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Autore: Fiore di Giada    18/09/2021    0 recensioni
[Sandokan]
A seguito di una battaglia contro gli inglesi, Yanez resta ferito.
Vergognandosi del suo stato, si allontana e cerca di curarsi da solo.
Non ha però tenuto conto di ogni dettaglio.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A passo rapido, Yanez uscì dalla capanna.
Il suo sguardo, circospetto, vagò ora a destra, ora a sinistra.
Il silenzio della notte, come un serico lenzuolo, avvolgeva l’isola di Mompracem e la luce della luna piena, che giganteggiava in un cielo di cobalto, libero da nubi, ricopriva d’argento la rigogliosa vegetazione, scossa da un tenue vento.
Il giovane accennò ad un sorriso. La splendida ed esuberante naturale tropicale dell’isola era fonte di godimento per i suoi occhi e il suo cuore.
Lontano dai clamori, poteva riflettere e abbandonare il suo estenuante stato di tensione.
Percorse cinquecento metri e giunse fino al porto, a cui erano ancorati i prahos.
Le imbarcazioni, sfiorate dal vento, ondeggiavano ora a destra, ora a sinistra, mentre l’astro notturno toccava coi suoi raggi argentei la superficie dell’oceano.
Il giovane lasciò spaziare lo sguardo e sentì gli occhi velarglisi di lacrime. Lo spettacolo della natura, immersa nel silenzio, donava al suo cuore una dolce serenità.
Poteva smettere di recitare la parte del pagliaccio sempre allegro.
Una fitta di dolore, ad un tratto, trapassò la sua spalla, distogliendolo dai suoi pensieri.
Strinse i denti e si sedette su un masso. Doveva estrarre il proiettile o il dolore l’avrebbe sopraffatto.
E non desiderava mostrare a nessuno la sua debolezza.
Paco, quasi sentisse i suoi pensieri, aprì la bocca ed emise uno strido di disapprovazione.
L’avventuriero sospirò e accarezzò la schiena dell’animale.
Non posso mostrarmi debole. Non posso. – dichiarò, atono. L’ennesimo assalto degli inglesi, guidati da Brooke, si era concluso con una loro grande vittoria.
C’erano stati diversi feriti ed egli non era sfuggito alle pallottole.
Aveva fatto passare il suo sangue per quello di un soldato inglese caduto e nessuno gli aveva domandato nulla.
Per fortuna. – mormorò. Era riuscito a nascondere il suo dolore ai suoi compagni di battaglia.
Il silenzio della natura avrebbe veduto la sua sofferenza.

Si tolse la maglia, sussultando per le fitte, e fissò il suo riflesso nel mare.
Sul suo petto e sull’addome, si attorcigliavano in forme diverse decine di cicatrici, simili a toppe di cuoio e, sulla parte destra del torace, spiccava una ferita rossastra.
Il giovane ansimò, come un toro rabbioso. Quelle ferite, risalenti a tempi ormai remoti, raccontavano la sua storia di figlio illegittimo, condannato dalla società.
La sua colpa, in quella società ipocrita, era quella di una nascita non consacrata dal sacro e indistruttibile vincolo del matrimonio.
Per questo, era condannato a non conoscere l’affetto di una famiglia integra.
Sua madre e sua nonna gli avevano voluto bene, ma aveva sentito la mancanza di una figura paterna solida e affettuosa.
Per il nobile Antonio de Gomera non era altro che un servo, privo di qualsiasi dignità.
Eppure, a lui, a causa del suo titolo nobiliare e del colore della sua pelle, era donato un rispetto esagerato e immeritato.
Scosse la testa e, dalla tasca del pantalone, trasse uno specchietto, un coltello, del filo e dell’ago.
Fissò lo specchietto sulla ferita. Era arrossata, ma non sembrava grave.
Trasse un grosso respiro, poi, cauto, inserì il coltello tra i due lembi della lesione.
Strinse i denti, mentre gocce di sudore gelido bagnavano le sue tempie. Lame di sofferenza colpivano la sua spalla, ma non doveva cedere.
Non doveva permettersi alcun cedimento.
Non devi permetterti nessun crollo., pensò. La debolezza era stata la causa delle sue sventure.
Ma non era più il ragazzino fragile e ingenuo, facile obiettivo dei vigliacchi e dei prepotenti.
Nessuno si sarebbe approfittato di lui.

Qualche istante dopo, il proiettile cadde sul masso, con un breve tonfo.
Il giovane prese il bossolo e lo sollevò, come fosse un trofeo.
Un raggio di luna colpì la pallottola, accendendola di deboli riflessi metallici.
Non sono un debole… Non sono un debole… – mormorò. La sua determinazione aveva sconfitto il dolore di una ferita.
Come sempre, aveva saputo tirarsi d’impaccio da una situazione pericolosa.
La malinconia, come nebbia, coprì il suo cuore e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Certo, non era più il ragazzino fragile e inerme.
Sapeva difendersi e nessuno poteva più offenderlo.
I suoi pugni e la sua abilità con la pistola lo rendevano un avversario temibile per chiunque.
L’uccellino implume si era tramutato in aquila possente e tale metamorfosi non era attribuibile a nessuno, se non alla sua tenacia.
Nessuno lo aveva aiutato, eppure ci era riuscito.
Non era stato travolto da nulla.
Eppure, non era felice.
Quel suo continuo stato di tensione e di paura era per lui fonte di logoramento.
Perché doveva sempre guardarsi le spalle? Avrebbe tanto desiderato potere donare a qualcuno la sua fiducia.
Paco si strusciò contro il suo collo, come un gatto che fa le fusa, e il giovane accennò ad un sorriso.
Gli animali sanno essere meglio degli uomini. – mormorò.
Lo accarezzò sulla schiena. Apprezzava l’affetto e la premura del suo amico camaleonte, ma non bastava.
Desiderava donare la sua fiducia ad un essere umano leale.
Ma si poteva costruire qualcosa che era stato rotto?


Cosa ti hanno fatto, Yanez? – domandò una voce sgomenta.
Il portoghese sussultò e si irrigidì. Avrebbe riconosciuto ovunque la voce di Sandokan.
Come aveva fatto a raggiungerlo?
Certo, conosceva Mompracem, ma doveva essere addormentato, stremato dalla fatica del combattimento.
Come aveva fatto a sentire il suo passo e a seguirlo?
Sandokan, per alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo fisso sulla schiena robusta dell’amico. Tante cicatrici da frustata si dispiegavano sulla sua pelle nuda.
Erano lesioni antiche, da tempo guarite.
Forse, risalivano all’infanzia del suo amico.
Una morsa di disgusto strinse il cuore del giovane asiatico. Chi mai poteva accanirsi sul corpo di un bambino innocente?
Perché me ne stupisco?, si chiese. La crudeltà degli avidi non si curava di nulla e di nessuno.
Pur di giungere al loro obiettivo, simili soggetti non esitavano a danneggiare gli innocenti, incuranti delle loro pene.
Anche egli aveva conosciuto le crudeli sferzate di una sorte avversa, che aveva distrutto la sua famiglia.
Non era il solo ad avere sofferto ed era stupido meravigliarsi dell’esistenza delle pene altrui.
Yanez reagiva con un sorriso sarcastico alle avversità, ma questo non rendeva improbabile la presenza di tragedie nella sua vita.
Sandokan, non dovresti guardare la mia schiena con tanto interesse. Ti ricordo che sei fidanzato. E non credo che alla dolce Marianna faccia piacere una simile inclinazione da parte tua.ironizzò l’avventuriero lusitano. Sentiva lo sguardo verde del principe malese su di lui e non riusciva ad ignorare la sensazione sempre più opprimente di disagio.
Non voleva che qualcuno vedesse le prove della sua debolezza.
Detestava quelle lesioni, perché rinverdivano nella sua mente il ricordo di una infanzia crudele, priva di affetto e premure.
Sandokan colmò la distanza tra di loro e allungò la mano verso la spalla destra dell’amico.
Di scatto, l’europeo si irrigidì e gocce di sudore gelido strisciarono sulla sua mascella .
Sandokan, non toccarmi! – gridò.
Tremò e il suo respiro accelerò. Forse, le intenzioni del suo compagno malese erano oneste, ma quella ferita era legata ad un ricordo terribile.
Fernando, suo fratellastro di sangue, lo aveva fatto frustare perché aveva osato osservare con curiosità un prezioso orologio, che gli era stato donato da suo padre.
Ricordava le sferzate che, implacabili, si abbattevano sulle sue spalle e sulle sue braccia.
In quei momenti, gli era parso di sentire la lugubre risata della sorella di Fernando, Adriana.
Perfino il nobile marchese Antonio de Gomera fissava la sua fustigazione con espressione compiaciuta.
Come si poteva godere della flagellazione di un bambino, incapace di difendersi?
Il principe malese fermò il braccio a poca distanza dalla spalla del compagno. A cosa era legata una simile ritrosia?
La sua solita ironia era svanita, sostituita da una paura glaciale.

Hai paura di me?,si domandò Sandokan, sgomento. La sua schiena, in quel momento, si era irrigidita, come se volesse difendersi da un’aggressione.
Ma come poteva vedere in lui un nemico?
Era preoccupato per il suo stato fisico e desiderava curarlo.
Il suo compagno portoghese, però, si era chiuso in un silenzio aspro e doloroso e non gli consentiva di avvicinarsi.
Ne era sicuro, il suo istinto associava il tocco ad una sventura, da cui doveva difendersi.
Girò attorno al compagno e si chinò presso di lui, prendendogli le mani.
Yanez sussultò e provò a ritrarsi, ma il principe malese accentuò la sua presa.
Guardami, Yanez. – gli ingiunse Sandokan, calmo.
Il portoghese ansimò, poi fissò il suo sguardo ceruleo, velato di sgomento, nelle iridi di giada dell’amico.
Si morse le labbra. I suoi occhi gli parevano limpidi e sinceri, ma non riusciva a fidarsi del tutto.
Il suo istinto non riusciva ad accordare fiducia a quel giovane.
I comportamenti, nonostante l’apparenza leale, potevano occultare fini tutt’altro che limpidi.
Yanez, se non vuoi dirmi chi ti ha fatto del male non ti costringerò. Ma permettimi di curare la tua ferita. Io desidero che tu stia bene. – dichiarò il giovane pirata malese.
L’europeo ansimò, sorpreso dalle sue parole. Non poteva non sentire la limpidezza di quelle parole così ferme.
A Sandokan importava del suo benessere.
Aveva accettato la sua ritrosia, ma era deciso ad aiutarlo.
Chinò la testa e lasciò che il cappello oscurasse i suoi occhi. Il suo cuore, in quel momento, era oppresso dal peso della vergogna.
Aveva paragonato Sandokan al suo stupido e vacuo fratellastro, che era capace di celare la sordidezza della sua natura dietro il suo bell’aspetto e le sue maniere raffinate.
Mi dispiace… Devo chiederti scusa. – soffiò, il volto velato d’un intenso rossore. Sandokan non conosceva la sua storia, ma questo non leniva la sua colpa.
Si era lasciato trascinare dal suo passato e aveva dato al suo amico malese colpe inesistenti.
Sandokan allungò la mano e la posò sulla sua guancia, in una gentile carezza.
Di cosa? I ricordi del passato, spesso, distorcono la nostra percezione della realtà. – rispose, tranquillo.
Il portoghese, sentendo quelle parole, si rilassò. Quelle parole, unite a quel tocco tenero, avevano liberato il suo cuore da un peso.
Sandokan desiderava aiutarlo, ma non lo aveva forzato a rivelazioni per lui tristi.
Un simile riguardo, privo di enfasi, era il segno di una considerazione assai elevata.
Fai quello che devi. Mi fido di te. –


Le dita del pirata malese, leggere, sfiorarono la lesione.
E’ piacevole., si disse Yanez, meravigliato. Quel tocco, così cauto, donava requie al suo cuore.
Tra lui e Sandokan non era alcun legame di sangue, ma la gentilezza del malese era quella di un fratello.
Nei suoi movimenti, vibravano degli scrupoli.
Il sangue non fa di una persona un familiare., rifletté, quasi stupito. Aveva creduto che l’amore fosse legato al sangue, ma non era sempre così.
L’affetto di una famiglia poteva nascere ovunque, a prescindere dalla razza e dalla parentela.
Nonostante l’assenza di legame di sangue, Sandokan poteva essere definito suo fratello.
Si era accorto del suo stato di salute e lo aveva seguito.
Erano bastati pochi dettagli per permettergli di andare oltre la sua maschera sorridente e ironica.
E una simile attenzione era degna di un fratello.
Sandokan, ad un tratto, si alzò e gli tese la mano.
Ho finito. Guarda tu stesso. – gli disse.
Il portoghese chinò la testa e fissò la ferita, che era stata attentamente suturata.
Fissò Sandokan, stupito. Come aveva fatto a non fargli sentire alcun dolore?
Non aveva percepito la punzecchiatura dell’ago.
Accarezzò la schiena di Paco, appollaiato sulla sua spalla, poi accettò la sua mano e si alzò.
Yanez, amico mio… Qualsiasi cosa ti sia successa, io non ti tradirò mai. Sei il mio fratellino. – disse, calmo.
Il giovane lusitano sollevò le labbra in un sorriso. Il suo cuore era libero da un gravoso peso.
Ed era una sensazione magnifica.
In quel momento, sentiva di potere cominciare una nuova esistenza, emancipato dalle ferree catene del suo passato.
Ti ringrazio, fratellino mio. –
   
 
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