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Autore: MuItifanacc    13/09/2021    0 recensioni
[Black Widow]
Solo quello che sarebbe potuto succedere se Natasha Romanoff venisse prese più in considerazione durante il primo film Avengers
Genere: Azione, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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Dove sono? Non riesco a percepire niente in torno a me, niente, non ci sono rumori o altre presenze, sento soltanto il mio pensiero e basta, niente di più. Neanche il mio respiro è udibile dato che non sto respirando, sento la sensazione del fresco ossigeno nei miei polmoni ma non li sento muovere, non li riesco a muovere. Cerco di fare qualche movimento ma qualcosa mi blocca, non so bene cosa, niente tocca il mio corpo, come se stessi fluttuando nel vuoto, e forse, è proprio questo quello che mi blocca, il vuoto. Provo ad aprire gli occhi ma non percepisco differenza tra aperti e chiusi, intorno a me è tutto buio pesto. Cerco di ricordare cosa sia successo e perché mi ritrovo qui, quando la realizzazione di quello che è successo mi colpisce e spero vivamente che il mio sacrificio sia davvero servito a prendere la gemma, un pensiero si rivolge a tutti i miei amici, a Steve e Clint in particolare, spero che capiscano la mia scelta, almeno ora quella nota rossa sul mio registro potrà essere cancellata definitivamente e non sarò più in debito con loro. Almeno ora posso riposare in pace, anche perché non potrei fare nient'altro, se questo era morire allora era davvero calmo e rilassante, forse un po' noioso. Non so esattamente quanto tempo sia passato, se giorni, mesi o pochi minuti, quando ad un tratto mi sentì trasportare da una forza invisibile lungo un sentiero ben preciso. Man mano che mi muovevo la velocità aumentava sempre di più e con questa anche le virate che facevo, il mio corpo prese delle posizioni innaturali ma non riuscivo a sentire nient'altro che la velocità. Fin quando non mi bloccai di colpo, sentì uno strano calore avvolgermi il corpo e una flebile luce che filtrava attraverso le mie palpebre chiuse. Riuscivo di nuovo a sentire la forza nel mio corpo e il duro pavimento sotto di me, provai a muovere le dita della mano, riuscendoci facilmente così decisi di aprire gli occhi. La mia vista fu momentaneamente accecata dal contrasto di luce che si era creato, ma in poco tempo riuscì a farla abituare, mi guardai intorno e vidi che ero a New York, stesa sul tetto di un palazzo. Mi guardai intorno e vidi le punte degli altri grattacieli che facevano da contrasto con quel cielo così arancione intenso. Non si sentiva un minimo rumore, niente di niente. Si alzò e si incamminò verso il bordo del tetto, guardando verso il basso si stupì di vedere quelle strade così affollate di gente, traffico e rumore, vuote, senza nessuno, l'unica cosa che si distingueva erano delle ombre, che volavano molto velocemente, pensò che fossero altre anime come la sua, bloccate in questo limbo. Si rese conto che non era un fantasma quando fece per attraversare la porta delle scale che l'avrebbero condotta in strada, e ci sbatté violentemente contro. Lì al momento dalla gola le uscì una debole risata che le fece accapponare la pelle tanto era il silenzio intorno a lei, provò a dire qualche parola, ma semplicemente non riuscì, così subito rinunciò all’idea di pensare ad alta voce e si diresse in strada. Lì continuava a vedere quelle ombre, e non riusciva davvero a capire a chi o cosa appartenessero, sembravano figure umane, c’è n’erano di tutte le dimensioni che continuavano a passarle intorno ad alta velocità. Fece per toccarne una ma subito questa si scansò, provò di nuovo e ottenne lo stesso risultato, era come se la evitassero, quindi dedusse che erano dotate di una specie di coscienza e che quindi erano vive. Ma questo non la aiutò con la sua sempre più frequenta inquietudine, decise di schiarirsi le idee facendo qualche passo per la città, non si era mai permessa un attimo per esplorare la città che l’aveva accolta come eroina e non come assassina. Non sapeva quanto tempo fosse passato dato che non sembrava esserci un sistema solare con cui misurare il tempo, il cielo era sempre del medesimo colore, arancio, ed emanava una forte luce che illuminava tutto il suo intorno ma la fonte di questa luce non era visibile, era come se il cielo fosse la stessa fonte. Camminando sulla sua strada vide che si stava avvicinando ad una bancarella di ciambelle, il proprietario non sembrava esserci così incuriosita si avvicinò. Alla vista di tutto quel cibo poté sentire il suo stomaco brontolare e le papille gustative frizzare dentro la sua lingua, non ricordava da quando tempo non metteva qualcosa nello stomaco, così lentamente afferrò una ciambella, la prima che aveva davanti, aveva la glassa bianca e i confetti era rossi, bianchi e blu, le preferite di Steve pensò mentre ammirava l’oggetto nella sua mano. Non era sicura che potesse mangiarla, le sembrava troppo bello per essere vero, ma appena i suoi denti addentarono il gustoso snack, al posto di quello che aveva preso se ne rimpiazzò un altro. Gli occhi di Natasha schizzarono fuori dalle orbite, non riusciva a credere a quello che vedeva, come era possibile pensò mentre voleva provare se funzionasse di nuovo, qualunque cosa sia doveva rimanere esattamente in quel modo. Decise di provare con altro, allora prese un bicchiere e lo riempì di caffè, misteriosamente il bicchiere si rimpiazzò e la caraffa di caffè si riempì di nuovo fino all’orlo. Cercò di trovare una soluzione ma decise a zittirsi il cervello e per una volta a non pensare. Continuò il suo giro turistico, mangiando e bevendo tutto quello che le pareva, pensò che se avesse continuato di questo passò in poco tempo avrebbe perso la sua perfetta forma fisica, ma a chi sarebbe interessato se era sola. Si ritrovò a passeggiare per i lunghi sentieri di Central Park, osservando la magnifica natura di quel posto, come aveva fatto a non esserci mai andata, certo, era troppo presa dal lavoro anche per poter pensare di farsi una passeggiata in giro. Si sedette su una panchina che dava sul lago e stette lì a rilassarsi e a godersi lo spettacolo, il cielo rifletteva il suo colore su tutto tranne che sull’acqua, ne sembrava immune e questo la rendeva del tutto cristallina, permettendo di vedere perfettamente il fondale, una volta ricco di pesci pensò. Stava quasi per appisolarsi quando ad un tratto dal cielo si udì un forte tuono e l’intero gioco di luci che creava nell’atmosfera sparì lasciando il posto ad una flebile luce. I sensi di Natasha si rizzarono, era abituata ad avvertire il pericolo e sapeva quando qualcosa non andava, si alzò velocemente e iniziò a scappare, non sapeva dove ma sapeva che se fosse rimasta in quell’ambiente così piccolo avrebbe avuto meno possibilità di quante ne poteva avere nell’aperta città. Mentre correva fece il resoconto delle armi che aveva addosso e si maledì quanto sentì soltanto la sua attrezzatura di base della tuta, il rampino, i 3 coltelli sapientemente nascosti, materiale di salvataggio e i suoi morsi della vedova. Doveva trovare assolutamente un rifugio, o delle armi almeno, qualsiasi cosa stava per succedere non le piaceva affatto. Mentre correva per la città sentì un forte ringhio alla sua destra e non ebbe nemmeno il tempo di controllare che si ritrovò sbalzata di lato da una forte presenza. Si guardò intorno mentre cercava di rialzarsi quando lo sentì di nuovo, e questa volta riuscì persino a vedere cosa l’aveva aggredita. Era una di quelle ombre che aveva visto per tutto il giorno, si rese conto solo adesso che appena aveva udito quel boato tutte le ombre erano sparite. Cercò di difendersi quando l’essere la caricò con un altro attacco ma ci fu la stessa reazione, lei non poteva toccarli, soltanto che tutta l’energia spostata da quella cosa la fece volare diversi metri più indietro. Si rialzò il più velocemente possibile e iniziò a correre disperata, come poteva salvarsi, non riusciva a pensare lucidamente, sapeva che doveva scappare ma dove, e per quanto, sentiva le lacrime salirle agli occhi ma rapidamente le bloccò, non poteva permettersi di crollare proprio adesso, o non c’è l’avrebbe fatta, non sapeva esattamente cosa le sarebbe successo se quelle ombre l’avessero presa ma era certa che non fosse una bella cosa, giudicando da quanto forte l’avessero colpita prima. Mentre correva vide da lontano un determinato palazzo, che non credeva sarebbe stata così felice di vedere, l’Avengers Tower. Non entrava in quel posto dal loro scontro con Ultron, da un giorno all’altro si era ritrovata tutte le sue cose spostate nel nuovo quartier generale degli Avengers dove avrebbe vissuto fino alla sua fuga da Ross per aver violato gli accordi di Sokovia. Arrivata di fronte quelle grandi porte si sorprese quando automaticamente si aprirono e una voce robotica che non riconobbe la identificò. Provò e riprovò un contatto con quella voce ma non c’è stata nessuna risposta, provò anche ad uscire e rientrare ma non successe nulla di più che l’apertura della porta. In lontananza sentì quegli ormai familiari versi e si affrettò a nascondersi il più in alto possibile. Arrivò fino all’attico, dove una volta c’era la sala dove tutti passavano il tempo insieme e dove Tony organizzava le sue feste, una volta piena di arredamento elegante e molto costoso, ora soltanto ricoperta di polvere e con qualche oggetto forse dimenticato. C’era una vecchia sedia d’ufficio, qualche telo bianco e una vecchia scarpa. Non capì come potesse esserci arrivata lì ma non si domandò altro. Si affacciò sulla grande terrazza e si meravigliò della vista della città con quella luce, era davvero strano, non sembrava notte ma l’atmosfera lo gridava proprio. Vide ai piedi del palazzo quelle ombre che si accalcavano e cercavano di entrarvi dentro, e così volendo testarle decise di prendere una decisione alquanto pericolosa. Prese la vecchia scarpa e la lasciò cadere verso il basso, proprio su quell’orda di ombre, ci fu un secco rumore quando cadde e insieme a questo tutta l’attenzione di quelle bestie era attirata su di lei, li vide infuriarsi e cercare di saltare per prenderla, ma i loro salti era minuscoli in confronto all’altezza della torre. Continuò ad osservarli e le sembravano innocui dal suo punto di vista, quando fu sicura che non sarebbero mai riusciti ad entrare si lasciò andare alla stanchezza che la stava prendendo e decise di riposarsi, solo per qualche minuto. Quando si svegliò la prima cosa che notò fu lo strano colore del cielo, non era più arancio ma rosso, ogni cosa prendeva quella sfumatura rendendola terrificante, le ricordava molto quelle fastidiosissime luci a intermittenza della stanza rossa, così ignorando un brivido che le attraversava la schiena decise che se avesse dovuto rimanere lì avrebbe avuto bisogno di alcune cose, almeno un materasso, pensò alzandosi e scrollandosi di dosso la sensazione delle ossa accartocciate per aver dormito per terra. Durante il tragitto dall’ultimo piano al piano terra, avendo preferito le scale, non voleva di certo essere bloccata in un ascensore in un mondo dove era praticamente sola, fece una lista mentale delle cose che potevano servirle. Al primo posto mise l’acqua e il cibo, sentendo la gola arsa e lo stomaco vuoto, secondo un letto, e terzo le armi, queste erano le sue priorità, il resto non era così importante. Velocemente raggiunse un piccolo supermarket dove era frequente andare la squadra a fare spese di prima necessità. Passò lentamente tra i banconi e osservò tutto con molto scrupolo, alla fine ne uscì con il cestino pieno, prese molte bottiglie di acqua, qualche di vodka e prese soltanto cibo in scatola o secco, non sapendo se le cose fresche potevano stare così a lungo senza apparecchi adatti. Non sapeva neanche il grado di elettricità che c’era in circolazione, aveva notato che alcune luci della torre rimasero accese e questo le bastò e avanzò, al momento non doveva servirle a molto la corrente. Portò molto velocemente la spesa a casa non sapendo quanto tempo le fosse rimasto, doveva trovare al più presto un modo per monitorare il tempo in modo da sapere in quale periodo poteva uscire senza rischiare troppo. Senza pensarci 2 volte, una volta che la spesa era stata lasciata al primo piano della torre, decise di fare irruzione nel palazzo di fianco al loro, non aveva altra scelta, dove poteva trovare un materasso lì vicino. Così durante quel breve ma faticoso tragitto gli unici rumori che potevano essere sentiti erano i suoi lamenti, per quanto fosse forte era davvero pesante portare un materasso per circa 100 metri. Arrivata dentro la hall del loro palazzo, o meglio del suo palazzo, le venne un’idea per evitare di morire portando quel peso sulle scale, lo caricò nel grande ascensore e decise di prendere le scale. Così passò a prendere la spesa che aveva lasciato lì vicino e la salì fino all’ultimo piano. Certo era pesante portare tutte quelle bottiglie ma sempre più leggero del peso che aveva scaricato in quell’ascensore. Arrivata in cima, chiamò l’ascensore e pregò con tutta sé stessa che funzionasse, fortunatamente sembrava che tutto andasse alla perfezione, infatti pochi attimi dopo un piccolo campanello risuonò attraverso la stanza e le porte dell’ascensore si aprirono. Con un ultimo sforzo, lo trascinò al centro della stanza e felice e soddisfatta ci si buttò contro, godendosi la sensazione, chiuse gli occhi per un attimo quanto le venne in mente un’idea. L’unico posto dove sapeva ci fossero armi e soprattutto le sue armi era alla loro attuale base Avengers, così con uno scatto di follia in testa, corse di sotto e si mise alla ricerca di un veicolo abbastanza veloce ma anche sicuro da proteggerla nel caso avesse fatto troppo tardi, anche perché sapeva che nel garage della base c’era la sua Corvette, piccola, veloce e a prova di mina letteralmente, o almeno quello ero l’ultimo luogo dove l’aveva lasciata. Il tragitto durava intorno ai 40 minuti con il traffico e rispettando le leggi, lei avrebbe potuto arrivarci in 20, così corse all’esterno e si mise alla ricerca di un veicolo. La prima cosa che le passò sotto tiro fu una moto, non era delle migliori ma poteva andare bene, smanettò pochi minuti con l’impianto elettrico e la fece partire. Così esattamente nel tempo che aveva previsto, arrivò alla base. Entrò dalla grande porta a vetri e si emozionò pensando a tutto quello che aveva passato tra quelle mura, non aveva la più pallida idea di cosa stettero facendo gli altri e provò ad immaginarli tutti felici dopo aver ristabilito la realtà, sperava che nessun altro si fosse fatto male e soprattutto che nessun altro fosse morto. Passò per la sua stanza e prese uno zaino che riempì di vestiti e attrezzatura, poi andò all’armeria dove si equipaggiò molto bene, e mentre usciva con lo zaino su una spalla e un mitra sull’altra, sentì un rumore, come se qualcosa fosse appena caduto nel lago vicino alla struttura, iniziò a correre verso la direzione e quando arrivò non vide altro che nulla, il piatto lago sembrava fatto di sangue, riflettendo tutto quel rosso, le sembrò strano perché il giorno prima l’arancio non lo aveva riflettuto. Il paesaggio intorno a lei sembrava una foto, nulla si muoveva, era immobile, fin quando non si soffermò sulla piccola banchina che dava sul lago, dove aveva passato molto tempo ad osservare il panorama e a disperarsi negli anni precedenti, sapeva che non doveva perdere tempo ma quella sensazione era più forte. Mentre si avvicinava vide la panchina esterna essere scagliata a diverse centinaia di metri nel lago da una sagoma molto grande e verdigna, pensò ad una strana ombra ma quando si avvicinò notò che era Bruce. Soltanto che ora la sua immagine era ferma, e al posto della panchina c’erano delle piccole onde di energia che vibravano, pochi secondi dopo la panchina era ritornata lì e Bruce stava facendo lo stesso gesto, come se fosse bloccato in un loop. Si girò di scatto quando sentì la voce di Thor affermare che non era vero, si avvicinò a lui e lo vide nella sua forma più malridotta mentre si passava la mano tra i capelli e togliendosi gli occhiali asciugava i suoi occhi. Avrei dovuto essere io, ecco la sua voce, Clint, il suo salvatore, il suo eroe, era più che certa che si fosse incolpato, ma lei era più che sicura della sua scelta, lui aveva troppe cose per cui vivere e non avrebbe mai lasciato quei bambini senza un padre. Sentì di nuovo il rumore che aveva attirato la sua attenzione e vide Tony tirare un calcio ad un sasso che finì rovinosamente in acqua, lo vide lontano dagli altri mentre guardava il nulla, il suo ormai malnutrito corpo era esausto, ma continuava ad essere lì, per la squadra, per quel che poteva. E infine c’era lui, il suo migliore amico, Steve, stava lì fermo a piangere come un bambino, il viso nascosto tra le mani e le lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi. Emozionata provò a toccargli il viso e lui improvvisamente alzò la testa dicendo, si noi, non aveva sentito la domanda a cui stava rispondendo forse troppo lontana per poter sentire tutti, si sentì davvero male per loro, aveva lasciato la sua famiglia, di nuovo, e questa volta per sempre, non ci sarebbe stato modo di ritornare. Si avvicinò a Clint, quando sentì la debole suoneria di un telefono, si avvicinò a lui e l’immagine sembrò bloccarsi, come per farle leggere chi stesse chiamando Clint, e quando lesse il nome di Laura, il suo cuore si animò di 1000 volte, c’è l’avevano fatta, avevano riportato tutti indietro. Mentre le lacrime bagnavano il suo viso un pensiero andò all’altra sua famiglia, anche essa blippata, chissà dove sarebbero ritornati Melina, Alexei e soprattutto Yelena, dio quanto le mancavano, sperò vivamente che fossero fieri di lei per il suo gesto e che non la prendessero troppo male. Questo pensiero fu interrotto dal forte rombo che anche il giorno prima aveva squarciato il cielo, immediatamente la realizzazione la colpì e con questa arrivò anche l’oscurità e un pizzico di paura, prese le sue cose, lanciò un ultimo sguardo a quelle 5 persone che amava più di sé stessa e corse verso la struttura che aveva davanti, sapeva abbastanza nascondigli dove potersi nascondere e monitorare la situazione senza essere notati ma appena mise vi mise piede all’interno, tutto sembrava essere distrutto, non sapeva se fosse stata colpa di quelle ombre o della stessa cosa che le aveva fatto vedere i suoi amici prima, ma sapeva benissimo che lì, non poteva rimanere. Corse verso la sua auto e riuscì ad entrare dentro chiudendo la porta giusto un attimo prima che un’ombra le lanciasse dell’energia contro la portiera, fortunatamente l’auto si accese e in pochi secondi sfrecciò via come un bolide. Non ci mise molto a ritornare, meno tempo dell’andata, in fondo la sua auto era stata scelta apposta. Durante il tragitto pensò a tutto quello che era successo durante la giornata, a come aveva potuto vedere e sentire i suoi amici e a cosa aveva potuto distruggere una struttura così grande in pochi secondi. Arrivò letteralmente nel vialetto del palazzo, Stark di tutto quello che aveva installato su quella torre si era dimenticato il parcheggio, un genio così geniale che dimentica le cose basilari. Spense la macchina e valutò le varie possibilità che aveva per rientrare dentro, pensò anche di rimanere lì, ma semplicemente non diede molta attenzione a questa opzione. Non vide ombre in giro, niente di niente, così si caricò tutto in spalla e con un agile scattò si fiondò verso la porta, soltanto che qualcosa andò storto. Mentre vedeva la grande porta a vetri aprirsi sentì una forte spinta dietro di lei che la fece volare nella direzione in cui stava correndo, facendole sbattere la schiena sulla porta che nell’impatto si frantumò in mille pezzi. L’ultima cosa che videro i suoi occhi furono la porta ricomparire magicamente lasciando fuori quelle ombre e qualcuno che la prendeva in braccio sollevandola, dopo di che un forte dolore sulla schiena e il buio. Quando si svegliò vide una strana luce celeste che avvolgeva tutto quanto, era di nuovo giorno se così si poteva chiamare e il cielo era colorato di un bellissimo celeste, soltanto che ne rifletteva anche la luce dando ad ogni cosa un aspetto celestiale. I ricordi del giorno precedente le vennero in mente e la fecero scattare sull’attenti all’istante ma si pentì subito di quel gesto data la grande quantità di dolore che la schiena le mandò. -Hey, vacci piano hai preso una bella botta. Sentì dire da qualcuno alle sue spalle, da una voce molto conosciuta, Loki. Subito si girò e prese la pistola che aveva nella fondina puntandogliela contro, sapeva che lui era capace di fare magie di quel genere e di certo non voleva essere presa in giro in quel momento. -È così che saluti chi ti ha salvato? Domando lui in rimando alzando le mani e sedendosi per terra poco distante da lei. -Dove sono? Chiese Natasha, non le importava cosa le potesse fare o del perché fosse lì anche lui, o meglio le importava ma preferiva sapere dove diavolo fosse. -Ti parlo con sincerità, non ne ho la più pallida idea, io ero in giro su Asgard quando per puro caso ho fatto funzionare il Bifrost e mi sono ritrovato qui a New York, poi ti ho seguita e meno male dovrei dire, aspetto ancora un ringraziamento. Natasha voleva ignorarlo con tutta sé stessa, ma era bello avere un’altra persona con cui parlare, anche se era Loki, ma era sempre un essere umano. Lentamente si alzò in piedi e si diresse dove aveva conservato le sue scorte, prese un pacco di pop tarts e 2 bottiglie d’acqua, una la offrì a l’uomo di fronte a lei insieme ad una tartina. -Sai queste erano le preferite di Thor, disse mentre gli voltava le spalle e si dirigeva sulla terrazza. Poté sentire i suoi passi andarle dietro e fermarsi poco distante da lei. Nessuno dei 2 osava dire una parola, consumarono il loro cibo in silenzio, fu Natasha a spezzare quel duro silenzio. -Sai cosa sono quelle ombre? Loki lentamente annuì mandando giù l’ultimo boccone. -Una vecchia leggenda dei guerrieri Asgardiana narrava che: le anime delle persone a cui avevi tolto la vita si riversavano nei tuoi sogni più brutti, fin all’alba dei cieli dove il tuo corpo sarebbe salito nella dimensione ultraterrena e lì ti avrebbero tormentato per l’eternità, sai devo dire che tu hai dovuto uccidere un gran numero di persone per finire con così tanta ombra nella tua dimensione. Loki spiegò con molta clama godendosi lo spettacolo delle ombre in questione sotto di loro, era così avvolto in quel quadro che non si accorse che la persona di fianco a lui stava singhiozzando pesantemente. -Quelle sono tutte le persone che ho ucciso io? Le chiese quasi urlando indicando di sotto. Lui annuì guardandola fissa negli occhi e vedendo tutto il dolore che stava provando fece qualche passo e si avvicinò a lei, mettendole le mani sulle spalle e richiamando la sua attenzione. -Quando sono entrato nella testa di Barton, ho visto tutto quello che lui sapeva di te, e so per certo che la maggior parte delle tue vittime sei stata costretta a farle. Per Natasha quelle parole non erano molto d’aiuto ma ringraziò Loki con un leggero ghigno sul viso mentre si passava le mani sul viso. -Devo sembrarti una completa idiota, piangerti davanti in quel modo. -Non sei idiota Natasha, sei vera. Quella frase lasciò entrambi di stucco, fin quando questa volta Loki spezzò il silenzio. -Allora posso deliziarti con qualche altra leggenda? Lei ricacciò indietro una risatina e gli spiegò per filo e per segno tutto quello che aveva visto alla base il giorno prima. -Sono stato in questa dimensione molte volte, quindi posso placare alcuni tuoi dubbi. Iniziò lui mentre si sedeva sulla vecchia sedia che emise uno strano cigolio. -Molto probabilmente hai visto i tuoi amici piangere per te, forse si erano ritirati per darti un’ultima commemorazione privata, cose del genere, può capitare che in alcuni casi quando tutti pensano intensamente alla persona defunta, in questo caso tu, si crei una sorta di connessione intra-terrena che crei un passaggio di comunicazione a senso unico. -E si potrebbe ricreare? Le chiese interrompendolo. -È molto difficile, davvero, ci vuole una straordinaria tecnica che solo millenni di esperienza possono garantire, mio padre Odino per esempio sapeva crearle, lui era così forte che riusciva persino a contattare con me e Thor allo stesso tempo, però non siamo mai stati degni di quel segreto. La piccola speranza che si era aperta in Natasha svanì con quest’ultima frase, e sperò vivamente di poter riuscire in qualche modo ad avere un contatto con i suoi amici e con la sua famiglia. -Posso farti un’altra domanda? Lui annuì e lei parlò. -Com’è diviso il tempo qui, ogni giorno il cielo cambia colore, poi c’è quel rombo e tutto diventa scuro e le ombre mi perseguitano, perché? -È molto semplice, non esistono né mesi e né anni, se così vogliamo dire c’è una settimana che è composta da sei giorni e li possiamo distinguere dai colori del cielo, io personalmente le chiamo così, celeste – Tess, arancio – Heid, rosso – Aeth, Verde – Necc, Viola – Orrb e giallo – Scep, e non vengono mai in ordine, hanno sempre un ordine casuale. -Aspetta come le gemme dell’infinito? Chiese al che Loki le annuì in risposta. -Per quanto riguarda il giorno e la notte, le ho cronometrate, il giorno dura 8 ore mentre la notte 6, però non so quanto sia l’equivalente sulla terra. La loro amabile conversazione fu interrotta da una strana aura che circondava Loki. -Mia cara Natasha, è stato un piacere incontrarti in questa nuova veste, grazie per il cibo e spero che la mia conoscenza di questo ambiente ti abbia portato ristoro nelle tue lacune. Loki stava pian piano svanendo lasciando in Natasha un senso di terrore mai provato prima , era angosciata nel sapere che sarebbe rimasta da sola per sempre e questa cosa la terrorizzava, nella vita terrena aveva sempre preferito la corsia della solitudine ma lì vi era sempre la possibilità di fare marcia indietro, qui no, eri sola e dovevi rimanerci. Senza pensare mentre Loki stava diventando sempre più invisibile si tuffò tra le sue braccia e sperò che quel gesto bastasse per farlo rimanere, lui cercò di stringerla per quel che poteva ma il suo corpo che scompariva non aiutava. -Non lasciarmi, ti prego. Natasha lo ripeteva tipo nenia, non voleva davvero rimanere sola, era stato bello parlare con qualcuno per quel poco che fosse stato. Prima che l’aura di Loki si dissolvesse lo sentì pronunciare alcune parole. -Non preoccuparti, qualcuno arriverà. Natasha rimase li immobile, con gli occhi pieni di lacrime a ragionare sulle parole appena udite, cosa volevano dire, si sarebbe creata un’altra connessione? O qualcun altro l’avrebbe raggiunta lì, ma questo voleva significare che qualcuno era dovuto morire, quindi preferì pensare che l’avessero sentita e che stessero cercando un modo per contattarla, sapeva che non avrebbe più potuto ritornare indietro ma almeno un minimo contatto poteva averlo, sperò. Non aveva idea di quanto tempo avesse dormito e che quindi tempo potesse avere a disposizione prima che calasse la notte, una cosa che sapeva sicuramente era che il giorno dopo avrebbe dovuto prendere almeno un orologio. Tutti i suoi dubbi sul che ora fossero furono placati in pochi istanti, quando calò la sera e le ombre si davano da fare correndo per la città e accalcandosi ai piedi della torre. Si sentì male per loro, dato che la loro sorte era dovuta alle sue mani sporche di rosso, sperava che con quel gesto le note sul suo registro di fossero cancellate, ma sapeva che non era neanche umanamente possibile, era troppo macchiato e questa era la sua rivalsa. Così mentre si stendeva su quel materasso pensò fino ad addormentarsi, un modo per poter risanare la sua coscienza cercando di salvare tutte quelle anime in pena. Il giorno dopo il cielo è giallo, un bel giallo intenso, che donava a tutto il paesaggio il colorito di una calda giornata estiva, anche se la temperatura era sempre costante, non faceva né caldo né freddo. Quel giorno Natasha era intenzionata a scoprire qualcosa di più sulle ombre, o meglio su quelle anime in pena. Uscì di corsa dal palazzo e sentì nell’aria una strana sensazione, come se qualcuno la stesse osservando, ma la mando via in pochi secondi, concentrata per il suo prossimo obiettivo. Arrivò in un negozio di elettronica e dovette quasi tapparsi le orecchie tanto erano forti i rumori in quella stanza, il ticchettio degli orologi era insopportabile, era rimasta nel quasi totale silenzio per giorni e ora questo era troppo, decise che ne avrebbe preso soltanto uno digitale, per evitare di impazzire. Orologio al polso, lo fece partire ma non aveva la minima idea di che ora fossero, e poi Loki le aveva detto che erano 14 le ore non 24, doveva ricordarsi di togliere 10 ore, così ebbe la strana idea di prenderne un altro e sistemarlo alla stessa ore soltanto di 10 ore prima, non sapeva se fosse esatto quello che stava facendo ma si propose che il giorno durava dalle 9 alle 17 e la notte dalle 18 alle 24, le ore dalla mezzanotte terrestre alle 9 semplicemente le saltava e portava avanti l’orologio. Con quell’altro fardello risolto, si diresse in una strada molto popolata di ombre, e iniziò ad osservarle, sapeva che non potevano toccarsi ma le osservò molto scupolosamente e da vicino, notò che in molti di loro c’erano tratti diversi, proprio come le persone sono tutte diverse. Voleva davvero provare a riconoscerne qualcuna per potersi almeno scusare ma era del tutto impossibile, come puoi riconoscere qualcuno dalla sua ombra distorta. Frustrata si sedette sul marciapiede e sbatté molto forte il pugno sul cemento, questo le provocò una piccola ferita al lato della mano da dove iniziarono ad uscire delle gocce di sangue, non ci fece molto caso ma quando sentì uno strano verso dietro di lei vide un’ombra ferma in un punto, come se fosse attirata da qualcosa, guardò meglio e vi vide una piccola goccia di sangue, del suo sangue, allora premette ancora di più la ferita e ne fece uscire altre, l’ombra sembrava reagire molto bene a questa cosa, così continuò, dopo aver fatto uscire dal suo corpo circa 5 gocce, l’ombra sembrò dissolversi nel nulla, come aspirata dal cielo. Natasha era incredula, aveva forse scoperto il metodo per salvare tutte quelle anime? Provò di nuovo, giocò con la sua ferita facendola sanguinare e fece cadere le gocce su un’altra ombra, ebbe la stessa reazione della prima. Forse quelle ombre la voleva morta in modo da poter prendere il suo sangue, ecco perché la aggredivano di notte. Sapeva che se quello fosse stato il metodo, per non rischiare la vita avrebbe dovuto farne poco alla volta, conosceva benissimo cosa voleva dire avere poco sangue nel corpo e gli effetti non le piacquero in ospedale circondata da medici, figurarsi lì da sola. Fece sparire un’altra ombra, quando qualcosa attirò la sua attenzione, era come uno strano luccichio che proveniva dalla torre, il suo primo pensiero andò verso Loki, forse era ritornato, così presa dalla gioia iniziò a correre, neanche rendendosi conto che la sua ferita aveva fatto scomparire altre 2 anime. Quando arrivò alla torre, e salì le scale a 3 a 3 pur di fare presto, non voleva che Loki scomparisse di nuovo. -Loki ho trovato un metodo per far scomparire le ombre. Quasi urlò mentre saliva all’ultimo piano, ma qualcosa la lasciò interdetta, non c’era Loki ad attenderla ma bensì un genio-miliardario-playboy-filantropo, seduto per terra che smanettava con l’impianto elettrico. -Andiamo Romanoff, davvero mi hai scambiato per quel verme di Loki? Chiese lui con le sue solite risposte sarcastiche mentre si alzava e si avvicinava a lei del tutto pietrificata. Notò che i suoi occhi erano lucidi e la sua solita postura ferrea vacillava sul posto, decise di colmare la loro distanza e non appena le sue braccia la circondarono le sue gambe cedettero e dovette tenersi a lui. Pian piano i loro corpi scendevano sul pavimento proprio mentre dai loro occhi scendevano fiumi di lacrime, soprattutto da quelli di Natasha. -Sai Nat, questa è la prima volta che ti vedo piangere. Disse lui allontanandosi dall’abbraccio per guardarla negli occhi, erano bellissimi, quel verde così illuminato dalle lacrime, contornato dal rosso dei capillari rotti erano uno spettacolo. Il loro sguardo durò pochi secondi perché Natasha non aveva intenzione di lasciarlo andare. Già era stato difficile lasciare andare Loki, figuriamoci lui. Quando i suoi singhiozzi si erano placati, parlò. -È normale che puzzi di olio per motori anche da morto? Chiese alzandosi da quella posizione e mettendosi più comoda, senza mai allontanarsi da lui. -È per te è normale che tu mi abbia scambiato per Loki? Davvero avevate qualche tipo di tresca? E poi, dove diavolo siamo? Chiese lui beffardo. Natasha le raccontò tutto quello che era successo e tutto quello che aveva dedotto, e lui si offrì volontario di aiutarla in ogni modo possibile a partire dal sistemarle gli orologi, a patto che lei lo aiutasse a trovare tutto quello che gli serviva, ma non c’era neanche bisogno di chiedere perché entrambi avrebbero fatto di tutto per l’altro, soprattutto se bisognava conviverci per l’eternità. Le loro chiacchiere vennero interrotte dal forte tuono che annunciava la notte, subito Natasha sistemò gli orologi, almeno aveva un punto di partenza e decise che per oggi bastava tutto quello che aveva fatto, soprattutto perché le forti emozioni che aveva provato erano state davvero stancanti. Prepararono la cena, o meglio aprirono delle lattine di ravioli al sugo, si sedettero sul bordo della terrazza e insieme osservarono quelle ombre che si schiantavano alla base della torre. -Sai per caso cosa sono? Chiese Tony con la bocca piena. Natasha lo guardò divertita e gli spiegò cosa fossero. -E perché sono di 2 colori diversi? Continuò lui. Natasha fece per rispondere quando di scatto si alzò e vide che Tony effettivamente aveva ragione, la maggior parte avevano una sfumatura arancio mentre le altre più sul giallo. -Credo che quelle colorate di giallo siano le tue. Disse indicando quelle poche ombre di colore diverso, erano sempre molte ma erano poche in confronto a quelle di Natasha. -Hey, ma sei ferita. Si preoccupò lui mentre le prendeva la mano, non era un taglio preoccupante ma sulla sua pelle chiara risaltava molto. Così mentre lui le fasciava la mano, forse troppo, lei gli raccontava come pensava che potesse mandarle via. -Allora mia cara Natasha, domani abbiamo un bel compito da fare, dobbiamo procurarci: aghi, siringhe e tutto quello che ci serve e inizieremo questa nuova missione insieme, nei limiti del sanitario e del non mortale, va bene? Natasha annuì soddisfatta mentre gli regalava un dolce sorriso seguito da un forte sbadiglio che contagiò anche Tony. -Dai andiamo a letto che domani sarà una giornata lunga. La esortò lui passandole una mano dietro la schiena e accompagnandola a quel materasso. Entrambi erano stesi, l’uno accanto all’altro, e forse per abitudine di dormire con qualcuno, entrambi si accoccolarono al loro amico, non era una cosa morbosa, sembravano naturalmente in pace l’uno tra le braccia dell’altro. Tony la stringeva come un tempo stringeva Pepper, circondandola con le sue braccia e poggiando il suo viso tra i suoi capelli mentre Natasha dormiva esattamente come le prime volte che tornava con Clint da qualche missione potenzialmente mortale e passavano la notte insieme tormentati da incubi, era appollaiata tra le braccia di Tony, le sue mani che si poggiavano sul suo petto e il braccio di Tony come cuscino. Il loro risveglio non fu particolarmente imbarazzante, Tony fu il primo a svegliarsi infastidito da quella strana luce viola, ma non ebbe il coraggio di muoversi non volendo svegliare Natasha. In quella posizione le sembrava l’essere più carino dell’universo, il suo viso era calmo e non aveva quella solita espressione potenzialmente fatale. Rimase lì fermo ad osservarla mentre il suo viso si contorceva in una strana smorfia mentre dalla sua bocca usciva un debole sussurro che Tony non riuscì a capire. Vedendo che iniziava ad agitarsi la strinse ancora di più tra le sue braccia e prese a cullarla mentre le sussurrava dolci parole all’orecchio. Natasha sembrava essersi calmata, anche l’ansia di Tony era scesa a livelli normali, aveva sinceramente paura, non sapeva mai come comportarsi con lei, ogni volta che stava male sia fisicamente che mentalmente lui guardava da rigorosa distanza Steve e Clint che si prendevano cura di lei. Senza pensarci 2 volte le labbra di Tony si posarono sulla sua fronte, in un disperato tentativo di infonderle amore, subito dopo quel gesto, le braccia di Natasha circondarono Tony e dalla sua bocca uscirono delle parole. -Mi hai appena dato un bacio? Chiese ancora non spostandosi da quella posizione, sotterrando ancora di più la faccia nel suo petto. -Cosa c’è adesso, non posso dimostrarti il mio affetto? Sai che non posso trattenermi. Rispose lui spostandosi provocando in lei dei gemiti di disapprovazione. -Stark, dobbiamo mettere delle tapparelle, la luce è insopportabile. Disse mentre si stropicciava gli occhi assonnati e si alzava dal letto. -Vedo che qui l’arredamento è molto minimalista. Le obiettò lui mentre andava a prendere qualcosa da mangiare in fondo alla stanza. -È già tanto che sono riuscita a portare quel letto, ma ora che è arrivata la carrozzeria non avrai problemi ad aiutarmi vero? Chiese lei ammiccando sensualmente e abbassando il tono di voce. -Ma certo mia cara damigella in pericolo. La giornata passò tra battutine e scherzi però riuscirono in gran parte del loro lavoro. Tony si assicurò che l’energia non calasse creando un piccolo generatore di emergenza, in modo da poter usufruire dell’ascensore e degli elettrodomestici necessari, che furono pesantemente portati al loro piano. Così mentre Natasha ritornava con buste piene di frutta e verdura, Tony finiva di montare le tende. Mentre pranzavano, con della semplice insalata, Natasha stava ricalibrando le sue pistole e Tony armeggiava con un orologio rendendolo accessibile alle loro giornate da 14 ore, tra di loro e in tutta la dimensione non volava una mosca, entrambi erano concentrati sul loro compito e gli unici rumori udibili erano i crepitii che faceva la pistola e il ticchettio dell’orologio. Non ci misero molto a finire, entrambi soddisfatti. -Tony io vorrei davvero aiutare tutte quelle anime. Iniziò Natasha, ma Tony la interruppe. -Lo so Nat, è per questo che dobbiamo ritornare alla vecchia base, devo vedere se è ancora intatto. Natasha lo guardò confusa, aveva abitato lì 5 anni, era sicura di conoscere quel posto alla perfezione. -Sotto il magazzino, possiamo dire che vi avevo creato una specie di laboratorio insieme a Banner anni prima, quando lui voleva liberarsi di Hulk, però quando ha cambiato totalmente idea, lo usavo come laboratorio segreto, sai com’è no? Così ogni volta che vi facevo le analisi, mettevo un po’ di sangue da parte in caso ne avreste avuto bisogno, certo io, tu e Barton eravamo mortali quindi non era necessario, ma per Thor, Steve e Bruce non avevo come aiutarli se si fossero gravemente feriti. Ammise Tony facendo illuminare gli occhi di Natasha che gli andò vicino e lo strinse in un abbraccio. -Sei il migliore. Ammise lei. -Non provare a paragonarmi a te. Scherzò lui allontanandosi dall’abbraccio e dirigendosi verso l’esterno. -Secondo il mio nuovo orologio abbiamo esattamente 3 ore prima che diventi notte. Rispose lui scendendo dall’auto ritrovatosi davanti il loro intero quartier generale distrutto. Iniziarono a scavare tra le macerie e fortunatamente, dopo circa un’ora si aprirono un piccolo varco che li portava alla porta del laboratorio segreto di Tony. Decisero che era meglio se fosse stato lui ad entrare nel caso qualche maceria fosse caduta lei avrebbe potuto tirarlo fuori, e poi sapeva dove mettere le mani. Il laboratorio era una grande stanza di cemento, era molto minimalista, una grande scrivania con sopra, i più strani elementi, e tutto intorno scaffali pieni di sacche di sangue. Andò verso quella di Natasha e ne prese il più possibile, lo stesso fece con la sua, e in pochi minuti si ritrovò ad uscire portando litri di sangue con sé. -Ne ho preso un bel po’, non credo che ritorneremo presto qui vero? Chiese uscendo ma si ritrovò da solo, impanicato lasciò le sacche nell’auto e andò alla ricerca di Natasha. Fortunatamente i suoi macabri pensieri furono sollevati quando la vide, proprio sulla riva del lago, guardava dritta davanti a sé, come se stesse osservando qualcosa, Tony le si avvicinò e vide ciò che attirava la sua attenzione. Un quasi invisibile Clint Barton con al suo fianco un altrettanto quasi visibile Wanda Maximoff che parlavano. -Secondo te, sa che abbiamo vinto? Chiese Wanda mentre si asciugava le lacrime dal viso. -Tutti e 2 lo sanno. Le rispose Clint mentre la stringeva in un abbraccio. Natasha si girò con il viso bagnato dalle lacrime e si buttò tra le braccia di Tony, anche lui era emozionato ma mai quanto lei, soltanto che qualcosa attirò la loro attenzione. Allo stesso modo in cui videro Clint e Wanda, l’ombra di Pepper attraversò tutto lo spazio intorno a loro e si fermò poco distante, poggiando qualcosa sul lago e facendolo andare sull’acqua. Era un mazzo di fiori, con al centro il primo reattore di Tony, quello che lei le aveva regalato, come prova che Tony Stark ha un cuore. -Ti amo Tony. Pepper aveva detto soltanto 3 parole, ma colmarono il cuore di Tony per il resto della sua esistenza. Con ancora Natasha ancorata al fianco, si voltarono e videro tutti quelli che li amavano in lutto per loro. Natasha si avvicinò a Steve e fece per toccarlo ma la sua mano attraversò il suo viso come se lui fosse un fantasma, questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, in quel momento così emozionante, Natasha non riuscì a contenerle tutte come faceva di solito e crollò per terra, l’idea di aver perso tutti la destabilizzò per un momento. Tony fu subito al suo fianco e cercò di calmarla, ma i suoi strazianti singhiozzi non volevano cessare tanto che le risultava difficile anche respirare. Tony sapeva esattamente quello che stava provando e guardando l’orologio vide che mancava poco meno di mezz’ora alla notte, dovevano sbrigarsi, ma non poteva, prima doveva calmare Natasha, in un lampo le venne in mente quando erano a casa di Barton dopo che Wanda gli aveva fatto rivivere le loro più grandi paure. Natasha era stata la più destabilizzata di tutti e Steve era riuscito a calmarla facendola stendere e passandole un dito ripetutamente sul viso, non sapeva il perché e le sembrava tanto assurdo, ma ci provò comunque, il risultato era che in pochi secondi Natasha gli dormiva tra le braccia. Si appuntò mentalmente che doveva chiedergli di quella tecnica quando dal cielo si levò un forte rombo, avevano ritardato ed erano in forte pericolo. Corse verso l’auto e sistemò Natasha sul sedile, fece il giro ed entrò non appena un’ombra gli saltò sul parabrezza, accese subito l’auto e partì in picchiata. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, aveva paura di svegliare Natasha e aveva paura di cosa gli avrebbero potuto fare quelle ombre. Arrivò sotto la torre ma l’idea di scendere non gli passò neanche per la testa vedendo un grande ammasso di ombre che la circondava, poteva creare un diversivo con il loro sangue ma sarebbe stato al dir poco inutile. Rimase lì fermo, dentro quella piccola struttura di metallo e notò che era particolarmente resistente e che quelle ombre non riuscivano né a penetrarla né a romperla, l’unica cosa era che ogni tanto sentivano un piccolo sbalzò. Per evitare inconvenienti legò la cintura di Natasha in modo che le fasciasse il corpo e la tenesse più al sicuro e iniziò a fare un lungo giro panoramico della città. Non sapeva esattamente dove andare si fece soltanto guidare dall’auto che secondo lui gridava un, guidami più veloce che puoi Tony, così si ritrovò sull’autostrada. Guidò per ore secondo lui, sentendo soltanto il rombo dell’auto e la voce nei suoi pensieri che ogni 2 minuti lo obbligava a controllare i segni vitali di Natasha, tanto che continuò a guidare con una mano ben tenuta sul suo polso. Provò anche a far partire la radio ma tutto quello che poteva sentire era una secco rumore statico. Il tempo passava e i suoi occhi erano sempre più pesanti, così prese la prima uscita disponibile ritrovandosi a Washington. Gironzolò un po’ per quelle strade fin quando non arrivò sotto il grande obelisco di marmo, il simbolo di quella città, parcheggiò proprio sotto il monumento, osservò la situazione e vide anche qui le strane ombre soltanto che queste erano leggermente colorate di verde, non ci fece molto caso ormai stremato e dando un ultimo sguardo a Natasha che dormiva profondamente, si lasciò trasportare anche lui nel mondo di Morfeo. Venne svegliato da un fastidioso ticchettio, cercò di ignorarlo ma il suo cervello ormai sveglio non gli impedì di notare, anche attraverso le palpebre chiuse, che il cielo era di nuovo illuminato, si costrinse controvoglia ad aprirli e lo trovò di un bellissimo verde speranza, che veniva riflettuto su ogni cosa vi fosse visibile. Perso da quella visione non si accorse del volto che lo stava osservando dal finestrino, tanto che quando lo notò fece un salto che fece sobbalzare tutta l’auto, quasi saltò in braccio a Natasha, che solo ora notò dormiva ancora. Preoccupato uscì dall’auto pronto ad affrontare qualsiasi minaccia, ma si trovò di fronte un vecchietto. -Ciao Tony. Lo salutò lui. Tony non rispose, lo guardò molto attentamente, come cercando di riconoscerlo, era molto familiare ma non riusciva ad associarci un nome. -Che fai, non saluti i vecchi amici? Continuò lui aprendo le braccia. Gli occhi di Tony schizzarono fuori dalle orbite, quello era Steve? -Sei davvero tu? Chiese incredulo ai suoi stessi occhi. Steve annuì e Tony ricambiò l’abbraccio che lui gli stava offrendo. -Cosa ti è successo? Perché sei così vecchio? Chiese Tony mentre si staccava dall’abbraccio. Steve fece per dire qualche parola ma fu subito interrotto da Tony. -Aspetta, tu che eri grande amico di Natasha, sai come svegliarla? Disse mentre faceva il giro e apriva la sua portiera, rivelandone una Natasha addormentata. Gli occhi di Steve alla sua vista si inumidirono, aveva letteralmente visto Natasha crescere, essendo divenuto lui il capo dello Shield, ed era strano per tutti il modo in cui il grande e famoso capitano Rogers si muovesse intorno alla super spia, era stato perfino lui a creare il piano per rapirla e farla lavorare per lo Shield, ma in quel modo era troppo, quella era la sua vera Natasha, la sua vera migliore amica, non la pupilla dello Shield che rischiava tutto perché tanto cosa aveva da perdere e a cui lui era tanto affezionato. No quella era la sua migliore amica, che gli aveva promesso che si sarebbero rivisti in un minuto e poi lei non era mai arrivata. Tony gli poggiò una mano sulla spalla come per dargli forza, ma si pentì quando lui si girò di scatto e lo guardò intensamente negli occhi. -Cosa le hai fatto? Chiese non distogliendo lo sguardo. -Andiamo Cap, anche qui pensi che sia stata tutta colpa mia? Okay lo ammetto, è colpa mia, ma non le ho fatto del male, ho fatto solo quella cosa che le facevate tu e Barton quando aveva davvero bisogno di dormire, solo che è da ieri pomeriggio che non si sveglia. Tony spiegò tutti gli avvenimenti degli ultimi giorni e soprattutto cosa era successo il giorno precedente solo quanto fu ben soddisfatto Steve, che aveva detto di essere arrivato poco tempo prima di averli trovati, disse cosa stava succedendo a Natasha. -Non so cosa le succeda in testa, è una cosa che le aveva imposto la Stanza Rossa, è come se la mandasse in una specie di coma, quando il suo corpo decide di averne subito abbastanza o la sua testa, ma uno dei due si oppone all’altro, per via di tutte le torture subite, ricorre a questo metodo che le mette a tacere tutti gli istinti e i sensi fin quanto il suo corpo o la sua testa non sono sufficientemente ricaricati. Decisero di comune accordo che sarebbe stato meglio se fossero ritornati a New York, così spostarono Natasha nei sedili posteriori, dove di certo Steve non sarebbe potuto rimanere a lungo vista la sua età e la sua povera schiena, certo il super siero lo aiutava e molto però aveva sempre 105 anni. Così con Natasha saldamente sistemata, partirono alla volta di New York. Durante il viaggio Steve raccontò tutto quello che era successo subito dopo il funerale di Tony. -Dopo la battaglia, abbiamo celebrato il tuo funerale e in seguito ci siamo sposati in Ohio, dove abbiamo dato una piccola cerimonia anche a Natasha, Barton sapeva che lei avrebbe sempre voluto rimanere lì così abbiamo deciso di commemorarla li. -Sai la sua tomba era stata messa proprio sotto un grande albero, i suoi frutti avevano dei bellissimi petali rosa che volavano per tutta l’area rendendo tutto più magico. -Subito dopo alcuni di noi siamo ritornati a New York, avevamo un ultimo compito da finire, restituire le gemme così nella linea temporale non ci sarebbero stati problemi, allora ho deciso di andare io. -Avrei restituito tutte le gemme in pochi secondi, ma Bruce non sapeva che avevo più particelle Pym di quante me ne avesse date lui, sai quanto siamo andati a prendere il tesseract alla base, dove tu hai incontrato tuo padre, ecco lì ne avevo rubato qualcuna. -Così dato che non avrei potuto vivere la vita insieme a Natasha, l’avrei vissuta con Peggy, e sono ritornato ad una settimana dopo la mia caduta nel mar glaciale artico, così ho vissuto la mia vita da agente dello Shield, sai che ero persino il capo di Nick, lo Shield era il mio regno che governavo con Peggy al mio fianco e una squadra di eroi che aiutava l’intero paese, gli Avengers, composti da me naturalmente, il famosissimo Tony Stark, Bruce, Barton, Thor e suo fratello Loki, i gemelli Maximoff, Carol, Parker, il dottor Strange, Rocket e la sua banda di amici, tanti altri che andavano e venivano e infine ma non per importanza Natasha, sai dal dicembre del ’84 mi sono messa alla sua ricerca ma l’ho trovato soltanto un anno prima che lei entrasse allo Shield, aveva soltanto 19 anni e un passato così buio che nemmeno tutti noi insieme potremmo eguagliarla. -Sono riuscito a far andare avanti e bene la squadra conoscendovi esattamente nella mia altra vita con voi, sapevo cosa vi infastidiva e cosa invece andava bene e cercavo di bilanciare ogni cosa, sapevo le date dei maggiori attentanti, così ho salvato i tuoi genitori, ho impedito a Bucky di diventare una minaccia e quasi uccidere Nat, ho evitato la distruzione di Sokovia e il suo trattato, T’chaka era ancora Re del Wakanda e non c’era nessuna conoscenza del vibranio tranne qualche uso fortemente professione della squadra. -È andato tutto bene fin quanto Peggy non si è ammalata e subito dopo mi ha lasciato, ma non me ne sono risentito, avevo avuto la possibilità di passare la mia vita insieme a lei, così mi rimaneva un solo compito, rimettere le gemme al loro posto. -Sono ritornato nel 42 quando Red Skull aveva preso il tesseract, poi nel 2014 restituendo la gemma su Vormir, sempre quell’anno ho rimesso l’orb dove Peter Quill lo aveva trovato, nel 2011 ho rimesso la gemma nello scettro, nel 2017 ho ridato la gemma del tempo a Strange e infine su Asgard nel 2012 per rimettere la gemma nel corpo di Jane, quando sono ritornato al presente per loro erano passati soltanto pochi secondi mentre per me una vita intera. L’intero racconto prese il tempo che richiedeva tutto il viaggio di ritorno e quando arrivarono a casa Natasha diede i primi segni del risveglio, Tony la prese tra le sue braccia e insieme salirono al loro piano. -Steve? Chiese Natasha in un sussurro mentre si svegliava e vedeva lui e Tony portare un tavolo da poker nella stanza. Steve le si avvicinò e non le diede nemmeno il tempo di dire una parola che la stringeva tra le sue vecchie braccia, le era mancata così tanto. Natasha era sconvolta, era passato davvero così tanto tempo da far morire di vecchiaia Steve, sembravano passati solo pochi giorni non interi decenni. Dopo aver raccontato tutto a Natasha e soprattutto dopo che lei aveva minacciato Tony che se lo avesse fatto un’altra volta non avrebbe più avuto le dita delle mani, decisero che un approccio pacifico tra di loro sarebbe stato il migliore in quell’eterna esistenza in cui si trovavano. I mesi passarono e anche velocemente, avevano passato il tempo arredando e modificando la torre, ascoltando le folli avventure che avevano avuto nella realtà di Steve, seguendo gli strazianti allenamenti di Natasha, imparando a costruire le loro personali tute di Iron man grazie a Tony e facendo dissolvere quelle anime che li perseguitavano. Quel giorno, il cielo arancio, con le sue sfumature, faceva percepire la giornata come una calda mattinata di agosto, i 3 eroi si stavano godendo un ottimo pranzetto fatto da Steve mentre giocavano a poker. Su quel tavolo avevano passato molte ore diventando quasi imbattibili così le partite duravano ore, fin quando non si percepì qualcosa di strano, era la stessa sensazione che avevano avuto Natasha e Tony ogni volta che arrivava qualcuno. Tutti e 3 si ritrovarono sia a sperare e sia a non farlo che fosse qualcuno da loro conosciuto, sarebbe stato bello avere qualcun altro nella squadra ma questo significherebbe che sarebbero morti. Sebbene più scettici continuarono a giocare finché una rauca voce li interruppe. -Allora è questo che fanno i migliori eroi della terra in paradiso, giocano a poker. Natasha dalla sua posizione dava le spalle a quella voce, ma non le servì girarsi per capire chi fosse. Tony e Steve si alzarono per presentarsi lasciando Natasha ferma come una statua seduta al tavolo. Non poteva crederci, non voleva crederci, la sua sorellina era morta ed ora era lì con lei, non sapeva se essere felice oppure triste, aveva desiderato ardentemente che fosse lì con lei ma non le avrebbe mai voluto togliere la vita. Natasha si alzò di scatto e proprio mentre Yelena stava per presentarsi lei le saltò addosso stringendola tra le braccia, iniziando a singhiozzare. -Non sapevo che stare qui ti avesse reso più debole. Scherzò Yelena mentre passava le mani sulla schiena di Natasha per calmarla. I 2 uomini guardarono la scena da lontano, non avevano mai saputo molto sul passato di Natasha, certo avevano letto tutti i suoi dati dello SHIELD ma erano più che sicuri che la verità solo lei poteva saperla. -Cosa ti è successo? Chiese Natasha staccandosi dall’abbraccio e asciugandosi le lacrime che però continuarono a scendere dai suoi occhi, mentre si avvicinava al divano e si sedeva. Yelena la seguì e le passò un braccio dietro la schiena sentendo quanto fosse distrutta la più grande. Tony si sedette sul tavolo di fronte le 2 donne mentre Steve prese posto su una sedia di fianco a Tony. -È iniziato tutto quanto ero sulla tua tomba, in Ohio, tutto il mondo sapeva cosa fosse successo tranne me, quando mamma Melina me lo ha detto volevo morire, ma dopo alcune casse di vodka mi sono ripresa, sai ho anche preso un cane, l’ho chiamata Fanny. Iniziò provocando una risatina da parte di Natasha al ricordo del nome. -Un giorno ero venuta a trovarti, la tua tomba, io già lavoravo per valentina come sicario, quando è venuta e mi ha dato il mio nuovo obiettivo, Clint. Continuò, ma appena udito quel nome Natasha si irrigidì visibilmente. -Mi dispiace Natasha, io non sapevo cosa fosse successo su Vormir l’ho scoperto quanto era troppo tardi, Valentina mi aveva raccontato che era stato lui a spingerti ed io ero accecata dalla rabbia, così ho iniziato a dagli la caccia, volevo soltanto vendicarti, non importa quanto tempo ci fosse voluto o quanta energia, io avevo solo quell’obiettivo, la vendetta. -Ci ho messo 4 mesi per trovarlo, avevo trovato casa sua, così l’ho fatta esplodere, ma non sapevo che dentro c’era sua moglie, e mi sono anche fatta molto male a causa dell’esplosione, così sono riuscita a finire in ospedale dove ho passato alcune settimane, fin quanto non è arrivato lui. -Abbiamo combattuto per non so quanto tempo, io era così accecata dalla rabbia che non ho voluto neanche sapere cosa effettivamente fosse successo, fin quanto non mi ha messo alle strette, mi aveva impalato al muro con delle frecce, non riuscivo a muovermi potevo soltanto stare lì e aspettare che la morte mi prendesse. -È stato li che mi ha detto la verità, ho provato a scusarmi con lui, davvero, se solo avessi saputo veramente cosa fosse successo, se solo mi fossi informata invece di reagire di scatto. -Mi dispiace Nat. Io non volevo fare del male a Laura, in realtà neanche a Clint ma non sapevo la verità. Concluse Yelena nascondendo il viso ormai bagnato dalle lacrime nelle mani, si aspettava da parte di sua sorella delusione e rabbia, era convinta che di li a pochi secondi si sarebbe beccata una bella batosta, quando invece, tutto quello che sentì è stato il contatto con il suo corpo e delle braccia che la stringevano. -So come ci si sente, mi è capitato qualche volta, la cosa migliore che puoi fare è lasciare tutto andare. La consolò Natasha, dando uno sguardo anche agli altri 2, che le fissavano intimorite. -Ti va se stracciamo quei 2 a poker? Sai sono delle vere schiappe. Le chiese dopo alcuni attimi di silenzio mentre mostrava la lingua ai 2 uomini ormai offesi che si stavano già dirigendo al tavolo da gioco. -Mi sei mancata Nat. Disse Yelena quando si alzarono. Natasha la abbracciò e rispose. -Dai almeno adesso possiamo recuperare tutti quegli anni in cui siamo state separate.
   
 
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