VII: Il Carro – Il potere è giustizia
Spiriti
inquieti si aggiravano tra le colonne della
Quarta Casa, globi azzurrini di fuochi fatui che gettavano tenui luci
sul marmo
grigio. Negli ultimi mesi ce n'erano sempre di più e Death
Mask iniziava a
pensare che fossero attratti dalla sua anima.
Abbassò
gli occhi sul calice di vino che stringeva tra
le mani, ma non era dell'umore giusto per bere. Una parte di lui
desiderava
annegare i ricordi nell'alcol e fingere che niente di quanto successo
fosse
accaduto realmente, ma l'idea di sbronzarsi fino a vomitare anche
l'anima gli
faceva venire la nausea. Ma cos'altro poteva fare per dimenticare tutte
quelle
persone morte?
Scagliò
il calice contro una colonna e si prese il
volto tra le mani. Nelle orecchie continuavano a echeggiare le urla di
quella
donna e i pianti dei due bambini, lo scricchiolio della trave divorata
dalle
fiamme e il boato del crollo.
Non
sono stato io, non è colpa mia.
Eppure
lui era lì, avrebbe potuto fare qualcosa –
qualsiasi cosa – per salvarli. Era un Santo d'Oro, no? A cosa
serviva il potere
se non lo usava per salvare i deboli? A cosa serviva essere forte se
non
riusciva a proteggere neanche una donna indifesa e i suoi figli di
pochi anni?
Eppure,
in fondo, era solo colpa sua. Poteva salvarli,
ma non l'aveva fatto. Aveva preferito sacrificarli pur di uccidere quel
bandito.
Aveva preferito sporcarsi le mani di sangue innocente pur di portare a
termine
il compito che gli aveva affidato il Gran Sacerdote.
Non
volevo farlo.
Si
guardò la mano e gli parve che fosse ancora
macchiata di sangue – del loro sangue.
Per un attimo era di nuovo in
quel villaggio, in mezzo all'incendio, con i cadaveri di quelle persone
riversi
ai suoi piedi. I loro organi che sembravano brillare alla luce calda
delle
fiamme, le ossa che avevano tranciato la carne e ammiccavano alle
stelle.
L'odore di corpi carbonizzati nelle narici.
Se
solo non si fossero trovati lì in quel momento si
sarebbero potuti salvare. Se solo fossero fuggiti.
È
colpa loro se sono morti, io non c'entro.
Non è colpa
mia.
Sì,
era proprio così: la verità era che non avrebbe
potuto salvarli. Il suo compito era uccidere quei criminali, non
proteggere
degli sciocchi che avevano pensato bene di accoglierli. In fondo era
colpa loro
se erano morti, che cosa si aspettavano? Che li ripagassero con dei
fiori? Erano
morti perché erano deboli e stupidi, lui non poteva farci
nulla.
La
giustizia è anche questo, no? La
giustizia è potere e io sono potente.
Serrò
la mascella e affondò il volto nelle braccia. Un
nodo gli strinse la gola. Quelle grida continuavano a tormentargli le
orecchie,
eterne nenie di dolore. Affondò le unghie negli avambracci,
i denti nel labbro.
Sapore di sangue sulla lingua.
Non
è colpa mia, non è colpa mia. Non ho
fatto nulla di sbagliato. I forti sopravvivono, i deboli soccombono. La
giustizia è dei forti. Il potere è giustizia.
«I
forti sopravvivono e i deboli soccombono» mormorò,
ricacciando indietro le lacrime. «Se divento potente,
sarò sempre nel giusto e
non sbaglierò. E se sono nel giusto, non soffrirò
mai più.»
Non
ho ragione?