Hallo^^! Innanzitutto, auguro una buona
lettura a tutti e poi cercherò di convincere Stef a
compiere gli ultimi sforzi! A presto spero!
(Per Jacopo: non so se leggerai o se la mia mail ti sia arrivata, comunque, ti rispondo anche
qui! Ho chiesto a Stef, e lui dice che Rory è nata il 14 Maggio mentre
lui non ricorda di preciso il giorno, essendo passato così tanto tempo, ma è
sicuro si tratti di metà novembre! Spero di aver soddisfatto la tua curiosità!
E grazie ancora!)
Per Sakuruccia:
Hallo^^!!! Scusami ancora il ritardo! Volevo anche
ringraziarti per i tuoi complimenti e perché attendi
pazientemente con me, i comodi di Stef! Da oggi,
inizio a fare pressione psicologica! :-P Speriamo in bene!!!
Per i diverbi…si…stiamo risolvendo… Aveva ragione lui -.- …. Uffiiiiii!!!! Comunque a presto!!!
Baciooo^o^!
Capitolo Nono
…Tutum… tutum…
La mia Rory, dopo un
lunghissimo lasso di tempo, finalmente, dormiva,
stretta tra le mie braccia. Espirai, appoggiando la guancia contro il suo capo,
stringendola maggiormente contro di me, una strana sensazione di felicità mista
a pena che mi invadeva il corpo.
Era tra le mie braccia.
Non avrei mai pensato che, un giorno, mi sarebbe
sembrata una grande conquista. Espirai, stringendola
ancora, deglutendo, consapevole che quel momento non sarebbe durato a lungo.
Ben presto, infatti, lei si sarebbe svegliata e si sarebbe di nuovo allontanata
da me. Dal mostro che ero.
Al solo pensiero, sogghignai, calandomi già nella
parte. Fingendo che fosse solo un gioco, che non mi facesse
male. Espirai, stringendola ancora, annusando il profumo dolce che avevano i suoi capelli.
“Sistemerò tutto, tesoro…” mormorai, la voce debole,
accarezzandole dolcemente la testa. “Tu non ricorderai
nulla…andrai avanti, tranquillamente…”
Socchiusi gli occhi, baciandole i capelli.
“Sarà come se non fosse mai esistito un noi…”
ricominciai, cullandola lentamente “…Avrai un futuro…Te lo prometto…” conclusi,
prima di staccarmi un secondo da lei, per osservarla in volto.
Rory dormiva serena, come aveva sempre dormito quando si
trovava fra le mie braccia anche se, questa volta, ero solo io a tenerla
premuta contro di me e lei non mi cingeva. La mia mano
sinistra sfiorò una sua guancia. Lei, perfettamente calma, all’improvviso si irrigidì. Il suo viso impallidì mentre il resto del suo
corpo si tendeva. Spaventato, mi allontanai, veloce, lasciandola andare.
Un secondo.
Il suo viso divenne ancora più pallido mentre lei
ricominciava a muoversi, senza controllo, come poco prima. La ferita che si era
procurata poco prima a causa delle convulsioni, ricominciò a sanguinare. Il
dolce odore del suo sangue mi raggiunse subito. Il mio stomaco brontolò mentre
deglutivo, cercando di frenare il desiderio. La osservai, ancora un secondo,
prima di autoconvincermi che
l’avevo già fatto. Avevo già resistito alla seduzione del suo sangue e che,
quindi, ce l’avrei fatta ancora.
Saltai di nuovo sul letto, stringendola a me,
accarezzandole febbrilmente il capo, implorandola di calmarsi, sperando che lei
potesse sentirmi.
Un istante di silenzio.
Plick.
Plick.
Rumore di gocce che cadevano, a poco a poco, si era
fatto largo nei miei sogni.
Inconsapevole del mondo esterno, aprii lentamente gli
occhi, notando le mie braccia tese fuori dal letto. Le
fissai, un paio di secondi, cercando di mettere a fuoco,
nell’oscurità, poi spostai la mia attenzione altrove.
La stanza, nella quale mi trovavo, era completamente
immersa nel buio e nel silenzio, eccezion fatta per il rumore costante delle
gocce che cadevano dal rubinetto di un lavandino.
Un secondo.
Una folata di aria gelida mi
avvolse ed io alzai lo sguardo sul soffitto.
Niente.
Espirai poi, senza sapere perché, scostai il lenzuolo
e mi alzai, avvicinandomi alla porta socchiusa. Avevo l’impressione di aver già
fatto ciò che facevo, di essere già stata lì. Allungai la mano verso la
maniglia d’ottone e la sfiorai, abbassandola. La porta si aprì,
silenziosamente, permettendomi di vedere un corridoio sul quale si affacciavano
numerose altre porte e, in fondo, una scala che portava non so
dove.
Ignorai le altre porte. Non era lì, che io dovevo
andare. Il mio sguardo era fisso sulle scale. Mi leccai le
labbra, iniziando a camminare sul freddo pavimento per raggiungerle.
Un passo.
Due passi.
Le scale, immerse nell’oscurità, si avvicinavano,
inesorabilmente finché, infine, non mi trovai proprio in cima. Allungai
il collo, guardando verso il basso.
Un ammasso d’oscurità fu tutto ciò che riuscii a vedere ma, nonostante questo, i miei piedi
ripresero a muoversi. Sapevo, dove dovevo andare.
Scesi. Un gradino alla volta.
Scesi. L’oscurità mi inglobava
dentro di sé.
Camminai un minuto, forse due,
poi appoggiai il piede
destro sul freddo pavimento di cemento della cantina.
Le spalle alle scale, rimasi immobile, iniziando a
guardarmi attorno.
Niente.
Sagome ferme nell’oscurità.
Nessun segno di vita.
All’improvviso, nel silenzio, udii un sogghigno.
Sobbalzai, poi deglutii, voltando il capo verso sinistra dove, fino ad un attimo prima, non c’era
nulla.
Ora, invece, c’era qualcosa.
I miei piedi si mossero ancora.
Mi avvicinai.
Vidi.
A terra, nonostante l’oscurità, intravidi la forma di
un corpo, dal quale proveniva una strana pozzanghera. Corrugai le sopracciglia,
cercando di distinguerne i lineamenti, ma non ci riuscii.
Un altro passo.
L’odore del sangue mi investì
in pieno ed io arricciai il naso.
Un secondo.
Un fruscio alle mie spalle, accompagnato da un
sogghigno. Mi voltai, spaventata, a guardare dietro di me.
Nulla, solo buio.
Tonk.
Tornai a fissare davanti.
Accanto al corpo disteso, adesso c’era un'altra
figura, sempre immersa nell’oscurità.
Anche questa volta, non fui in grado di distinguerne i
lineamenti ma notai delle ciocche di capelli che le sfioravano le guance.
La fissai, immobile, un brivido di terrore che mi
percorreva la spina dorsale.
La creatura sollevò il volto, verso
di me. Sogghignò.
Un istante ancora.
Luce.
Chiusi gli occhi, un momento,
infastidita, poi li riaprii,
fissandoli davanti a me.
Gocce di sangue cadevano dalle labbra della creatura
sogghignante che, lentamente, si alzò. Mi sorrise, accattivante.
Osservai le due persone che si trovavano di fronte a
me.
Il predatore e la preda.
Sgranai gli occhi, i brividi freddi che si
susseguivano per la mia colonna vertebrale.
Un altro secondo di muto panico.
“Io”, il volto sporco di sangue, dall’altra parte
della stanza, sogghignai ancora, indicando, con la
mano destra ciò che avevo fatto. La pedra, riversa
nella pozza. Il corpo di Stefan, senza vita, nel
collo, due piccoli fori.
Le lacrime che solcavano il mio volto, il dolore che mi impediva di respirare, urlai.
“NO! STEF! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!” urlò
all’improvviso lei, attaccandosi a me, conficcandomi le unghie nella schiena.
Sconvolto, continuai ad accarezzarle il capo “Sono
qui…Sono qui…” ripetevo, come se fosse una litania.
Un momento poi lei si scosse per l’ultima volta,
nonostante la sua presa sulla mia schiena non diminuisse d’intensità. Rory sollevò lentamente il capo verso di me. I suoi occhi
neri, pieni di lacrime e di paura incontrarono i miei ed io sentii
il dolore crescere all’interno del mio petto. Inconsciamente, la costrinsi ad
appoggiare di nuovo il volto contro il mio petto, ricominciando ad accarezzarle
i capelli. “Andrà tutto bene… Andrà tutto bene…”
Lei abbandonò il capo contro di me, allentando un po’
la presa ma senza lasciarmi completamente andare. Espirò.
“…Non voglio che accada, Stef…”
mormorò, all’improvviso, la voce stanca e afflitta.
Mi staccai, un poco, da lei, per osservarle il volto,
realizzando, improvvisamente, che lei mi aveva chiamato per nome. La certezza
che ora si ricordasse di me mi investì in pieno. Non
poteva essere che così. Deglutii, incapace di parlare, specchiandomi nei suoi
occhi.
“…Non permettere che accada…” riprese lei, le lacrime
che ora scendevano, per le sue guance “…Ti prego…Io non voglio…”
La strinsi, forte, rispondendo subito “Non lo permetterò, Rory” sebbene non
avessi nemmeno la più pallida idea di che cosa lei intendesse.
Singhiozzò, contro di me, ed io mi
staccai di nuovo, incapace di
controllarmi.
Era la mia Rory. Era lei.
Senza pensare, baciai le sue guance, bagnate dalle
lacrime. Lei non tremò, nemmeno un istante. Sorrise, debolmente, poi socchiuse
gli occhi, respirando lievemente.
Un istante.
Socchiuse le labbra non appena ebbi
appoggiato le mie contro le sue.
Poi la strinsi, più forte che potevo, facendo sempre attenzione a non
esagerare, la mano destra che le accarezzava il capo, dolcemente, mentre la
baciavo, completamente fuori controllo perché lei mi amava.
La cosa più bella della mia vita si ricordava
di me. Mi amava.
Espirai, staccandomi. Ricordandomi che era ancora
molto debole, la deposi di nuovo contro il materasso. Rory sorrise, mentre la baciavo,
ora più piano.
“Dormi adesso, tesoro… Io sono qui…” mormorai,
sfiorandole i capelli, un’ultima volta.
Rory sorrise nuovamente prima di mordicchiarsi
nervosamente le labbra e tornare seria, probabilmente ripensando all’incubo. Vedendola così, deglutii, preoccupato “Non permetterò che accada…perciò puoi
stare tranquilla…”
Lei tremò, scoppiando di nuovo a piangere, le sue mani
che si stringevano di nuovo sulle mie braccia, arpionandomi. Gli occhi grandi,
esclamò, la voce sconvolta “Stefan…ti prego…io non
voglio…” tacque un secondo, durante il quale io la fissai con occhi sgranati,
prima di stringerla di nuovo, cullandola, mentre lei ricominciava a
singhiozzare e le sue parole diventavano suoni incoerenti.
Due minuti. I suoi singhiozzi diminuirono e lei
lentamente si calmò, scivolando, veloce, di nuovo nel sonno. Il suo corpo era
troppo esausto, per resistere oltre.
Distesa, il capo sul cuscino, osservai
il suo volto pallido, asciugando l’ultima lacrima che ancora scivolava giù per
le sue guance.
“Stef…” mormorò lei, nel
sonno, un istante dopo. Le labbra, ora di un rosso più acceso, contrastavano
maggiormente con il suo colorito pallido. Le sfiorai.
Espirando, appoggiai il capo sul suo cuore.
…Tutum… …Tutum…