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Autore: unrapido_sospiro    14/12/2021    2 recensioni
[Un Professore]
Storia basata sulla serie “Un professore”: contiene SPOILER sulla prima stagione.
[Long-Fic in cui Simone dopo l’incidente causato da Sbarra finisce in coma e perde la memoria: un disperato Manuel tenta di tutto pur di farlo innamorare di lui per la seconda volta.]
A/N:
In corsivo vengono riportati i pensieri di Manuel.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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"Se Simone non si sveglia mi ammazzo. È tutta colpa mia."

Il rumore costante dei macchinari a cui Simone era attaccato e che lo tenevano in vita era come un tarlo nella testa di Manuel. Il ragazzo batté il pugno con violenza contro il vetro che separava la sala d'attesa dalla stanza di Simone: vederlo in quello stato senza poterlo toccare era peggio di una tortura.

Era successo tutto così in fretta: mentre cenava con sua madre, lui e Anita avevano sentito un rumore fortissimo provenire dalla strada, così si erano precipitati fuori e avevano visto Simone riverso a terra, con gli occhi sbarrati, immobile - il suo motorino distrutto dall'impatto con un furgone che era sfrecciato via senza fermarsi. Era stato Zucca ad investirlo, su ordine di Sbarra, per vendicarsi di Manuel e dell'invadenza indebita di Dante, che aveva cercato di aiutarlo ad uscire dal brutto guaio in cui si era cacciato. Si sentiva tremendamente in colpa, perché ad andarci di mezzo era stato proprio l'unico che non avrebbe dovuto, l'anima più buona e pura di tutte: Simone.

Simone il bravo ragazzo, premuroso ed affidabile, Simone lo studente coscienzioso amante della matematica, Simone con la testa sulle spalle - quella stessa testa che aveva perso completamente per Manuel. E Manuel lo sapeva, era ben consapevole del potere e della presa che aveva su di lui, di quanto Simone fosse disposto a tutto per lui. Aveva sfruttato ogni mezzo a sua disposizione pur di impedirgli di farsi coinvolgere nei loschi traffici di Sbarra: l'aveva insultato, tenuto a distanza e preso in giro per il suo essere sempre così scioccamente disponibile nei suoi confronti. Simone e il suo maledettissimo vizio di mettersi sempre in mezzo, quando si trattava di Manuel. Cosa avrebbe dato pur di avere quel ficcanaso tra le sue braccia, in quel momento.

Per ferirlo e tenerlo lontano dai guai gli aveva detto che non provava niente per lui, che il bacio che gli aveva dato alla sua festa di compleanno non significava nulla, che nemmeno se lo ricordava perché quella notte era sbronzo e lo aveva semplicemente usato per scrollarsi di dosso la rabbia dopo la rottura con Alice.

Bugie, ovviamente. Erano tutte menzogne, dalla prima all'ultima (soprattutto l'ultima): non aveva affatto dimenticato quel bacio, né quello che era successo dopo, quando Simone l'aveva reso suo e Manuel si era lasciato prendere, perso nel suo abbraccio, aggrappato a lui come se fosse l'ultima notte al mondo.

"Con te è diverso."

Come poter dimenticare l'intensità di quei momenti, il suo respiro affannoso, i suoi occhi che non avevano smesso per un attimo di scrutarlo? Nessuna donna (nemmeno Alice, di cui credeva di essere innamorato - ma che ne sapeva lui dell'amore? Quella parola aveva senso solo dopo Simone) l'aveva mai fatto sentire così uomo. Portava ancora addosso i segni indelebili di quella notte con lui, che gli era parsa interminabile e allo stesso tempo brevissima. Quanto avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e non essersi comportato da stronzo.

Le parole di Simone rimbombavano nella sua testa, come un disco rotto.
- Non ti lascio, va bene? Non ti lascio perché ti voglio bene.
- Vengo con te.
- Mica sono innamorato di te, io.
Manuel forse sì, ma Simone ancora non lo sapeva, infatti aveva creduto alle sue bugie e avevano litigato. Se n'era andato con gli occhi gonfi di lacrime, mentre Manuel lo guardava con il cuore spezzato: pensava ingenuamente che in questo modo Simone sarebbe stato al sicuro. Ma si sbagliava. E se Simone non si fosse più svegliato e non avesse più potuto scoprire la verità?

Ora, nella sala d'attesa dell'ospedale, Manuel indossava ancora la giacca che Simone gli aveva prestato dopo la prima volta che aveva dormito a casa sua. La manica destra era orribilmente macchiata del suo sangue. Gli vennero in mente le parole di una canzone di Ermal Meta.

"Caro Antonello
È una giornata di merda
Ma va tutto bene
In fondo respiro ancora

Oggi con la tristezza
Condivido la stanza
Ma c'è un letto solo
Porterò pazienza"
Sembravano scritte apposta per lui: nel suo caso il letto era quello in cui era disteso Simone, mentre la tristezza albergava tutta nel suo cuore.

"... Di Roma Capoccia, di notti e di esami
Non è rimasto più niente
C'hai fregati tutti

Ci hanno fatto male, male, male
Le tue canzoni d'amore
Ma almeno mentre si canta
Non si può mai morire"
Manuel sentì una stretta alla bocca dello stomaco.

"Non morire, Simo."

"... È buffo, pensavo
A questa vita che è cara
Che per averne anche solo metà
La si paga intera

Hai visto il mio cuore
Il mio cuore di cane
Lo riconosci subito
Perché è quello che morde"
Manuel pensava davvero di avere un cuore di cane: un cane randagio, per la precisione - sporco, rabbioso, sempre pronto ad attaccare, abbandonato a se stesso, senza nome. Stupido, stupido cuore.

"... Vedi Antonello
Lei manca pure adesso

E anche se mi uccideva
Io che l'amavo lo stesso"
Il pronome in questo caso era sbagliato, ma il concetto no: quella canzone parlava di Simone.

Gli mancava. Perderlo sarebbe stato come smarrire la sua bussola, il suo riferimento e porto sicuro. Lo amava? Sì, a modo suo lo amava, anche se era troppo orgoglioso e spaventato per ammetterlo persino a se stesso.

"Starà sognando? Mi starà pensando? Mi odierà a morte quando si renderà conto di quello che gli ho fatto."
Quella sensazione non gli dava tregua, aveva il cuore pesante e la testa che gli scoppiava. Si passò le mani fra i capelli ricci, abbandonandosi senza forze sulla sedia, mentre guardava sua madre camminare avanti e indietro per la stanza, troppo agitata per riuscire a stare seduta.

- Mà, per favore, sta' ferma. Me fai venì il mal di testa.

Anita si avvicinò al figlio, gli si sedette accanto e senza dire nulla lo strinse in un abbraccio. In condizioni normali Manuel si sarebbe allontanato e l'avrebbe presa in giro, con quella sua tipica aria spavalda che in realtà nascondeva un animo estremamente fragile: ma quella non era affatto una situazione normale, perciò si lascio cullare, affondando la testa nell'incavo della spalla di Anita.

- Se succede qualcosa a Simone io non me lo perdono Mà, non me lo perdono. Me ammazzo, giuro che stavolta lo faccio pe' davvero.
- Non dirlo neanche per scherzo, Manuel. Dobbiamo avere pazienza. Simone si risveglierà, te lo prometto.
- NON DIRE COSÌ, CAZZO !

Manuel si alzò di scatto dalla sedia, facendo sobbalzare Anita.

- Voi adulti avete sempre questa mania de fa' promesse che poi non riuscite a mantenere. Non puoi sapere che si risveglierà, quindi non dirlo, cazzo !

Anita guardò il figlio: il suo sguardo era disperato, le mani gli tremavano e la voce era sul punto di spezzarsi. Non l'aveva mai visto così sconvolto.

- Manuel, calmati. Non puoi fare così ! Tra poco Dante avrà finito di parlare con i medici e ci dirà tutto.
- NO CHE NON ME CALMO !

Manuel sembrava su tutte le furie.

-    Simone rischia de morì ed è solo colpa mia. Sbarra e Zucca volevano punire me, Simone non c'entrava nulla. Lui è entrato in 'sto giro demmerda solo per stamme vicino, per non permettermi de fa' cazzate. Ma alla fine la cazzata l'ho fatta lo stesso, e ci è andato di mezzo lui. Dovevo starci io al suo posto, attaccato come un vegetale a quelle macchine del cazzo !
- Smettila di dire così. Non è colpa tua, Manuel !

Ma Manuel non voleva sentire ragioni. Non riusciva a stare fermo, ogni centimetro del suo corpo era in tensione: calmarlo era semplicemente impossibile. In quel momento, la porta dello studio del neurochirurgo si aprì. Manuel corse incontro a Dante, aggrappandosi alla sua camicia.

- ALLORA?? Come sta Simone?? Quando si sveglia??

Dante lanciò uno sguardo triste e colmo di apprensione ad Anita, poi si rivolse a Manuel.

- Simone ora ha bisogno di tempo, Manuel. Il coma farmacologico è necessario dopo quello che è successo. Il suo corpo ha subìto un fortissimo stress. Dobbiamo avere pazienza e aspettare: tutto dipende da come reagirà alle cure nelle prossime 48 ore.

Dante fece una breve pausa prima di ricominciare, accompagnata da un lungo sospiro.

- Tu e tua mamma ora dovreste andare a casa, non serve rimanere qui. È ancora troppo presto per sapere se si risveglierà.

Quel "se" era pieno di tutto l'amore e la paura che può provare un padre che rischia di perdere un figlio, di nuovo. In quell'istante si pentì di non aver mai creduto in Dio: almeno avrebbe avuto qualcuno da pregare.

- È inutile che insiste, Prof: io a casa non ci torno. Non me ne vado, a costo de dormì pe' terra. Voglio esserci quando Simone riaprirà gli occhi, glielo devo.

Anita cercò di intercettare l'espressione di Dante, per fargli cenno di non aggiungere altro: nulla avrebbe potuto far cambiare idea a suo figlio, lo conosceva fin troppo bene. Dante capì e non disse una parola: era distrutto, anche lui divorato dai sensi di colpa. Le ultime parole che si erano scambiati prima dell'incidente erano state parole di rabbia: avevano litigato, per l'ennesima volta. L'idea che avrebbe potuto essere l'ultima lo tormentava: quel dolore sordo e indescrivibile che aveva vissuto quando Jacopo era stato male, tanti anni prima, ora tornava di nuovo a farsi strada nel suo petto. Si sedette vicino ad Anita, la testa poggiata sulla sua spalla, mentre Manuel si accasciava a terra, la testa tra le mani.


"Non fare il coglione, Simo. Non osare fare scherzi, non questa volta. Torna da me."

Sarebbero state le 48 ore più lunghe di sempre.

   
 
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