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Autore: ClodiaSpirit_    06/01/2022    3 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore]
- - Dopo la delusione del finale, ci rifacciamo scrivendo - -
Missing Moments #Simuel
E' passato un mese, Simone e Manuel si ritrovano dopo un anno scolastico che sta letteralmente volando. Tutto sembra andare bene, ma dopo essere stato sulla tomba di suo fratello, Simone manifesta ancora l'essere scosso da questa notizia e altri pensieri. Dall'altra parte Manuel sembra sempre di più mentire a se stesso su ciò che è successo tempo prima, alla famosa festa di compleanno di Simone (1x10 SPOILER).
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Clò:  Ragazzuoli, che piacere che mi fa ritrovarvi qua - sorriso stampato in faccia -
Eh lo so è lunghetta, però con questa si chiude il volume tanto voluto e sognarto JEAOLUSY Ferro! e mi fa molto ridere come io abbia messo le mani avanti dicendo:
"Sì sì ma Manuel non piangerà stavolta, no no assolutamente" però poi me ne esco con un'altra cosa * tosse *
Vabbè bando alle ciance, ecco a voi.

P.S.: cercate di non voler picchiare uno dei tre pg qua,  è servito a uno scopo ben preciso.








Quando si svegliò, ricevendo il messaggio, Simone si stropicciò gli occhi.
Erano passati soltanto due giorni dalla sera in cui Manuel si era dichiarato.
In cui aveva davvero scelto lui. Più ci pensava più credeva di vivere all'interno di una bolla ovattata, leggera che si trasportava volteggiando in aria. Si era dichiarato. E quando, l'altro lo aveva preso per stringerlo, due sere fa, tutto gli era sembrato al suo posto.
Per tutta quella notte, non essendosi ripreso ancora, era rimasto sveglio, erano rimasti a scriversi messaggi fino a fare le ore piccole. Ringraziando che la mattina seguente a scuola non fosse poi così impegnativa o stressante, Simone aveva riletto gli stessi messaggi arrivando addirittura a memorizzarne alcuni. Sciocco da parte sua, ma l'altro non aveva fatto altro che dargli prova di esserci.

12:30 p.m
Manuel
Simone te l'ho detto. Non c'ho voglia de tornà indietro.
Anzi, ti dico già che me manchi, tanto ormai so un sottone.


Un altro era un po' più sconcio e il solo ripensarci lo faceva visibilmente arrossire.
Manuel gli aveva riempito la testa, rendendola una nebulosa rossa, a tratti sfumata verso l'intenso blu, fermandosi per istanti su gialli caldi. Come se fosse qualche dipinto astratto, dove ogni colore corrispondeva a un'armonia, un suono di ciò che provava. La tavolozza cambiava di continuo, ma non andava ormai più sui grigi o i neri. Solo occasionalmente, ripensava ai momenti sofferti, ma erano serviti. Si passava sempre da lì no? Il dolore è il miglior strumento di fortificazione.
Ecco che tutto prendeva di nuovo forma, ad avere un senso.
C'era voluto un anno e mezzo. Un anno e mezzo per le cose di evolversi, mutare, distruggersi, trasformarsi. Eraclito affermava "tutto scorre", pantarei. Il fiume che non si ferma mai, che non si esaurisce mai veramente.
Era un ciclo di vita vizioso e a volte, la fortuna non girava nemmeno a quella velocità, non per tutti. Si era messa di mezzo la fortuna o forse solo il caso. Non sapendolo esattamente, però, si puntava solo sul sentimento, unica cosa chiara.
Simone si alzò dal letto, andò in bagno a sciacquarsi la faccia, lavarsi i denti.
Il suo aspetto, al contrario del suo umore, non era dei migliori. Tra meno di un'ora avrebbe dovuto incontrare Cristian in aereoporto, arrivato a Roma per delle ricerche riguardanti la tesi. Simone gli aveva chiesto se era possibile vederlo il prima possibile, evitando di citare i testuali e paroloni cliché da rottura. Anche se, la risposta del ragazzo gli era parsa abbastanza confusa - come poteva essere altrimenti - perché Simone gli aveva subito scritto un "ci sono delle cose che devo dirti", rimanendo vago quando ambiguo.
Quando Simone scese di sotto per fare colazione, Dante era già uscito e sua nonna aveva preparato dei biscotti. La baciò dolcemente sulla testa e quella gli diede il buongiorno come tutti i giorni. Era sabato, quel giorno a scuola era stata indetta assemblea sindacale, il che aveva reso possibile l'incontro tra i due. E il chiarimento. Simone si scrollò nelle spalle, quando finì il suo tazzone di latte e biscotti, si preparò, infilò le braccia nella giacca di jeans imbottita e zaino in spalla, chiavi in tasca, scese le scale, salutò rapidamente sua nonna e uscì di casa.
In quel preciso momento, il display segnava le nove e venti del mattino e il cellulare mostrava una notifica di messaggio nella piccola icona in alto a destra: Manuel.

9:20 a.m

Buongiorno Simò
buona fortuna per oggi, fammi sapere come va…
Ci vediamo dopo pranzo al parchetto, se vuoi.


Istantaneamente Simone sorrise, benedicendo quel piccolo pensiero. Il fatto di dover rivedere l'altro dopo aver affrontato un discorso serio e complicato con Cristian, il ragazzo che aveva frequentato per tutta l'estate, che aveva imparato ad apprezzare e conoscere, gli dava più sollievo di quanto volesse ammettere. No, era così. Manuel gli stava dando la forza, per la prima volta. Forse, una delle tante prime volte all'interno di una nuova relazione. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso, le fossette si fecero evidenti e riponendo il cellulare in tasca, arrivò al motorino parcheggiato fuori e lo mise in moto.










« Che vuol dire? Che significa? Ho fatto qualcosa- »

« Cristian, no, non è colpa tua »

« Non capisco, andava tutto così bene, hai voluto scrivermi e anche se era un messaggio cripitco, » Cristian si inumidì le labbra in evidente agitazione « ho pensato che ti mancassi-»

« Ho baciato Manuel » confessò.

Il volo di Cristian cambiò all'istante. Dal volto famigliare, rassicurante che l'altro aveva imparato a conservare nella sua testa quando lo richiamava, quello si oscurò di colpo. I capelli biondi erano lasciati liberi sul volto, mentre gli occhi chiari si incupivano cambiando leggermente tono. Simone si morse il palato, deglutendo per l'animo combattuto. Lo avevano fatto stare male, aveva sofferto dell'identica stessa sorte.
Sapeva cosa Cristian stesse provando, anche se in porzione diversa perché Simone non aveva avuto modo di stare con chi amava, non prima di quel momento. Sapeva cosa significava sentirsi rifiutati. Stava solo seguendo lo stesso schema che aveva subito.

« È successo, » continuò cercando di non rompere il contatto visivo con Cristian che ora però non lo guardava nemmeno più « Manuel era a casa mia, mi ha detto delle cose... importanti. Ce ne siamo detti un po’ tutti e due, in verità. Mi ha fatto capire che non la avevo ancora superata, » sospirò sincero « non sono riuscito a togliermelo dalla testa. E lui, beh lui... » Simone sembrò introdurre più aria di quanta ne necessitasse davvero « mi ha detto di essersi innamorato, » completò la frase, non credendoci ancora nemmeno lui « di me. Manuel si è innamorato di me »
Cristian si girò a guardalo finalmente. E l’altro ci lesse uno sguardo acido, triste, come se avesse appena saputo che gli era morto un parente o peggio.
Si maledì internamente per non essere stato forse più delicato e meno diretto.

« E tu ti fidi, così, facilmente? » chiese in un sussurro.

« Ha risposto al bacio, » Simone si sentiva malissimo vedendo il ragazzo che gli aveva curato le ferite per tutto il tempo che ne aveva avuto bisogno ridotto in quel modo « e non è stato nemmeno il solo che ci siamo dati, quella sera »
E fu allora che Simone vide Cristian tirare su col naso, stringersi le mani grandi e mature, lungo il giubbotto più pesante. Non c'era un modo più delicato nel lasciare le persone? Non esisteva un manuale con regole precise, che evitasse tutti i preliminari che inducevano alla tortura emotiva? Perché non lo avevano ancora inventato?
« Cristian, mi dispiace, ti voglio bene, continuo a volertene, » cercò in qualche modo di mettere una pezza sopra quella pozza di fango appena creata, la sua mano si allungò a sfiorargli la spalla, ma l'altro la tirò via, un attimo dopo, lentamente « meriti di meglio, meriti qualcuno che abbia una memoria vuota, che non abbia già sofferto per amore. Qualcuno migliore di me »

Simone fu limpido, in tutto ciò che stava dicendo c'era la verità. Cristian gli aveva dato tranquillità, stabilità e sicurezza quando meno se lo aspettava. E gliene sarebbe stato sempre grato, per averlo fatto sentire bene con se stesso quando voleva soltanto rinchiudersi a riccio, chiudere il cuore.

« Quello che mi meritavo era di non venire proprio a Roma, oggi, » Cristian risultò acido e sarebbe stato più crudele se solo non avesse il tono spezzato, lì com'era, con la sciarpa tenuta stretta al collo « se rimanevo a Glasgow forse mi evitavo tutto questo. Simone, » lo guardò dritto in faccia « io non ti ho solo voluto bene »
Il modo in cui enfatizzò quelle tre parole fece rabbuiare l'altro di colpo. Simone deglutì, maledicendosi ancora.
« Per quel che mi riguarda, » si alzò di fretta in piedi, il dorso della mano passò ai contorni dei suoi occhi verdi, asciugandoli « non voglio più vederti o sentirti, » la mano stringeva la valigetta con il suo portatile dentro, lo zaino su una spalla che ricadeva « almeno per un po', non voglio. Simone... »

« Lo capisco Cristian »

« Non ce la faccio, non adesso. Non con la tesi, non con quello che devo fare, non con quello che mi hai appena detto… ti chiedo solo di... ti chiedo tempo. » deglutì, la voce che si abbassava ancora di più, vedendo Simone seguirlo e alzarsi anche lui.
Simone annuì piano, consapevole « Spero che tu possa essere felice, Simone » riuscì però a dire infine.

Simone pensò veramente di aver fatto una carognata, ma sapeva di aver fatto la cosa più giusta. Di avere agito secondo una morale pulita, di non aver prolungato la sofferenza per nessuno dei due. Il suo cuore era di un altro, che lo aveva fatto penare, sì, ma era ormai inutile metterlo in discussione.

« Anch'io, ti auguro di trovare qualcuno che ti faccia stare bene, ma bene davvero Cristian, come tu hai fatto stare me » sottolineò.

« Sai che forse lo avevo già trovato? »

Simone si sentì ancora peggio sentendo l'altro ridere amaramente.
Cristian serrò la mascella, sembrò voler dire qualcosa ma dalla sua bocca uscì solo aria fredda. Simone voleva comunque abbracciarlo e non lasciarlo appeso in quel modo, nel disagio e nell'angoscia di una rottura struggente. Essere lasciati o sentirsi abbandonati, non era mai stata una passeggiata di salute. Perciò agì, senza aspettare l'altro. Simone tirò Cristian in un abbraccio, le braccia decise giravano intorno alla sua schiena con delicatezza, mente sentiva invece l'altro rigido, algido. Se lo aspettava, in qualche modo, Simone si era preparato a tutto quello, ore prima.
Me lo merito.

« Se sarai davvero felice, » sentì l'altro mormorare « vuol dire che sei davvero una persona di un certo impatto, Simone. Non ne ho mai avuto dubbi. Sta attento però » e allora il ragazzo concordò il gesto, stringendo forse troppo forte Simone, con la borsa del pc che si appoggiava a terra, ai suoi piedi « non è tutto oro quel che luccica »

E dicendo così, Simone lo vide un'ultima volta, sciogliere il gesto e lo guardò avviarsi lungo l'uscita “ARRIVI” dell'aereoporto. Cristian era appena uscito dalla sua vita, e il pensiero lo distrusse quel tanto da fargli pensare che se solo le cose fossero andate diversamente di soli pochi mesi, giorni, non avrebbe dovuto spezzarlo. Non ci sarebbe stato bisogno di illuderlo.





- - -





Quando Simone raggiunse il parchetto, un piccolo parco nel centro di Roma, sembrò come se lo vedesse per la prima volta, nonostante ci fosse stato tante di quelle volte, da conoscerlo a memoria. Il verde gli riempiva la vista, le panchine erano quasi tutte occupate. Non trovò l'altro, una volta trovato parcheggio. Simone, dirigendosi verso una panchina, pensò che l'altro avesse dimenticato l'appuntamento, finché qualcuno non lo abbracciò da dietro.
L'odore era inconfondibile: fumo e sandalo. L’incolta barbetta che gli pizzicava la pelle, la figura era piccola ma scattante, energica contro la schiena. Manuel gli dondolava un sacchettino davanti con la mano destra, mentre l'altra stringeva la presa attorno alla sua vita.

« Ciao Balestra! » mormorò allargandosi in un sorriso sornione.
Simone si sciolse per quel gesto d'affetto, non ancora effettivamente abituato a tutto quello.

« Ehi, non ti ho sentito arrivare » si girò quel poco che bastava, per guardare Manuel appoggiarsi sulla sua spalla, tenendo ancora quella posizione da animaletto curioso.

« Se non arrivavo così, che sorpresa poteva mai 'esse Simò? » gli fissò le labbra, poi gli occhi. Il pacchettino si alzò sotto il naso del più alto.
Simone se ne accorse tardi.

« Per me? »

Simone si stupì un poco. Manuel non era tipo da regali, o almeno, non lo era mai stato.

« Aprilo » sospirò Manuel non staccando neanche un secondo il contatto visivo.

Simone spacchettò la carta, la richiuse in una mano e con l'altra uscì il piccolo oggetto dalla scatolina nera. Era un piccolo portachiavi, che riportava la sagoma di una piccola moto grande e lunga quanto il suo pollice e sopra quella, c'era una frase incisa nel metallo proprio al centro, in inglese.

« Sì lo so, so che vor dì » disse prima che Simone glielo potesse chiedere « se non sbaglio è "ovunque tu sia, io saprò raggiungerti" o qualcosa der genere »
Ed era così, era effettivamente così.
Simone sorrise radioso, sentendosi pizzicare gli occhi, ma si limitò a sorridere. A sentirsi bene. Doveva imparare a farci l'abitudine. Perché era così che si stava sentendo, mentre Manuel lo guardava curioso, interrogativo.
« Che c'è, non te piace? »

Simone si voltò di nuovo a guardarlo, spostando questa volta tutto il corpo verso il più basso. Inspirò contro il suo viso, mentre accarezzava la superfice del portachiavi.

« È bello, è davvero bello » gli morirono le parole in gola, mentre il teppistello si alzava in un sorriso sghembo.

« Me fa piacere »

Manuel si sporse di poco per scoccargli un bacio sulle labbra, la mano gli copriva a malapena la nuca e l'altra si posava sulla guancia. Simone mancò il momento in cui quello si staccava e poi, ricominciava di nuovo, allungando il primo, che gli era sembrato fin troppo corto a quanto pare. In realtà l'ultimo bacio risaliva a un giorno prima, nei pressi di casa di Manuel.

« Manuel, non c’era bisogno però… » mormorò contro le sue labbra il più alto.

« Non cominciare Simò, l'ho visto in una bancarella e t'ho pensato, » protestò. Quello lo studiò per bene, come se Manuel stesse cercando segni evidenti sul volto di Simone o in qualche scatto dei suoi occhi, che avrebbero potuto dirgli com'era andata la chiacchierata avuta con Cristian quella mattina stessa « e poi se ce fai caso, » toccò anche lui la figura della moto con le dita, la superficie ruvida del metallo non levigato « assomiglia un po' a Paperella »

La moto dove Simone e Dante andavano quando era piccolo, la moto che ormai vecchia non aveva più funzionato a dovere ma che conservavano come cimelio di casa, del loro legame. Simone annuì. Quel dettaglio era rimasto a lui, quanto a Manuel, incredibile. Entrambi si sedettero sulla panchina, mentre Simone si rigirava il piccolo dono tra le mani, osservandone i dettagli. Le foglie erano a terra, un po' ovunque, gli alberi cominciavano a spogliarsi piano, l'autunno si faceva largo con la sua presenza.

« Quindi, com'è andata Simò? » tagliò corto Manuel.

Simone sembrò pesare l'oggetto con la mano, cercando di focalizzarsi sul dettaglio della sella, del piccolo fanale davanti, la riproduzione delle due maniglie del veicolo superiori.

« Se c'era un modo più semplice di non fargli male, io non l'ho trovato »

Manuel gli circondò la spalla con il braccio e lo tirò a sé.

« Simone, non potevi fare altrimenti, » lo consolò stringendo la presa « so che te detesti a morte in questo momento, vorresti prenderti a pugni fino a che non diventano dispari, però non potevi continuà a diglie fregnacce. Non sei così, non sei mai stato il tipo. »

« Avrei voluto quanto meno restassimo amici, mi ha aiutato molto, volevo restasse almeno mio amico, perché gli voglio ancora bene »

Manuel lo guardò preoccupato, premuroso. I suoi occhi però comunicavano anche tanta urgenza.

« Quando non c'eri, » si mordicchiò le labbra « volevo anch'io iniziare qualcosa con qualcuno, » ammise « trovamme qualcuno, una persona qualsiasi. Ma ero bloccato Simò, c'avevo un muro davanti, perché ogni volta che ce provavo pensavo che non era giusto. Non c'avevo bisogno di uno qualunque. Pensavo che se c'eri tu era un'altra cosa, che non sarebbe stato uguale »

Simone si voltò a guardarlo attento, Manuel si faceva più stretto nel giubbotto nero, la mano che articolava dalla sua spalla.

« Quella cosa per te è stata Cristian in Scozia, » sembrò difficile per lui dirlo, come se gli avessero cavato un dente senza anestesia « è giusto che tu ci tenga ancora tanto »

« Quando mi sono allontanato, volevo farti male, » Simone non pensò più a mettere dei filtri, ormai era andato, era il momento di dirsi il non detto, l'altro taciuto « non sapevo però che mi sarei fatto male pure io. E Cristian… lui ha solo cucito quel buco »

« Beh è stato bravo »

« Sì, ma questo non vuol dire che ci sia completamente riuscito » lo corresse.

Fu questa volta Manuel ad annuire, mentre gli sfiorava il naso con il suo e gli baciava l'angolo della bocca.

« Se penso a quanto t'ho fatto stare male, a quanto avrei potuto alleggerire le parole, tutta la merda che t'ho buttato addosso » mormorò con una punta di rabbia e dispiacere. « Gliè so grato, anche se sono geloso da morire, si è preso cura de te »

Simone sentì la voce che si faceva più bassa, il respiro caldo che gli coprì a la pelle e le labbra che si spostavano per tornare a guardalo. Manuel aveva gli occhi onesti. Poche volte Simone glieli aveva visto indosso.

« È bello sentirtelo dire »

« Non ti devi sentire in colpa, è giusto stacce male, ma era ancora peggio se aspettavi di più Simò. Un giorno, gli passerà e ti ringrazierà, anche se sembra strano, di averlo fatto così presto prima che fosse troppo tardi. »

Il suo pensiero non faceva una piega. Simone si stupì della saggezza di Manuel, delle parole giuste che erano appena uscite dalla sua bocca, ricamate perfettamente e con minuzia accortezza addosso a quello su cui stava riflettendo. Cristian gli aveva detto che aveva bisogno di tempo, spazio. Simone glielo avrebbe dato e quando l'altro avrebbe voluto riprendere un'amicizia, lui sarebbe stato lì ad offrirgliela, così come quello gli aveva sanato l'estate e il cuore in parte.

« Mi piace questo lato di te »

Simone giocò con la sua mano libera, le sue dita piccole, le unghia corte, appoggiati sopra il suo ginocchio. Manuel seguì l'altro, guardando la sua mano che si dilettava con la sua, che rispondeva per ovvie ragioni.

« Le mani? » chiese stupidamente.

Simone ridacchiò.

« Anche, ma mi riferivo al fatto che colleghi ciò che pensi a ciò che dici, lo fai con cognizione di causa, » fece notare, temporeggiando negli occhi piccoli e le ciglia lunghe, le sopracciglia folte e disegnate sulla fronte piccola ricoperta da quel cespuglio riccio « prima non lo facevi spesso Manuel »

Manuel in risposta, si avvicinò, il viso completamente rilassato e imperturbabile.

« Prima ero incazzato col mondo, con Sbarra, con me stesso. Ora non lo sono più, » vibrò con le labbra prima di unirle a quelle di Simone che lo ascoltava accogliente « ora c'ho te »

Il bacio che ne seguì, fu più lungo del previsto. Manuel si appropriò delle labbra di Simone, la mano era ancora stretta nella sua sopra il suo ginocchio, i loro nasi si schiacciavano, le teste ricciolute si spostavano di lato mescolandosi in un’unica massa. Manuel gli mordicchiò il labbro inferiore e Simone mormorò qualcosa appena il contatto finì, respirando in modo affannato. Il teppistello invece se la rideva furbastro.

« Così mi fai morire però »

Manuel si beò della visione di quello, gli occhi socchiusi, la mano ferma dietro il suo collo, il mento in evidenza.

Quanto sei bello aoh.

« Simò non ce posso fà niente, me fai diventà matto, lo sai »

« Matto già c'eri » sottolineò, aprendo gli occhi grandi.

« Sì è vero, » la mano libera che aveva appoggiato sul suo viso, si poggiò sul colletto della camicia, che spuntava fuori dal maglione a quadri che indossava quella mattina « però baciarti me piace troppo, » le dita accarezzarono la trama iniziale dell'indumento adesso « me fa sentire meglio, me fa stare bene »

Si rituffò su Simone senza dargli il tempo di parlare e quello dovette fare forza su tutta la lucidità che gli era rimasta, mentre strizzava il piccolo portachiavi e la mano di Manuel si spostava sempre di più. Gli sfiorava la porzione di pelle sotto la mandibola, il pomo d’adamo, il colletto della camicia. Simone artigliò il giubbotto di Manuel, forzandolo a retrocedere.

« Ti devo ricordare dove siamo? »

Oh sì, erano sempre in un parchetto di Roma. E adesso si sentivano delle urla acute e imbronciate di bambini in lontananza, figure di genitori che entravano dal cancelletto e li accompagnavano al parco giochi, a pochi metri da dove loro stavano seduti.

« Simo-» protestò.

« Per quanto vorrei, » la voce del più alto era ridotta a un sussurro, roca, contro l'orecchio di Manuel « restare ancora qua a fare questo, » si spostò per accarezzargli il labbro inferiore, sapendo di stare impazzendo in cuor suo, perché l'altro era così vicino « ti avevo promesso una sessione di studio da recuperare »

« Non me va de studià » scocciato lo schiacciò su di lui, premendo la bocca contro la sua, velocemente « voglio sta qua, non me ne frega se ce stanno guardoni, Simò, » e allora Simone capì di stare andando in iperventilazione « voglio sta qua ancora un po', con te, me importa solo de questo »

Il romanaccio di Manuel era da sempre una delle caratteristiche che Simone più apprezzava. Gli dava quel giusto lato spontaneo, comico ma anche onesto che lo rendeva unico. Anche lui ogni tanto usava qualche intercalare dialettale, ma il più delle volte usava l'italiano.
« Lo sai, vero che se continui così perdi l’anno? »

« No, non ce tengo a perde l'anno, » ribatté Manuel, la mano che si stringeva ora anche attorno all'altra che stringeva l'oggetto in metallo « perché poi me tocca non vederti per tutta l'estate, de nuovo »

Simone lo sentì strascicare le ultime due parole, annuì di colpo, sentendosi in colpa subito dopo.

« Non me ne vado, stavolta, Manuel »

« Certo che non lo fai Simò, » acquistò un tono furbo dei soliti « prima de tutto perché me devi aiutà a studiare, » cominciò, lo sguardo si spostava dagli occhi, alla bocca, al colletto della camicia « poi perché, non te lo permetterei proprio, te l'ho detto, se me cacci io te perseguito e te cerco 'pe tutta Roma se fosse il caso »

Simone assunse un'aria di sfida, senza però evitarsi di ridacchiare.

« Ah sì? »

« Sì, me metto d'accordo anche con gli sbirri per trovarti, » sorrise illuminandosi « faccio de tutto e se te ne ritorni in Scozia, sta tranquillo che vengo pure fino a la per romperti le palle »

Simone rise di gusto, le mani si fermarono sulla motoretta ricevuta solo qualche minuto prima, gli occhi che si aprivano sotto le pieghe ai lati, che si formavano per l'espressione contenta.

« Va bene, restiamo un altro po' » mormorò Simone.
In fondo avevano tutto il tempo, adesso, in quel parchetto per non pensare ai doveri, alla loro età, erano solo due ragazzi su una panchina, due ragazzi che si amavano in un parco romano.







Manuel legò la catena della bici, insieme alle tante altre davanti scuola, quel lunedì mattina. La moto aveva qualche problema e allora aveva pensato bene di lasciarla in officina. Si aggiustò la piccola giacchetta nuova, color rame, che aveva addosso. Era la prima volta che la metteva, ne andava fiero avendola comprata con qualcuno dei suoi risparmi fruttati da quei lavoretti estivi.
Si stava avviando verso il portone, quando qualcuno gli ticchettò sulla spalla.
Si girò e lo riconobbe subito, non c’era bisogno di un identikit accurato. Pensava fosse partito o almeno così Simone sembrava avergli detto, che sarebbe rimasto a Roma il tempo di uno, due giorni al massimo. A quanto pare, non aveva resistito a studiare il curioso caso del ragazzo che gli aveva tolto Simone.


« Sei tu Manuel? » gli chiese il tale.

« Sì so io, » rispose sprezzante, mentre si sistemava lo zaino sulla spalla con un braccio « e so anche chi sei tu. Che vuoi? »

Cristian lo guardò lampeggiante, aveva un espressione chiara dipinta in viso, gli occhi verdi erano gelidi come se l’erba si fosse fusa col ghiaccio temperato.

« Come immaginavo, non sei per niente alla sua altezza »

Manuel aveva pensato più volte quel fine settimana, che tutto era andato fin troppo bene. Sapeva benissimo che in qualche modo, avrebbe pagato un conto salato, solo non sapeva che quello sarebbe arrivato il giorno dopo, lì davanti la piazzetta del liceo, mentre altri ragazzi arrivavano a scuola.

« Non ti permettere a parlare di Simone » tuonò a bassa voce, mentre si trovava il ragazzo vicino alla sua bici. Sicuramente avrebbe dovuto disinfettarla visto che ci stava poggiando le mani sul sellino.

« No, infatti mi riferisco a te » rincarò la dose, le mani lungo i fianchi « Mi immaginavo fossi più minaccioso, ma sei soltanto un pischello che si diverte a giocare con le vite degli altri »

« Non sai niente di me » lo guardò con un leggero odio negli occhi, non paragonabile però a quelle spade di vetro verdi che lo fissavano.

« Non saprò molto, ma quel poco mi basta per dire che non te lo meriti. Uno come lui, non è roba per te »

« Questo, se permetti, non spetta a te deciderlo, » vibrò Manuel, sentendo il labbro superiore tirare « adesso scusa, ma non c’ho da perdere tempo, ho lezione »

Non era nè il luogo, nè il momento adatto a discutere di quello lì davanti. Manuel fece per girarsi e andarsene.
Cristian lo girò con un colpo solo, mentre quello si era voltato e con un solo colpo della mano chiusa in un pugno ben assestato, lo fece cadere a terra. Manuel atterrò a pochi metri dalla bici, di schiena, mentre il brusio della folla di ragazzi attorno a lui si levava in un oh di stupore.

« Sei completamente fuori di testa » Manuel mormorò portandosi una mano in faccia, sentendo il ferro colorato di rosso fuoriuscirgli dal naso: sangue. Cercò di non pensare alle sue dita sporche, che tremevano e provò ad alzarsi, ma Cristian gli si mise di sopra, afferrandolo bruscamente per la giacca.

« Mi chiedo, se ti diverte usarlo o è solo per passarti il tempo » gli mollò uno schiaffetto sulla mandibola.

« Te lo ripeto, » Manuel scacciò via le mani di quello, notando che erano quasi ogni dito portava un anello e che molto probabilmente il colpo era arrivato più per quelli che per la potenza e forza di Cristian « tu non mi conosci. Mi dispiace che tu sia stato lasciato, ma non è picchiandomi che risolverai qualcosa »

Un rumore di motorino si levò nelle vicinanze, fermandosi giusto quel poco per assistere alla scena che aveva davanti. Simone si slacciò il casco di corsa e lasciando a Laura, ferma immobile a guardare, il motorino, si avventò su Cristian furioso.

« Ma che cazzo succede, che ti è preso, Cristian! » gli urlò contro, lo allontanò con la mano facendolo retrocedere di colpo. Simone corse a sorreggere subito Manuel contro il suo petto, gli fermava la schiena e il busto con la mano. Deglutì appena notò il liquido rossastro che usciva copioso dal suo naso e quello che doveva essere un labbro spaccato.
La sua presa si fece più salda quando Manuel, quasi supplicante, gli fece cenno di no con la testa.

« Lui lascialo stare, prenditela con me, se proprio devi, avanti! » strinse i muscoli della mascella, mentre gli occhi assumevano il sentimento dell'odio.
« Simone io… » Cristian respirava a fatica, si mise le mani in testa e poi correndo dalla parte opposta, prese la sua bici parcheggiata e con un ultimo sguardo sconvolto al ragazzo terminò « dimenticati, dimenticati di me! » urlò ad ampi polmoni, scattando poi sul veicolo.

Simone non capiva niente, l’altro era ancora a terra che si aggrappava a lui. Gli bastò solo uno sguardo per capire tutto. Lo aiutò ad alzarsi, pensando al dejavù di quando Sbarra lo aveva fatto menare. Solo che adesso, la persona che lo aveva fatta non era un criminale, ma quello che Simone aveva ritenuto un ragazzo per bene.

« Dobbiamo andare in infermeria »
Mentre lo diceva, salivano gli scalini dell’entrata e varcavano la soglia della scuola. Simone non fece caso alle altre persone che erano ancora ferme incredule a osservare la scena che era appena accaduta.

« Simò è solo, solo un po’ de sangue… » oscillò la testa alla vista della sua mano sporca. Simone lo stringeva forte, mentre il suo braccio intorno alla spalla era cadente, abbandonato su di lui. Camminavano lungo il corridoio della scuola, sfilando davanti a tanti visi curiosi, dato che la sala dell’infermeria era rilegata in un piccolo atrio vicino la palestra.

« Non mi interessa, prima ti fai vedere e poi decidiamo se non è così grave »




- - -





La signora dell’infermeria era uscita da poco, consigliando al ragazzo di tenere premuto il cotone contro il naso e restare sdraiato. Sarebbe tornata tra un po’, dopo aver disinfettato alcuni strumenti. Manuel era disteso su un lettino striminzito che però conteneva perfettamente la sua figura, con delle palline di cotone a tamponargli entrambi le narici. Con la testa tenuta in alto, come gli aveva consigliato l'addetta all'ambulatorio della scuola, fissava il piccolo soffitto verdognolo, con l'odore di disinfettante che gli entrava in bocca. Simone gli era seduto accanto, su una sedia, a braccia conserte, lo sguardo acceso in due pupille che bruciavano.

« Non riesco a spiegarmelo, non pensavo che fosse capace di fare una cosa così »
Simone era veramente amareggiato, la fronte aggrottata nello sforzo di capire, darsi una risposta.

« Alla fine poteva andà peggio, » Manuel mormorò sfiorandosi la pelle gonfia per quei due fori, ai lati delle narici « poteva rompermelo del tutto il naso »

« Come fai a essere così calmo? » sbottò Simone evidentemente disgustato « se non fossi arrivato, se avessi ritardato anche solo un minuto chissà cos'altro avrebbe fatto-»

« Ma non è successo, Simone. Sto qua, » si indicò con le mani « sto vivo e te sto a parlà »

Simone annuì, però con uno sguardo tra il mesto e il dispiaciuto.
« Ciò non cambia che non è da lui, non pensavo...non ha osato mai toccarmi in quel modo » spiegò mangiandosi le parole, vedendo come Manuel scattava su, tirandosi di schiena.

Manuel stette in silenzio, in imbarazzo, roteando lo sguardo, le mani si sfregavano tra loro.

« Non che ci sia stato poi tanto modo, » incespicò con le parole, Simone si sentì subito un cretino « voglio dire, non siamo andati oltre qualche bacio, qualche altra cosa »

« Simò non me devi spiegà, davvero »

Simone annuì, sentendosi davvero un cretino ora. Non c'era bisogno di sottolineare quella cosa, d'altra parte aveva avuto tutto il diritto quando stava con Cristian di fare la sua esperienza, no?
Eppure deglutì, allungò la sua mano e trovò quella di Manuel, come se gli dovesse una qualche sorta di consolazione o rimedio.

« Non so se ho voglia di averlo ancora come amico dopo quello che è successo oggi » era serio « Ho cercato di essere giusto, di chiudere le cose con diplomazia, mi sono sforzato di essere gentile perchè la situazione lo richiedeva, ma non pensavo si sarebbe accanito su di te. »

Simone lo guardava davvero con degli occhi tristi e premurosi e a Manuel veniva soltanto voglia di avvicinarlo e dirgli che andava tutto bene, che lo vedeva, lo sentiva ancora. Che tutti i suoi organi funzionavano e che grazie al cielo, poteva ancora parlare con lui. Pensò che se lo era meritato un po' però in fondo alla vocina che parlava al suo cervello.

« Che ti ha detto? Prima di aggredirti »

« Niente de che » fece spallucce.

« Uno non viene sotto scuola semplicemente perché ha voglia di prendere a pugni, » esalò fuori Simone, alzandosi dalla sedia e accomodandosi in uno spazietto piccolo del lettino cadaverico, accanto all'altro « qualcosa ti avrà detto » e lo guardò interrogativo.

« Simò... »

Manuel esitò sinceramente, si portò una mano sui due fori di cotone che portava al naso, completamente rossi, li osservò, sembravano due batuffoli iniettati di veleno. Simone gli sollevò il mento delicatamente, portandolo sotto il suo sguardo.
Si aspettava una risposta, anche con calma, ma aveva bisogno di sapere. Due persone ne avevano sofferto: Cristian due giorni prima e ora quella che meno di aspettasse venisse presa di mira, Manuel. Forse Simone aveva una propensione per vedere le persone che amava soffrire.

« Ha detto qualcosa riguardo... qualcosa del tipo che non ti merito, che non sò alla tua altezza »

Simone notò l'amarezza e convinzione con cui Manuel lo aveva detto. Sospirò un poco e semplicemente la sua fronte tocco quella dell'altro, i capelli leggermente sudaticci.

« E tu ci hai creduto? »

« No, non è questo, » mormorò « non me conosce, non può sapere chi sono, però...non ha tutti i torti. Insomma, non sono alto quanto te ed è vero, » rise amaramente « e l'altra, beh, che un po' non te merito mica è na bugia »

Il più alto si portò entrambe le sue mani vicine, accarezzò le nocche, mentre la bocca si spostava a dargli un bacio veloce.

« Sono io che decido con chi stare, » disse Simone senza ombra di dubbio, rigoroso « così come sono io che decido se ne vale la pena o no, » gli sfilò un occhiata determinata « e sono sempre io che dico, che chi cerca di entrarti in testa non va mai ascoltato.»

Manuel annuì lentamente, mentre Simone gli sorrideva piano, si portava le nocche alla bocca e le baciava. In quel momento non pensava che all'altro potesse dare fastidio quel gesto, semplicemente voleva fargli sentire la sua vicinanza. Soprattutto se lo sguardo di Manuel era vacillato dopo le dichiarazioni di un Cristian disumano e su di giri, diverso da quello che aveva conosciuto e frequentato.

« Comunque lo capisco, » sussurrò « se mi ha puntato perché si sentiva rifiutato, lo capisco davvero »

« Io mi rifiuto di farlo, adesso, non quando si parla di alzare le mani su un'altra persona »

« Simone, oltre la perdita c'è la gelosia e io, che l'ho provata pe giorni, ce capisco qualcosa »

« Gliel’ho detto che c’eravamo detti delle cose, gli ho parlato di te ovviamente, prima, in questi mesi... » inspirò forte contro il suo viso « ma non ho mai voluto dire chiaramente cosa eravamo, perché nemmeno io lo sapevo »

Manuel lo tenne fermo, mentre si vedeva, piccolo forse, acciaccato, mezzo pieno e mezzo vuoto, in quegli occhi grandi, intensi, due fanali pieni di cura, amore.

« A me invece sembra più chiaro che mai »

Gli occhi piccoli di Manuel si accesero, scacciando lo storto del resto della sua immagine: sangue secco sul naso, il sudore che gli imperlava qualche riccio, il labbro inferiore con quella spaccatura evidente.

« Se l'è presa perché ora ha capito che sei il ragazzo mio, » Simone gli stringeva ancora le mani e sentiva il respiro farsi stretto stretto « e io sò il tuo »

« Che, la botta l'hai presa forte pure in testa oltre che sul naso, Manu? » sussurrò Simone.

Manuel sganciò la presa da quella dell'altro solo per circondare il collo di Simone e tenerlo stretto, più che poteva.

« Sei er ragazzo mio »

Oh.

« Non eravamo due ragazzi che si amano? »

« Sì, appunto, perché stiamo insieme »

Simone non ci capì più niente, sapeva solo di stare baciando Manuel, facendosi largo in quella sensazione intensa, così bella che sentiva dentro. L'altro aveva appena detto che erano entrambi il ragazzo dell'altro? La sua bocca si muoveva da sola, mentre l'altro respirava a fatica. Solo poco dopo Simone si rese conto che forse gli stava facendo male.

« Dio, Manuel, scusa- »

« Ma de che te scusi, Simò » Manuel respirava, solo si toccò leggermente la parte inferiore del naso e la punta per controllo. Simone lo guardò cauto, cercando di calmare l'artificio che si trovava in gola, il groviglio dello stomaco, il sorriso stupido che aveva stampato in viso.

« Che fai lì impalato, me baci o no? » ridacchiò stuzzicandolo. Questa volta il più alto non se lo fece ripetere una seconda volta.

   
 
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