Chapter
3
Pay
me attention, I’ll pay your soul back (pt2)
Do
you want the real story or do you prefer the lie?
Dopo
la sua partenza, il silenzio nella stanza
diventa qualcosa di fisico e opprimente, denso quasi come la nebbia
d’inverno.
Aspetto,
appoggiata appena appena allo schienale
della sedia, gli occhi fissi sulle briciole rimaste nel mio piatto, le
mani
attorcigliate in grembo: l’immagine del relax, insomma, penso
tra me e me,
senza divertimento.
Anche
Linde non sembra più sicuro di voler
parlarmi, adesso. Lascia vagare lo sguardo nella stanza: il suo respiro
è lento
e regolare, mi rimbomba quasi nelle orecchie.
All’improvviso,
con la coda dell’occhio, mi accorgo
che si è alzato in piedi. Seguo curiosa i suoi movimenti: si
sposta dall’altra
parte della cucina e si ferma ad ammirare la mia Angi, accostata al
muro.
Le sue
dita scivolano sulle corde, come in una
carezza: la osserva attentamente con un sorriso che fa sciogliere, poi
si volta
nella mia direzione.
“E’
tua?”
Annuisco
brevemente, ancora a disagio.
“E’
una bella Ibanez” commenta, ma poi aggiunge con
un piccolo ghigno “Anche se le Gibson sono le mie preferite.
Quando ero ragazzo
però…”
“Linde”
lo fermo con un sospiro, sollevando una
spalla e incassando la testa nel collo “Ti prego, poniamo
fine a questo
tormento. Perché sei venuto? Sai che non cambierà
nulla”
Lui
riabbassa gli occhi sulla mia chitarra, il suo
viso così diverso.
“Non
appena ho imbucato quella lettera” esordisce a
voce alta, sempre evitando di guardarmi, quasi stesse parlando ad Angi,
piuttosto che a me “Subito mi sono reso conto che era stato
stupido. Un errore.
Che effetto avrebbero potuto sortire due misere righe? Avevo mandato
anche il
cd con la canzone, è vero. Ma non sarebbe stato abbastanza.
Così, quando non ho
ricevuto alcuna risposta scritta, nè alcuna chiamata, e
potevo essere certo che
lo stesso valeva per Ville, non mi sono meravigliato poi molto.
Chissà
cos’avrai pensato di me, leggendo quella lettera: cosa
diavolo vuole questo?
Perché non pensa agli affari propri? Immagino quale sia
stata la fine di quella
lettera”.
Solleva
il capo all’improvviso, imprigionando i
miei occhi sconvolti. Sento le mie gote in fiamme per la vergogna,
vorrei
parlare, ma non trovo la voce.
“No,
Linde, ascolta…” cominciò a balbettare,
così
fievolmente che mi quasi mi stupisco di riuscire a sentire io stessa
qualche
sillaba.
Lui
scuote la testa, interrompendomi con un gesto
della mano: “No, avevi ragione. Quella lettera è
stata un’idea penosa. E’ solo
che” chiude gli occhi un momento, inspirando forte, mentre
sul suo volto si
fanno visibili segni di indicibile tristezza “io non potevo
più vederlo in quel
modo, dovevo fare qualcosa. E’ passato un anno, e giorno dopo
giorno continuavo
a ripetermi che sarebbe stato migliore. Ma non è stato
affatto così: dopo che
te ne sei andata, Ville si è richiuso completamente in se
stesso, ha cancellato
le date dei tour, ha smesso di scrivere, ha smesso di suonare. Poi non
è più
uscito di casa e quasi non ci permetteva di andare a trovarlo: quante
volte mi
sono ritrovato la porta chiusa in faccia, la strada inaccessibile.
Stava sempre
da solo, l’alcol come unica compagnia”.
Parla
lentamente, lasciando scivolare ogni parola
con fatica. E’ come una pioggia leggera, una di quelle piogge
primaverili che
bagna e dà vita ai fiori appena risvegliati dal sonno
dell’inverno. Questa
lieve pioggia di parole, tuttavia, non porta vita, ma uccide:
è come una
pioggia di aghi acuminati, che entrano uno ad uno nella mia pelle,
facendosi
strada verso il mio cuore.
Lacrime
bollenti rigano il mio viso, mi accecano.
“No,
non voglio ascoltare” gli grido, coprendomi la
faccia con le mani.
Ero
riuscita a superare quell’anno, tutto quel
dolore, soltanto confidando nel fatto che lui stesse bene; che la sua
vita
fosse, se non felice, almeno piacevole.
Non
posso credere il contrario. Non avrei mai
potuto sopportarlo.
“Lasciami
finire” mi supplica: la sua voce è
vicinissima,tanto da farmi sobbalzare. Quando lascio cadere le mani,
scopro che
si è fatto avanti, e adesso accarezza dolcemente i miei
capelli “Ti prego”
Inghiottisco
con difficoltà e, con un sospiro, gli
assicuro la mia attenzione.
Linde
si siede di nuovo di fronte a me e ricomincia
a raccontare: “Poi, a d’un tratto è
cambiato, dal giorno alla notte. Con nostra
grandissima sorpresa, ci ha chiesto aiuto: lo abbiamo accompagnato in
un centro
di riabilitazione, dal quale è uscito più in
salute e perfettamente sobrio. Ha
ricominciato a uscire con gli amici, a suonare, ha sistemato le bozze
delle sue
canzoni e ha tirato fuori un nuovo album spettacolare: ha ricominciato
a
vivere, insomma. Mi sono illuso che fosse guarito del tutto, che stesse
bene.
Ma ci sono delle ferite che ancora non si sono rimarginate, e sono
quelle del
suo cuore”
La mia
testa sta per scoppiare: posso ancora ascoltare?
Devo.
Sta
bene, mi dice. E poi si rimangia tutto. Fino a
quando riuscirà a resistere il mio, di cuore?
“Perché
lui è ancora innamorato di te. Lo è
davvero, molto più di quanto avrei potuto pensare”
Il
sangue è freddo nelle mie vene. Sta ancora scorrendo?
Il battito è lento, non ne sono poi tanto sicura.
“Linde,
no” mi lamento, ma lui non ascolta. E’ come
se non avessi detto nulla.
“Sapevo
che dovevo fare qualcosa: così ho scritto
la lettera, perché sono un codardo, perché avevo
paura di affrontarti, di
affrontare Ville” il suo tono è più
concitato ora, soffuso di rabbia disperata,
ma non contro di me, o contro l’amico, ma verso se stesso.
“Perché
non pensa agli affari propri, avrai
pensato. Ma vedi” rivela, tornando a guardarmi fisso negli
occhi, con un
ironico sorriso “In fondo sono un po’ anche fatti
miei, dato che la colpa di
tutto quello che è successo è mia”
Le
ultime parole galleggiano a lungo nell’aria,
cullate dal silenzio.
Io
ricambio il suo sguardo, senza riuscire a
comprendere il significato di quella frase.
“Linde”
mi sforzo infine di sussurrare, poggiando
una mano sulla sua, davanti alla maschera di rimorso che lacera il suo
viso “Ma
cosa stai dicendo?”
Stringe
le mie dita, una volta, ritraendo subito
dopo il braccio.
Comincia
a raccontare, gli occhi bassi e spenti.
Mi
confida di come fosse stato profondamente
turbato dalla notizia della mia età: si era molto
affezionato a me, certo, e mi
reputava una ragazza molto dolce, ma sapeva anche che io e Ville non ci
conoscevamo neanche da un mese ed io ero così giovane. Ero
una loro fan,
affascinata dal mio cantante preferito, come poteva essere sicuro che
la mia
non fosse soltanto una semplice cotta? Ville aveva sofferto tanto, per
Jonna.
Poi era partito: era andato in America, aveva ritrovato il suo primo
amore, la
ragazza che aveva cercato di rintracciare per anni, e quando
l’aveva ritrovata,
aveva scoperto che questa stava per sposarsi; cosicché, per
la felicità di lei,
si era fatto da parte. Il suo cuore non avrebbe retto
l’ennesima delusione.
Linde voleva proteggerlo, salvarlo prima che fosse troppo tardi.
Quel
giorno stesso, Tarja lo aveva trovato: gli
aveva chiesto aiuto, aveva bisogno di parlare con Ville; era convinta
di aver
commesso un errore, permettendo al darkman di andarsene, e adesso
volevo
sistemare le cose. Linde, pur intuendo dall’espressione del
suo volto che fosse
sincera, aveva a lungo esitato: quale poteva essere la scelta giusta?
Forse
Ville avrebbe sofferto rivedendola. Forse però era la
persona giusta per lui,
l’unica che lo avrebbe potuto rendere felice. Aveva avuto
più fiducia in lei
che in me, ma in fondo non ho proprio nulla da rimproverargli,
probabilmente
anche io avrei puntato sulla donna di 30 anni, matura, innamorata di
Ville sin
dall’infanzia, piuttosto che sulla ragazzina diciassettenne
conosciuta due
settimane prima, di cui si sapeva davvero poco o nulla. E poi sembrava
proprio
che il destino avesse voluto metterla sulla sua strada.
Così
Linde aveva combinato il loro incontro alla
festa di beneficenza. Ma soprattutto, cosa di cui andava ben poco
fiero, aveva
fatto in modo che io lo venissi a scoprire direttamente.
“E’
stata una cosa tremenda, meschina, orribile”
geme, continuando ad agitarsi sulla sedia per la vergogna
“E’ solo che ero
convinto che un taglio netto avrebbe troncato più facilmente
le cose, meno
dolorosamente. Se ci ripenso, è stato un ragionamento
assolutamente incoerente,
stupido. Non so davvero cosa mi sia passato nel cervello. Ma ti
giuro” mi
assicura, afferrando la mia mano inerme, mentre io resto silenziosa e
rigida
come una statua “non avrei mai voluto fare del male
né a te, né a Ville.
Pensavo di fare la cosa migliore, ma ho sbagliato tutto. Lui ti ama,
più di
quanto abbia mai amato chiunque altro probabilmente. Tu lo ami,
Elisa?”
Resto
impassibile. Ferma, zitta, immobile, senza
quasi respirare.
Potrei
mentirgli? Potrei dirgli che non mi importa
assolutamente nulla di lui, che ormai è finito tutto?
Non
sono mai stata una grande attrice.
Lo
amo? Oh Linde, io lo amo più di quanto non
dovrei, più di quanto credevo di essere capace.
Nessuna
di queste parole esce dalle mie labbra. I
miei pensieri restano chiusi nella mia testa, come i sentimenti nel mio
cuore,
nelle mie vene, in ogni millimetro cubo del mio essere.
Ma non
c’è bisogno di parole. Se gli occhi sono lo
specchio dell’anima, in questo momento non ho di certo la
forza per oscurare o
proteggere con imposte quella finestra sul mio cuore.
“Se
ne sei innamorata, non fargli pagare tutto
questo per un mio errore” mi prega, allungando una mano per
asciugare
delicatamente le lacrime che non ho sentito scivolare dai miei occhi.
Ancora
silenzio.
Vorrei
rispondere, ma mi sembra di essere
intrappolata in un incubo: uno di quegli incubi in cui vorresti
gridare,
urlare, chiedere aiuto, ma la voce non esce mai dalla tua gola.
La mia
mente lavora veloce, i muscoli non riescono
a seguirla.
Linde
attende paziente una qualunque reazione, ma
invano.
Con un
sospiro, spinge indietro la sedia e si alza
in piedi.
“Domani
sera suoniamo a Turku, al Ruisrock. Io
riparto domani mattina con l’aereo delle dieci e
mezza” mi informa, mettendo
una mano nelle tasche dei jeans. Ne estrae una busta bianca, che
appoggia sul
tavolo di fronte a me: “Qui dentro ci sono altri due
biglietti, sia dell’aereo
che per il festival. Sono per te e Arianna, nel caso abbiate voglia di
venire.
Io torno indietro: e forse questa volta, troverò il coraggio
di dire la verità
a Ville. Ma almeno adesso ci sei anche tu a conoscerla”
Si
piega in avanti per posare un leggero bacio
sulla mia fronte e stringermi un’ultima volta, teneramente:
“Mi dispiace, mi
dispiace davvero così tanto. Spero che penserai a quanto ti
ho detto. So che
farai la scelta giusta e non seguirai i miei sbagli” ripete,
con malinconia “Ti
aspetterò, domani”
Si
allontana da me, e lo spostamento d’aria,
sebbene non faccia affatto freddo, mi fa rabbrividire.
Sta
quasi per andarsene, quando d’un tratto si
ricorda di qualcos’altro nascosto nella sua tasca destra.
“Volevo
anche darti questo”
Mi
porge una scatolina rettangolare e trasparente,
contenente un cd di dimensioni molto ridotte. Lo afferro, quasi senza
pensarci,
spinta dalla curiosità e dallo stupore.
Visto
che le mie corde vocali non sembrano ancora
avere intenzione di rientrare in servizio, gli rivolgo un sguardo
interrogativo.
“Perdonami
le dimensioni” sorride timidamente “Ma
non mi piace muovermi con borse o sacchettini: questo almeno entrava
nelle
tasche”
E
senza nessun’altra spiegazione, mi saluta per
l’ultima volta e lascia il mio appartamento.
***
E’
passata forse un’ora. Ed io sono ancora seduta
al tavolo della mia cucina, rigirandomi la piccola custodia fra le dita.
Le
parole di Linde riecheggiano senza posa nella
mia testa. Ancora e ancora.
Cosa
devo farne di quelle rivelazioni? Cambiano
qualcosa?
Forse
niente.
Forse
tutto.
“Some search, never finding a way
Before long, they waste away”
“I found you, something told me to
stay
I gave in, to selfish ways”
“And how I miss someone to hold
when hope begins to fade...”
Stupida
canzone.
La
verità di quelle parole torna a bruciare dentro
di me. Ho paura, non voglio ascoltare: per la prima volta nella mia
vita, provo
risentimento verso quel brano che mi ha dato tanto.
Prendo
tra le dita il piccolo cd e lo posiziono sul
disco rotante del lettore.
Ho
come il presentimento che finirò dalla padella
alla brace. Ma scossa, disperata o sotto shock, la curiosità
resta sempre il
mio peggior difetto.
Una
melodia dolce, sconosciuta.
Ma
anche senza averla mai sentita posso dire a
colpo sicuro chi ne sia l’autore.
Brace.
Brace ardente.
Quelle
poche note, unite con abile maestria per
stringere il tuo cuore fino a fargli lacrimare sangue, si susseguono
ripetutamente per quattro volte. Ad ogni giro mi sento più
debole e una
risatina isterica mi sfugge dalle labbra, considerando che la canzone
non è
nemmeno davvero iniziata e solo l’introduzione mi fa
quell’effetto.
Should've known how hard it’s to stop
tearing each
other apart
Separating souls entwined in all these labyrinthine lies
La
musica è straziante, la sua voce è
perfetta.
Ma
non è quello a lasciarmi senza
fiato. O meglio, non soltanto quello.
C’è
qualcosa di più, che non riesco
immediatamente a cogliere.
I am dead to you, a shadow doomed
My love, forever in the dark
And of all untruths the truest is you
Too close to my heart
Ed
è così che mi sento. Come morta, come
un’ombra perduta.
Sta
cantando una canzone o mi sta leggendo dentro?
This emptiness I've made my home
Embracing memories of dreams long gone
One last caress from the corpse of love is all I want
Underneath the cyanide sun
Un
sole di cianuro.
Un
sole di cianuro.
Il
nostro sole di cianuro.
“E
se domani
ti stufassi di me? E se domani non fossi più
abbastanza?” gli avevo chiesto,
stringendo la sua mano, quel mattino nel parco, davanti a casa sua.
“Non
so dirti
cosa succederà domani. Adesso mi risulta difficile pensare
ad un domani senza
la tua presenza. Ti vorrei con me anche se la terra diventasse quadrata
o il
sole diventasse blu”
Avevo
alzato
un sopracciglio: “Blu?”
“Sì
blu. Un
sole di cianuro” aveva aggiunto pensoso.
Finalmente
comprendo cosa ci sia di veramente
speciale in quella canzone. Non sono parole e accordi, sono un pezzo
della mia
vita. Il disegno della mia anima.
We've sailed the seas of grief on a raft built
with
our tears
Looking for a way to disappear for a moment from our deepest fears
I'll be drowning you in this river of gloom
Forever in my heart
This emptiness I've made my home
Embracing memories of dreams long gone
One last caress from the corpse of love is all I want
Underneath the cyanide sun
Sì,
sono la rappresentazione della mia anima. Ma
anche della sua.
Adesso
ne sono sicura e quella consapevolezza mi
riscuote.
Scoppio
in sighiozzi: come una bambina, non riesco
a trattenermi. E tra le lacrime copiose e salate, quella strana smorfia
è un
sorriso?
Underneath
the
cyanide sun
Scusate
davvero per la mia assenza: in assenza di commenti, non ero
più sicura che
questa storia interessasse e un po’ per mancanza di tempo, un
po’ per pigrizia
non ho mai finito di postare.
Ma sono
stata un po’ stupida. Terminerò di postare in ogni
caso.
Scusatemi
ancora, davvero.
Un
ringraziamento particolare a chi non ha perso la speranza (la prossima
volta
siete super AUTORIZZATE a mandarmi email minatorie XD)
E per le
recensioni all’ultimo capitolo, grazie a:
@SomethingSpecial:
scusami davvero tanto e grazie infinite per i complimenti! Sono davvero
felice
che sia riuscita ad emozionarti, è la cosa più
bella che un lettore possa dire.
Spero davvero che la tua euforia perduri! Sisi, bravissima, ci avevi
azzeccato
in pieno! Ma adesso la domanda è, cosa farà
Elisa? Sono io a ringraziare te ^_^
@LittlrShady:
sono davvero felice che tu mi abbia scritto, è sempre
stupendo sapere se il tuo
lavoro piace a qualcuno o riesce a farlo emozionare *_* anche se mi
sembra
sempre così strano. Grazie mille dei complimenti e
assolutamente non trovo le
tue parole banali, mi fanno solo immensamente felice. Grazie ancora
@6Vampire6girl6:
grazie mille ^_^ spero che anche i prossimi capitoli non ti
deludano…chissà
come andrà a finire eheheh. Baci