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Autore: striscia_04    29/09/2021    2 recensioni
Cosa posso dire? Il titolo racconta da solo la trama. Posso solo affermare, che in questa storia i personaggi di Fairy Tail si ritroveranno nel '600, a scontrarsi contro nobili opprimenti, Bravi e pestilenze; ovviamente lo faranno sempre nel loro solito modo, rissoso e attacca briche.
Seguiamo le disavventure di Gajeel, mentre combatte per poter sposare l'amore della sua vita.
Ci riuscira?
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gajeel/Levy, Gajil Redfox, Levy McGarden
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Ti prego Gajeel fa attenzione.” gli disse Levy abbracciandolo.
“E mi raccomando, sta lontano dai guai.” lo ammonì Lucy.
“Ghjijiji. Tranquille me la caverò.”
“Devo confessarti che ho paura di separarmi da te.” bisbigliò Levy, stringendosi più forte al suo petto.
“Ma via, piccoletta. Di cosa devi avere paura. Passerai del tempo in mezzo ad un mucchio di donne, e ti divertirai così tanto a spettegolare, che non ti accorgerai nemmeno del tempo che passa.”
“Guarda che le donne non passano tutte le loro giornate, solo a chiacchierare.”
“Hai ragione, tu passeresti tutto il giorno incollata ad un libro.” rise il moro.
Anche Levy si abbandonò ad un sorriso, e abbracciato un’ultima volta, si separò dal ragazzo, accompagnata da Lucy, diretta al convento di Monza.
Gajeel, invece, ne approfittò per dirigersi a Milano, ovviamente a piedi, non sarebbe salito su una carrozza, neanche sotto tortura.
Così, dopo cinque giorni di cammino, giunse nella grande città.
Appena messo piede in centro, però, lo trovò completamente deserto.
Cominciò ad osservarsi intorno alla ricerca di un qualunque segno di vita, quando superato il centro, si ritrovò davanti una folla inferocita, che senza badare gli andò contro, rischiando di calpestarlo.
“Cosa siete pazzi, in questa città?!” gridò cercando di non farsi calpestare.
Quando la marmaglia fu sparita, l’uomo si sollevò dolorante in piedi. Doveva riconoscere, che farsi usare come zerbino, faceva proprio male. Stava per correre dietro ai pazzi, giusto per ripagarli con la stessa medicina, quando qualcuno lo urtò.
Il tizio, sembrava intenzionato a raggiungere i suoi compagni, ma Gajeel lo afferrò per la maglietta e se lo trascinò davanti.
“Ehi tu, lasciami andare!” gridò l’uomo, ma si bloccò nel momento in cui vide la faccia imbufalita del moro.
Chi cavolo è questo tizio?” si chiese, dimenandosi nel vano tentativo di liberarsi.
“Tu sei con quel gruppo di esaltati, che prima mi ha calpestato?” chiese il moro.
“IIIIHHH! N-No, no, io non c’entro niente! Te lo giuro!”
“E allora perché correvi da questa parte?”
La domanda fece sparire la paura dal suo volto, e subito un fremito di rabbia lo scosse.
“Perché in questa città si muore di fame! E proprio oggi hanno alzato il prezzo del pane, e pure del ferro! Quindi ci siamo armati pronti a combattere contro la tirannia di quei buzzurri dei nobili!” e quasi urlò l’ultima esclamazione.
Gajeel lo fissò rintontito da tutte quelle parole, poi il suo cervello si fermò su una parte della conversazione, e il suo animo si infiammò: “Quindi, non solo quei bastardi dei nobili impediscono il mio matrimonio, ma si permettono di vendere il ferro ad un prezzo esorbitante! Questa, giuro che gliela faccio pagare!”
“Grande, quindi sei dalla nostra parte! Forza andiamo a dare fuoco alla casa del Viceré.” disse il ragazzo, indicando un edificio lontano.
“Fuoco? Ho un’idea migliore… Ghjijiji!” disse Gajeel, prima di partire e giungere all’abitazione a capo della folla di rivoltosi.
Fu così, che la sera dopo, tra le varie notizie, dell’assalto ai forni di Milano, non mancò quella secondo cui la casa del Viceré fosse stata ricoperta da palizzate di ferro, e che il colpevole, un tale Gajeel Tramaglino, aveva lasciato la città inseguito dalle autorità.
Quando la notizia dell’attacco al Viceré raggiunse le due fanciulle, ancor prima di conoscere il colpevole, Levy e Lucy, si fecero scappare un pensiero: “E meno male, che aveva promesso di stare lontano dai guai.”
Gajeel rimase in fuga per giorni, nonostante la polizia cercasse sempre di acciuffarlo, lui era sempre più lontano, e durante la sua fuga giunse nei pressi dell’Adda.
Qui incontrò un forzuto barcaiolo: “Ehi tu! Non è da veri uomini, non attraversare il fiume sulla mia barca.” lo incitò l’uomo, vedendo l’esitazione del moro a salire.
Alla fine, Gajeel, si fece coraggio e affrontando la chinetosi, riuscì ad arrivare sull’altra sponda. I poliziotti, però, per nulla intenzionati ad arrendersi, presero a distribuire per tutto il Paese, manifesti con taglie segnaletiche, e Gajeel fu costretto a scappare per tutta l’Italia, pur di non farsi catturare.
“Lasciamo perdere. Io mi arrendo.” disse l’ufficiale Dorambalt, dopo l’ennesimo tentativo.
“Cosa stai dicendo?!” lo rimproverò Lahar, “Stiamo parlando di lasciar libero, il nemico pubblico numero uno di tutta l’Italia! Non possiamo sospendere le ricerche!”
“Senti Lahar, è da quasi un anno che inseguiamo questo tizio. Io sono stufo, non riusciremo mai ad acciuffarlo. Ho deciso: torno a Milano, racimolo un bel gruzzoletto, e me la do a gambe, prima che arrivi la peste.”
“Ehi, non spoilerare la trama ai lettori!”
“Ah… ops, scusate. Fate finta non abbia detto nulla.”
“Uff, però hai ragione, questo inseguimento è andato per le lunghe. Ed anche io mi sono stufato. Basta, mi licenzio!”
“Bravo, così mi piaci.”
“Bravi? Dove sono?”
“No, intendevo… ehm, lascia perdere, andiamocene.”
Fu così che i poliziotti smisero di dare la caccia a Gajeel, e finalmente il moro poté tirare un sospiro di sollievo, raggiungendo una città, Bergamo, dove si mise a lavorare, come fabbro.
 
 
Qualche mese prima, invece, Levy e Lucy, giungevano al monastero di Monza.
Subito furono accolte, e portate al cospetto della Monaca di Monza, una donna che di monaca, aveva solo il titolo.
La donna, infatti, nonostante fosse costretta a vivere in una gabbia, - che le avevano costruito a causa di tutti i suoi tentativi di fuga-, non indossava il velo o la tonaca, ma un vestitino succinto, che le metteva in risalto tutte le curve.
I lunghi capelli rossi, erano lasciati liberi al vento, e nella parete dietro la sua stanza erano attaccate, una marea di armi: dalle spade, ai coltelli, alle balestre. Oltre a ciò, c’era un armadio in legno, con l’anta aperta che mostrava un’infinità di vestiti, c’era pure un’armatura da cavaliere.
E questa sarebbe una monaca? Sembra più una scostumata ed una maniaca delle armi.” fu il pensiero di Levy, e di sua madre.
“Avvicinatevi.” disse la monaca, che proprio in quel momento era intenta ad azzannare una coscia di tacchino.
“Vi prego, ditemi qual è il problema che vi affligge.”
“Vede signora monaca…” cominciò Levy,
“Non chiamarmi a quel modo.” la interruppe la rossa, “E’ troppo formale, chiamami pure Elsa.”
“O-ok, allora Elsa la monaca, deve sapere, che noi siamo state mandate qui, da Fra Cristoforo.”
“Oh, da Gray! Come sta? Ha ancora la mania di spogliarsi?”
“S-si.” intervenne Lucy.
“Bene, la prossima volta che lo vedo, gliele suono.” disse la monaca lasciando le due senza parole.
“Eh?” si fece coraggio Lucy,
“Ho detto che la prossima volta, che incontro Gray, gliele darò di santa ragione. Non avete idea di quante volte gli ho detto di perdere quella brutta abitudine.
Lasciamo stare adesso, continua pure cara.” disse riportando la sua attenzione su Levy.
“V-va bene. Dicevo, che io e mia madre siamo state costrette a fuggire dal nostro paese perché un nobile ha tentato di rapirmi, per impedire il mio matrimonio con il mio futuro sposo.”
“COME OSA!” tuonò la monaca, mentre il suo volto diventava quello di un mostro assetato di sangue: “Quel bastardo! Impedire il matrimonio, tra due giovani innamorati, è imperdonabile! Ora evado da questa cella, e corro ad infilzarlo con la spada! Lo ridurrò ad un colabrodo!”
“M-ma signora m-monaca! L-lei non può, va contro i suoi principi.” balbettò Lucy, rimanendo però a distanza, terrorizzata dallo sguardo della monaca.
“Sing… è vero, dannato voto.” si lamentò la donna, “Pensate, che io nemmeno volevo diventare monaca, è stato mio padre a costringermi!”
“Come? L’ha costretta suo padre?” chiese Levy, impietosita.
“Si. Lasciate che vi racconti la mia storia.”
 
Un tempo, durante il periodo della mia giovinezza, quando ancora ero considerata una donna di stampo nobile, vivevo in un bel castello.
Essendo una delle ultime genite, come era tradizione, io sarei dovuta diventare badessa, mentre i miei fratelli- escluso il primo genito, accidenti alla sua fortuna- sarebbero dovuti diventare cardinali.
Ora dovete sapere, che io non volevo affatto diventare una monaca, segretamente sognavo di diventare un giorno un’avventuriera, e di viaggiare per lungo ed in largo, combattendo contro mostri e nemici potenti.
Purtroppo, mio padre non era dello stesso avviso, e così decise di chiudermi in camera ed impedire ad i miei familiari di rivolgermi la parola.
Alla fine, stanca di quella situazione cedetti, e chiesi a mio padre un incontro.
Lui accettò, pensando che mi fossi finalmente rassegnata, io invece, quando giunse nella mia stanza, gli parlai del mio sogno, ma lui non volle sentir ragioni.
Allora feci quello che ogni buona ragazza e figlia farebbe, afferrai una statuetta in pietra e la spaccai sulla testa di quel vecchio bacucco. Poi, raccolte provviste me la diedi a gambe.
La fortuna, però, non fu dalla mia parte, e mio padre sopravvissuto al colpo, - aveva la testaccia dura-, dopo essere guarito dalla commozione cerebrale, mi diede la caccia, e una volta catturata mi chiuse qui in questo convento, dove mi ha abbandonato a me stessa.
“Da allora tento in tutti i modi la fuga, ma ancora oggi sono bloccata qui. Sapete, fuori da queste mura, c’è un bel ragazzo, che mi aspetta ed io non vedo l’ora di poterlo rivedere.” terminò il suo racconto, sotto gli sguardi sorpresi ed un po' divertiti delle ascoltatrici.
“Ora capisco perché tu e Fra Cristoforo andate d’accordo.” disse Lucy.
“Levy, non preoccuparti, ti proteggerò io da questo malvivente!” disse Elsa, alzando il pollice.
“Grazie mille, mi sento già più sicura.”
“Ora toglimi una curiosità: in quel borsone che ti sei portata dietro, ci sono solo libri?”
“Eh… ah, sì. C’è una parte della mia collezione, che sono riuscita a portarmi dietro.”
“Grandioso, io adoro i libri. I miei preferiti, però sono i libri un po' ‘spinti’. Ne hai qualcuno?”
“Cavoli, sei proprio una pervertita.” si lasciò sfuggire Lucy, e subito la monaca le piantò la testa nel muro.
“M-Mamma.” esclamò Levy, terrorizzata alla vista della madre, con la testa spiaccicata contro la parete, da cui stava colando sangue.
Ma chi è questo mostro di monaca.” pensò.
Quando Agnese si fu ripresa dalla botta, le due uscirono subito dalla stanza, mentre Elsa era impegnata a leggere uno dei libri, che la turchina le offrì.
“Quella tizia è spaventosa.” disse Levy,
“Si, ma se rimarremo qui, nessuno oserà tentare di farci del male. Voglio proprio vedere come farà Don Rodrigo a superare la Monaca.” disse Lucy speranzosa.
“Ti va di andare ad esplorare questo posto?”
“Sì, così magari incontriamo, qualche monaca simpatica.” disse felice la bionda, incamminandosi lungo un vasto corridoio.
Giunte davanti ad una fila di porte presero ad aprirne una dietro l’altra, ritrovandosi davanti le monache più insolite, che si potessero vedere.
Nella prima porta incontrarono una monaca dai lunghi capelli verdi, che, come passatempo, si divertiva a sparare proiettili ad un manichino, appeso al muro della sua stanza.
Nella seconda, si trovarono davanti una monaca vestita da cameriera, che porse una frusta a Lucy, chiedendole di punirla. La poveretta, per nulla abituata a tali pratiche, richiuse subito la porta.
Nella terza stanza, comparve una monaca vestita da pecorella, con sopra la testa due corna.
In quella successiva, una monaca, con una strana coda da pesce tentò di annegare le due, perché erano entrate nella sua stanza senza permesso, e perché solo la vista del volto di Lucy, la mandava in bestia.
Poi incontrarono una monaca, molto piccola e carina, che teneva nella sua stanza una gattina tutta bianca, ed era l’unica ad essere vestita come una donna del suo rango sociale. Anche se era ancora una bambina, le due convennero, che era più matura e mentalmente sensata di tutte le altre.
Infine, arrivarono davanti ad una grande stanza, sulla cui porta c’era scritto: “PERDETE OGNI SPERANZA VOI CHE ENT… (No, storia sbagliata, volevo dire) VIETATO L’INGRESSO A CHIUNQUE ABBIA CON SÉ DELL’ALCOL.”
“Che cosa significa? Chi potrebbe mai portare dell’alcol qui dentro?” si chiese Lucy.
“Considerando le persone che abitano questo luogo, non lo darei così per scontato.” disse Levy, con una gocciolina in testa.
Messa una mano sulla maniglia, Lucy aprì piano piano la porta, ritenendosi mentalmente pronta ad affrontare tutto ciò, che l’attendeva dall’altra parte.
Così, però, non fu!
Le due, infatti, si ritrovarono in una stanza con al centro una donna dai lunghi capelli marroni, in reggiseno, circondata da bottiglie vuote, e con un barile più grande di lei, davanti alla bocca.
L’ultima monaca, smise di scolarsi la birra, e sorrise alle due popolane, che la guardavano a bocca aperta.
“Salve, se non sbaglio voi due dovreste essere quelle due popolane, fuggite qui per chiedere protezione ad Elsa.”
E le due ebbero solo la forza di ammiccare con la testa, troppo prese a fissare quella figura e quel barile.
“Beh, allora benvenute. Gradite farvi un goccetto?”
“Ehm, mia figlia è minorenne, non può bere.”
“Sciocchezze, non si è mai troppo piccole, per farsi un goccetto.”
Ed afferrata Levy per un braccio, le mise una bottiglia in bocca, e la costrinse a scolarsela, finché la turchina, non divenne paonazza e prese a ridere.
“Ma sei fuori di testa! Come hai potuto far ubriacare mia figlia!”
“Rilassati, ce n’è per tutti.” disse la monaca, e mise un’altra bottiglia nella bocca di Agnese.
Il risultato fu, che i canti e le risate delle tre furono udite in tutto il monastero.
“Cana è sempre la solita.” bofonchiò Elsa, prima di tornare al suo libro.

Nota d’autore: eccoci giunti al quinto capitolo! Gajeel ha avuto una tipica accoglienza alla milanese, e sono certa gli sia bastata. Per un po' non lo vedremo, dovremmo concentrarci su Levy e Lucy impegnate al convento.
Quelle due avranno un bel po' da fare per riuscire a sopportare tutte quelle monache pazze e squinternate. Soprattutto Elsa la Monaca di Monza, che con il suo pugno di ferro comanda a mo di dittatore tutto il convento, o almeno ci prova. Come si è visto le monache fanno un po' tutto quello che gli pare.
Per il resto non c’è nulla da dire, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Domani uscirà il sesto.

 
   
 
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