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Autore: _KyRa_    02/09/2009    11 recensioni
Chi è che se ne stava in camera mia quando sono arrivato?!-.
-Avevo sonno e mi sono addormentata!-.
-Sul mio letto?! Ammettilo che sei cotta di me!-.
Io cominciai a ridere da assatanata.
David ascoltava in silenzio la conversazione, sorseggiando il suo the ad occhi chiusi, non troppo interessato mentre i tre ragazzi si passavano sconsolatamente una mano sul viso.
Genere: Erotico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '~ Beats Of My Heart ~'
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capitolo 23

Capitolo 23


Il mattino seguente sperai che fosse stato tutto un bruttissimo incubo. Pregai affinché trovassi affianco a me Tom. Pregai perchè mi trovassi a Berlino, come sempre. Aprii lentamente gli occhi come a non voler rendermi conto della cruda realtà alla quale ero andata in contro. Ero completamente indolenzita. Mi ricordai di essermi addormentata per terra, dopo la chiamata di Tom. E no, purtroppo l'incubo era realtà. Mi trovavo sul serio nella mia vecchia stanza. Segregata. Niente di più brutto per una persona che ha sempre cercato la sua libertà. Mi sentivo un animale in gabbia. Mi mancava l'aria. Volevo uscire. Volevo Tom. In quel momento nessuno poteva mancarmi quanto lui. Era tutto ciò di cui avevo bisogno. Il suo sorriso rassicurante che vedevo ogni mattina, i suoi baci, le sue coccole. Tutto quello mi mancava, nonostante fosse passato solo un giorno. Mi rattristava e mi spaventava tantissimo la domanda che formulava la mia mente: quando lo avrei rivisto? Proprio in quell'istante sentii la serratura della porta scattare e mi affrettai ad alzarmi e sedermi sul letto, con il cuore al massimo della velocità. La porta si aprì e vidi la persona che più odiavo in quel momento.


-Dormito bene?- mi chiese strafottente mio padre e con un sorrisetto furbo stampato in faccia. Io non gli risposi, semplicemente lo guardavo con odio. Vidi che mi si avvicinava. -Allora? Ti manca il tuo fidanzatino?- mi domandò di nuovo avvicinandosi sempre di più.


-Stammi lontano- dissi spaventata, schiacciandomi con la schiena al muro, sempre seduta sul materasso. Lui continuava a sorridere fino a che non si trovò a due millimetri da me. Per un attimo credei di non respirare più. Avevo la nausea. Il suo alito che sapeva di birra, continuava a picchiarmi sulle labbra e la cosa mi dava un fastidio allucinante. -Mi spieghi cosa vuoi da me?- gli chiesi in un sussurro.


-Voglio che tu faccia la stessa fine di tua madre, così che io possa sentirmi ripagato dei diciassette anni che mi avete rovinato con la tua esistenza. Già, se sei qui è solo colpa di tua madre- rispose. Erano trecento pugnalate al cuore, di più. Tutte in una volta. Lo sapevo quello che pensava, ma sentirselo dire... era totalmente differente.


-Lo so che mi hai sempre odiata, che non mi hai mai potuto vedere. Proprio per questo allora ti dico che me ne voglio andare. Così ti lascerò in pace una volta per tutte. Fa come se non esistessi- cercai di metterla a suo favore. Lui sorrise di nuovo scuotendo la testa. I suoi occhi non abbandonavano i miei. Erano identici. I miei occhi erano identici a quelli di mio padre. E la cosa mi faceva quasi schifo. Li avevo sempre adorati i miei occhi. Solo in quel momento mi accorsi di quelli di mio padre.


-No, non sarebbe divertente e la cosa finirebbe qua- disse.


-Perchè ti vuoi complicare la vita?-.


-Non me la sto complicando, la sto rendendo più divertente-.


-Bastardo-. Mi era uscita dal cuore, spontanea. Talmente tanto da ricevermi uno schiaffo bello forte sulla guancia sinistra.


-Non si parla così a tuo padre- sorrise.


-Tu non sei mio padre- ribattei con le lacrime agli occhi. Quello schiaffo mi aveva fatto male, così come tutte le cose che dovevo sentirmi dire. -Per colpa tua, tua e unicamente tua, io non ho potuto vivere un'infanzia come si deve. Per colpa tua io dovevo tornare la sera da pallavolo con le mani davanti a me per difendermi appena varcavo la soglia. Per colpa tua cercavo sempre scuse per non tornare a casa. Avevo paura di dormire. Avevo paura di uscire. Avevo paura che i miei amici ti vedessero. Che vedessero la merda che sei- un altro schiaffo, stavolta più forte, ma io andavo avanti imperterrita. -Dovevo aiutare la mamma a vomitare, dovevo continuamente far finta di nulla se vedevo delle pastiglie di ecstasy passarmi sotto gli occhi- stavo piangendo impassibile. Dovevo prendermi le botte senza fare una piega. Mi hai rovinato la vita Roy- per la prima volta lo chiamai con il suo nome ma lui non mosse un muscolo. -Ma sicuramente a te non importerà più di tanto, era quello che volevi... ci sei riuscito. Complimenti.. vuoi un applauso? È questo che vuoi?-.


-Smettila, sei solo una bambina e non capisci un cazzo- rispose serio.


-Vattene, Roy, vattene, non ti voglio più vedere. Tienimi chiusa qua dentro per sempre se vuoi. Ma non far mai più vedere quella faccia da culo che ti ritrovi- implorai schifata.


-Perfetto, l'hai voluto tu. Sei tu che me l'hai chiesto. Se vuoi morire qua dentro, fallo, non mi interessa- concluse allontanandosi e dandomi le spalle. Uscì dalla stanza e richiuse la porta a chiave. Io mi raggomitolai a lato del letto mentre le ultime lacrime erano già scese. Non avevo neanche più la forza di piangere. Forse mi ero data la zappa sui piedi facendo in quel modo. Ma non mi interessava. Ad un tratto prese a vibrare il mio cellulare per terra. Scesi dal letto, mi sedetti sul pavimento e lo recuperai sapendo già chi fosse.


-Tom- cercai di risultare tranquilla, come sempre.


-Piccola, come stai?- mi chiese.


-Bene, bene.. apparte che mi manchi-.


-Anche a me manchi un casino, cucciola. Tua madre?-.


-Mah, il solito. Ci vorrà un po' di tempo prima che si riprenda del tutto-.


-Ah... quindi... passerà tanto prima che ti rivedo-. Io rimasi in silenzio. -Tesoro, non ce la faccio più- mi disse con la voce che tremava. Anche a me venne il magone ma cercai di controllarmi.


-Tom, ti prego, non farti sentire così- sussurrai.


-Sara, non sono tranquillo. Questa è la verità. Ho paura che tuo padre possa fare qualcosa da un momento all'altro-.


-Tom, sono grande ormai, so cavarmela-.


-Non c'entra. Non sei abbastanza grande per difenderti da un uomo come lui. Ti devo ricordare cosa ti ha fatto l'ultima volta che è riuscito a entrare allo studio? Perchè non sei rimasta qui?-.


-Te l'ho detto, per mia madre-.


-Sara, sappiamo tutti cos'ha ormai tua madre e a cosa andrà in contro-. Io chiusi gli occhi deglutendo a fatica. -Non voglio essere spietato. Ma purtroppo è la realtà. Tu hai ancora una vita davanti invece. E devi vivere, amore. Cosa che non sei riuscita a fare in diciassette anni-. Io mi misi a piangere.


-Tom, hai ragione... ma... le cose... sono, sono molto più complicate... di quello che credi- singhiozzai sentendo un forte dolore al petto.


-In che senso? Mica mi stai nascondendo qualcosa? Mi hai promesso di essere sempre sincera con me!-.


-E infatti lo sono. Il problema è che io non posso abbandonare mia madre, non adesso. Scusami-.


-Fa come vuoi-. Mi buttò il telefono in faccia. Aveva fatto bene. Mi odiavo da sola per come stavo trattando Tom. Gli facevo credere che per me lui non avesse tutta quest'importanza e continuavo a mentirgli. Ero uno schifo di persona. Mi portai le mani al viso e piansi sentendomi in colpa.



*


Tom aveva appena riattaccato il telefono, deluso. Sapeva che Sara si trovava in difficoltà con sua madre e faceva fatica ad abbandonarla ma sentiva anche che qualcosa non andava. Che non gli aveva raccontato tutta la verità. Gli stava nascondendo qualcosa e questo lo rendeva furioso. Era sempre stata sincera con lui, anche troppo in certi momenti. Perchè gli doveva nascondere qualcosa? Forse perchè si trovava in una situazione troppo grave? Scosse la testa cercando di non pensare al peggio. Uscì dalla sua stanza e scese le scale arrivando in cucina dove Bill, Georg e Gustav stavano facendo colazione assonnati. Anche loro non dormivano al pensiero di Sara in quella casa.


-L'hai sentita?- chiese Bill a suo fratello. Tom annuì serio, sedendosi al tavolo, affianco a Georg. -Come sta?- domandò di nuovo.


-Dice che sta bene- rispose Tom.


-Meno male- sospirò Gustav.


-Ho detto “dice di star bene”, non “sta bene”- puntualizzò Tom. Gli altri lo guardarono perplesso. -Mi nasconde qualcosa, ne sono sicuro, ormai la conosco meglio di chiunque altro- continuò pensieroso.


-Oh, insomma Tom. Adesso fai come la storia della “trappola” di suo padre. Alla fine non era vero e la madre sta veramente male. Secondo me ti fai troppe paranoie- intervenne Georg.


-No, Georg, tu non puoi capire! È sempre strana per telefono, svia i discorsi. La sento nervosa, non è tranquilla-.


-Tom, è normale se ha una madre pazza di cui occuparsi che sia un tantino nervosa, non credi?-.


-Voi non potete capire-. Si alzò dal tavolo e salì per le scale rifugiandosi in camera sua. Si buttò sul suo letto, sdraiandosi su un fianco. Odiava quando le persone non gli credevano, soprattutto su questioni così serie. Sentì bussare alla porta. Lui non rispose e quella venne aperta da suo fratello. La richiuse alle sue spalle e si avvicinò a lui,sedendosi sul materasso.


-Tom, io sì che ti capisco, sono il tuo gemello. Lo sento che non sei tranquillo e non è possibile che sia solo per una tua supposizione. Deve veramente esserci qualcosa di più grave. Io ti credo- gli disse dolcemente.


-Grazie, Bill. Io voglio andare da Sara- rispose Tom mettendosi seduto di fronte al gemello.


-Tom, non possiamo- chiuse gli occhi Bill.


-Perchè no?-.


-David? Interviste?-.


-Cos'è più importante, Bill? La fama o la persona che si ama?-. Aveva le lacrime agli occhi e Bill lo guardò stranito.


-Tomi...- sussurrò guardandolo stupefatto.


-Io la amo, Bill. Non voglio lasciarla da sola, la rivoglio qui con me- disse il chitarrista mentre le lacrime scorrevano sulle sue guance. Era una vita che Bill non lo vedeva piangere. La cosa doveva essere veramente grave e arrivati a quei punti non poteva dirgli di no. Lo abbracciò sospirando mentre Tom si liberò in un pianto che aveva trattenuto per troppo tempo.


-E' la prima volta che piangi per una ragazza- sorrise Bill stringendolo a sé. -D'accordo- concluse in fine e Tom si staccò per guardarlo con un filo di speranza. Bill sorrise di nuovo asciugandogli le lacrime dagli occhi divenuti rossi. -Se è quello che vuoi ed è la cosa a cui tieni di più... andremo da lei- gli disse convinto. Tom lo abbracciò di nuovo contento.


-Ti voglio bene, fratellino, grazie- gli disse.


-E di che. Anche io ti voglio bene, Tomi-.


*


Ero sempre seduta per terra a fissare il cellulare, appoggiato affianco a me. Mentalmente continuavo a fare “Mea culpa” come una scema. Era il minimo che potessi fare. Tom stava ancora una volta male a causa mia. Forse veramente dovevo uscire dalla sua vita. Forse essere rinchiusa lì dentro, alla fine, non era un male. Mentre la mia mente era affollata da tutti questi pensieri, il cellulare prese a squillare e io mi catapultai a rispondere.


-Tom- dissi subito.


-Amore, scusami, non avrei dovuto buttarti giù il telefono, sono stato un cafone-.


-No, Tom, hai fatto bene, sono io che sono stata una cafona a risponderti in quel modo-.


-Piccola, se ti chiedo una cosa prometti di rispondermi?-.


-Dimmi-.


-Dov'è casa tua?-. Io rabbrividii restando in silenzio. -Amore, ti prego- insistette Tom.


-Tom, davvero, è meglio se non te lo dico. Preferisco che tu ne stia fuori-.


-Allora avevo ragione quando dicevo che mi stai nascondendo qualcosa..-.


-No, Tom, non ti nascondo nulla. Semplicemente mi vergogno, non voglio che tu veda mia madre in certe condizioni-.


-Se mi conoscessi sul serio non diresti questo. C'è altro, lo so-.


-Non posso-.


-Perchè no, cazzo?!-.


-Perchè mio padre mi tiene chiusa a chiave in camera mia!-. Quella frase mi era uscita per la disperazione. Troppo presto. Senza che neanche me ne accorgessi.


-Che cosa?!-.


-Tom, non cercarmi. Rimani a Berlino, al sicuro. Non venire qui. Anzi... dimenticami, ok? Come mi hai detto: devi vivere-.


-E mi spieghi come faccio a farlo senza di te? Forse tu non hai ben capito il significato che ha per me il nostro “ti amo”-.


-L'ho capito eccome Tom. Proprio per questo ti dico, per il tuo bene, dimenticami e non cercarmi-.


-Sei un'egoista-.


-Lo sono perchè ti amo-.


*


Aveva riattaccato. Stavolta aveva riattaccato lei. Non poteva starsene con le mani in mano. Non poteva dimenticarla come aveva detto lei. Non poteva lasciarla. Guardò suo fratello he durante tutta la chiamata era rimasto ad osservarlo ed ascoltarlo attentamente.


-Era come dicevo io. Suo padre la tiene segregata in camera sua- disse Tom. Bill si portò le mani alla bocca. -Dobbiamo trovare quella maledetta casa- continuò.


-Sì, ma come?- chiese tristemente Bill. Tom rimase un attimo a pensare. Poi, eccolo. Come un lampo. Gli venne in mente.


-Cazzo, come ho fatto a non pensarci prima!- esclamò alzandosi dal letto e correndo in camera di Sara. Bill lo seguì preoccupato. Lo vide cercare velocemente in quella stanza un qualcosa a lui sconosciuto. Tom pregò mentalmente che ci fosse ancora. Ma dove l'aveva messo? Andò vicino al letto di Sara. Poi aprì il comodino e vi frugò dentro. Fece un sospiro di sollievo non appena trovò la busta che il padre di Sara le aveva inviato con la falsa notizia di sua madre. L'aveva spedito. Doveva esserci per forza scritto sulla busta da dove provenisse. Sorrise rincuorato. -E' ad Amburgo- disse. Bill spalancò gli occhi e si avvicinò a lui. Vide la busta.


-Sei un genio-.

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Ragazze, stasera non ce la faccio a ringraziarvi una per una... sono stata male tutto oggi... ho letto i vostri commenti e mi hanno fatto davvero molto piacere. Per stasera vi dico uun GRAZIE generale... siete carinissime.

Un bacio.


  
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