Tradimenti
mascherati
Katara osserva la parata con
occhi pieni di sdegno e rancore che non si sforza di mascherare. Perché
prendersi tanto disturbo? Nessuno nella folla, comunque, le presta attenzione.
Osservano tutti i carri dei vincitori, indicando e applaudendo e ridendo.
Lei vibra d’indignazione nel
riconoscere un manichino che rappresenta suo padre sul carro di Fulmine blu. La
gente fischia vedendolo, ma sanno tutti cosa succederà più tardi: Azula lo
ridurrà in cenere con uno dei suoi fulmini. Katara serra i pugni.
Sono passati nove anni dalla
battaglia di Gatlon City, nove anni da quando l’invincibile Capitan Fuoco ha
sconfitto suo padre e il resto dei Rinnegati. Nove anni in cui la popolazione
ha dovuto chinare la testa e sottomettersi alla tirannia che il Capitano e i
suoi alleati fanno passare per democrazia. Katara era solo una bambina, la
notte della sconfitta, ma in nove anni è diventata l’unica speranza di
vendicare i caduti e spodestare i Fuochi.
Ozai, conosciuto dal mondo
come Capitan Fuoco, è invincibile a quasi ogni attacco poiché può tramutarsi in
fuoco. Gli unici in grado di rappresentare una minaccia per lui sono i prodigi
in qualche modo legati all’acqua, motivo per cui una delle sue prime mosse è
stata farli eliminare tutti. Quasi tutti, ma lui questo non lo sa:
Katara è viva e vegeta, con il potere di sua madre a scorrerle potente nelle
vene e un’immensa brama di vendetta a sostenerla.
Incrocia per un solo secondo
gli occhi di Zuko, il figlio del Capitano. Abbassa rapida il volto, lasciando
che il cappuccio celi il suo sguardo pieno di disprezzo, e si allontana dalla
folla.
Avrà la sua vendetta quella
sera stessa, all’annuale gala in maschera organizzato dai Fuochi per celebrare
la loro vittoria. Per un solo giorno, ogni cittadino di Gatlon City può
dimenticare i suoi problemi e unirsi alle danze, per un solo giorno può
avvicinarsi agli eroi che hanno sconfitto i Rinnegati e ogni altro
gruppo di prodigi.
Ha impiegato nove anni ad
affinare le sue abilità in vista del momento in cui poterle mettere a frutto, nove
anni a raccogliere informazioni insieme ai superstiti del gruppo di suo padre.
Non è mai stata al gala in maschera, prima, ma sa esattamente come si svolge.
Ozai si presenta solo verso la fine, pronuncia un discorso infarcito di
falsità, sceglie una partner tra la folla per un’ultima danza e, se la trova
gradita, per proseguire la conoscenza in un luogo più intimo. Se tutto va bene,
quella notte sarà lei a godere di quel privilegio.
Non crede che Ozai gradirà
la sorpresa, riflette scivolando nei tunnel sotterranei di Gatlon.
▲
Zuko osserva distrattamente
Azula disintegrare il manichino del Lupo Bianco. È uno spettacolo che ha sempre
trovato innecessario, oltre che storicamente sbagliato: il vero Hakoda è
prigioniero da anni, ma – per quanto ne sa lui, almeno – fisicamente illeso o
quasi. Agli abitanti di Gatlon, tuttavia, sembra piacere quello spettacolo. Sempre
se non fingono per timore di fare la stessa fine del manichino. Scuote la
testa, cercando di scacciare quel pensiero assurdo. Colpa del commento di Mai quella
mattina, l’insinuazione che Azula sia molto più temuta che amata. Insomma, lui
per primo riconosce che sua sorella non sia una persona particolarmente
affabile e che in alcune occasioni sia anzi piuttosto inquietante, ma non era
comunque una frase che si aspettava di sentire da una delle sue migliori
amiche. Una delle sue uniche due amiche, in effetti: Azula non è mai stata
troppo brava a socializzare – non che lui se la cavi molto meglio. In ogni
caso, le parole di Mai gli hanno instillato riflessioni esagerate. Loro, i
Fuochi, sono gli eroi di Gatlon: suo padre e suo zio hanno messo fine all’era
di anarchia innescata dal Lupo Bianco e hanno preso il controllo della città,
stabilizzandola. È ovvio che i cittadini li rispettino e amino, che la loro
massima ambizione sia collaborare con loro.
Per questo il gala è sempre
così affollato; deve dirlo a Mai, dopo la parata, che ciò che ha detto non ha
senso e può dimostrarlo.
Il popolo li ama,
senz’altro.
Anche se occhi blu pieni di
rancore affollano i suoi incubi.
▼
Mamma, mamma, il mio amico è
ferito!
Sua madre sorride, dolce e
rassicurante…
Katara stringe i pugni, il
ricordo svanisce e lei si ritrova a fissare sé stessa nello specchio. Indossa
un elegante abito d’argento, con una spaccatura sulla gamba destra. Non è
abituata e non lo trova comodo, ma servirà allo scopo. Sul tavolo alle sue
spalle sono poggiate la maschera, anch’essa argentata, e l’oggetto che Aang ha
tanto insistito per lasciarle.
“La violenza porta solo
altra violenza, Katara.”
Quando ha sentito quelle
parole ha desiderato arrabbiarsi, gridare contro Aang che lui non può capirla e
non sa cosa ha provato, ma non l’ha fatto. Gli occhi di Aang sono uno specchio
della sua stessa tristezza: anche lui ha perso moltissimo nella guerra, a
partire dal monaco che gli ha fatto da padre. Il dolore la unisce al ragazzo –
poco più di un bambino, costretto a maturare troppo in fretta –, la brama di
vendetta li divide.
Tira la manica del bambino,
prima di lasciarlo andare via. “Prometti di non dirlo a nessuno?”
Il bambino le sorride grato.
“Non lo dirò” promette.
Il ricordo rinnova la sua
rabbia, ma anche la sua determinazione. Si è fidata della persona sbagliata,
dieci anni prima, stasera potrà finalmente pareggiare i conti. Le parole di
Aang, tuttavia, continuano a ripetersi nella sua testa. Katara sospira e
afferra il risultato degli sforzi di Aang e Sokka, infilandolo nella tasca
nascosta all’interno della sua gonna. Poi solleva la maschera, si volta
nuovamente verso lo specchio per un ultimo sguardo e infine l’indossa.
È pronta.
Il gala è pieno di persone
eleganti e ridenti, di assassini mascherati. Katara individua Fulmine blu nella
folla, scherza in modo rumoroso con dei ragazzi fasciata nel suo costume da eroe,
ma Spirito rosso si è mimetizzato meglio o non è proprio venuto, perché a un
primo sguardo non riesce a trovarlo. Le piace avere i suoi nemici sotto
controllo, specie trovandosi sola in mezzo a centinaia di loro, ma si dice che
non è importante indagare oltre su di lui. Se è presente, probabilmente è da
qualche parte a divertirsi con Lama assassina. Non che le interessi.
“Posso chiederti un ballo?”
La voce sconosciuta la
sorprende, riscuotendola dai suoi pensieri. Si volta verso il suo proprietario,
un ragazzo con una maschera che gli copre quasi tutto il volto, lasciando
libera solo la bocca. La maschera è blu, e già solo questo – il colore dei
Rinnegati, il colore che lei non ha osato indossare per non attirarsi sospetti
– le ispira una vaga simpatia. Non che sia necessario che provi simpatia: il
ragazzo dal volto coperto è un nemico o, nella migliore delle ipotesi, un
civile che si è adeguato al governo dei Fuochi. Potrebbe addirittura essere uno
dei generali del Capitano – ha sentito dire che durante il gala i generali
testano alcune invitate per consigliare Ozai a fine serata, non sa se sia vero –,
ma forse è un po’ troppo giovane per questo, e poi non riesce a immaginare un
generale indossare del blu. In ogni caso, ballare è un buon modo per mescolarsi
agli invitati festanti e magari farsi notare da chi di dovere, sicuramente
migliore del restare isolata per tutta la durata del gala. Annuisce, quindi,
accettando l’invito dello sconosciuto.
♫
Invitarla a ballare gli è
venuto spontaneo. Quasi non se n’è reso conto finché non le si è ritrovato alle
spalle, ma ha avvertito un senso di familiarità, quasi nostalgia, osservando la
ragazza vestita d’argento muoversi tra la folla. È già la terza civile con cui
balla quella sera; ha cercato di toccare l’argomento governo dei Fuochi con
le prime due, ma ha notato che sembravano un po’ a disagio e determinate a
tenersi sul vago. “Non è il luogo adatto per questo genere di conversazioni”
gli hanno detto, con parole quasi identiche, dopo un paio di risposte esitanti.
La sua nuova partner gli pare diversa, tuttavia, non sa nemmeno lui perché:
magari dialogare con lei gli darà più soddisfazioni.
La conversazione prende una
piega che non aveva previsto quando le chiede se viva con i suoi genitori. La
ragazza si blocca un istante, prima di rispondere: “Li ho persi entrambi
durante la guerra.”
Zuko dimentica i suoi
propositi iniziali: ora rivede parte del suo stesso dolore, negli occhi della
sconosciuta, e non riflette prima di dirle che può capirla, almeno un po’,
perché anche sua madre è morta.
“Gatlon City ha pagato la
pace a un altissimo prezzo” commenta la ragazza; il suo tono è indecifrabile
per Zuko.
Gli viene in mente di
rispondere che i Fuochi, ne è certo, hanno fatto del loro meglio, ma non lo fa.
Pensa a sua madre, a come gli accarezzava i capelli prima che si addormentasse.
“È vero” dice soltanto.
Lei sembra quasi sorpresa da
quelle parole. Gli sorride.
Zuko non lo nota, che il
loro valzer finisce e ne inizia uno nuovo: continuare a sostenerla e guidarla
per la stanza è solo naturale.
Restano in silenzio per
alcuni minuti, lui cerca qualcosa da dire per alleggerire l’atmosfera: ha
l’impressione che Ty Lee, la persona più socievole che conosce, ci proverebbe. Cosa
direbbe lei?
“Se avessi un potere, quale
sarebbe?” chiede, ricordando la domanda preferita dell’amica di sua sorella.
C’è stato un periodo in cui ha tormentato ogni singolo collaboratore senza poteri
dei Fuochi fino a farsi svelare il potere desiderato. Zuko possiede il dominio
del fuoco, come suo padre, ma se potesse scegliere vorrebbe poter guarire gli
altri – questo, tuttavia, non l’ha rivelato, né d’altra parte Ty Lee ha pensato
di chiederlo.
La ragazza lo guarda
incuriosita, forse stupita dal cambio d’argomento. “Perché pensi che non ce
l’abbia già, un potere?”
La domanda lo coglie di
sorpresa. In effetti, non ha considerato l’ipotesi nemmeno per un secondo.
Certo che non sia una di loro – non lo è, vero? Sarebbe pessimo non averla
riconosciuta, se lo è – ha dato per scontato che sia una civile senza poteri,
ma non tutti i civili non hanno poteri. Molti hanno poteri pressoché inutili,
soprattutto in combattimento, ma forse loro ne vanno fieri ugualmente.
“Sei un’eroina?” chiede,
prima di tutto, per togliersi il dubbio appena sorto.
Lei ride. “Non serve un
potere per essere un eroe” afferma, guardandolo negli occhi, “né sono eroi
tutti quelli che ne hanno uno.”
Zuko annuisce, un po’ stupito.
“Qual è il tuo potere, allora, se ne hai uno?” Se poco prima l’ha chiesto solo
per spezzare il silenzio, ora è davvero curioso. Nonostante quello che ha
appena detto, magari la ragazza di cui non sa – ancora – il nome sarebbe
interessata a unirsi a loro. Forse non immagina neanche di star ballando
proprio con Spirito rosso, il figlio del Capitano.
Lei non risponde subito,
esita mentre compiono una giravolta. “Non dormo” dice infine, senza più
guardarlo negli occhi. “Non dormo mai, il mio potere è questo.”
Non ha mai sentito di un
potere del genere e non sa bene come reagire. Sembra più un disagio che qualcosa
di cui andar fieri e gioire. “Capisco” mormora, giusto per non lasciar
prolungare il silenzio.
“Lo trovi un potere
stupido?” chiede lei, mentre la musica del loro quarto ballo si spegne.
Si fermano entrambi,
separandosi; Zuko incontra di nuovo lo sguardo inquisitore della sua partner. “Non
direi stupido” replica, difensivo, “solo… cosa si prova a non dormire mai?”
Lei scrolla le spalle. “Si
ha più tempo.”
“Non credo mi piacerebbe”
commenta sincero, dopo aver riflettuto alcuni secondi. Forse, pensandoci bene,
non dormire mai potrebbe essere utile per questioni strategiche, ma non crede
che tollererebbe non avere mai un attimo di pausa, un momento per spegnere il
cervello e basta. Se non avesse mai incubi, poi, non potrebbe più vedere lei
nemmeno lì.
Non saprà mai quale sarebbe
stata la risposta, perché qualcosa alle sue spalle calamita lo sguardo della ragazza.
Nota inoltre che, di colpo, c’è molto più silenzio; anche le altre coppie hanno
smesso di ballare. Si volta e trova conferma alla sua ipotesi: è arrivato suo
padre.
Gli viene istintivo tendere
un braccio per trattenere la compagna, quando la vede avviarsi più vicina al
palchetto su cui Capitan Fuoco terrà il discorso. Non vuole che lui la veda.
Non vuole che lei lo lasci, per suo padre o per chiunque altro – si è trovato
bene, vorrebbe approfondire la conoscenza.
Lo sguardo della ragazza è stupito
adesso, mentre squadra il suo braccio.
“Non andare” le dice, prima
ancora di sentirsi chiedere spiegazioni.
Lei si libera dalla sua
presa, ma gli sorride. Poi, senza dargli il tempo di reagire, si avvicina e lo
bacia.
“Addio” mormora, ritraendosi
troppo presto. Si volta di nuovo e Zuko non la ferma più. La vede rivolgere un
grande sorriso all’indirizzo del Capitano, ma non gli sembra vero come quello
che ha appena mostrato a lui. Scuote la testa; è inutile autoilludersi. Se n’è
andata.
♫
Il cuore di Katara batte a
mille, mentre cammina verso Capitan Fuoco sorridendogli nella speranza di
risultare ammaliante. Si ripete che deve calmarsi, non può rischiare di mandare
tutto all’aria per un ragazzo carino. Un ragazzo che crede sia carino, per
tutta la serata non ha visto niente più della sua bocca e dei suoi occhi dorati
dietro la maschera. Un colore bellissimo, fastidiosamente familiare. Ha già
conosciuto un ragazzo con gli occhi di quella tonalità e non è finita bene,
allora.
È ingiusto, però, paragonare
lo sconosciuto con cui ha ballato a Zuko. Forse con lui avrebbe potuto
funzionare, se lei fosse stata una normale adolescente venuta al gala per
divertirsi e fare conoscenze. Forse avrebbero potuto conoscersi, tenersi per
mano, baciarsi sotto le stelle e scoprirsi incontro dopo incontro… ma non potrà
mai succedere, perché lei è una Rinnegata e ha una missione ben più importante di
una possibile storia d’amore. Magari non avrebbe nemmeno funzionato, con lui,
magari si sarebbe rivelato uno sciocco alla fine. Ripensa alle parole che hanno
scambiato, poche ma interessanti; a come su due piedi ha inventato un potere di
cui non potesse chiederle una dimostrazione immediata, a come sia stato in un
certo senso divertente immaginare come sarebbe stato non dormire davvero mai.
Nonostante gli incubi, forse non sarebbe piaciuto nemmeno a lei avere ogni
giorno otto ore in più per lottare con i sensi di colpa per essersi fidata
della persona sbagliata. Ripensa a come è sembrato che la volesse proteggere –
da Ozai o cos’altro? –, alla fine, a come per un istante ha desiderato poter
rimanere lì con lui. Ha scacciato in fretta quel pensiero. Non saprà mai se
avrebbe funzionato o no, e forse è per questo che ha voluto baciarlo: si è
concessa un ultimo assaggio della vita normale che non potrà mai avere, si è
cullata in quell’illusione per un secondo in più.
Respira a fondo, senza
distogliere lo sguardo da Ozai, e ordina al suo cervello di rallentare i
battiti impazziti del cuore. Lentamente riesce a calmarsi; ormai è davanti al
palco. Il discorso è già iniziato, ma a lei non interessa, finge solo di
ascoltare. A un certo punto vede lo sguardo di Capitan Fuoco posarsi su di lei
e rimanerci. L’ha notata. Continua a sorridere, ma dentro di sé rievoca ancora
una volta il suo incubo peggiore, il momento che ha determinato la sorte di sua
madre. È la sua rabbia a motivarla, ed è da lì che attinge la forza di proseguire
la recita.
È pericoloso usare il
dominio dell’acqua di fronte a testimoni, se i Fuochi lo vengono a sapere ti
trasformi automaticamente in un bersaglio. Nonostante questo, sua madre non
esita un solo secondo prima di evocare dell’acqua per la ferita dell’amico di
sua figlia e infonderla con il suo potere curativo. Non la ferma nemmeno il
fatto che l’amico in questione sia Zuko, il figlio del capo dei Fuochi; è solo
un bambino che ha bisogno di cure, ai suoi occhi.
Quando se ne va, Zuko
promette che non dirà a nessuno il segreto della mamma di Katara.
Quella stessa notte, una
squadra di Fuochi sfonda la porta della loro casa e porta via sua madre. Katara
non la vede mai più.
“Signorina” le si rivolge
Ozai; Katara trattiene un’espressione che sappia troppo di vittoria, cercando
invece di esibirne una lusingata, “vuole ballare con me?”
Pensando a quel che verrà
dopo, non deve neanche sforzarsi per pronunciare la risposta.
“Mi piacerebbe.”
▲
“Povero Zuzu, sei stato
abbandonato di nuovo. Hai proprio sfortuna con le ragazze.”
Zuko si volta, infastidito. Azula
gli si è avvicinata senza maschera, forse per sfoggiare meglio la sua
espressione fintamente dispiaciuta. Uno sforzo inutile: la mimica facciale
interpreta la parte alla perfezione, ma il divertimento nella voce era già
evidente – senza contare che conosce sua sorella. “Che vuoi, Azula?” sbotta
senza tante cerimonie.
Lei ghigna, niente affatto
scoraggiata. “Ho visto tutto” racconta, avvicinandosi di un passo. “Ti ho visto
ballare tutta la sera con una civile, per poi metterti in disparte a fissare il
vuoto quando ti ha abbandonato. Ti ha spezzato il cuore, Zuzu?”
Irritato, si stacca dal muro
a cui si è appoggiato fino a quel momento. Quanto tempo è passato da quando la
ragazza ha ballato con suo padre, un lento dopo l’altro? Ha osservato tutto, ma
in modo confuso, come se non fosse davvero reale. Avrebbe voluto che non lo
fosse.
Squadra sua sorella. “E il
tuo compagno dov’è? Dev’essere stata una brutta serata, se l’hai passata a
guardare me.”
Il sorriso di Azula si fa
più tirato. “Ho conosciuto dei ragazzi molto interessanti, ma la tua partner ha
attirato la mia attenzione. Per un attimo ho creduto che avessi ritrovato la
tua amichetta, sai? Quella con la madre criminale.”
Il riferimento a Katara lo
congela sul posto. “Tu cosa…” inizia, ma Azula mette una mano davanti alla
bocca come se avesse detto qualcosa che non doveva. Zuko non è così ingenuo da
credere che non intendesse ogni singola parola.
“Che sciocca, è impossibile
che fosse lei. Ti odia, da quando hai fatto uccidere sua madre.”
Sente la cicatrice che gli
copre metà del volto pulsare sotto la maschera, non è sicuro che sia solo
suggestione. “Io non l’ho fatta uccidere” protesta, stringendo i pugni. Il
richiamo del fuoco è potente, una parte di lui vorrebbe colpire Azula e
sotterrare i ricordi nell’impeto della lotta. Non può farlo, ovviamente, non al
gala. Forse è proprio ciò che Azula vorrebbe.
Azula ride. “Certo che no,
Zuzu. Non avresti mai raccontato a papà della donna con il potere di ucciderlo,
non è vero? Solo perché ti ha curato un graffio. Sei così debole.”
Non comprende subito il
significato di quelle parole. Azula non dovrebbe conoscere quell’episodio, lui
non l’ha mai raccontato… Improvvisamente tutti i pezzi vanno al loro posto, capisce
che di coincidenziale nella cattura della madre di Katara non c’è stato nulla.
“Tu eri lì” mormora, mentre la rabbia sale a soffocare il dolore. Si è sempre
detto che non è stata colpa sua, se suo padre ha scoperto la madre di Katara. Non
è stata colpa sua se quella donna gentile è morta, non è stata colpa sua se suo
padre non ha ascoltato le sue suppliche di risparmiarle la vita – non è stata
colpa sua se Katara non gli ha rivolto la parola, dopo, fulminandolo con occhi
pieni di rabbia e andandosene senza ascoltarlo. Se l’è ripetuto per anni, con
la sua cicatrice a ricordargli ogni singolo giorno l’unico risultato delle sue
suppliche in favore di una nemica. Si è sbagliato. È stata colpa sua, se
Azula era lì per spiarlo.
Indietreggia fino a poggiare
la schiena al muro in cerca di sostegno. Non sente più forza nelle gambe, gli
gira la testa.
“Ero lì” conferma Azula, con
gli occhi che brillano di soddisfazione. “È sempre stato fin troppo facile
seguirti, Zuzu” conclude, ridendo, con una scrollata di spalle. “Ma stavolta
non sono dovuta intervenire per separarti dalla tua nuova amica, se n’è andata
da sola.”
Vorrebbe chiederle perché?,
ma nella sua testa il ricordo di Katara si sovrappone a quello della sconosciuta
con cui ha ballato. Hanno gli stessi occhi. Gli stessi occhi blu pieni di
rancore nei suoi incubi, macchiati di dolore quando quella sera gli ha detto di
aver perso entrambi i genitori durante la guerra.
È un pensiero assurdo,
impossibile. Katara non avrebbe mai ballato con lui – ma potrebbe non averlo
riconosciuto, con quella maschera. Zuko scuote la testa, cercando di
snebbiarla. Katara lo odia, ma di certo odia anche suo padre. Non avrebbe mai
accettato di ballare con lui, non avrebbe senso… a meno che. Vede Azula
voltargli le spalle, divertita, e allontanarsi nella folla. Non ha tempo per
lei adesso. Si stacca dal muro, costringendo il suo corpo a ritrovare le forze,
e setaccia gli invitati. Di suo padre e della ragazza non c’è traccia. Senza riflettere,
si precipita vacillante fuori dalla sala.
▼
È stato fin troppo facile. Grazie
a Suki, che attraversando gli specchi ha occhi ovunque, sapeva già del bagno
privato connesso alla stanza di Ozai.
Se non le avesse permesso di
usarlo, forse avrebbe avuto una chance. Ma perché non avrebbe dovuto? Non ha
sospettato nulla, acconsentendo. Le è sembrato infastidito, forse all’idea di
dover attendere o forse perché turbato al solo pensiero dell’acqua – improbabile,
ne ha bisogno anche lui, ma l’idea l’ha divertita. Chiusa la porta, ha aperto
il rubinetto al massimo. Guardandosi allo specchio, ha tolto la maschera
indossata fino a quel momento.
Ora Capitan Fuoco paga il
prezzo della sua imprudenza: non può fare altro che guardarla furioso, sospeso e
immerso nell’acqua. Non può muoversi, né sottrarsi assumendo la volubilità del
fuoco, perché si spegnerebbe in un attimo. È bloccato – lei no, eppure non si
affretta ad agire. Le fa uno strano effetto vedere così vulnerabile l’uomo che
ha passato gli ultimi nove anni a odiare. “Hai fatto uccidere mia madre.” La
frase le è salita spontanea alle labbra, non sa se come accusa o come
spiegazione – Ozai non può rispondere né all’una né all’altra, comunque. Non sa
neanche se l’abbia sentita: la sua espressione non è cambiata. “Usava l’acqua
per guarire, ma a te non è importato, vero? Ne avevi paura.”
Lo sente sforzarsi contro la
pressione esercitata dall’acqua per immobilizzarlo, ma è inutile. Si è
esercitata per anni a questo solo scopo, non se lo lascerà sfuggire proprio ora
che l’ha in suo potere. Esitare oltre, tuttavia, è stupido. Deve finirlo.
“La violenza porta solo
altra violenza, Katara.”
Chiude gli occhi, in lotta
più con sé stessa che con gli ormai deboli sforzi del Capitano.
Dei passi rimbombano nel
corridoio esterno, allarmandola. Riapre gli occhi, prendendo la sua decisione. Estrae
la siringa dalla tasca nascosta e la conficca nel cuore di Ozai.
La porta si apre mentre
rilascia il controllo sull’acqua, facendo crollare a terra l’uomo che non potrà
mai più essere Capitan Fuoco.
“Eri tu.” Non si volta verso
la voce che arriva dalla porta, osserva Ozai inspirare a fondo nel tentativo di
riprendersi. “Eri davvero tu, Katara.”
Sentire il suo nome la fa
sussultare. Ozai, ancora a terra, si scaglia con il braccio verso di lei;
intorno all’arto si forma una fiamma, tremola per pochi secondi e poi svanisce.
Katara lascia andare il fiato che, più o meno inconsciamente, ha trattenuto
fino a quel momento. L’invenzione di Aang e Sokka funziona, i Rinnegati d’ora
in poi potranno contare sull’Agente Neutralizzante per evitare soluzioni più
violente. Non avrà bisogno di uccidere l’assassino di sua madre e non è certa
di come questo la faccia sentire.
“Che cosa… cos’hai fatto?”
Si volta finalmente verso la
porta. È il ragazzo con cui ha ballato, appare sconvolto. Si è chiesta se
avrebbe mai funzionato, suppone che questa sia la sua risposta: no, dato
che lei deve sembrargli una terrorista.
Rivolge un ultimo sguardo all’ex
prodigio invincibile. Deve aver compreso ciò che gli ha fatto, perché l’orrore
della realizzazione è evidente sul suo volto. Forse una simile sorte è davvero
peggio della morte, per lui.
“Il fuoco non ti risponderà
mai più” dichiara, decisa a togliergli ogni dubbio.
Dandogli le spalle, si
incammina verso il ragazzo, chiedendosi se tenterà di fermarla. Ha più che
abbastanza acqua per neutralizzarlo, se dovesse rivelarsi necessario. Lui
agisce tuttavia in modo imprevisto: si toglie la maschera.
Non riesce a crederci. Avvampa
di rabbia.
Ha baciato Zuko. Ha passato
la serata a parlarci, ha rimpianto che non potesse esserci di più. Ha lasciato
che lui la illudesse, ancora una volta.
“Katara…”
Vorrebbe dirgli di sparire
dalla sua vista, se non vuole ritrovarsi come suo padre – sarebbe una minaccia
a vuoto, dato che non ha altro Agente Neutralizzante con sé –, ma non riesce a
formare le parole. Con un gesto, evoca l’acqua dal pavimento e lo spinge fuori
dalla stanza.
Non gli lascia il tempo di
reagire, si precipita nel corridoio e corre verso l’uscita più vicina. Non sa
quanto impiegheranno a dare l’allarme, ma non è pronta ad affrontare l’intero
corpo dei Fuochi quella notte – non è pronta, non ancora, ad affrontare Fulmine
blu. Ma tornerà.
E non sarà da sola.
▲▼
Ha reagito troppo
lentamente. Non ha reagito affatto. Come sua sorella non ha smesso un
secondo di rinfacciargli, il suo errore non è stato non portare qualcuno con sé
avendo sospettato una presenza nemica, ma non aver attaccato a vista.
“Hai visto nostro padre a
terra e non ti è saltato in mente di fare qualcosa di più che chiamare la
responsabile, giusto in caso non ti avesse già notato? Sei più inutile di
quanto pensassi, Zuko.”
Suo padre è vivo, si è già
ripreso dall’attacco. Eccetto per il fatto che non potrà mai più mutare il suo
corpo in fuoco, né controllare l’elemento. È stato privato di ogni potere, in
modo permanente stando a quanto ha detto Katara. Qualcuno dei loro ha provato a
insinuare che la ragazza abbia mentito, che si tratti di un effetto temporaneo.
Zuko sa che si sbagliano. Se non avesse potuto neutralizzarlo per sempre,
Katara l’avrebbe ucciso.
Le informazioni assimilate
nelle ultime ore sono troppe, non riesce a fare i conti con tutte.
Katara è viva, Katara
controlla l’acqua, Katara è sua nemica. Katara ha ballato con lui tutta la sera
e lui non l’ha capito.
“Gatlon City ha pagato la
pace a un altissimo prezzo.”
Le ha dato ragione e lo
farebbe ancora.
I Fuochi hanno subito un
duro colpo quella notte. La situazione di suo padre è ancora nota solo a pochi
eletti, ma non sarà possibile tenerla nascosta per sempre. È impensabile che
Ozai mantenga il comando senza i suoi poteri, quasi nessuno lo accetterebbe.
“Padre, risparmiala, ti
prego. Non ha fatto niente, usa l’acqua per guarire…”
“Questo modo di pensare ti
rende debole, Zuko. Pagherai questa tua debolezza.”
Ha lasciato suo padre a
urlare contro i loro migliori guaritori, insistendo che trovino una soluzione e
in fretta. Azula gli ha rivolto un ultimo sguardo sprezzante ed è uscita,
decisa a trovare Katara – Zuko sospetta che intenda reclamare il posto del
padre dopo aver catturato la maggior ricercata del momento. Avrebbe dovuto
seguirla, forse. Per aiutarla.
Impossibile.
Più ripensa a quella sera,
più trova difficile considerare Katara nemica e il suo attacco sbagliato.
Suo padre ha ucciso o fatto
uccidere tutti coloro che considerava ostacoli. Katara avrebbe potuto
ucciderlo, quella notte, ma ha scelto di non farlo.
Vorrebbe poterle parlare di
nuovo, raccontarle com’è davvero andata la cattura di sua madre. Dirle che non
ha infranto la promessa e che ha cercato invano, ma a caro prezzo, di opporsi
alla condanna. Che differenza farebbe? La verità non le restituirebbe sua
madre, né gli anni passati senza di lei.
“Zuko, sei qui.”
Alza lo sguardo su Mai.
Sembra turbata – insolito, per lei che è sempre tanto cauta nel tenere a freno
le emozioni –, si chiede se sia per la nuova arma in mano ai ribelli. Ribelli
di cui nemmeno sospettavano l’esistenza, fino a poche ore prima.
“I Rinnegati hanno attaccato
la Roccia Bollente” gli comunica, cercando il suo sguardo.
“I Rinnegati?” ripete,
incerto. Due attacchi nella stessa sera non possono essere una coincidenza,
oppure sì?
“È probabile che l’infiltrata
del gala sia una di loro. Credevamo si fossero dispersi, dopo la cattura del
loro capo, ma evidentemente ci siamo sbagliati. Hakoda è evaso, insieme a una
dozzina di altri detenuti.”
Zuko non reagisce, Mai gli
poggia una mano sulla spalla.
“Sai cosa significa, vero, Spirito
rosso?”
Mai non lo chiama mai con il
suo nome da eroe. Deglutisce e assente con gravità.
“È guerra.”
NdA
La storia nasce grazie al
prompt ricevuto in occasione della challenge “Dolcetto o scherzetto?” del
gruppo facebook L’angolo di Madama Rosmerta. Il prompt era: “Un
personaggio bacia il suo peggior nemico a una festa in maschera”. Trattandosi
di un’enemies to lovers, il richiamo di una Renegades!AU è stato fortissimo ed
eccoci qui. La trama mi è un po’ sfuggita di mano, con la questione dell’attentato
di Katara, e adesso ho voglia di approfondire la questione, ma questo lo farò
magari in futuro in altre storie; nel frattempo spero che l’OS vi sia potuta
piacere comunque, nonostante il finale aperto.
Ringrazio moltissimo Shireith
e Sia per il supporto e per i
consigli!
La storia è candidata agli Oscar della Penna 2022
indetti sul forum Ferisce più la penna nella categoria Migliori costumi
(per le AU), pubblicata proprio l’ultimo giorno disponibile per le iscrizioni!
Se non conoscete già l’iniziativa e avete storie edite tra il 2020 e il 2021,
magari dateci un occhio!
Dato che il fandom di
Renegades lo conosciamo in due, mi sembra il caso di fornire qualche nota
riguardo a come vi ho attinto per questa AU. Le allineo a destra, così se non
vi interessa potete saltarle.
In Renegades alcune
persone sviluppano o nascono con dei poteri, vengono chiamate “prodigi”. Non
tutti sono prodigi, anzi, si tratta di una minoranza.
La legenda
all’inizio imita i libri della trilogia che, appunto, ne presentano una simile con
i personaggi principali dei gruppi (Anarchists e Renegades, lì). La trilogia
non è stata tradotta in Italia, i nomi degli eroi sono ovviamente in inglese e
sono anche stata tentata di impiegare a mia volta l’inglese nell’inventare
soprannomi “eroici” per i personaggi di Avatar, ma poi ho finito per scegliere
l’italiano. Capitan Fuoco ricalca Captain Chromium del libro, un
personaggio invincibile ma non perché può mutarsi in fuoco; lui non ha una
debolezza evidente come quella di Ozai qui né fa una strage di chi potrebbe
sconfiggerlo (cioè nessuno). Il soprannome di Mai, Lama assassina, è ispirato al
personaggio Red assassin della trilogia, un’alleata del protagonista maschile
(che qui, più o meno, sarebbe Zuko: come Adrian è figlio – adottivo – di uno
degli eroi originali, Captain Chromiium che qui è Ozai).
Per il nome di Zuko
ho dovuto riflettere molto, alla fine ho optato per “Spirito rosso” fondendo il
suo alias Spirito blu in Avatar e il colore del fuoco; la maschera blu
che indossa al gala è proprio un richiamo a quella che indossa nei panni dello Spirito
blu.
Ho stravolto la
situazione della trilogia, però: i Renegades nei libri sono la parte
vincente, gli eroi di Gatlon City, tecnicamente i buoni. E non sono cattivi
(non quanto Ozai di certo), eh, però non sono nemmeno così impeccabili, la loro
organizzazione presenta varie sfumature di grigio. I “cattivi” nei libri sono
chiamati Anarchists, ma qui ho preferito optare per un più semplice
“Fuochi” anche perché l’obiettivo di Ozai non è certo l’anarchia, quanto
piuttosto una dittatura più o meno mascherata. Non avrebbe quindi avuto senso
chiamarli così.
“Non dormo mai”, il
potere che Katara si inventa sul momento, è in realtà il potere (uno dei due)
della protagonista di Renegades, Nova; mi piaceva l’idea di inserire
questo easter-egg, nonostante abbia scelto di mantenere per entrambi poteri
legati al dominio dei loro elementi.
Spero che si sia capito,
comunque: Zuko ha cercato di salvare la madre di Katara pregando suo padre di
risparmiarla, ma per tutta risposta Ozai l’ha sfigurato (come nel canon)
dicendogli che la sua debolezza è un tradimento e che gli sia di lezione. Zuko,
che era solo un bambino, un po’ si sente in colpa per non aver potuto salvare
la donna, un po’ beve le parole di suo padre e crede di dover diventare più
forte. Niente esilio o Avatar da cercare, tuttavia.
Per Aang mi sono
ispirata a un personaggio dei libri, ridimensionando molto il suo potere. Ho
immaginato che abbia l’abilità di indebolire temporaneamente i prodigi nelle
sue vicinanze; non è specificato nella storia, mi sembrava inutile, ma è
proprio basandosi sul suo potere che lui e Sokka creano l’Agente
Neutralizzante. Una sostanza così esiste anche in Renegades. Mi piace
l’idea che anche qui Ozai venga infine neutralizzato invece che ucciso, anche
se a compiere la scelta stavolta è Katara (ma sempre con l’apporto di Aang).
Credo che sia realistico, dato che proprio Katara rinuncia a vendicarsi
dell’assassino di sua madre nel canon. “Non so se sono troppo debole o troppo
forte per farlo.”
Mi scuso per le note
lunghissime, volevo rendere l’idea!
Grazie per aver letto. Alla
prossima,
Mari