. << Te ne vorresti già andare? >>
<< Sono passato solo per prendere alcune cose… >>
I due si fissarono per un minuto, quasi come se stessero cercando di leggersi nella mente, ma Yoshiki non stava pensando assolutamente a niente e suo padre stava facendo uno sforzo inutile. Poi lo sguardo di Taishō si assottigliò.
<< Ma certo, che mi aspettavo? >> Borbottò voltandosi. << Tuttavia le tue "cose" non sono ancora pronte. Ho mandato Mako ad occuparsene, ci vorrà un po'. >>
Senza dire niente, Yoshiki avanzò nell'atrio della magione che lui aveva chiamato casa e si levò la mantellina per consegnarla a uno dei maggiordomi di suo padre, quindi seguì Taishō nella sala vicina, dove era presente un lungo tavolo di vetro scuro dove la sua famiglia accoglieva gli ospiti.
<< Bella uniforme. >> Commentò l'uomo senza un tono, sedendosi a capotavola e squadrando il figlio in attesa di una sua risposta.
<< Grazie. >> Disse Yoshiki, e si sedette dall'altro lato del tavolo. Padre e figlio si fissarono in silenzio per alcuni istanti, nessuno dei due sembrava voler dire niente, ma entrambi sapevano quanto uno dei due volesse parlare e dare sfogo alla frustrazione accumulata in quei due mesi.
<< Sai, avrei potuto semplicemente spedirti quello che ti serviva. >> Riprese Taishō accarezzandosi i baffi, cercando di stuzzicare il figlio con le sue parole. << In questo modo non avresti avuto bisogno di venire fin qui e sottoporti a questa sgradevole interazione. >>
<< Non mi dispiace venire qui di tanto in tanto. >> Rispose il ragazzo. Taishō sembrò insultato da quelle parole, ma sorrise lo stesso.
<< Sicuro che non sia perché non vuoi far sapere ai tuoi compagni del tuo segreto? >>
Yoshiki abbassò lo sguardo come se non sapesse cosa dire. Non gli interessavano i commenti pungenti del padre, pur dovendo ammettere che non fossero del tutto insensati; tuttavia quando gli era stato concesso di andare a fare visita alle proprie famiglie aveva deciso che fosse il momento di dissipare dei dubbi che lo attanagliavano, per assicurarsi di non avere rimpianti sulla sua decisione.
<< Fa' come vuoi, ma sai benissimo che non riceverai aiuti da parte mia, e anzi cercherò in ogni modo di toglierti dalla testa quest'idea folle del progetto Parasite. >> Continuò il padre, irritato dal silenzio del figlio. Yoshiki alzò lo sguardo questa volta.
<< Ho conosciuto tante persone interessanti a Mistilteinn. Sono ragazzi della mia età che arrivano da tanti contesti sociali differenti, ed è molto più piacevole passare del tempo con loro che con i damerini di quell'istituto in cui tu mi volevi rinchiudere. >> Disse mantenendo un'espressione serena, come se fosse realmente contento di star condividendo quelle cose con il padre. Taishō però sapeva che Yoshiki gli stava semplicemente sventolando la sua – temporanea – vittoria in faccia.
<< Certo che sono interessanti, perché si tratta di gente semplice e tu sei abituato a trattare con persone sofisticate! >> Ribatté l'uomo. << E' un vero peccato che voglia sprecare il tuo potenziale con individui tanto rozzi… >>
Un colpo secco spaventò Taishō che alzò lo sguardo come se fino a quel momento non avesse prestato realmente attenzione a ciò che faceva il figlio: Yoshiki aveva sbattuto una mano sul tavolo e il vetro si era incrinato, facendo schizzare schegge in ogni direzione che avevano finito per conficcarsi nel palmo del ragazzo; lui non aveva fatto un fiato ed era rimasto a fissare il padre con gli occhi pieni di rabbia.
<< Non ti permetto di parlare così dei miei amici! >> Scandì a denti stretti mentre attorno alle sue dita si formava una piccola pozza di sangue.
Taishō lo guardò con delusione e sbuffò.
<< Vedo che sei ancora infantile come sempre. >> Disse chiudendo gli occhi, e quindi chiamò un domestico per medicare la ferita di Yoshiki. << Non capisco cosa ci guadagni a farti del male in questo modo… Se è la mia apprensione che cerchi, mi sottovaluti. >>
<< Non potrei mai desiderare l'apprensione di una persona tanto ottusa. >> Rispose Yoshiki ritirando la mano con ancora i pezzi di vetro conficcati nella carne. Un domestico arrivò svelto con un panno, delle bende e un flacone di disinfettante e lui gli porse la mano senza resistere per farsela medicare.
<< Lo sai che questo tuo comportamento non fa altro che peggiorare la tua situazione? In questo stesso momento i miei avvocati stanno studiando la causa contro l'I.P.U. per riportarti a casa e questi scatti d'ira non fanno che dimostrare la tua incapacità nel prendere decisioni come quella a cui ti sei voluto testardamente sottoporre. >>
Taishō Ojizaki gongolava ad osservare il figlio che veniva curato, sicuro di avere la situazione sotto controllo e che presto quella storia sarebbe stata solo un brutto ricordo. Forse stava bluffando, o magari era sicuro di sé fino al punto da credere di potersi mettere contro l'I.P.U.
<< Non tornerò mai a casa! >> Lo sfidò Yoshiki ritirando il braccio dopo che il domestico gli ebbe legato una fasciatura attorno al palmo.
Taishō distolse lo sguardo, disgustato dall'impertinenza del figlio.
<< La tua fissazione di salvare il mondo ti ha rincitrullito. >> Disse. << Quando ti accorgerai dell'idiozia che hai fatto, tornerai strisciando da me. >>
Insultato, ma questa volta calmo, Yoshiki si alzò dalla propria sedia e cominciò ad uscire dalla sala. Disse che si era stufato di perdere tempo a quel modo, ma fu una fortuna che avesse udito la porta all'ingresso aprirsi, perché altrimenti avrebbe dovuto aspettare ancora di più lì con suo padre e la sua serenità ne avrebbe pesantemente risentito.
<< Io ti voglio solo proteggere, Yoshiki. >> Gli urlò dietro l'uomo, mentre il ragazzo accoglieva il maggiordomo che suo padre aveva mandato fuori. << Il mondo è pericoloso e tu non sei pronto ad affrontarlo! >>
<< Bentornato, signorino! >> Disse con tono pacato l'uomo alla porta, leggermente sorpreso di vedere Yoshiki. << Suo padre mi aveva mandato a fare compere per lei, sarei tornato prima se avessi saputo… >>
<< Sono stato io che non mi sono fatto annunciare, Mako. >> Disse cordialmente il ragazzo, felice di rivedere il signore di mezz'età che era stato fedele alla sua famiglia per tanti anni. << E sono solo di passaggio, capiti proprio al momento giusto! >>
Mako annuì comprensivo e gli porse un pacchetto. << Allora immagino che sia qui per queste. >>
Yoshiki intascò la scatola e fece finta di niente. << Mio padre non ti sta trattando male, vero? >>
<< Oh signorino, se avessi qualcosa di cui lamentarmi sarebbero solo le mie vecchie ossa. >> Rispose Mako con un sorriso bonario. Era incredibilmente magro, però sembrava che il suo fisico reggesse ancora in qualche strano modo. << Piuttosto, la trovo in forma! Sta mangiando come si deve nella sua nuova casa, sì? >>
<< Anche troppo. >>
Yoshiki ricordò per un momento la festa organizzata dai suoi compagni di squadra in onore dei fratelli Osagawa e pensò a quello che avrebbe avuto da dire suo padre riguardo a quella faccenda, ma preferì sorvolare.
<< Allora io posso anche andare. >> Mormorò il ragazzo volgendo lo sguardo verso la porta, ma venendo attirato nuovamente da Mako che gli toccò delicatamente la spalla.
<< Credo che sua madre voglia salutarla, signorino. >>
Yoshiki si voltò verso dove aveva indicato con il dito il suo maggiordomo e si accorse di due occhi color dell'ambra che facevano capolino da dietro una porta. Per quanto tempo era stata lì a spiarlo? Mariko Ojizaki era una donna silenziosa, dall'animo mite e per niente combattiva come il marito e il figlio, che erano sempre a litigare; lei aveva sopportato la partenza del figlio senza dire nulla, augurandogli tutto il bene possibile e soffrendo pur sapendo di non poter fare niente per fargli cambiare idea. Era una donna modesta, poco attaccata ai beni materiali, che si dedicava a lavori che potessero arricchire l’animo come il ricamo, la pittura e la scrittura; Yoshiki aveva sempre amato le sue creazioni.
Il ragazzo si voltò con aria costernata e non fu in grado di sostenere lo sguardo di lei mentre usciva allo scoperto e gli andava incontro.
<< Buongiorno, mamma. >> Mormorò. << Mi spiace di essere così di fretta… >>
La donna gli prese le mani con gentilezza e gli sorrise, poi lo baciò su una guancia. << Sono felice che tu sia passato di qua. Ti trovo bene. >>
<< Sto bene. >> Rispose lui, come a voler puntualizzare una cosa che non era stata detta.
Per alcuni istanti gli sguardi andarono da una parte all'altra, Yoshiki non era a disagio in presenza della madre ma provava un certo dispiacere nel dover stare lì senza poter fare nulla; aveva le parole bloccate in fondo alla gola e non era sicuro di volerle tirare fuori. Alla fine fu lei a interrompere quel silenzio e lo fece con un altro tipo di silenzio.
Mariko lasciò andare le mani di Yoshiki e gli cinse il busto per abbracciarlo come solo una madre poteva fare, abbandonandosi per un momento alla stabilità del figlio e dandogli un altro bacio.
<< Stai attento. >> Mormorò alla fine la donna, prima di mollare la presa. Yoshiki sorrise.
<< Vedrai, mamma: sarete fieri di me! Anche lui, forse… >>
<< Ti vuole bene, lo sai vero? >>
Yoshiki annuì e osservò in silenzio la porta del salone, dove suo padre probabilmente stava origliando con la sua solita compostezza, borbottando parole di disapprovazione nei confronti del figlio.
<< Signorino. >> Mako si spostò per salutare il ragazzo e Yoshiki gli strinse la mano quasi come se volesse prendersi tutto il braccio.
<< Non ti ho mai ringraziato a dovere per quello che hai fatto. >> Mormorò. Mako era stato l'uomo che lo aveva accompagnato all'arruolamento per il programma Parasite; senza di lui, non avrebbe mai potuto conoscere i suoi compagni, non sarebbe diventato un Parasite e sarebbe ancora rinchiuso in quella casa.
<< Sono io che dovrei ringraziarla, per avermi mostrato il suo vero valore. >> Rispose Mako ammiccando. Le sue sopracciglia grigie andarono a sostituire per un attimo i suoi occhi. << Non vedo l'ora di vedere cos'altro sarà in grado di fare! >>
Yoshiki sorrise e quasi si commosse. Decise di andare, prima che quelle emozioni lo facessero piangere per davvero, quindi lasciò la casa con il cuore più leggero di quando era arrivato, sicuro di avere ancora tanta strada da fare.
 
*
 
Il disordine regnava nel piccolo appartamento della famiglia Sakei, dove Momo aveva appena messo piede; si sentiva un piacevole odore di sugo provenire dalla cucina, ma dall'altra stanza arrivavano gli strilli di Iki e Thoki che litigavano per qualche giocattolo da contendersi, assieme ai guaiti del più piccolo Sho, probabilmente recluso alla sua culla di legno e desideroso di unirsi ai giochi dei fratelli.
<< Hai sentito qualcosa, Mayu? >> Domandò una voce tenera dalla cucina.
<< E' la porta, nonna. >> Rispose una bambina. << Vado a vedere. >>
Nel corridoio uscì una ragazzina alta poco più di un metro con lunghe trecce scure che si paralizzò non appena vide il volto della sorellona di fronte alla porta.
<< E' tornata Momo! >> Esclamò, scatenando una reazione anche dai due nell'altra stanza e correndole incontro per abbracciarla.
La ragazza aprì le braccia per accogliere la sorella, ma non fu in grado di assorbire la spinta dei gemelli quando le si schiantarono addosso e tutti e quattro i fratelli carambolarono sul pavimento tra risate e abbracci.
Iki e Thoki continuavano a ripetere il nome della sorella maggiore mentre la bambina più grande dei tre le faceva domande più sensate, nel tentativo di farsi capire senza dover urlare troppo. Al coro di bambini si unì Sho, che sentendo il trambusto all'entrata cominciò a lamentarsi, desideroso di poter far parte di quella festa.
<< Questa sì che è una sorpresa! >> Disse nonna Ema quando uscì allo scoperto, fermandosi sull'uscio della cucina e sorridendo contenta in direzione dei bambini.
<< Nonna! >> Momo si liberò rapidamente dei bambini che l'avevano accerchiata e corse ad abbracciarla, stringendola con delicatezza.
La donna rise. << Mi mancava avere te a ricordarmi di quanto sia bassa! Essere circondata da mocciosi fa molto bene all'autostima di una vecchia, sai? >>
Momo rise. La differenza in altezza tra sé e sua nonna era talmente grande da farle credere di essere cresciuta ancora negli ultimi mesi; allo stesso tempo, le ricordò quanto fosse anziana la donna e quanto fragile si stesse facendo.
<< Non ti stai sforzando troppo, vero? >> Le chiese accarezzandole le mani, assumendo un'espressione costernata.
<< No… Mayu mi sta aiutando nelle faccende di casa e Iki e Thoki hanno promesso di fare i bravi. >> Rispose sbrigativa la nonna. << Il che mi ricorda… Thoki, non hai ancora riordinato il letto. Datti una mossa, che tra poco si mangia! >>
<< Ma nonna, oggi tocca a Iki! >>
<< Bel tentativo, ma tua sorella deve occuparsi della tavola oggi. >> Gli rispose la donna, mandandolo via con un gesto della mano. Il ragazzino si ritirò in una delle stanze della casa con aria offesa mentre la gemella si dirigeva verso la cucina.
<< Posso apparecchiare io. >> Propose Momo. << Così Iki può aiutare Thoki. >>
Ema declinò l'offerta della nipote alzando una mano e le disse di lasciare che ognuno seguisse il proprio compito.
<< Se proprio vuoi dare una mano, potresti andare a prendere Sho? Credo che si sia stufato di dormire… >>
Momo sorrise e andò nel soggiorno, dove il suo fratellino più piccolo aveva iniziato a saltare tenendosi dalla sbarra della propria culla; non appena la vide, i suoi grandi occhioni neri si illuminarono e il bimbo riprese a pigolare ansioso.
Momo prese in braccio il fratellino e lo strinse forte a sé. Le era mancata la sensazione soffice della pelle di un neonato, fu tentata da fargli il solletico ma invece gli stampò un bacio sulla guancia tonda e il bimbo guaì indifferente mentre si spostavano nella cucina.
<< Allora… >> Iniziò la nonna, che stava girando un mestolo dentro a una pentola sul fuoco. << Raccontaci un po' di questi Parasite… Ho visto alla televisione che ti hanno accoppiata con un mezzo tappo di bottiglia! >>
<< Nonna! >> Momo sembrò voler rimproverare Ema per il modo in cui aveva apostrofato Hoshi, ma non poteva darle torto; il suo partner era piuttosto gracile e la sua statura non aiutava a farlo sembrare più grande. Si odiò per quello, ma la battuta di sua nonna l'aveva fatta quasi ridere.
<< Che c'è? Basso è basso! >> Rispose la nonna girandosi per un istante, per poi tornare a controllare il sugo nella pentola.
<< Hoshi è un ragazzo molto gentile, non è carino che tu parli così di lui. >> Mormorò la ragazza cullando Sho tra le braccia.
<< E allora parla, così saprò cosa pensare di lui! >>
L'esortazione della nonna la lasciò spiazzata per un momento. Momo non si era preparata un discorso da fare riguardo alla squadra, aveva passato l'intera giornata a pensare che voleva solo rivedere la sua famiglia, non aveva messo in conto i dettagli.
<< Uhm… >> Iniziò sedendosi. << E' timido. E' un tipo molto riservato, quindi ancora non ho potuto conoscerlo perfettamente, ma da un po' di tempo abbiamo cominciato a conoscerci meglio! Sai che il nostro rendimento a bordo degli Stridiosauri dipende dal legame tra partner? >>
Nonna Ema ascoltava pazientemente, contenta che la figlia sembrasse così entusiasta di quelle cose, e nel frattempo si occupava di preparare il pranzo.
<< Ho due compagne di stanza fantastiche! Una si chiama Kya, è più grande di me e fa amicizia praticamente con tutti; pensa che lei e il suo migliore amico si sono arruolati senza sapere niente dell'altro e adesso pilotano assieme! L'altra ragazza invece si chiama Naho, lei è un po' più timida, ma è molto dolce e ci divertiamo un mondo assieme! >> Proseguì Momo, iniziando a dondolare avanti e indietro con la sedia senza rendersene conto. << Le altre ragazze sono un po' più riservate, ma piano piano sto imparando a conoscere bene anche loro: Sentakami è quella che definirei la secchiona della classe, è molto diligente e sa sempre cosa fare, mentre Mori sembra essere il suo esatto opposto da quanto è timida! Oh, e Okagawa è in squadra con suo fratello, pensa che si erano arruolati usando dei nomi falsi perché temevano che non fosse consentito a parenti di entrare a far parte della stessa squadra… >>
<< A proposito di ragazzi… >> Commentò Mayu saltando in ginocchio sulla sedia di fronte a quella di Momo e guardandola con un sopracciglio inarcato. << Ti sei già trovata un fidanzato? >>
<< Che?! >>
La reazione di Momo fu talmente scomposta che quasi diede un pugno alla sorellina, mentre Iki lì vicino ripeteva sghignazzando:<< Fidanzato! >>
Momo arrossì, e come se non fosse abbastanza adesso Sho aveva cominciato ad agitarsi e le metteva le mani in faccia, quasi come se anche lui la stesse canzonando. << No-non-non ho tempo per queste cose! Io e i miei compagni sia-abbiamo una missione importante da… >>
Momo non riuscì a concludere la sua giustificazione tra mille balbettii e ripensamenti e le due sorelle si misero a ridere iniziando a correre attorno al tavolo con aria divertita. Anche la nonna se la rideva sotto i baffi e Momo fu sul punto di chiederle aiuto, ma ci ripensò quando capì che sarebbe servito a poco.
<< I-in ogni caso ci conosciamo tutti da poco, sarebbe assurdo se io avessi già un fi… >> Prima che potesse concludere la frase, si morse la lingua e rimase a farfugliare parole senza senso, mentre le due bambine adesso avevano accelerato la loro marcia e canticchiavano tra loro.
Ema si voltò sollevando la pentola dal fornello e ridacchiò. << Non fare caso a loro, tesoro. Lo sai che si divertono a parlare a sproposito… >>
<< Già… >> Borbottò lei osservando mentre sua nonna posava sul tavolo la grande pentola con dentro il ragù e andava a prendere dei piatti. << Non aspettiamo mamma e papà? >>
<< Mamma e papà tornano tardi, sono impegnati con il lavoro. >> Disse Thoki spuntando alle spalle di Momo e prendendo posto accanto a lei.
Così le cose non erano cambiate molto da quando se ne era andata; i suoi genitori erano sempre pieni di lavoro, come era comprensibile, eppure Momo aveva sperato che con i soldi ricevuti per il sussidio del progetto Parasite avrebbero potuto rallentare un po' il ritmo e stare di più con la famiglia… Invece il risultato della sua partenza era stato che sua nonna si era dovuta caricare di tutto il lavoro in sua assenza, affaticandosi all'inverosimile.
<< Come sono gli Stridiosauri? >> Le domandò il fratellino afferrando un cucchiaio e agitandolo in aria. << Hai già imparato a combattere? >>
Momo gli tolse il cucchiaio dalle mani prima che facesse male a qualcuno e lo fece roteare tra le dita con sapiente manualità. << Sono grandiosi! Abbiamo fatto solo qualche simulazione di battaglia, ma niente di serio per il momento. E poi la connessione è una sensazione… >>
I bambini allungarono le teste in avanti, desiderosi di sapere di più su quanto avesse fatto la loro sorellona, ma dopo un attimo di riflessione Momo cambiò argomento e disse che glielo avrebbe spiegato un'altra volta.
Non voleva ammettere di non essere stata ancora in grado di carpire alla perfezione la connessione come le sue compagne di squadra; la relazione tra lei e il suo partner era piuttosto complicata e non voleva certo far preoccupare i suoi fratelli e la nonna con quei problemi. Quindi usò una scusa inventata sul momento per giustificare la sua decisione e in suo aiuto arrivò la nonna, che richiamò i bambini all'attenzione per il pranzo e a quel punto non se ne parlò più, nonostante le domande continuarono a piovere per tutta la durata del pasto.
 
*
 
A Momo il suono dell'acqua che scorreva giù dal rubinetto la rilassava. Era un ricordo, forse il più vecchio che possedeva, di quando aveva cominciato ad aiutare sua nonna in casa perché lei era anziana e stanca; si ricordava di quando non era neanche abbastanza alta per raggiungere il lavello e allora utilizzava uno sgabello per arrivarci, e lavava i piatti con tutta la cura che poteva. Perché una bambina così piccola non poteva fare molto di più, ma per lo meno poteva sentirsi utile quando il mondo attorno a lei sembrava così pieno di difficoltà.
Era così che la piccola Momo aveva iniziato a dare una mano in casa; non che facesse molto all'inizio, ma dava il suo contributo per quanto poteva, e con la nascita di Mayu imparò anche ad occuparsi di un neonato. Fu con l'arrivo dei gemelli che le cose cambiarono veramente; lì fu lei a impuntarsi: i suoi genitori erano impegnati con orari di lavoro massacranti e la nonna non aveva le forze di occuparsi di due bambini così piccoli da sola, così Momo aveva rassicurato i genitori, dicendogli di continuare a pensare al lavoro mentre lei si sarebbe presa cura dei suoi fratellini.
Era una sorta di scambio, un contratto non scritto a cui Momo si era sottoposta volentieri negli anni: mentre i suoi genitori portavano il pane a casa, lei si assicurava che ai suoi fratellini non mancasse niente e lavorava duramente perché loro non dovessero sentire il bisogno di sacrificare un po' della propria libertà per il bene degli altri come faceva lei… Ma adesso che lei era partita le cose erano cambiate.
Momo si era sottratta a quel "contratto", era venuta meno al proprio dovere, e questo significava per sua nonna che il lavoro sarebbe aumentato, così come anche per sua sorella Mayu, la più grande dopo di lei, e in parte per i gemelli Iki e Thoki. Lei aveva spezzato la catena e così facendo tutti gli altri avevano dovuto soffrire per questo.
Era stata egoista.
<< Ti vedo pensierosa. >>
La voce della nonna la fece destare dai suoi pensieri e Momo scoprì che la stava fissando attentamente, in attesa di un suo segnale. Ema era sempre in grado di leggere la sua espressione meglio di chiunque altro, non le si poteva nascondere niente.
<< Sono solo un po' preoccupata per lo studio. >> Rispose sbrigativa Momo sciacquandosi un'ultima volta le mani e chiudendo il rubinetto. Ema osservò i suoi movimenti e alla fine annuì.
<< Sì, la scuola non ti è mai andata a genio… >> Mormorò tra sé e sé. << Tuttavia non ti sei mai lasciata abbattere così. >>
Ma leggeva nel pensiero? Un giorno avrebbe dovuto spiegarle come faceva a capire tutto da un semplice sguardo.
<< Questa volta è diverso. >> Spiegò la ragazza asciugandosi con un panno e spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte con il dorso della mano ancora umida. << E non si tratta solo dello studio. Il mio rendimento con lo Stridiosauro non è dei migliori, e ho paura che se non mi do una mossa… >>
Momo guardò il volto sorridente di sua nonna e si rese conto di star parlando senza un freno. Lasciò cadere quel discorso e sorrise, sperando che le sue parole non avessero preoccupato troppo la nonna. << Va tutto bene. >> Disse infine dando le spalle al ripiano della cucina.
<< No che non va tutto bene. >> Rispose Ema quasi come se stesse scherzando. Trovò posto su una sedia mentre dal soggiorno arrivavano le voci dei bambini che giocavano con Sho. << Ho visto quella stessa espressione il giorno che sei partita per andare a vivere a Mistilteinn. >>
Momo inarcò un sopracciglio, perplessa. << Ero triste? >> Disse come se fosse una cosa ovvia. << Perché mi dispiaceva lasciarvi da soli… >>
<< No. >> Disse la nonna guardandola come una sconosciuta. Il volto di Momo si fece turbato non riuscendo a capire per la prima volta sua nonna. La donna si dondolò un po' sulla sedia e prese fiato, poi le puntò un dito contro.
<< Tu eri triste. >> Disse. << Perché ti sentivi in colpa. E ti senti ancora così. >>
Momo non riuscì a reagire in modo appropriato. La sua faccia si contrasse in una smorfia che secondo lei avrebbe dovuto ricordare una risata, poi i suoi occhi andarono a cercare qualcosa negli angoli della sua visione e dalla sua bocca esalò un suono acuto, pieno di sorpresa che avrebbe dovuto mostrare sicurezza; avrebbe dovuto fingere, ma invece si ritrovò a mordersi la lingua come un ladro che era stato appena colto sul fatto.
Alla fine Momo si spense. Non voleva cercare di fingere ancora, dopo che sua nonna l'aveva smascherata così facilmente; quindi si accasciò su una sedia e sospirò profondamente.
<< Sbaglio o ti avevo detto di avere tutto sotto controllo? >> Disse la donna, quasi un sussurro nell'orecchio della nipote.
<< Ed è così? >> Reagì stizzita Momo. << Nonna, so che lo fai per il mio bene, ma come puoi fingere che anche senza di me le cose vadano alla grande? Mamma e papà non sono più presenti di prima, Mayu ha otto anni e non può badare a tutto da sola! >> Momo avrebbe voluto piangere, ma lo sguardo sereno di Ema le fece salire su una rabbia che non si riuscì a spiegare; la faceva infuriare che sua nonna continuasse a fingere spudoratamente, quando senza di lei era come se fosse persa.
<< Momo, io non posso incatenarti. >> Disse Ema accarezzando la guancia della nipote. << Non posso farti vivere per qualcun altro. >>
Gli occhi lucidi di Ema si specchiarono in quelli duri di Momo e la ragazza non capì in un primo momento cosa volesse dire; la confusione fu sostituita rapidamente dalla rabbia, ma alla fine fu dispiacere che uscì fuori dal voce della ragazza quando parlò di nuovo.
<< Io non… Non voglio abbandonarvi… >> Quasi come se fosse delusa, Momo balbettò la sua risposta sperando che la nonna capisse il suo punto di vista, ma Ema continuò a scuotere la testa.
<< Sei ingenua se pensi che seguire il tuo cuore significhi abbandonare la tua famiglia. Noi non dobbiamo dipendere da te e tu devi trovare la tua strada; si tratta solo della giusta realizzazione che ti ci è voluto anche troppo a raggiungere. >> Disse la nonna dolcemente, ritrovando la sua solita leggerezza d'animo nonostante l'argomento.
Momo inspirò a fondo, cercando di ribattere a quelle parole in qualche modo che non sembrasse provenire da una infantile testardaggine, ma ci rinunciò dopo che non fu riuscita a formulare le parole necessarie e allora sgonfiò il petto con rassegnazione.
<< Ma che ne sarà di loro…? >> Mormorò voltandosi a guardare i suoi fratellini. Loro erano troppo piccoli, troppo soli perché potessero farcela senza di lei. << Non è giusto che debbano vivere quello che ho patito io, dopo che ho lavorato tanto per evitarglielo! >>
<< Loro avranno sempre te come sorella maggiore. Ti vogliono bene, e anche se non sei qui tutti i giorni sapranno di poter contare su di te, ma è giusto che capiscano che è necessario provare le cose di persona prima di chiedere aiuto agli altri. >> Spiegò la nonna guardando i bambini e sorridendo beatamente. << E quando sarà il momento, anche loro andranno per le loro strade. Hai fatto tanto per loro, per noi, Momo. Per una volta, fai qualcosa per te stessa! >>
Momo non aveva mai pensato alla sua vita lontana dalla sua famiglia; non sapeva nemmeno perché avesse voluto arruolarsi nel programma Parasite, le sembrava assurdo che fosse andata a vivere così lontano, lasciando i suoi fratelli e la sua nonna ad affrontare le difficoltà della vita da soli… Ma adesso che era diventata veramente una Parasite, adesso che pilotava l'Aros con il suo partner, poteva dire di star facendo qualcosa di più per loro, per sé stessa e per tutto il mondo; magari era solo un modo per sentirsi meno in colpa, tuttavia si sarebbe ricordata sempre, da quel momento in poi, che quello che stava facendo, lo stava facendo per garantire un futuro a tutte le persone che amava!
In fondo il suo obiettivo non era cambiato…
   
 
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