OCCHI DI GHIACCIO
Occhi di ghiaccio;
azzurro smeraldo
da sembrar cristallini
come l’acqua di fonte;
capelli biondissimi,
imbiancati in fretta,
candidi, setosi, abbondanti;
statura piccola,
camminata strana;
ci ridevano sopra e lo chiamavano
la ballerina,
ma lui era tutt’altro che dolce;
quegli occhi nascondevano
camuffavano
qualcosa di ineccepibile,
un odio viscerale,
un Male che da dentro logora e
divora;
mai una carezza,
mai una parola;
in sua presenza,
sempre in piedi
e mai alla sua tavola;
dargli del Lei,
mai confidenza,
mai un piccolo pensiero
nemmeno a parole;
freddo e distaccato,
egoista e prepotente
come i suoi figli;
arrogante, tirchio,
una lama che entrava
nel cuore;
un tempo vedevo i miei piccoli
compagni
mentre giocavano con il loro nonno,
amorevole e moderno,
mentre a me toccava solo
il suo gelido distacco,
una volta ogni tanto,
una volta che mi portavano a vederlo;
mai sia venuto a vedere me,
come se non esistessi.
Il Male in persona,
ed io da bambino
lo vedevo come un Diavolo;
paura dei suoi occhi,
del fatto che non sorrideva mai,
del fatto che, le poche volte in cui
parlava,
alzava la voce, dava ordini, imponeva
distacco.
Alla fine,
un brutto male se l’è divorato.
Urlava, in preda al dolore,
che il suo corpo era una macchina
e che le macchine non si decompongono
mai;
ma le macchine, povero vecchio illuso,
possono rompersi.
Non voleva vedere più nessuno;
chiuso in una camera buia,
la porta chiusa a chiave,
a ingurgitare l’amato alcol,
compagno di una vita,
fino ad esaurirne ogni riserva
domestica.
Urlava ordini come aveva fatto,
alla fine gli rimasero solo le
allucinazioni.
Forse,
il nonno dagli occhi di ghiaccio
non era roccia, ma più fragile di chi
ha il coraggio di curarsi e di
guardare
al futuro degli eventi;
occhi di ghiaccio
che incuteva timore e paura a tutti,
era solo un fantasma che viveva
nell’alcol e nella perdizione
pur di restare a galla;
una figurina in mano del Destino.
Io avevo paura di un fantasma,
nella mia infantile ingenuità.
Il giorno in cui morì,
non volevo vederlo…
un ragazzino, un adolescente,
che non l’ha mai sentito vicino,
un perfetto sconosciuto
e mi toccava vedere solo un cadavere;
incredibilmente composto,
il volto finalmente sereno
e le labbra piegate in una smorfia di
sollievo,
questa volta pietrificata e resa
esterna
dal rigore della Morte.
Ricordo questo contrasto di lui;
la sua cattiveria, la sua ira
isterica,
il suo silenzio, il suo disgusto, il
suo alcolismo;
e infine
la pace trovata nel riposo eterno.
In tutto questo,
io, becero nipote,
con il cuore di ghiaccio ho lasciato
una poesia impressa con l’inchiostro;
a un decennio abbondante dalla tua
morte,
so che sei qui con me
e ti dono una carezza,
perché so che ora più che mai ne hai
bisogno;
ora che il buio è sceso da tanto
tempo
il sipario è calato
l’eternità è infinita.
NOTA DELL’AUTORE
È una di quelle poesie che fanno male, a chi le scrive. Ma la
poesia è anche sincerità, spontaneità, quello che si sente dentro.
Dieci anni fa perdevo per sempre quel nonno di cui avevo
conosciuto solo la rigida scorza, e forse c’era solo quella. Un vero
spartiacque; morto l’anziano, tutti i parenti sono spariti. Puf. I cugini tanto
amati, coloro che erano i miei zii…
Ma si sa che ogni nodo che resta insoluto dev’essere sciolto,
prima o poi. E tutto torna a galla…
In queste ultime settimane, qualcuno di ormai remoto e
dimenticato ha bussato incessantemente alla mia porta chiusa ormai da tempo,
dai gangheri arrugginiti. E allora, sono stato costretto a ricordare con
dolore. Una tempesta…
Amici e amiche, preziosi doni della vita, sono tornato!
Ancora una volta con il cuore infranto (non nel modo delle precedenti...) e
tanta voglia di guardare il futuro e di amare in tutti i sensi. Scusatemi ma
tra impegni e poi la successiva e impegnativa vendemmia, sono stato latitante a
pubblicazioni. Un abbraccio a tutti, e scusate per la poesia, ma appunto è da
leggere solo come componimento poetico, per quanto mi riguarda è personale solo
in un certo senso. Il passato non si dovrebbe mai rimestare, a volte…