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Autore: Xion92    02/10/2021    2 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera, gente! Oggi, 2 ottobre, è il compleanno di Angel. Quindi ecco pronto il nuovo capitolo! Sono riuscita a metterci un altro po' di romanticismo perché quando si tratta di Masaya e Ichigo non ne ho mai abbastanza. Godetevelo!


Capitolo 90 – Ritorno a casa


“Concentrazione… concentrazione…” ripeteva Mew Angel dentro di sé, durante la mattinata del terzo giorno di allenamento. Il suo corpo brillava debolmente di azzurro, e stava faticando per mantenere quell’energia stabile senza che svanisse. Quella mattinata suo padre le aveva dato il permesso di tenere evocata l’arma nella mano, visto che adesso che il suo potere era stato trovato, la guerriera doveva imparare a usarlo per colpire.
“Bene” approvò il Cavaliere Blu, poco distante da lei. “Adesso, attenzione… cerca di incanalare il potere nell’arma.”
“E come… si fa?”, chiese Mew Angel con fatica, visto che doveva mantenere alto il livello di concentrazione per evitare che l’energia fluisse da lei.
“Spostala verso destra, e falla passare attraverso il braccio”, le spiegò suo padre. “Fa’ molta attenzione a non liberarlo tutto in una volta.”
“Verso destra… nel braccio…” mormorò lei, e stendendo il braccio destro, cercò di spostare l’energia che le riempiva il corpo verso l’arto disteso. Sentì che il potere che percepiva dentro di sé si stava muovendo verso la parte destra e le stava passando prima nella spalla e poi nel braccio. Quest’operazione però era complicata per lei, essendo il primo tentativo, e la luce azzurra impallidì fino a svanire quando fu arrivata al gomito.
“Uffa”, commentò lei, dando un calcio stizzito nella neve.
Il Cavaliere Blu alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto comprensivo, e non ebbe bisogno di invitarla a riprovare, visto che la ragazza subito si era rimessa concentrata per far tornare quel potere. Dopo aver trovato la sua serenità interiore, Angel aveva preso molto sul serio quell’allenamento, e tutto quello che suo padre doveva fare ora era spiegarle e mostrarle i passi successivi da fare, senza più bisogno di starla ad incoraggiare.
La guerriera continuò a provare per tutta la mattina e per tutto il pomeriggio che seguì, finché quando ormai il sole stava iniziando a scendere verso le montagne, riuscì a incanalare la luce fino alla sua Angel Whistle.
“Esattamente! Così!”, esclamò suo padre emozionato, quando vide che la luce dal corpo della ragazza era scomparsa ed ora stava tutta nella sua arma.
Mew Angel, paralizzata dallo stupore, guardava il suo pugnale, che teneva ben stretto nella destra, e come rifulgeva di luce azzurra. C’era un potere immenso ora nella sua arma, e adesso che lo poteva vedere nella sua interezza in un oggetto invece che sentirlo nel suo corpo, se ne rese conto con chiarezza. Stava scendendo il buio, la sua Angel Whistle era l’unica fonte di luce, ed era un puntino luminoso tra l’immensità di quei monti.
“Ora mantieni il controllo dell’arma e fallo svanire”, comandò il Cavaliere Blu.
“Ma… perché devo farlo svanire?”, chiese Mew Angel, riavutasi dallo stupore. “Ce l’ho fatta. Posso provare ad attaccare.”
“Domani. Ora è tardi. Fallo svanire”, insisté lui, col tono quasi divertito. “Avevi imparato così bene ad aver pazienza e a saper aspettare. Mantieni il controllo anche questa volta.”
Lei annuì, calmandosi. “Sì, giusto.”
Allora, controllando il Jinseikou, lentamente lo fece scomparire, e la sua arma tornò al suo aspetto di sempre. Quando svanì l’attacco, se ne andò anche la luce, e i due ragazzi rimasero al buio.
“Torniamo indietro, che è tardi. Sei stata brava, Angel. Molto brava”, si complimentò il Cavaliere Blu, e la ragazza sorrise soddisfatta.

Ripresero il giorno dopo, e Mew Angel passò tutta la mattina ad imparare a mantere stabile il Jinseikou nell’arma. Suo padre le aveva spiegato che prima di partire con l’attacco doveva prima assicurarsi di averne assoluto controllo.
“Mentre corri per attaccare la concentrazione sull’arma per forza si abbassa, e quindi devi assicurarti di riuscire a padroneggiare alla perfezione questa energia, prima di andare avanti nell’allenamento”, le aveva detto. “Sennò o ti svanirà il potere, o lo libererai in un istante, distruggendo l’intero territorio e morendo tu stessa.”
Fu un allenamento faticoso, anche se per fortuna della ragazza lo sforzo fisico non ne era coinvolto. Ma alla fine di ogni mezza giornata, ne rimaneva sfinita come se non avesse fatto altro che correre e saltare per ore. Tornata alla baita, quando era ora di mangiare si avventava sul suo pasto come ai tempi della sua vita selvaggia, per recuperare le energie perdute. Solo verso le due del pomeriggio del quarto giorno, suo padre ritenne che avesse raggiunto un livello di controllo del Jinseikou tale da permetterle di tentare un attacco. Le indicò un roccione a un centinaio di metri di distanza.
“Il tuo obiettivo adesso è riuscire a tagliare in due quel masso, come ti ho mostrato io il primo giorno. Diciamo che il tuo allenamento potrà dirsi concluso quando sarai riuscita a tagliarlo senza intoppi”, le spiegò.
“Bene!”, esclamò lei convinta.
Sistematasi a un centinaio di metri dall’obbiettivo, la ragazza, dopo aver richiamato in un modo che le riusciva ormai facile il potere alieno, lo trasferì senza apparente sforzo nella sua arma. Fino a lì c’era. Era in grado di compiere quell’operazione senza doverci ormai più prestare particolare attenzione. Tenendo fisso lo sguardo sulla roccia, partì di corsa, stando attenta a non andare troppo veloce per evitare di sentirsi le coltellate in pancia. Corse dritta fino al masso e, piegato il braccio indietro, diede un colpo orizzontale, ma venne sbalzata all’indietro dal contraccolpo, finendo sdraiata nella neve.
“Porca miseria, che male alla mano!”, esclamò lasciando andare l’arma e scrollando l’arto che aveva sbattuto contro la roccia.
“Ti sei fatta molto male?”, le chiese guardingo il Cavaliere Blu poco più in là.
“No no”, rispose subito Mew Angel, rimettendosi in piedi.
“Non te n’eri accorta, ma il Jinseikou è svanito quasi subito dopo che ti sei messa a correre”, la informò lui.
“Ora mi spiego… non fa niente”, e si rimise nella postazione iniziale.
Provò per tutto il resto della giornata, ma senza mai riuscire a centrare l’obiettivo: il potere alieno le svaniva dall’arma pochi metri dopo essere partita di corsa. Non seppe nemmeno lei quanti colpi a vuoto diede contro quella roccia e quanti contraccolpi si prese. Ma, nonostante dopo ogni volta che finiva nella neve fosse sempre più stordita, scrollava la testa e il braccio dolente, si rimetteva in posizione e ripartiva.
Suo padre rimase a guardarla attentamente per tutta la durata del pomeriggio. La perseveranza di sua figlia ormai gli era ben nota, e si sentiva ammirato dai suoi continui tentativi senza che mai le scappasse un lamento o indietreggiasse di un centimetro. A quel punto gli venne spontanea nella mente una domanda: se sua figlia avesse sempre avuto, dalla nascita, questo carattere così combattivo o lo avesse sviluppato durante la sua difficile vita. Quando quella sera ebbero finito di mangiare ed ebbero fatto due partite a scacchi, si misero a letto e lei gli si strinse contro, come aveva fatto le notti precedenti.
“Mi è venuta una curiosità, Angel: te la ricordi la prima volta che hai combattuto?”, le chiese Masaya, passandole le dita fra i capelli.
Angel ci pensò un po’. “Sì, avevo sette anni, credo. Un mostro ha attaccato il mio cane che si è bloccato dalla paura, e mi sono trasformata per la prima volta per difenderlo.”
A Masaya venne da ridere, pensando al suo cane Rau che si immobilizzava davanti a un chimero ed Angel bambina che lo salvava trasformandosi in Mew Mew per la prima volta.
“Non intendevo la prima volta che hai combattuto da Mew Mew, però. Intendo proprio quando hai combattuto in senso generale per la prima volta. Te lo ricordi?”, insisté.
La ragazza cercò nella memoria, ma non le sembrava di ricordare nessun evento specifico. Per quello che sapeva, era sempre stata così audace e combattiva, erano delle caratteristiche impresse nel suo DNA.
“No…”, ammise allora.
“Non fa niente. Buonanotte allora”, le augurò suo padre.
Ma, mentre Angel si addormentava, i ricordi più lontani che non riusciva a far riaffiorare in modo cosciente ma marchiati nel suo subconscio le fecero fare uno strano sogno. Un sogno che la riportava ai suoi primissimi tempi di vita, di cui nella mente razionale non poteva conservare consapevolezza…

Erano passate solo poche ore da quando Ichigo si era allontanata dalla sua famiglia per cercare di fermare Flan. Shintaro, che trasportava la sua moto con tutto il carico, sua moglie Sakura, che reggeva la loro nipotina tra le braccia, e il loro cane Rau si erano allontanati a sufficienza dalla zona in cui si trovava l’alieno e poterono fermarsi a tirare il fiato.
I due giovani nonni non ebbero nemmeno il tempo di piangere la morte della loro adorata figlia, perché la bambina, che Ichigo aveva deciso di chiamare con quello strano nome, Angel, dal vezzeggiativo angioletto con cui l’aveva appellata, cominciò a sentire la fame e si mise a strillare con la sua vocetta, sorprendentemente potente pur uscendo da un corpicino così piccolo.
“Tesoro, come possiamo fare?”, chiese con voce disperata Sakura, cercando invano di placare la bimba cullandola. “La piccola ha bisogno di mangiare, ma non abbiamo nulla da darle.”
Shintaro, pieno di senso pratico, mise la moto sul cavalletto sul bordo del prato in cui erano arrivati. “Aspettami qui, se ricordo bene il commerciante più vicino dovrebbe essere a un paio di chilometri. Prendo un po’ di riso e patate e vedo se ha del latte in polvere. Le ultime volte mi pareva di averglielo visto. Tu intanto inizia a montare la tenda.”
“Montare la tenda?”, chiese Sakura con gli occhi stravolti. “Ma ho la bambina… Angel, in braccio.”
“Prendi una coperta e mettila per terra, nel frattempo”, risolse alla svelta lui, mettendo tre chili di patate e due di riso in dei loro sacchetti di rete.
“Ma piange… è iniziato ottobre e fa freddo, e cade anche qualche goccia. Non posso metterla giù”, protestò la moglie.
Shintaro guardò male la neonata. Non nascondeva il proprio fastidio e il proprio rancore verso quella creatura che aveva la colpa di avergli fatto perdere la figlia, e quei sentimenti negativi gli sarebbero passati solo molto tempo dopo, quando Angel avrebbe pronunciato nonno come sua prima parola.
“Sakura, fammi il favore, quando torno fammi trovare la tenda montata”, chiuse il discorso con voce stanca. “Rau, vieni con me”, chiamò il cane bianco a macchie marroni.
Ma Rau, nel frattempo, si era seduto e osservava rapito la neonata, con gli occhi sognanti, la bocca semiaperta e la lingua fuori.
L’uomo alzò gli occhi al cielo. “Oh, rimani pure qui”, scrollò la testa, prima di allontanarsi per il sentiero che portava verso alcuni edifici semidistrutti.
Sakura non aveva potuto far altro che seguire le indicazioni del marito, visto che era evidente che entro poco la pioggia avrebbe iniziato a cadere più fitta. Reggendo la bimba su un braccio, con l’altro tirò fuori dagli scatoloni accatastati sulla moto una coperta di pile e la distese sotto un albero lì vicino, e vi depose sopra la bimba che piangeva sempre più forte. La coprì con un lembo della coperta per proteggerla in parte dal freddo e si alzò, con le braccia libere.
“Solo qualche minuto, tesoro”, le assicurò con la voce rotta dal dolore. “La nonna farà svelto e ti riprenderà subito. Rau, rimani qui con lei”, e si allontanò da lei per tirare fuori la tenda piegata, i picchetti e il martello dagli scatoloni.
Angel, che era nata solo il giorno prima e aveva ancora nella sua mente rudimentale il ricordo dell’ambiente liquido e caldo in cui si era sviluppata, delle braccia avvolgenti e sicure della mamma, del suo seno morbido e del suo latte tiepido e dolce, si stava sentendo sempre più smarrita e disperata. Pianse forte con la sua voce da neonata per cercare di richiamare sua madre, come se potesse farla comparire con le sue grida. Rau nel frattempo si era disteso vicino a lei e le aveva appoggiato il muso sul pancino come a volerla proteggere, ma la bambina era troppo sconvolta per farci caso. Pianse fino a sfinirsi, agitando in modo convulso gli arti che ancora non riusciva a controllare, e sentendo le lacrime scorrerle lungo le tempie. Arrivò a una tale disperazione, freddo, paura e fame che dopo alcuni minuti si sentì quasi svenire, ma proprio a quel punto si sentì di nuovo presa in braccio e stretta contro un corpo caldo, che non era quello della mamma ma altrettanto rassicurante.
“Va tutto bene Angel, la nonna è qui con te”, sentì una voce morbida e gentile col suo udito rudimentale.
Ma la fame era fame, e la neonata, pur se ora scaldata e sicura di non essere stata abbandonata, cercò di far capire con i suoi pianti alla donna che ora aveva preso il posto di sua madre che aveva bisogno di quel liquido caldo e dolce di cui si era nutrita fino a quella mattina.
“Aspetta, amorino, che il nonno adesso torna”, le ripeteva la nonna, senza sapere come poter calmarla e lanciando verso gli edifici in lontananza delle occhiate nervose.
Ci volle più di mezz’ora perché Shintaro tornasse, e Sakura aspettò dentro la tenda, con la nipotina in braccio, il cane di fianco e la pioggia che ticchettava sul telo sopra di loro. Trascorso quel tempo, la cerniera della tenda si aprì e apparve la testa del nonno, con i capelli a spazzola gocciolanti.
“Sono riuscito a comprare un poppatoio e anche il latte in polvere”, annunciò appoggiando la sua spesa sul pavimento.
“Solo questo con tre chili di patate e due di riso?”, chiese la nonna, sollevando perplessa l’unica scatola che suo marito aveva portato.
“Il latte in polvere costa tanto, Sakura. Che ti aspettavi? Ci dovremo adeguare per qualche mese”, rispose irritato l’uomo guardando di sbieco la bimba.
“Ed è specifico per i neonati?”, si informò ancora Sakura.
“Specifico? Sakura, questi lussi non esistono più, lo sai. È normale latte di mucca in polvere”, rispose Shintaro.
Senza fare altri commenti, la donna si affrettò a mettere a bollire l’acqua col fornellino davanti all’entrata coperta della tenda, quando fu pronta vi sciolse la polvere di latte e versò il composto nel poppatoio, sopportando i pianti disperati della bambina, ora tra le rigide braccia del nonno.
“Su, su, vieni qui adesso”, le disse Sakura con voce allegra, riprendendola in braccio. “Spero che tu riesca tollerare questo latte…” aggiunse esitante.
Angel, quando si vide avvicinare la tettarella di gomma, non capì subito cosa fosse, e girò la testa contrariata. Ma quando si fu resa conto che era una cosa che andava succhiata come il seno di sua madre, ci si attaccò e bevve vigorosamente quel latte che non era buono nemmeno la metà di quello della mamma, ma era sempre qualcosa che riempiva lo stomaco ed era comunque dolce e denso.
Sakura aveva paura per la salute della bambina, complice anche il suo aspetto mingherlino e gracile che la faceva apparire debole: Ichigo non era ancora completamente adulta nel periodo della gravidanza, e quindi il suo bacino non aveva potuto raggiungere l’ampiezza massima per poter ospitare la figlia. Per questo motivo, Angel non aveva avuto lo spazio necessario per svilupparsi ed era rimasta piccola di dimensioni, anche se non era nata prematura. Solo con l’adolescenza la sua genetica si sarebbe rivelata, facendole recuperare l’altezza e la potenza fisica che erano scritte nel suo DNA.
Ma, nonostante fosse all’apparenza debole, con sorpresa della nonna la bimba riuscì a sopportare la composizione pesante di quel latte, sopravvisse e riuscì a mantenersi stabile nei mesi che seguirono, pur non crescendo di peso in modo significativo.
Sakura, dopo la morte di Ichigo, era arrivata ad amare Angel come se fosse stata sua figlia invece di sua nipote, e nei lunghi e bui pomeriggi autunnali prima ed invernali poi, era sempre dentro la tenda a coccolarla, a vezzeggiarla e a farci delle lunghe chiacchierate, come se fosse stata un’adulta, parlandole degli argomenti più svariati, da quale fosse il modo migliore per proteggere le patate dall’umidità a come si cuoce il riso, ed Angel, appoggiata sui cuscini, seguiva attentamente il suo discorso fissandola ad occhi spalancati, con Rau accucciato accanto a lei come una guardia del corpo che ogni tanto le leccava una guancia.
Passavano i mesi, e nonostante Angel fosse stabile nel peso e nelle dimensioni e il suo aspetto generale stesse tutto sommato migliorando, il nonno era sempre più preoccupato: sua nipote era di appetito vorace, e il latte in polvere aveva un prezzo in beni troppo elevato per le loro magre possibilità. Solo per comprare una scatola di latte doveva scambiare una quantità di materiale che sarebbe bastato a comprare il cibo per lui e sua moglie per cinque giorni. Tuttavia, per senso umano, per il legame innegabile di sangue con la bambina e affetto e devozione per la figlia e il genero che non erano più con loro, continuò su questa strada, provvedendo all’alimentazione della nipote come aveva fatto finora per qualunque altro membro della sua famiglia.
Angel però mangiava e pretendeva sempre di più, e quando ebbe compiuto tre mesi, e il commerciante da cui si riforniva abitualmente gli annunciò di un improvviso aumento di prezzi a partire dalla settimana successiva, il nonno si rese conto che non era possibile andare avanti così: se avesse perseverato su questa via, lui e sua moglie sarebbero morti di fame e di mancanza di risorse necessarie alla sopravvivenza. E se fosse accaduto, chi avrebbe provveduto alla piccola?
Sulla via di casa, con la mano stretta in modo amareggiato attorno alla scatola di latte in polvere, prese una drastica decisione.
Arrivato alla tenda, trovò Sakura che stringeva più forte le catene che tenevano assicurate le casse fra di loro, per evitare che qualcuno gliele portasse via. Angel, imbacuccata in vestitini troppo grandi per lei e distesa per terra su una coperta, osservava curiosa Rau che le stava accucciato vicino.
“Il commerciante mi ha detto che presto il prezzo del latte salirà ancora. È sempre più difficile da trovare”, annunciò.
Sakura distolse per un attimo lo sguardo dal suo lavoro, lo guardò abbattuta e rassegnata e riprese da dove si era interrotta.
“Non c’è niente da fare”, scosse la testa l’uomo. “Abbiamo ancora una scatola nuova che può durare una settimana, ma da quella volta non potremo più comprarlo.”
La moglie si girò di nuovo a guardarlo. “E come vorresti fare con la bambina?”
“Dobbiamo svezzarla, non c’è altro modo”, rispose lui in modo deciso. “A partire da stasera, comincia a darle un po’ di brodo di verdura, e diminuisci la quantità di latte.”
“Tu sei matto”, spalancò gli occhi Sakura, avvicinandosi ad Angel e prendendola in braccio come a volerla proteggere da quella decisione. “Ha solo tre mesi, non ha ancora lo stomaco adatto per assumere qualcosa di diverso dal latte. È troppo presto. E poi non è possibile fare uno svezzamento di questo tipo in una settimana. Non sai quello che dici, caro, tu non ti intendi di bambini.”
“Non abbiamo scelta, se non lo facciamo moriremo tutti quanti”, insisté Shintaro.
“Ma se lo facciamo, morirà lei di sicuro”, protestò Sakura. “E’ questo quello che vuoi? Pensi che Ichigo sarebbe contenta se le facessimo questo?”
L’uomo strinse appena gli occhi a sentire pronunciare il nome della figlia, e guardò la nipote. “Io dico che ce la farà, invece. Se ha nelle vene il sangue di sua madre e di suo padre, non morirà.”
“Tu la fai facile… potrà avere il sangue dei suoi genitori, ma è sempre una bimba piccola, è gracile e debole”, insisté la moglie.
“O è così o è così”, chiuse la discussione il nonno. “È inutile discuterne ancora. Pensaci su, Sakura, e vedrai che non c’è davvero altro modo.”
“No, c’è un altro modo”, tentò la donna. “Cerchiamo una madre che possa allattarla. Che ha molto latte e possa nutrire anche lei oltre a suo figlio. Ovviamente la pagheremo, sicuramente ci costerà meno del latte in polvere. Che ne dici?”
Shintaro sospirò. “Credimi Sakura, nessuna donna, in questa situazione di carenza alimentare, ha abbondanza di latte. E nessuna madre toglierebbe dalla bocca del figlio il mangiare per darlo a una bambina che non è sua.”

Svanita ogni altra possibilità, quella sera Sakura provò a seguire il consiglio del marito. Dopo aver cotto le verdure per la loro cena, tolse un po’ di brodo prima di aggiungere il sale, e lo filtrò perché fosse interamente liquido. Lo mise nel poppatoio al posto del latte e lo porse alla nipote affamata che teneva in braccio.
Angel, che non si aspettava quel cambiamento, si attaccò per succhiare, ma quando si sentì in bocca un liquido acquoso dal sapore quasi salato invece del solito latte denso e dolce a cui era abituata, si staccò subito, sputando disgustata e prorompendo in un pianto indignato e furioso. Era la prima volta in vita sua che, pur con la sua personalità ancora rudimentale e grezza, provava qualcosa che assomigliava a un’offesa dovuta a un affronto personale.
La nonna provò ad insistere un po’, ma non ci fu verso di farle bere nemmeno una goccia di brodo.
“Non darle il latte”, la avvertì Shintaro. “Non le succede niente se salta un pasto. Vedrai che fra un paio d’ore avrà più fame e lo berrà, il brodo”, e a malincuore Sakura obbedì al suo consiglio. Angel continuò a piangere disperata in braccio a sua nonna, finché non si addormentò sfinita.
Qualche ora dopo, Sakura tentò ancora, ma anche questa volta Angel si rifiutò di succhiare quello strano liquido. Allora la nonna provò in un altro modo: aprì il contenitore, vi immerse un indice e lo avvicinò alla bocca della bambina.
“Su, angioletto, prova. Vedrai che ti piacerà”, le disse con voce amorevole, e visto che la fame era qualcosa a cui si può resistere fino a un certo punto, Angel rassegnata provò a succhiare il dito bagnato di brodo.
“Sì, brava, così”, si complimentò incoraggiata Sakura, e immerse di nuovo il dito nel liquido, avvicinandolo alla bocca della bimba che di nuovo lo succhiò, bevendo quel brodo senza convinzione, in modo passivo e quasi da sconfitta. Quando le ebbe dato l’equivalente di un cucchiaio, la nonna le preparò il consueto latte, che Angel bevve con piacere.
Ma una mezz’ora dopo si sentì male, e in preda a forti crampi e dolori ributtò su tutto quello che aveva mangiato, sia brodo che latte.
La nonna si spaventò a vedere quel risultato. “Caro, non possiamo. È troppo presto, non riesce a tollerare il brodo.”
“Prova ancora”, rispose il nonno. “Deve farcela, vedrai che ce la farà.”
Sakura provò ancora e ancora, per tutte le seguenti poppate. Ma, a differenza di quella prima volta, Angel non accettò più il brodo, nemmeno di succhiarlo dalle dita di sua nonna. Inoltre, dopo il problema di digestione che aveva avuto, iniziò ad avere problemi anche con il latte. Non lo tollerava, lo rimetteva e quando riusciva a trattenerlo, non assimilava il suo nutrimento. In pochi giorni si indebolì e divenne ancora più gracile e stremata, il suo sguardo divenne assente e ormai non piangeva neanche più, non avendone più la forza. Riusciva solo ad emettere dei lamenti. L’ultima scatola di latte che i nonni avevano potuto comprare arrivò velocemente alla fine, e una decina di giorni dopo non restava altro che il brodo di verdura come possibile alimento per la bambina.
Quella sera di gennaio, Sakura, dentro la tenda, dopo aver cercato invano di nutrire Angel, deperita e stanca, con la solita tecnica delle dita, la appoggiò a pancia in giù sul telo vicino al poppatoio aperto, voltandosi poi verso il marito, furiosa con lui come non le capitava da tanti anni.
“Guarda com’è ridotta, ormai non si riprenderà più, ed è tutta colpa tua!”, gli gridò contro.
“Colpa mia? Non avevamo altra scelta, Sakura”, rispose lui, duro.
“Ce l’avevamo, la scelta. Avremmo potuto continuare a darle il latte e basta, avremmo rischiato di morire, ma avremmo almeno salvato lei!”
“Sei un’ingenua! Se dovessimo morire, morirebbe anche lei, era un rischio che dovevamo correre”, ribatté il marito.
“Tu e le tue convinzioni che ti fai senza sapere un bel niente! Eri convinto che ce l’avrebbe fatta, ma come puoi pensare una cosa del genere per una bimba così piccola?!”
“E’ la figlia di Ichigo e Aoyama, no? È nella sua genetica il combattere”, insisté il nonno, testardo.
“E ancora parli, ancora parli… è una bimba di tre mesi, ti pare normale un discorso del genere? Le è stato interrotto l’allattamento! Se tua figlia potesse vedere quello che hai fatto… quello che abbiamo fatto, ci odierebbe, e avrebbe ragione!”, si mise a piangere Sakura in modo rabbioso. “Lei ci ha affidato la sua bambina perché era sicura che la avremmo protetta e curata, e noi invece…”
L’ombra del senso di colpa attraversò per un istante il viso del nonno, ma poi vide qualcosa alle spalle di Sakura e sussultò. Anche lei si girò per guardare.
Angel, prendendo iniziativa per la prima volta, aveva fatto cadere con una leggera spinta il poppatoio e, dopo aver immerso le manine nel brodo che si allargava sul telo, se le portava alla bocca, leccando e succhiando il liquido, con un’energia e una convinzione che non aveva mai avuto fino ad ora. Dopo aver finito di succhiarsi le mani, le immergeva di nuovo nel brodo e se le riavvicinava per succhiarle di nuovo, con un’espressione seria e concentrata.
Sakura guardava sbalordita questo improvviso cambio di comportamento della nipotina, mentre Shintaro aveva l’espressione soddisfatta di chi aveva sempre saputo come sarebbe andata a finire.
Angel non poteva più opporsi a quell’alimento. Se non lo avesse ingerito, sarebbe morta. Aveva capito che era la sua unica speranza di sopravvivere. A soli tre mesi di vita, il sangue di guerriera iniziava a ribollire dentro di lei. Da quel giorno, mandò giù senza problemi il brodo, e poco dopo il puré di verdure che sua nonna iniziò a darle, senza più sentire la mancanza del latte. Il suo stomaco, da quello delicato di lattante che era, divenne resistente e in grado di estrarre da ogni cibo che mangiava la più piccola particella di nutrimento, che veniva poi usata dal suo corpo per formare tessuti solidi e forti. Pur restando sempre una bimba minuta, prese a crescere, la carne iniziò a coprirle le ossa, i radi capelli che aveva avuto fino ad ora le crebbero folti e di un nero brillante e i suoi occhi si fecero vivi e ardenti.
Né suo nonno né sua nonna, quando l’avevano vista per la prima volta tra le braccia di Ichigo, avrebbero mai potuto immaginare che quella bimba così piccina e all’apparenza così fragile sarebbe poi diventata la coraggiosa e forte guerriera che era ora a quindici anni.

Angel si svegliò il mattino dopo senza il minimo ricordo razionale di quello che aveva sognato. Ma una certezza le rimase: che avesse iniziato a combattere molto presto nella vita, molto prima di quando iniziavano i suoi ricordi lucidi, e che fosse stata quella prima volta in cui aveva attivamente lottato per sopravvivere, di cui conservava solo delle sensazioni oscure, a gettare la base di quello che era diventata.

Quella giornata la guerriera non compì dei progressi degni di nota, ma almeno, notò suo padre dopo alcuni tentativi, riuscì a mantenere stabile il Jinseikou mentre correva verso il bersaglio. Di pomeriggio, il Cavaliere Blu si accorse con trepidazione di quando, teso il braccio per poter sferrare il colpo, il potere non le svanì dall’arma.
“Ce la fai! Ce la fai!”, la incitò.
Mew Angel diede un gran colpo al roccione, ma la punta rimase conficcata nella pietra quasi fino all’elsa, e da lì non riuscì ad andare più in profondità. La ragazza lasciò andare l’arma e guardò perplessa quello che aveva combinato. Cercò di tirare la parte esterna, ma la sua Angel Whistle non si muoveva. Il Cavaliere Blu, poco più in là, non poté evitare di mettersi a ridere.
“E’ svanito il potere mentre stavi dando il colpo, ecco perché.”
Mew Angel allora si sputò sulle mani, afferrò le rigide ali dell’elsa e si mise a tirare con tutta la sua forza, appoggiandosi coi piedi alla parete della roccia.
“Vieni fuori… maledetta… bastarda…” ringhiò con le orecchie appiattite all’indietro, spingendo coi piedi e tirando con le braccia.
Mentre tirava, col corpo all’indietro e teso al massimo, la punta dell’arma si sfilò all’improvviso e lei cadde all’indietro, finendo sdraiata nella neve.
“Riesci a rimetterti in piedi?”, sentì che le chiedeva suo padre.
“Sì!”, rispose con sicurezza e, dopo essersi tirata su con un salto, si allontanò per tentare di nuovo.

Provò per tutto il resto della giornata, senza riuscire a fare passi avanti, e anche per tutto il giorno dopo, ma non riuscì a fare nessun progresso oltre il punto in cui era arrivata. Il Jinseikou le svaniva dall’arma sempre puntualmente quando si apprestava a colpire la roccia.
Il Cavaliere Blu si sentiva inquieto mentre la vedeva incassare un fallimento dopo l’altro, perché sapeva che ormai mancava un giorno alla fine dell’allenamento, ed era assai probabile che quando avrebbe rivisto Ichigo, le avrebbe dovuto confessare il loro fallimento. Ed Angel come l’avrebbe presa?
Ma con stupore, vedeva sua figlia tentare e ritentare con perseveranza e spirito guerriero, senza mai indietreggiare, esitare o lasciarsi scoraggiare, anche se ogni volta che provava falliva. Era sempre stata così nella vita, salvo alcuni momenti in cui aveva toccato il fondo e aveva avuto bisogno dell’aiuto della sua famiglia e dei suoi amici per riemergere: ogni volta che cadeva, si rialzava e testarda ci riprovava.
Anche l’ultimo giorno di allenamento proseguì in situazione di stallo, e quella sera, del 12 marzo, Masaya, sentendosi il cuore appesantito, appena rientrati alla baita disse ad Angel:
“domattina dobbiamo pulire tutto prima di venire via, poi abbiamo l’autobus dopo pranzo.”
“Ho un’idea, invece: puliamo e mettiamo a posto questa sera, tanto sono solo le cinque e abbiamo ancora tanto tempo. Così per domani avremo la mattinata libera e potrò provare ancora”, propose determinata lei.
Masaya la guardò impressionato, e colpito ancora una volta dalla sua determinazione, dal suo rifiuto di arrendersi e dalla sua volontà di tentare fino all’ultimo, annuì. Non credeva più tanto che la ragazza avrebbe potuto fare qualche progresso in mezza giornata, se non c’era riuscita in tre giorni, ma se per lei era importante provare fino all’ultima possibilità, allora l’avrebbe assecondata.

Quella sera Angel, prima di iniziare il lavoro, per essere sicura di non scordare nulla preparò un foglio in cui elencò con la massima precisione ogni faccenda da fare per lasciare la casetta come nuova il giorno dopo, e fece poi un altro elenco con elencati in ordine tutto quello che dovevano riportare a casa, da ciò che doveva essere messo in fondo allo zaino fino alle cose più leggere che dovevano stare in cima. Quando ebbe finito di scrivere, lo porse al ragazzo che, com’era capitato altre volte, si rese conto di quanta precisione e capacità organizzativa possedesse sua figlia. Grazie a quei due elenchi, i due ci misero poco a risistemare tutto e a impilare nel modo corretto tutto quanto nei loro zainoni, lasciando fuori solo quello che serviva fino al mattino dopo. Masaya si rese conto che, senza preparare prima uno schema scritto, ci avrebbero messo molto più tempo e sicuramente si sarebbero dimenticati qualcosa.
Dopo cena, nel buio della stanza, mentre stava sdraiato nel letto con la ragazza addormentata stretta a lui, Masaya fissava ad occhi spalancati il soffitto. Il rendersi conto una volta di più di quanto sua figlia fosse capace di un’organizzazione così precisa e puntigliosa aveva smosso un desiderio che, negli ultimi tempi, ogni volta che pensava al suo futuro con Ichigo riaffiorava sempre di più. Lui vedeva un futuro luminoso insieme alla sua compagna, una vita insieme, una casa, dei bambini e tante esperienze che avrebbero vissuto con intensità. Solo una cosa macchiava questo suo futuro con lei che tanto desiderava: il lavoro cui avrebbe dedicato la vita. Nonostante avesse ancora tre anni di scuola superiore davanti a sé, Masaya aveva ben chiaro cosa avrebbe voluto fare in seguito, se fosse stato libero di seguire le proprie inclinazioni: la facoltà di scienze ambientali, che avrebbe potuto avviarlo a quei lavori a contatto con la natura che tanto amava e che avrebbe potuto svolgere con soddisfazione e passione. Ma sapeva anche che, se lui era cresciuto in una famiglia e non in orfanotrofio, era per un motivo preciso: suo padre adottivo lo aveva preso con sé con il preciso scopo di farne l’erede della sua azienda e, anche se ultimamente il ragazzo era riuscito ad aprirsi un po’ di più coi suoi genitori, specialmente con sua madre, questo non cambiava il motivo per cui era stato adottato. Il signor Aoyama non aveva mai nemmeno discusso col figlio del suo futuro, perché l’aveva sempre dato per scontato, non aveva mai contemplato per lui una possibilità di scelta. E Masaya, anche se non provava il minimo interesse per la vita di dirigente aziendale e la facoltà di economia che avrebbe dovuto teoricamente seguire, non se l’era mai sentita di sollevare il problema in casa: oltre al timore di cosa avrebbe potuto dire o fare suo padre se gli avesse detto che avrebbe voluto prendere tutt’altra strada, ogni volta che il ragazzo sentiva dentro il desiderio di parlargliene, provava anche un forte senso di colpa. Il motivo per cui era in quella famiglia era proprio perché avrebbe dovuto poi prendere una certa strada. E l’azienda di famiglia era per suo padre troppo importante, e lui ci teneva molto a lasciarne la dirigenza alla sua discendenza. Come avrebbe potuto Masaya uscirsene dichiarandogli che era sua intenzione fare tutt’altro nella vita? Si era consolato, nell’ultimo anno e mezzo, pensando che, anche se avesse dovuto fare quel lavoro che non gli piaceva, avrebbe comunque avuto una stupenda vita familiare, una moglie che lo avrebbe amato e, con lo stipendio alto e sicuro da dirigente d’azienda, avrebbero potuto avere due o tre figli e vivere in modo benestante. Ma no… era inutile illudersi. Il lavoro a cui era stato destinato lo avrebbe tenuto lontano da lei e dai loro figli per quasi tutto il tempo, e anche potendo mantenerli economicamente, sarebbero stati spesso lontani, come era la norma per quelle famiglie in cui il marito lavorava in un’azienda, specialmente ai piani alti. E come avrebbe potuto vivere in modo pieno e soddisfacente facendo un lavoro che non gli piaceva?
Ma vedere Angel calcolare con precisione ogni aspetto organizzativo gli aveva fatto aprire uno spiraglio. Non era nemmeno la prima volta che la ragazza aveva dato prova di una tale capacità, e gli aveva già spiegato che era così ordinata, precisa ed organizzata perché così era stata abituata. Ed in effetti era verosimile che in un mondo primitivo e allo stato di natura essere così organizzati fosse indispensabile. E allora, avendone avuta un’ulteriore prova, gli venne una speranza: che parlandone con Angel lei potesse apprezzare la possibilità di frequentare dopo le superiori la facoltà di economia, e potesse accettare di ereditare lei l’azienda di suo padre adottivo. Così lui avrebbe potuto frequentare la facoltà di scienze ambientali per poter poi fare il lavoro che avrebbe amato. Già… ma come convincere di questo suo padre, se anche Angel avesse accettato? Lei per il signor Aoyama non era altro che un’estranea, non aveva nemmeno lo stesso cognome… ma ormai la fantasia di Masaya correva, e lui si immaginò che parlando con suo padre nel modo giusto, mettendogli le cose in un certo modo e presentandogli Angel come una cara e affidabile amica, avrebbe accettato di passare l’azienda direttamente a lei… ma il suo sogno scoppiò come una bolla quando un pensiero improvviso lo punse: Masaya sapeva benissimo che Angel non sarebbe rimasta con loro dopo la battaglia contro Flan, ma sarebbe tornata per sempre nella sua Tokyo originaria. Era inutile farsi illusioni e pensare di coinvolgerla in qualche progetto futuro… Ma, ora come ora, gli fece più male il pensiero che non l’avrebbe rivista mai più, nonostante avesse elaborato ormai da tempo quel fatto nella mente, più che la consapevolezza che non avrebbe potuto fare il lavoro che voleva. Era l’ultima notte che poteva dormire abbracciato a lei… Sentì un forte dolore tra il cuore e i polmoni che gli fece mancare il respiro per qualche secondo, e strinse a sé la figlia così forte che allentò la presa solo quando la sentì emettere nel sonno un verso di dolore.

Quando arrivò la mattina Angel aprì gli occhi appena il primo raggio di sole filtrò nella stanza. Suo padre dormiva, ma riusciva comunque a tenerla stretta a sé. Per quanto il collo glielo consentì, girò la testa per guardarsi intorno, aiutata dai suoi occhi che riuscivano a vedere abbastanza bene anche con poca luce, e constatò soddisfatta che era tutto in ordine, la stanza pulita e gli zaini fatti. Allora scosse leggermente il ragazzo che si svegliò.
“Andiamo su? Voglio provare ancora un po’ prima di tornare a casa”, gli propose.
Lui annuì e allentò la presa, lasciandola alzare.
Angel non sapeva se quella mezza mattina di prova avrebbe fatto la differenza. Pensando a com’era andata i giorni scorsi, era assai improbabile: anche se il procedimento cominciava nel modo corretto, il potere del Jinseikou le spariva sempre nel momento in cui menava il colpo verso il bersaglio. Ma, viste le sue numeriose esperienze di vita, sapeva che anche solo un tentativo poteva ribaltare la situazione, e la sua etica guerriera e la sua natura attiva e perseverante non le consentivano di arrendersi senza averle provate tutte.
Poco dopo, sul picco del monte, si ripeté lo stesso schema dei giorni precedenti: la guerriera richiamava ormai velocemente il Jinseikou tenendolo sotto controllo per evitare di liberarlo direttamente dal suo corpo, trasferiva l’energia nell’arma e partiva di corsa verso la roccia, ma il suo pugnale smetteva di brillare nel momento in cui, dopo aver piegato il braccio di lato, faceva partire il colpo. Allora si riprendeva dal contraccolpo, tornava alla postazione di partenza e ricominciava. Andò avanti a provare per tutta la mattina, senza fare nessun progresso. Ma era così concentrata nel suo lavoro che ormai si comportava come se fosse da sola lì, senza più guardare suo padre che, seduto poco distante, la seguiva con aria rassegnata. Il giovane, per farla contenta, non le interruppe l’allenamento nemmeno quando arrivò l’ora di pranzo. Ma, quando furono arrivate le due del pomeriggio, la richiamò.
“Basta, Angel, dobbiamo andare giù a recuperare le nostre cose. L’ultimo autobus per Tokyo partirà dal paese tra poco più di un’ora.”
“Solo un’ultima volta”, lo pregò la ragazza, che era già pronta per il suo scatto.
“No, basta, è ora di andare”, insisté suo padre, scuotendo la testa.
Mew Angel lo guardò, poi guardò la roccia, si strinse meglio la sciarpa al collo e si rimise in posizione, piegando appena le ginocchia e protendendo il corpo in avanti. Richiamò la sua energia fino a far brillare di luce azzurra la sua arma. Allargò le spalle, stringendo bene la sua Angel Whistle nella destra, abbassò la testa, piegò le orecchie all’indietro tenendo fisso lo sguardo sull’obiettivo e scattò dal suo posto verso il bersaglio. Sapeva che aveva appena disubbidito a suo padre, ma non aveva potuto evitarlo. Non aveva nessuna intenzione di tornare a casa senza essere riuscita, almeno in parte, nel suo allenamento. Non avrebbe potuto guardare in faccia né la sua leader, né il suo boss, né le sue compagne se fosse tornata a mani vuote. Mentre percorreva di corsa quelle poche centinaia di metri che la separavano dalla roccia, si sentì il sangue bruciare e ribollire come tanti anni fa le era successo per la prima volta, quando pur di non morire di fame aveva accettato con decisione un cibo non ancora adatto a lei. Allora il suo sangue guerriero le aveva permesso di vincere. Tante altre volte nella sua vita glielo aveva permesso. E ora sarebbe successo di nuovo.
Arrivata davanti al masso, la ragazza, senza frenare e slanciata in avanti, piegò il braccio con la sua arma luminosa di lato, inclinò la mano per tenere la punta rivolta verso la pietra e, strizzando gli occhi e gridando per liberare il suo spirito, diede un colpo con tutta la forza che aveva nel braccio. E per la prima volta sentì la punta del pugnale, invece di trovare l’ostacolo che la impediva, fendere la roccia come se fosse stato burro, e un attimo dopo uno schianto al suolo.
“Ce l’hai fatta! Ce l’hai fatta!”, sentì gridare emozionato il Cavaliere Blu dietro di sé, e allora, dopo aver frenato aprì gli occhi, ansimando. Vide che davanti a sé, a parte la neve che copriva il terreno, non c’era nulla, e allora si girò.
Ora che l’attacco era concluso, la luce era svanita dalla sua arma, ma la parte superiore del masso che era stato per giorni il suo bersaglio era stata tranciata, ed era caduta di fianco alla base, che lei era riuscita ad oltrepassare dopo aver staccato la parte superiore. Guardò verso il Cavaliere Blu, che si era alzato in piedi e la guardava raggiante. Al vedere la sua espressione, la ragazza senza riflettere corse verso di lui gettandogli le braccia al collo, ridendo trionfante. Il ragazzo la afferrò, sollevandola e facendole fare un giro in aria. “Ce l’ho fatta, ci sono riuscita!”, esultò lei, tenendogli le mani sulle spalle.
“Sì, ci sei riuscita! Sei fantastica, sei stata bravissima!”, incalzò lui, reggendola in alto.
Quando la ebbe messa giù, la ragazza, tornata improvvisamente seria, si scusò:
“mi dispiace… di averti disobbedito, ma non ho potuto evitarlo.”
Il ragazzo alzò le spalle e guardò in alto, col sorrisetto tipico di chi deve portare pazienza.
“Ma di cosa ti scusi? Hai visto cosa sei riuscita a fare? Se mi avessi ascoltato, saremmo tornati a casa senza che tu fossi riuscita a portare a termine l’attacco.”
Mew Angel allora si girò, fissando il masso che era riuscita a spezzare in due.
“Come quando sei uscita dall’ospedale disobbedendo a un ordine di Shirogane. Non ricordi che siamo riusciti a sconfiggere il chimero di Ichigo perché tu sei venuta ad aiutarci?” aggiunse il Cavaliere Blu.
Mew Angel rifletté per un momento su quelle parole, poi annuì convinta.
Suo padre la abbracciò stretta, e anche lei lo abbracciò. “Sono molto fiero di te, Angel. Sei una vera guerriera!”
“E quindi il mio allenamento è concluso?”, chiese speranzosa lei.
“Beh… diciamo di sì, ma per una questione di sicurezza sarebbe stato meglio poter esercitarti ancora, magari combattendo anche contro di me”, obiettò lui.
A Mew Angel sparì il sorriso dalla faccia, interdetta.
“Ma va bene anche così”, si affrettò a tirarle su il morale il giovane. “Sei riuscita a colpire usando il Jinseikou tenendolo sotto controllo e senza far svanire il potere, e già questa è una gran cosa. È sempre meglio non usarlo, ma sono sicuro che se contro Flan dovesse servire, sarai in grado di gestirlo.”
La ragazza ritrovò il sorriso e il buonumore a quella risposta. “Posso tornare dalla leader a testa alta, allora. A proposito…”
“Già, a proposito…” ripeté lui, che aveva capito cosa intendesse.

Tre quarti d’ora dopo, i due ragazzi avevano finito di sistemare le ultime cose, avevano chiuso la baita lasciando le chiavi sotto il tappeto ed erano tornati in paese alla piccola stazione degli autobus, tenendo i loro zainoni sulla schiena. Era da una settimana che non vedevano altra gente, e il trovarsi di nuovo in mezzo a quelle poche decine di persone che dovevano prendere gli autobus gli fece uno strano effetto.
“Qui prende”, disse Masaya controllando il cellulare. “Quattro chiamate perse. Ichigo ha provato a chiamare la prima sera, poi si sarà resa conto che non riusciva a raggiungerci.”
“Allora chiamala adesso”, lo incitò Angel, di fianco a lui. “Voglio sentirla.”
“Sì, anch’io”, rispose il giovane, e fece squillare il suo numero, mettendo il viva voce.

A Tokyo, Ichigo era nella sua camera, sdraiata a pancia in su nel suo letto. Si sentiva stanca, quindi si era messa a letto per dormire un’oretta, ma fissava il soffitto senza riuscire ad addormentarsi. In quei giorni di vacanza sia dalla scuola che dal lavoro aveva cercato di occupare il tempo uscendo con le sue due amiche storiche, Miwa e Moe, oppure vedendosi al Caffè con qualcuna delle altre Mew Mew per fare una chiacchierata. Una volta era andata a casa di Bu-ling per aiutarla con i fratelli, un’altra volta era riuscita a farsi invitare da Minto a casa sua per provare qualcuno dei suoi vestiti più eleganti ed un’altra volta ancora era andata in biblioteca con Retasu per aiutarla a scegliere dei libri. Ma dentro sentiva sempre che le mancava qualcosa. Era come se sentisse sempre la fame, ma nessun cibo poteva riempirle quel vuoto. In quei giorni non aveva più visto né sentito né Angel né Masaya, le due persone che, insieme, erano per lei come l’aria da respirare. Sapeva, a livello razionale, che era stupido sentirsi in questo modo: dopotutto si trattava solo di una lontananza di una settimana, poi li avrebbe rivisti. Ma non poteva farci niente: i loro occhi e le loro voci le riempivano la mente anche quando stava facendo tutt’altro, e soprattutto adesso, che si trovava nel silenzio e non c’era nulla a distrarla. Oltretutto in quei giorni non poteva occupare il suo tempo nemmeno col lavoro o – eccezionalmente – con la scuola. Si stava sentendo come in una tristezza perenne, che sapeva che non le sarebbe passata finché non avesse rivisto sua figlia e il suo compagno. Sapeva che sarebbero dovuti tornare a casa quel giorno, ma aveva chiamato varie volte Masaya e non rispondeva mai nessuno.
In quel momento sentì vibrare il suo cellulare sulla scrivania, allungò di malavoglia il braccio pensando che fosse qualcuna delle sue amiche. Ma quando lesse sullo schermo il nome del suo ragazzo si rizzò a sedere di botto, affrettandosi a rispondere.
“Masaya!”, esclamò. “Sei tu…?”
“Leader!” sentì una voce squillante dall’altra parte, e si sentì lo stomaco in subbuglio. Era la voce di Angel!
“Ichigo!”, sentì anche una calda voce maschile.
A udire le voci delle due persone che per lei rappresentavano la vita, alla ragazza quasi cadde il cellulare dalla mano tremante. Ma riuscì a mantenere salda la presa e a parlare, sentendosi la bocca secca e gli occhi umidi.
“Siete voi… che bello sentirvi…”
“Ichigo, scusaci, ma dove ci trovavamo non c’era campo”, sentì la voce di Masaya.
“Non preoccupatevi, immaginavo. Quando tornate? Dove siete? Voglio rivedervi…”
“Leader, ancora un po’ ci vorrà. Dobbiamo prendere l’autobus adesso, ma questo farà più tappe di quello all’andata, arriveremo dopo cena. Forse verso le dieci.”
“Sì, arriviamo e poi accompagnerò Angel al Caffè. Saremo molto stanchi e sarà tardi, passerò da te domattina, okay?”
“Va… va bene”, annuì Ichigo. “Ma come è andato l’allenamento?”
“Te lo raccontiamo domani quando ti vediamo. Che a farlo dal telefono non c’è gusto. Okay, leader?”, chiese la voce di Angel con tono d’intesa.
“Sì, okay”, annuì Ichigo. “Fate buon viaggio.”
Quando ebbe chiuso la comunicazione, Ichigo socchiuse gli occhi. No, non ce l’avrebbe fatta ad aspettare fino al giorno dopo. Solo il pensiero di passare così tanto tempo senza vedere Angel e il suo ragazzo la faceva impazzire.
Perciò, dopo cena, si inventò con sua madre che doveva passare al Caffè a prendere certe cose, e si diresse invece verso la stazione. Sapeva che non era una buona idea, e stava facendo qualcosa di rischioso. La grande stazione dei treni e degli autobus non era il posto più sicuro della città una volta calata la notte, soprattutto per una ragazza sola. Ma non le importava niente. Pioveva. Una fitta e fredda pioggia invernale, e lei si coprì bene con l’impermeabile tirandosi su il cappuccio, lasciandosi scoperti solo gli occhi e il naso. Una volta che fu arriva alla stazione, alle nove e mezzo, rimase ad aspettare nella pioggia e nel freddo senza nemmeno sapere quando l’autobus sarebbe arrivato. Diede un’occhiata al piazzale, con la torretta dell’orologio in mezzo. Si sentì il cuore in tumulto. Doveva star provando le stesse sensazioni che doveva aver provato Masaya un anno e mezzo prima, sempre in quello stesso luogo, quando sotto la pioggia battente l’aveva aspettata per tutte quelle ore senza sapere quando e se sarebbe arrivata. Il bisogno e il desiderio di incontrare le due persone che per lei erano ognuna una metà del suo cuore cresceva man mano che aspettava, e non sapeva se l’acqua che si sentiva sul viso era davvero solo la pioggia. Era stata solo una settimana lontana da loro, ma per tutto l’anno passato – due, nel caso di Masaya – era stata così abituata a stare insieme a loro tutti i giorni che adesso sette giorni le parevano sette mesi.

Dopo mezz’ora che era lì ferma ad attendere, vide arrivare uno degli ultimi autobus. Rimase col fiato sospeso finché non vide scendere prima Angel, con la giacca e il suo zainone caricato sulla schiena, seguita subito dopo da Masaya, anche lui col suo zaino, che si affrettò ad aprire l’ombrello sopra le loro teste perché non prendessero l’acqua, visto che nessuno dei due aveva il cappuccio. Ichigo provò un senso come di vuoto che si riempiva a vederli. Era stata solo una settimana senza di loro, ma li guardava e le sembrava di trovarli cambiati, diversi da quando erano partiti. La certezza che aveva era che ogni giorno senza di loro era stato sempre più difficile da sopportare, ed ora erano di nuovo lì, davanti a lei. Fece un passo avanti, e udendo il tonfo del piede nell’acqua, Angel col suo udito sensibile si voltò di scatto.
“Leader! Sei qui!” esclamò presa dall’emozione, e senza preoccuparsi di uscire dalla protezione dell’ombrello, si tolse lo zaino dalle spalle e le corse incontro. Ichigo, trasognata al vederla correre verso di lei, istintivamente allargò le braccia, ed Angel le si gettò addosso, facendola quasi cadere all’indietro.
“Sei venuta ad aspettarci, leader! Che bello rivederti!”, sentì esclamare Angel con calore, e tutto quello che poté fare fu stringerla più forte che poté, come se non volesse più che si allontanasse da lei.
“Fatti vedere”, le disse poi, staccandola leggermente da sé, e la guardò bene in viso. L’espressione di sua figlia era raggiante e lusingata, e Ichigo se ne impresse nella mente ogni particolare, ogni suo lineamento e ogni sentimento che traspariva dal suo sguardo. Vide che gli occhi di Angel erano molto diversi rispetto a quando era partita: come se avessero una certa consapevolezza mentre la guardavano, una serenità di fondo che prima non avevano. La abbracciò di nuovo appoggiando la fronte contro la sua, passandole le dita fra i capelli ormai zuppi.
“Mi sei mancata… tantissimo”, le disse in un mormorio, socchiudendo gli occhi.
“Anche tu, molto. Ma adesso siamo tornati, i prossimi giorni potremo stare ancora insieme”, rispose Angel incoraggiante, girando la testa dietro di sé.
Al sentirla parlare usando il plurale, Ichigo si ricordò improvvisamente che c’era un’altra persona lì, oltre alla sua adorata figlia. Era stata così presa da lei, da quella ragazza che era il sangue del suo sangue, che quando l’aveva vista si era quasi scordata del ragazzo con cui l’aveva generata. Lui era rimasto al suo posto, reggendo l’ombrello, si era tolto anche lui lo zaino appoggiandolo a terra contro quello di Angel, e guardava le due ragazze con uno sguardo che Ichigo non riuscì a decifrare subito. Ma poi riconobbe le stesse sensazioni che provava lei quando vedeva Masaya ed Angel insieme. E dallo sguardo che abbracciava entrambe, Masaya si spostò solo su di lei, guardandola fissa con un misto di bisogno, amore e stupore di trovarla lì. Al vederlo che la fissava così, Ichigo lasciò Angel e corse verso di lui. Il giovane lasciò cadere l’ombrello e la afferrò al volo, abbracciandola forte e tenendola stretta a sé, mentre la ragazza lo teneva abbracciato al collo. Masaya la staccò poi da sé e le tirò giù il cappuccio per poterla vedere meglio, incurante che ora sia lui che la sua compagna si stavano prendendo la pioggia. Ichigo lo guardò negli occhi e si rese conto di essergli mancata tanto quanto lui era mancato a lei, e che ora avevano un bisogno disperato uno dell’altra, sia emotivo che fisico.
“Perché sei venuta qui, amore? Non è sicuro di notte, per una ragazza sola poi…” le chiese il ragazzo, con tono apprensivo.
“Non riuscivo più ad aspettare…”, si spiegò lei, stringendo appena gli occhi mentre lo guardava.
Masaya la fissò per alcuni secondi, poi la strinsé a sé di nuovo. Si abbracciarono, baciandosi affamati l’uno dell’altra, accarezzandosi il viso e i capelli, tastandosi sopra la giacca pesante, mormorando appena i loro nomi con un trasporto e un desiderio nel tono da sentirsi i brividi nel corpo, e tra un bacio e l’altro fermandosi per guardarsi per qualche secondo negli occhi, vedendo nelle loro pupille la loro interiorità e la loro anima.
Ichigo non avrebbe nemmeno saputo dire quanto aveva bisogno di lui, in quel momento. Non sapeva nemmeno lei cosa li tratteneva dal lasciarsi cadere riversi su quel pavimento piastrellato coperto d’acqua. Si stava sentendo le gambe cedere, e sentiva che anche lui stava facendo fatica a tenersi in piedi. Si sentì proiettata a un anno e mezzo prima, quando lei e Masaya erano due ragazzi di nemmeno quattordici anni che avevano appena scoperto l’amore. Quando si erano dichiarati i loro sentimenti in quella stessa piazza, con quella stessa identica pioggia, anche se allora era settembre e adesso era marzo. Anche se allora tutto quello che avevano fatto era stato abbracciarsi, ed ora si stavano dimostrando il loro amore in tutti i modi in cui il contesto e gli indumenti glielo permettevano. Anche se allora Masaya, se lo ricordava bene, era chiaramente un ragazzo che stava finendo il proprio sviluppo, mentre ora lo guardava e vedeva lo sguardo di un uomo, sentiva su di sé le mani di un uomo ed era abbracciata al corpo di un uomo. E la stessa cosa valeva per lei, era tra le braccia di Masaya che, qualche mese prima, era diventata adulta e aveva accolto il suo essere donna, sia nel fisico che nei sentimenti. Loro due erano molto cambiati, ma il luogo in cui si trovavano era sempre lo stesso. Tutto era tale e quale a un anno e mezzo prima, loro due soli nel buio della notte e nel freddo della pioggia…
“Ah-ehm…” sentì qualcuno schiarirsi la voce più in là, come a voler smentire i suoi pensieri. Girarono la testa e videro Angel che, mentre loro due erano velati nella loro bolla, si era avvicinata rapidamente ed aveva raccattato ombrelli e zaini. Ora stava a una decina di metri di distanza, tenendosi l’ombrello sulla testa e con gli zaini appoggiati alle gambe. Teneva esitante lo sguardo basso, muoveva appena il piede in una pozzanghera davanti a lei, e Ichigo si rese conto di non averla mai vista così imbarazzata prima d’ora.
Angel alzò la testa e guardò l’ombrello di Masaya che ora stava reggendo.
“Eh perché… per non far bagnare le cose nello zaino… sennò il boss poi mi mena…” cercò di spiegarsi.
Masaya riuscì a malapena a soffocare una risata. Anche a Ichigo venne da ridere a quella spiegazione buttata là, e si rese conto solo in quel momento che Angel doveva provare quel grosso imbarazzo perché stava vedendo i suoi genitori baciarsi in quel modo intenso davanti a lei. Ecco quello che veramente faceva la differenza tra ora e un anno e mezzo fa: allora lei e Masaya erano soli in quella piazza buia e battuta dalla pioggia, adesso invece c’era Angel a poca distanza da loro, che li guardava vergognosa e sentendosi di troppo.
“Va bene, andiamo. Ti riaccompagnamo a casa”, propose allegramente, avvicinandosi a lei per mettersi sotto l’ombrello.
Anche il ragazzo si avvicinò, e tolse ad Angel l’ombrello dalle mani per reggerlo più in alto. Prese il proprio zaino e se lo caricò sulla schiena. Anche Angel fece per prendere il suo, ma Ichigo la precedette.
“Lascia, te lo porto io. Tu sei stanca”, disse tirandosi sulle spalle lo zainone.
Angel era sorpresa, ma, notò Ichigo, neanche più di tanto. Le due ragazze si strinsero a Masaya, una di qua e l’altra di là, e si diressero verso l’imboccatura della metro più vicina.
“Allora, com’è andato l’allenamento?” chiese Ichigo ai due, una volta seduti nel treno.
“Leader”, annunciò Angel orgogliosamente “ce l’ho fatta. Ora sono capace di usare il Jinseikou, dall’inizio alla fine.”
“Non avevo dubbi che saresti riuscita”, sorrise Ichigo, guardandola con calore. “E siete stati bene insieme?” chiese ancora, guardando il suo compagno.
“Sì, benissimo”, confermarono sia lui che Angel.
“Lo vedo”, commentò Ichigo, guardando la figlia attentamente. “Sei diversa, Angel, è da prima che l’ho notato.”
“Sì, può darsi”, annuì l’altra, abbassando appena lo sguardo. “Oh, questa è la mia fermata”, disse poi guardando il contatore sopra la porta.
“Ti accompagnamo”, proposero i due fidanzati.
“No, no, tanto sono duecento metri, voi state qui, io faccio una corsa. Andate a casa anche voi, che siete stanchi”, disse decisa Angel, mettendosi sulle spalle il suo zainone. “Poi quando hai svuotato lo zaino, lo puoi riportare domani”, aggiunse a Masaya.
“Aspetta, Angel”, la fermò Ichigo con trasporto, prima che si aprissero le porte. Angel la guardò interrogativa, e Ichigo, senza riflettere, la avvicinò a sé dandole un bacio sulla guancia. L’altra aveva un’espressione stupita e si toccò la guancia, ma il suo stupore mutò presto in un sorriso commosso mentre guardava la sua leader.
“Ci… ci vediamo domani. Buonanotte!”, li salutò scendendo dal treno.
“Ciao… angioletto…” mormorò Ichigo con affetto una volta che le porte si furono chiuse e quindi Angel non poteva più sentirla. Le venne in mente subito dopo che era proprio per via di quell’appellativo affettuoso che Angel si chiamava così, ed ingoiò la saliva che aveva in bocca. Chissà, nell’epoca da cui veniva Angel, quante volte l’aveva chiamata con quel vezzeggiativo prima di decidere di darle quel nome…
“La tua fermata è la prossima, Ichigo, inizia a prepararti. Ti accompagno fino alla porta, poi tornerò alla metro”, sentì che diceva Masaya di fianco a lei.
Si voltò a guardarlo. Al solo pensiero di separarsi di nuovo da lui si sentì mancare il respiro. Lo abbracciò stretto. “Rimani con me stanotte…”
“Stanotte?”, chiese il ragazzo, meravigliato.
“Sì, rimani a dormire da me. Mia madre è andata a letto, e mio padre ancora non è tornato”, insisté lei.
Lui la guardò prima negli occhi con desiderio, ed estese poi lo stesso sguardo a tutto il resto del suo corpo. Lei aveva bisogno di lui dopo una settimana di lontananza, e sapeva che anche lui era arrivato al limite di sopportazione.
“Sì, rimango da te”, annuì, accarezzandole il viso. Anche solo da quel semplice tocco Ichigo si rese conto di quanto la desiderava. D’altra parte, prima avevano dovuto interrompere bruscamente le loro effusioni perché Angel li stava guardando.
Arrivati davanti a casa della ragazza, stretti l’una all’altro sotto l’ombrello e con l’acqua che cadeva intorno a loro, Ichigo aprì la porta con cautela e, trovando l’interno della casa buia, velocemente si tolse le scarpe e scrollò l’impermeabile fuori dalla porta, imitata dal suo ragazzo. Si diressero poi in punta di piedi e a luce spenta al piano di sopra, tenendo le scarpe in una mano e Masaya reggendosi lo zaino sulle spalle. Il padre di Ichigo ancora non era rientrato, lo si poteva facilmente capire dal fatto che tutto era silenzioso e non si sentisse il suo russare. Una volta in camera, Ichigo chiuse velocemente la porta e Masaya appoggiò in un angolo il pesante zaino. La ragazza si tolse svelta l’impermeabile, si sciolse i nastri dai capelli in disordine e si precipitò contro di lui, senza quasi dargli il tempo di togliersi la giacca e senza nemmeno accendere la luce. Quella dei lampioni che entrava dalla finestra per loro era sufficiente.
I due innamorati si strinsero uno all’altra, baciandosi con foga, accarezzandosi il viso e affondandosi le dita nei capelli bagnati. Ichigo sapeva che avrebbe dovuto per prima cosa andare in bagno e prendere degli asciugamani per permettergli di asciugarsi, ma non riusciva più a resistere, e sapeva che per il suo ragazzo era lo stesso. Tanto, da lì a qualche minuto si sarebbero di nuovo trovati bagnati, di sudore invece che di acqua piovana. Lo afferrò per le spalle facendolo avvicinare al suo letto, e a quel punto Masaya la prese tra le braccia facendola sdraiare, sistemandosi sopra di lei e baciandola con tutta la passione che aveva dovuto tenere dentro per una settimana intera.
“Piano… facciamo piano, che mia madre si sveglia…” riuscì a sussurrare Ichigo, recuperando un momento di lucidità, appena riuscì a staccare le labbra da quelle del ragazzo.
Si rese conto di avergli chiesto una cosa grossa, ed era una condizione grossa anche per lei: entrambi provavano per l’altro un amore e una passione così immensi che, quando si trovavano a letto insieme, la tenerezza e il rispetto permeavano ogni loro azione e movimento, ma certo non il silenzio. Finora i cigolii del letto, i gemiti di passione, le parole dette a mezza voce, lo schiocco dei baci non erano stati un problema, perché non avevano mai fatto l’amore quando in casa c’era qualcun altro: a casa del ragazzo non c’era mai nessuno quando lei si fermava a dormire, e durante il weekend di San Valentino avevano addirittura preso una stanza d’albergo.
Ma Masaya non aveva intenzione di lasciarsi rovinare la serata solo per quella condizione. “Va bene”, le sussurrò. “Non ci muoveremo quasi.”
Così, visto l’obbligo del silenzio che imponeva l’ambiente e il poco spazio a disposizione – il letto di Ichigo era più stretto di quello di Masaya –, i due innamorati si adattarono come meglio poterono. Ichigo, sotto le coperte, sdraiata sul fianco con lui che la abbracciava da dietro, rimase ad occhi chiusi godendo del pieno contatto del suo corpo, delle sue braccia che la stringevano, delle sue carezze sulla pelle, dei suoi baci sul collo e delle sue parole appena sussurrate, ed ogni tanto girando la testa per poterlo baciare sulla bocca, mentre lo sentiva spingere dentro di lei lentamente e senza scatti per non far cigolare il letto, ed ogni tanto emettendo un debole gemito o udendone uno nell’orecchio. Si sentiva presa dall’estasi, dall’amore più puro e dall’unione completa col suo compagno, da cui era stata costretta a stare separata per una settimana, e rendendosi conto una volta di più, nel buio di quella stanza in cui tutto quello che c’era e contava erano loro due, di come Masaya fosse la sua anima gemella, di come potessero raggiungere la loro pienezza solo stando insieme, come una coppia e come una famiglia.
Lo sentì stringerla più forte, un gemito appena più profondo che non riuscì a trattenere, il suo corpo irrigidirsi per alcuni secondi, poi un sospiro e i muscoli allentarsi. Il giovane ansimò in silenzio, stanco, per riprendersi, e Ichigo, ad occhi socchiusi, rimase alcuni secondi a sentire i forti battiti del suo cuore sulla schiena, prima di girarsi verso di lui, abbracciarlo, accarezzare la sua pelle umida di sudore e baciarlo con passione, affondando le dita nei suoi capelli arruffati e bagnati. Allungò una mano per accendere la lampada sulla scrivania, in modo che i loro visi fossero illuminati. Durante il rapporto, per il fatto che gli voltava la schiena, non aveva potuto scorgergli l’espressione nemmeno quando girava la testa verso di lui per baciarlo. Invece ora che avevano finito e con quella luce da tavolo, per quanto fioca, riuscì a vedergli bene i lineamenti e lo sguardo. Ichigo adorava guardare Masaya negli occhi, e adorava in particolare lo sguardo profondo, intenso ed appagato che le rivolgeva poco dopo aver finito di fare l’amore. Dallo scorso San Valentino si era infatti resa conto che era proprio in quel momento che poteva cogliere nei suoi occhi lo stesso sguardo della figlia che amava. Certo, Angel e Masaya erano due persone diverse, con personalità diverse, ma quando il suo ragazzo la guardava così, lei fissava le sue pupille e le sue iridi nocciola e vedeva lo stesso sguardo di Angel. Gli stessi occhi che avrebbe potuto ritrovare da lì alla morte, anche quando la figlia non sarebbe più stata con loro. Masaya, che lo sapeva, la lasciò fissare il suo sguardo con gli occhi lucidi, poi avvicinò il viso al suo dandole un profondo e intenso bacio, a conclusione del loro rapporto d’amore.
Ichigo rimase stretta al suo uomo per qualche minuto, sentendo il calore della sua pelle e la forza del suo abbraccio, tenendo appoggiata la testa al suo collo, ad occhi socchiusi. Poi si staccò appena e lo guardò.
“Allora, com’è andata la settimana?”, chiese a bassa voce, di buon umore e appagata. “Ho visto Angel diversa… come se fosse cresciuta ancora. Cos’è successo?”
“Beh… diciamo che ha avuto qualche problema il primo giorno. Non riusciva a trovare il suo potere dentro di sé, e quando le ho spiegato che doveva avere uno spirito sereno per poterlo trovare, mi ha addirittura detto che voleva smettere l’allenamento e tornare a casa”, le mormorò Masaya.
Ichigo allargò gli occhi a quelle parole, scioccata, e il ragazzo continuò. “Quella notte le ho chiesto spiegazioni, visto che non riusciva a dormire, e mi ha detto che aveva paura di combattere contro Flan.”
“Ma non è possibile”, obiettò Ichigo in un soffio. “Angel non ha mai avuto paura di Flan. No, mai. Anzi, tutto quello che ha sempre voluto è riuscire a vendicarsi di lui. Forse non ti ha detto la verità, anche se mi sembra impossibile.”
“No, era la verità”, rispose Masaya. “Ma è una risposta che nascondeva qualcos’altro. Non ha paura proprio di Flan, ma di qualcos’altro che potrebbe succedere durante il combattimento contro di lui.”
“Ma che cos’ha, che cos’ha…?”, ripeté Ichigo, confusa. “Hai notato qualcos’altro?”
“Sì, a volte mi è sembrato che facesse fatica a correre.”
“In che senso fatica a correre?”
“Quando doveva correre e saltare velocemente per raggiungere il luogo di allenamento. Non riusciva a tenermi dietro. Lei diceva che era per la neve alta, ma mi è sembrato molto strano. È sempre stata molto veloce e agile nella corsa. Ma non ha voluto dirmi niente in proposito.”
Ichigo rifletté, turbata. “Anche mentre combattevamo le settimane passate l’ho vista comportarsi in modo strano… quando non è riuscita ad attaccare in salto quel serpente, e quel modo legnoso di schivare, senza la sua solita passione… e tu cosa le hai detto poi, quella notte?”
“Ho fatto quello che potevo, e le ho detto la verità. Che per me e per te lei è la persona più importante che esista e che durante la battaglia finale staremo con lei e la proteggeremo.”
“Hai fatto bene”, annuì Ichigo. “Te lo dico tranquillamente, se servirà a salvarla, io mi faccio ammazzare. L’ho fatto nel tempo da cui proviene, lo farò anche qui.”
“Vale anche per me. Ma non devi pensarlo, amore mio. Non ce ne sarà bisogno, qui nessuno di noi morirà. Vedrai, vinceremo e ne usciremo tutti vivi”, le disse Masaya stringendola forte.
“Ed era per questo che l’ho vista così diversa?”, chiese lei.
“Sì. Perché adesso sa quanto è importante per noi, quanto la amiamo, e che potrà contare su di noi. Per questo non ha più paura, di qualunque cosa potrà succedere. Infatti poi ha trovato il suo potere, anche se non ho fatto in tempo ad addestrarla meglio.” Tolse una mano dal corpo di Ichigo e si arruffò i capelli. “Sarebbe stato meglio se avessimo avuto più giorni… non ha avuto il tempo di esercitarsi, siamo dovuti venire via appena è riuscita a portare a termine l’attacco. Le avevo detto che il suo allenamento sarebbe stato concluso a quel punto, ma l’ho fatto per darle un obiettivo possibile da raggiungere… Spero con tutto il cuore che non abbia bisogno di usare il Jinseikou contro Flan… È l’unico timore che ho: non è detto che riesca ad usarlo correttamente in un contesto come quello… e se dovesse sfuggirle e distruggere tutto?”
“No, io ho una fiducia enorme in Angel, e sono sicura che non avrà problemi quando sarà il momento. Cerca di star tranquillo anche tu. La battaglia sarà fra quattro giorni…”, mormorò Ichigo. “Sarà una giornata decisiva, per tutti noi e per lei.”
Si addormentarono abbracciati, sentendo ardente nel petto il sentimento che provavano l’uno per l’altra e per la loro figlia.

Ryou, nel frattempo, stava girando nervosamente per la sala buia del Caffè. In teoria avrebbe dovuto essere di buon umore: era stato con Retasu per tutto il pomeriggio, e la sua ragazza era tornata a casa solo all’ora di cena. Ryou sentiva sempre un gran senso di benessere, tranquillità e pace quando era insieme a lei. Con lei poteva parlare di tutto, vista la grande curiosità ed intelligenza di Retasu, e anche quando lui la teneva abbracciata a sé provava quelle belle sensazioni che ricordava di aver provato solo stando insieme ai suoi genitori in America. Sì, non c’era dubbio che Retasu fosse la sua compagna ideale. Chissà perché non l’aveva capito appena l’aveva conosciuta…
Ma, nonostante la stimasse e la apprezzasse e fosse felice ogni volta che era in sua compagnia, Ryou per tutta quella settimana aveva sentito la mancanza della sua coinquilina, amica e – poteva pensarlo senza vergognarsi? – quella che ormai considerava quasi come una sorella. Gli erano mancati le sue stravaganze, il suo carattere impossibile e tutti i battibecchi che aveva abitualmente con lei. Non sapeva nemmeno lui come aveva fatto ad accettare che fra qualche giorno Angel sarebbe sparita dalla sua vita.
Ormai era sera tardi. Ryou sapeva che sia lei che suo padre sarebbero dovuti tornare proprio quel giorno, ma ancora niente. Keiichiro se ne era già andato a dormire, ma lui non ci riusciva. Non vedeva l’ora che Angel tornasse, e di trovarsela ancora per qualche giorno tra i piedi per la casa.
Buttando l’occhio fuori dalla finestra, vide a quel punto, così dal nulla, proprio l’oggetto dei suoi pensieri che stava percorrendo il vialetto battuto dalla pioggia, girando poi per entrare dalla porta sul retro, di cui aveva la chiave.
Un ghigno perfido si aprì sul viso del ragazzo, insieme al senso di sollievo che sentì dentro, e senza accendere le luci si diresse velocemente sul retro del Caffè, sistemandosi dietro la porta. Sentì la chiave girare nella toppa, la porta aprirsi con cautela ed Angel entrò silenziosamente, gocciolando sul parquet. Evidentemente pensava che i suoi amici dormissero tutti e due. Ryou aspetto che facesse qualche passo avanti e mettesse giù lo zaino, poi si avvicinò da dietro lesto e la afferrò circondandola attorno alle spalle con un braccio, mentre con l’altra mano le scarruffò i capelli zuppi. Ad Angel, che non se l’aspettava, scattò l’istinto dell’animale selvatico preso in trappola ed iniziò a dimenarsi spaventata e cercando di liberarsi dalla presa, lasciando andare esclamazioni di sorpresa e paura.
“Sta’ ferma, bestia!”, rise Ryou, chiudendo la mano a pugno e strofinandogliela sulla testa. Quanto gli era mancato apostrofarla così!
“Boss! Ti possano…!” gridò Angel, riconoscendolo. Si divincolò dalla sua presa, liberandosi, si girò verso di lui e gli diede una spinta facendogli sbattere la schiena contro il muro.
Ma Ryou, invece di arrabbiarsi o fare un verso di dolore, iniziò a ridere di gusto, accendendo finalmente la luce. Anche Angel rise insieme a lui, e Ryou si avvicinò a lei mettendole un braccio intorno al collo.
“Allora com’è andata, bestiaccia? Hai fatto morire tuo padre d’un colpo o è tornato a casa anche lui?”
“E’ tornato, è tornato e sta benissimo”, rise Angel a quella domanda.
“Hai imparato a usare l’attacco di Profondo Blu? O ti sei fatta la settimana bianca?” la punzecchiò ancora Ryou.
“Per chi mi hai preso? Certo che ho imparato a usarlo!”, rispose lei, appoggiandogli una mano sul braccio. “E tu, invece? Ti sono mancata?”
“Nel bene e nel male”, rispose lui, facendo il misterioso. Non c’era mai una volta in cui Angel, quando gli faceva una domanda diretta sui suoi sentimenti, avesse da lui una risposta chiara. “Va’ su a darti un’asciugata prima di andare a letto. Adesso che sei tornata vado a dormire anch’io.”
“Oh”, fece Angel guardandolo con aria maliziosa. “Allora mi stavi aspettando, eh? Non riuscivi a dormire senza di me.”
“Va’ su”, la incitò Ryou, seccato, alzando la voce. “Che già mi hai stufato. Non voglio rivederti fino a domattina.”
Angel si mise a ridere e salì in camera. Appena si fu chiusa la porta alle spalle, ci si appoggiò con un gran sospiro contento. Il boss le era mancato molto. Come anche Keiichiro e le sue quattro compagne, che avrebbe rivisto l’indomani. Beh, le mancavano ancora tre giorni da vivere pienamente insieme, prima di dover salutare questo mondo.
Prima di prepararsi per andare a dormire, ripensò a quel momento sgradevole che aveva passato in piazza, mentre osservava i suoi genitori baciarsi e coccolarsi quasi come se lei non fosse stata lì. Non era tanto quello che l’aveva fatta vergognare, in fondo non era nemmeno la prima volta che li vedeva scambiarsi effusioni. Ed anzi provava un gran senso di gioia e sollievo nel constatare che suo padre e sua madre erano così innamorati. Quello che le aveva fatto provare imbarazzo era qualcos’altro. Era quello sguardo che si erano scambiati fra un bacio e l’altro. Sì, li aveva visti baciarsi e abbracciarsi altre volte, ma il modo in cui si erano guardati poco prima era diverso da tutti gli altri sguardi che finora si erano scambiati in sua presenza. Era uno sguardo… intimo, che contemporaneamente accoglieva e penetrava l’altro. Che l’aveva fatta sentire decisamente di troppo. Angel non aveva mai avuto un ragazzo, né era mai stata innamorata in vita sua, ma per la prima volta, scorgendo il modo in cui si guardavano, aveva avuto un assaggio di comprensione di cosa volesse dire fare l’amore con qualcuno. Aveva visto nei loro occhi il trasporto e il desiderio, non si erano mai guardati in quel modo davanti a qualcuno, tantomeno davanti a lei. Per la prima volta aveva assistito a un rapporto d’amore tra suoi genitori, anche se limitato solo agli occhi. Ecco perché aveva provato quella grande vergogna di essere lì con loro. Scosse appena la testa per scacciarsi quella sensazione di dosso, e andò a prendere il pigiama nel cassetto.
Una volta nel letto, volle ancora pensare a una cosa prima di addormentarsi: al suo incontro con Ichigo, prima che si mettesse a baciare suo padre, e poi anche dopo, sulla metro prima di scendere. La sua leader per la prima volta l’aveva baciata! Masaya l’aveva baciata sulla fronte per la prima volta una settimana prima, e adesso l’aveva fatto anche lei, però sulla guancia. Sì, ripensando al modo in cui Ichigo l’aveva abbracciata, baciata e guardata, poteva credere senza nessun dubbio alle parole che le aveva detto Masaya la prima notte in montagna: per lui e per Ichigo era la persona più importante del mondo. E a ripensarci, Angel non venne presa dall’angoscia e dalla paura di lasciarla, come le succedeva fino a poco tempo fa. Anzi, quella serenità e pace che suo padre le aveva trasmesso la fecero sorridere tranquilla. Sapeva che fino all’ultimo sarebbe stata con lei, per lei avrebbe rischiato la vita, e Angel sarebbe morta sapendo che veramente Ichigo la amava nel modo in cui aveva sempre desiderato.
‘Mamma...’ pensò strizzando gli occhi e sentendosi le lacrime premerle sotto le palpebre, prima di addormentarsi.

 

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E siamo a meno 3! La battaglia finale in realtà dura due capitoli e mezzo, non due, e quindi partirà verso la fine del prossimo. Quindi sarà in realtà tutto un blocco unico spezzato solo per ragioni di spazio. Lo devo pensare e scrivere bene, quindi potrei metterci un po' di più. Ma questa storia è stata tanto lunga che si merita una fine come si deve! Farò il possibile comunque per far arrivare presto il prossimo capitolo! Grazie mille per il vostro supporto!

   
 
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