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Autore: unrapido_sospiro    30/12/2021    1 recensioni
[Un Professore]
Storia basata sulla serie “Un professore”: contiene SPOILER sulla prima stagione.
[Long-Fic in cui Simone dopo l’incidente causato da Sbarra finisce in coma e perde la memoria: un disperato Manuel tenta di tutto pur di farlo innamorare di lui per la seconda volta.]
A/N:
In corsivo vengono riportati i pensieri di Manuel.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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... Quattro giorni dopo...

Le prime 48 ore erano passate, così come le 48 ore seguenti. Ma Simone ancora non si svegliava.

Le sue condizioni di salute non lasciavano ben sperare: trauma cranico, braccio destro rotto, due costole incrinate, possibile lesione cerebrale (da valutare al risveglio). I parametri vitali erano ancora instabili, il corpo estremamente provato dall'incidente.

Nelle 24 ore successive alla disgrazia né Manuel né Dante si erano allontanati per un istante dall'ospedale. Non c'era stato verso di farli desistere: non avevano alcuna intenzione di lasciare Simone da solo. Si sentivano entrambi responsabili per quanto gli era accaduto, colpevoli di averlo fatto soffrire ingiustamente, senza nemmeno dargli una spiegazione. Condividevano in silenzio quei momenti d'angoscia, facendosi bastare l'uno la muta presenza dell'altro - ognuno con un diverso fardello sul cuore, immerso nel proprio tormento, intento a fare i conti con il peso dei rimpianti: Dante, per non essere stato vicino a Simone quando più ne aveva bisogno e per non avergli ricordato a sufficienza quanto gli volesse bene; Manuel, per non aver avuto il coraggio di dirglielo mai.

Non si parlavano: in quella circostanza ogni frase sarebbe stata superflua - era il dolore ad unirli, ben più delle parole.

Anita era passata da casa per farsi una doccia e per prendere qualche coperta. Una volta tornata in ospedale li aveva trovati addormentati: Dante seduto per terra, la testa abbandonata contro il muro della sala d'attesa; Manuel rannicchiato sulle sedie, la giacca di Simone a fargli da cuscino improvvisato. Volevano esserci quando Simone si sarebbe risvegliato. Perché Simone si sarebbe svegliato, era solo una questione di tempo: un esito diverso non era possibile, non era nemmeno lontanamente pensabile.

 

Settimo giorno.

Dante era a pezzi: per non pensare era rientrato a scuola e aveva ricominciato ad insegnare, stare con i ragazzi gli faceva bene. Anche Manuel era tornato in classe, su insistenza della madre, ma non era affatto concentrato. Le ore sembravano interminabili, i minuti scorrevano penosamente: solo le lezioni di filosofia lo facevano stare un po' meglio, perché guardare Dante muoversi per la classe era come vedere Simone. Padre e figlio avevano lo stesso modo di camminare, con quell'andatura bizzarra e a tratti goffa per via dell'altezza; la stessa maniera di piegare la testa quando erano chiamati a rispondere ad una domanda che non si aspettavano; la medesima ruga di espressione ai lati della bocca; il medesimo sorriso, tanto spontaneo quanto raro.

Simone gli mancava da morire.

 

Decimo giorno.

Tutti i giorni dopo la scuola Dante e Manuel andavano insieme in ospedale da Simone. Più tardi, uno dei due andava a prendere Anita al museo dove lavorava, per poi far ritorno all'ospedale. A quel punto Manuel insisteva per rimanere ancora qualche ora, ma Dante lo minacciava di farlo bocciare se non fosse tornato a casa a fare i compiti e a cercare di svagarsi.

Svagarsi. Era una parola. Manuel non riusciva a pensare ad altro che a Simone, alle ultime parole che si erano scambiati, al fatto che non c'era ancora stato un miglioramento nelle sue condizioni.

"Tu per me manco esisti."

Aveva ancora davanti agli occhi lo sguardo distrutto di Simone, i suoi grandi occhi da cerbiatto gonfi di lacrime che in silenzio lo supplicavano di dargli una possibilità. Era stato straziante urlargli quelle parole, voltargli le spalle e sentirlo andare via, ma era stato necessario: Simone era pronto a cacciarsi nei peggiori guai per lui, ma Manuel non glielo avrebbe permesso - a costo di farsi odiare, a costo di perdere il suo affetto per sempre. Ora però rimpiangeva ogni singolo secondo che non avevano trascorso insieme, tutti gli abbracci che non gli aveva dato, ogni carezza che gli aveva negato: aveva ragione Battisti, è solo la paura che inquina e uccide i sentimenti.

Manuel aveva dovuto ferirlo per il suo bene, per proteggerlo, per salvarlo da lui e dal suo cuore di cane, perché per colpa sua Simone sarebbe stato disposto a mettere a repentaglio ogni certezza - ma non sapeva che Manuel, anarchico re Mida, trasformava in fango e rovinava tutto ciò che toccava. Era così da sempre e puntualmente era successo anche questa volta: aveva distrutto l'unica cosa bella che gli era capitata, il rapporto con Simone, ed ora rischiava di perderlo per sempre. Non se lo sarebbe mai perdonato.

 

Quindicesimo giorno.

Quella mattina Anita aveva chiesto a Manuel di tornare a casa dopo la scuola, invece di andare direttamente in ospedale con Dante: gli disse che voleva pranzare con lui (era il suo giorno di riposo) e Manuel accettò di buon grado: da quel maledetto giorno in cui Simone era stato investito non avevano più pranzato insieme a casa - Manuel aveva davvero bisogno di stare un po' in sua compagnia. Dopo aver mangiato, Anita invitò il figlio a rimanere ancora qualche minuto con lei, prima di correre da Simone.

- Hai qualcosa da dirmi, Mà? C'hai la faccia de una che deve di' qualcosa de importante.

Anita fece un lungo sospiro. In effetti c'era qualcosa di cui voleva parlargli.

- È così. Ascoltami un attimo, Manuel: devo parlarti, è una cosa seria.

- Me devo preoccupà?

- Ma no, che dici ! È una bella notizia, o almeno spero. Per me lo è di sicuro, mi auguro lo sia anche per te.

- Va bene, te ascolto. Spara.

 

Anita prese coraggio e con un solo fiato gli disse:

- Dante mi ha chiesto di trasferirci a casa sua.

 

Fece una breve pausa.

- Ti ricordi quel discorso che ti ho fatto al parco, quando ti ho detto che mi ero innamorata? Ecco, forse lo avevi già capito, ma... Era di Dante che parlavo. Mi sono innamorata di lui.

- L'avevo capito, Mà, te si legge tutto in faccia. Ma mica c'aveva un'artra, la mamma de Aureliano? Li avevo visti insieme fino a qualche tempo fa.

- Sì, in effetti era così, ma si sono lasciati poco prima di...

Un'altra pausa. Non voleva ricordargli ancora una volta dell'incidente: sapeva quanto gli facesse male parlare di Simone.

- Ho capito, ho capito.

Manuel guardò la madre: aspettava una sua risposta con ansia, glielo si leggeva negli occhi.

- Per me va bene, Mà.

- Sei sicuro? Guarda che è una cosa seria, Manuel.

Anita esitò per un istante.

- So bene che Dante non è un uomo qualunque: è un tuo professore e soprattutto è il padre di Simone. Non posso dirgli di sì se tu non sei d'accordo. Tu per me vieni prima di tutto.

- Lo so, Mà. Comunque sì, so sicuro. Se te sei felice, lo sono anche io.

Anita si alzò, si avvicinò al figlio e lo abbracciò, raggiante.

"Che bella che è quando sorride" - pensò Manuel.

 

- Però te posso chiede 'na cosa, Mà?

- Certamente. Dimmi tutto !

- Avevi detto che non te voleva perché c'aveva paura... Perché ha cambiato idea?

Quella domanda la colse alla sprovvista: sapeva come metterla in difficoltà, sin da quando era bambino - i suoi perché andavano sempre dritti al punto. Prima di rispondere gli prese il viso tra le mani e lo accarezzò dolcemente.

- Perché la vita è breve, Manuel. Tutto può finire da un momento all'altro. Dante ha capito finalmente che non vale la pena perdersi, bisogna tenersi stretti. A che serve stare lontani, quando ci si vuole bene?

Aveva perfettamente ragione, Manuel lo aveva imparato sulla propria pelle. In quel momento avrebbe tanto voluto raccontarle di lui e di Simone, di quello che c'era stato tra di loro, di tutto il male che gli aveva fatto e di tutto il bene che invece Simone aveva fatto a lui senza nemmeno rendersene conto. Ma non ebbe il coraggio. Non era ancora pronto per quella conversazione.

Anita intuì che Manuel non le stesse dicendo tutto: anche lui aveva qualcosa dentro di sé che voleva rivelarle, se lo sentiva, ma per il momento decise di non chiedergli nulla. Quando sarebbe stato il momento, lei ci sarebbe stata. Vedendolo così pensieroso cercò di farlo sorridere, dicendogli che per il momento aveva finito con le rivelazioni shock e che poteva andare da Simone. Manuel si mise a ridere.

- In effetti è meglio che vada, altrimenti Dante ce rimane male se non me vede. Te lo saluto e je dico anche che se te fa soffrì lo vengo a cercà e je sfascio Paperella, va bene?

- Sei sempre il solito scemo. Ma... Chi è Paperella??

Anita non sapeva del soprannome che Simone aveva dato da piccolo alla moto di Dante. Un sorriso amaro solcò il volto di Manuel.

- Storia lunga, Mà. Cose mie e de Simò. Un giorno te la spiegheremo.

Era un ricordo felice del passato di Simone, che il ragazzo non aveva esitato a condividere con Manuel: una delle tante piccole cose che li legava.

 

Prima di conoscere Simone, Manuel era sempre stato avaro nei sentimenti, avido divoratore di emozioni fugaci e di passioni superficiali. Con lui invece aveva appreso l'arte della lentezza, la bellezza del donarsi a poco a poco: tutto questo lo spaventava a morte, lo faceva sentire costantemente nudo e privo di difese. Cedere a quelle sensazioni e ammettere ciò che provava sarebbe stato troppo rischioso, un folle salto nel buio.

"Non ti disunire, Manuel. Resta lucido."

Ma era praticamente impossibile, dopo quello che era successo con Simone. Simone aveva scompaginato tutte le sue carte e gli aveva fatto cominciare una partita nuova con il destino - stavolta senza assi nella manica, trucchi o sotterfugi. L'amore era per lui una lingua straniera, una materia in cui era stato più e più volte bocciato: questo perché la complessa grammatica delle relazioni non conosce ordine sintattico, è una confusione entropica che mette tutto al posto giusto.

"Mi manchi, Simo..."

Era ora di tornare da lui in ospedale.

 

Venticinquesimo giorno.

Era passata una settimana dal trasferimento di Manuel ed Anita a casa Balestra. La villa in cui Dante viveva con il figlio e sua madre Virginia era spaziosa, calda ed accogliente - le stanze erano ampie e c'erano libri ovunque. Era perfetta. Ma pareva vuota e triste senza Simone.

Pur avendo a disposizione una stanza tutta per sé, ogni notte Manuel andava a dormire nel letto di Simone, per sentirsi più vicino a lui. Non voleva che gli altri membri della famiglia lo scoprissero, perciò aspettava sempre che tutti si fossero già addormentati per sgattaiolare dalla sua camera e infilarsi in quella di Simone, cercando di non far rumore: puntava poi la sveglia alle sei, per riuscire a tornare in tempo nella sua stanza e far finta di aver dormito lì. Sapeva che se lo avesse detto a sua madre o a Dante non lo avrebbero di certo preso in giro, né glielo avrebbero impedito. Tuttavia, preferiva tenere questo piccolo segreto per sé: non lo avrebbe mai rivelato nemmeno a Simone - sarebbe stato troppo imbarazzante confessargli che annusare i suoi vestiti e tuffare il viso nel suo cuscino erano diventati gli unici modi per non fare brutti sogni.

Quella notte, la venticinquesima da quando Simone era stato investito, Manuel non riusciva a prendere sonno. Le condizioni di Simone erano peggiorate, non rispondeva bene ai farmaci: la speranza di poter parlare di nuovo con Simone cominciava a vacillare. Si ritrovò a rivolgere una preghiera a Dio, cosa che non aveva mai fatto prima: tanto valeva tentarle tutte, che altro aveva da perdere?

"Forza Simo. Devi farcela. Torna da me."

Si addormentò sfinito alle tre di notte, nel letto di Simone. Anche Anita quella notte non riusciva a dormire, perciò si alzò e scese al piano di sotto per bere una tazza di tè caldo. Stava per rientrare nella camera di Dante, quando notò che la porta della stanza di Manuel era aperta. Pensò subito che fosse strano, Manuel non lo faceva mai. Si avvicinò e vide che la camera era vuota: dove era finito Manuel? Fece per andare a svegliare Dante, preoccupatissima, quando si accorse che anche la porta della stanza di Simone era spalancata.

Sbirciò dentro e vide suo figlio addormentato a pancia in giù nel letto di Simone. Sembrava così piccolo e indifeso in quella posizione. Si fece più vicina, cercando di non svegliarlo: Manuel aveva un'espressione corrucciata, il viso pallido e stanco. Era distrutto. Gli accarezzò i riccioli e gli diede un lieve bacio sulla fronte, come quando era bambino e faceva fatica ad addormentarsi - poi se ne andò, lasciandolo riposare. In quel momento capì con chiarezza quanto Manuel tenesse a Simone: chissà se sapeva che Simone era innamorato di lui... Gliene avrebbe parlato, un giorno, quando Manuel sarebbe stato pronto.

Ora però il problema era un altro: Simone doveva risvegliarsi.

 

Ventinovesimo giorno.

Ore 2.43 di notte.

Al piano terra, il telefono di casa Balestra squillò.

Dante si svegliò di soprassalto e si precipitò giù dalle scale, seguito da Anita. Anche Manuel si svegliò con il cuore in gola: un brivido di terrore gli percorse il corpo all'udire il rumore del telefono. In pochi secondi aveva raggiunto Dante e la madre al piano terra - qualche attimo dopo, anche la nonna di Simone fece capolino in soggiorno.

Era l'ospedale.

Dante pronunciò solo poche parole, poi riattaccò. Tremava. Guardò Anita con gli occhi pieni di lacrime e la strinse forte a sé. Manuel e Virginia li osservavano in preda al panico – Manuel volle subito sapere cosa si erano detti.

- ALLORA? CHE È SUCCESSO?

Dante si staccò da Anita e andò incontro al ragazzo, lo prese per le spalle e scoppiò in un pianto liberatorio.

- Manuel... SIMONE SI È SVEGLIATO !

   
 
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