XIII: La Morte – Maestro e allievo
La
brezza fredda del Jamir filtrava attraverso le
aperture della torre, agitando appena i pesanti drappi di pelliccia che
Mu
aveva appeso alle pareti di roccia nel tentativo di tenere fuori il
gelo della
notte. Una lama lattea attraversò l'aria, scivolando pigra
sulla superficie
lucida della cassa della cloth e sulle sue dita affilate. Gli occhi
vuoti
dell'ariete sbalzati su un lato lo fissavano stanchi, proprio come si
sentiva
lui da ormai più di sette anni.
Esausto
e sfinito.
«Cosa
fate?» mormorò la voce sonnacchiosa di Kiki.
Mu
si voltò e vide il bambino mentre si stropicciava
un occhio, un lembo della federa del cuscino stretto tra le dita della
manina.
Un
sorriso gli affiorò sulle labbra.
«Potrei
chiederti la stessa cosa.»
«Faceva
freddo.»
Era
una bugia e lo sapevano entrambi, ma anche quella
volta Mu preferì non insistere. Gli incubi che tormentavano
il sonno del
bambino sarebbero svaniti, prima o poi. Doveva solo pazientare e dargli
quell'affetto che richiedeva, proprio come aveva fatto Shion un tempo
di troppi
anni fa. Era il prezzo da pagare per chi possedeva le loro stesse
abilità psichiche.
«È
la vostra armatura?»
Mu
tornò a guardare Kiki e annuì.
«Un
tempo apparteneva al mio maestro.»
«E
dov'è ora?»
Mu
serrò le labbra.
«Non
è più qui.»
«Perché?»
«Qualcuno
gli ha fatto del male e adesso sta dormendo.»
«Ma
poi si sveglierà?»
«No,
quello…»
Mu
tacque chiedendosi se il bambino avrebbe capito; in
fondo non aveva neanche tre anni, a quell'età la morte
doveva essere l'ultimo
dei suoi pensieri. Come avrebbe dovuto essere per lui, ma il destino
aveva
voluto in maniera diversa. Il suo primo incontro con la morte era
avvenuto nel
modo peggiore e la sensazione di terrore che aveva provato quella notte
continuava a trascinarsela dietro, persino adesso che aveva quasi
quindici
anni.
La
manina di Kiki che gli afferrava un lembo della
casacca e lo strattonava lo riportò al presente, in quella
piccola stanza nella
torre del Jamir.
Abbassò
gli occhi sul visino ovale del bambino e si
impose di sorridergli, ma non ci riuscì e Kiki lo
percepì.
Il
suo volto si accartocciò, le lacrime gli si
affollarono sulle ciglia e tirò su con il naso.
«Non
si sveglia più, vero?» piagnucolò.
Mu
scosse la testa, in silenzio, e allungò una mano
per accarezzargli i capelli fulvi. Kiki si lasciò andare a
un pianto disperato.
«Va
tutto bene» gli mormorò il ragazzo. «Non
devi
essere triste.»
Il
bambino gli cinse le ginocchia e gli affondò il
volto in grembo. I singhiozzi scuotevano le sue esili spalle e il
silenzio
della notte.
Mu
gli accarezzava i capelli, maledicendosi di non
essere riuscito a rinchiudere le sue emozioni nel profondo del suo
cuore, in
modo che l'allievo non potesse percepirle.
Shion
ci sarebbe riuscito, c'era sempre
riuscito, persino quella maledetta notte di quasi otto anni fa, quando
era
stato brutalmente assassinato. Nonostante tutto, era riuscito a non
lasciar
trasparire nulla del suo dolore a Mu. Il suo addio era stato delicato
come le
carezze che di tanto in tanto gli donava, e forse era proprio questo
che lo aveva
fatto soffrire tanto. Adesso che aveva Kiki di cui occuparsi,
però, riusciva a
comprendere le motivazioni del maestro; aveva cercato di proteggere la
sua
innocenza dal tocco putrido della morte e, anche se alla fine non c'era
riuscito, gliene sarebbe stato grato per il resto della sua vita.
Scostò
un ciuffo dalla fronte del bambino e vi posò un
piccolo bacio.
«Torna
a dormire, sei stanco.»
Kiki
annuì, si asciugò gli occhi e lo
guardò.
«Ma
venite anche voi, vero?»
Mu
annuì e accompagnò il bambino a letto. Gli
rimboccò
le coperte di lana in modo che lo tenessero al caldo e gli diede un
ultimo
bacio sulla fronte.
Fece
per allontanarsi, ma Kiki gli afferrò la mano.
«Voi
vi sveglierete, vero?» gli chiese, con un filo di
voce.
Mu
sorrise e annuì.
«Io
mi sveglierò sempre, non temere.»
Il
bambino abbozzò un mezzo sorriso e affondò il
volto
sul cuscino. Pochi minuti dopo, il respiro si era fatto regolare e Mu
lasciò
andare la sua manina. Chissà se sarebbe mai diventato un
insegnante di cui il
suo maestro sarebbe potuto andare fiero.
Diede
un'ultima occhiata alla cassa della cloth, poi
la coprì di nuovo con una pesante stuoia.
Forse
non sarò alla vostra altezza, ma farò di tutto
per rendervi fiero di me.
Come
Santo dell'Ariete e come maestro.