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Autore: Francyzago77    20/01/2022    6 recensioni
Questa storia nasce come seguito de "La figlia di Georgie". Sono passati diversi anni, quelli che erano bambini sono ormai cresciuti e coltivano sogni, desideri, amori e sentimenti che s'intrecceranno con le vite dei loro genitori.
Dopo più di un anno che era nel cassetto ho deciso di pubblicare questo racconto...consiglio di leggere "Georgie il sequel" e "La figlia di Georgie" dato che questa ne è la prosecuzione.
La maggior parte dei personaggi presenti non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Izawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Arthur Butman, Georgie Gerald, Maria Dangering, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La vendita al mercato era andata meglio del previsto, Arthur salì sul carro accanto a suo fratello pensando che in fondo quell’annata era stata veramente buona.

-Andiamo da Eric ora? – domandò Abel incitando il cavallo a partire – Portiamogli quelle verdure, sono ottime per il bambino, Georgie e Maria lo ripetono sempre!

E sorrise mentre Arthur non sembrava avere quella stessa ilarità.

Cos’hai? – chiese Abel dopo aver atteso già troppo, capiva al volo i silenzi del fratello.

-Nulla – rispose – forse sono io che mi faccio mille problemi.

-Riguardo cosa? – fu l’ulteriore domanda che gli pose.

-Riguardo Eric – ammise Arthur – da quando è tornato è scostante, almeno con me. Non con sua madre, verso Maria è così tenero, quasi protettivo. Ma ti ripeto, forse è solo una mia impressione.

-Qualcosa di strano l’ho notata anch’io – ammise Abel pensieroso – non vorrei riguardasse l’aver lasciato il lavoro in ospedale. Ti ha mai spiegato il perché di questa scelta? Io avevo capito amasse molto quel tipo di specializzazione.

Arthur scosse la testa dicendo:

-No, né io l’ho mai spronato a ritornare qui e rilevare lo studio di Dewy. 
-Forse è accaduto qualcosa che non sappiamo – tentò di ipotizzare Abel – in ospedale, tra colleghi o con qualche paziente.

Avevano ancora un po’ di strada davanti, entrambi pensarono che Eric fosse cambiato, chissà cosa lo tormentava nonostante avesse l’amore di una dolcissima sposa e uno splendido bambino.   

Sophie tornerà domani – annunciò Abel spiazzando il fratello.

Quella frase, pronunciata così, all’improvviso, scosse Arthur già preoccupato di suo.

Si guardarono e sarebbero potuti rimanere per ore senza parlare, l’uno sapeva ciò che avrebbe detto l’altro, si conoscevano troppo bene.

Fu Abel che riprese la parola spiegando:

-E’ arrivata una sua lettera qualche giorno fa, ha lasciato il lavoro a Melbourne e ora vorrebbe stabilirsi qui, almeno per un breve periodo. Poi, forse, andrà a Sydney. 

-Vorrei solo che fosse felice – affermò Arthur abbozzando un sorriso.

-Non so cosa le passi per la testa – disse Abel invece più serio – è inquieta, non è riuscita ad ottenere una stabilità da nessuna parte del mondo. È un anno che non la vediamo, tutto ciò che sappiamo di lei è grazie a Eric e Daisy che l’hanno ospitata in casa loro per mesi. Ha scritto sporadicamente e non ha mai voluto l’andassimo a trovare, a vedere una sua mostra o qualche altra diavoleria avrà realizzato. Non ho mai approvato in pieno questa sua passione per l’arte, la credo frivola e poco redditizia. Georgie mi ha sempre detto di lasciarla fare ed io mi sono contenuto ma tu sai bene quante volte avrei voluto prendere un treno e raggiungerla.

Arthur era come sovrappensiero, ascoltava, ma si percepiva che la sua mente era altrove.
Chiese di getto:

-Pensi che vorrà confrontarsi su quella questione?

Abel scosse il capo:

-Non lo so – ammise – con Georgie fu decisa e determinata e le disse che avrebbe voluto affrontarci ma poi non è più ritornata.

-Forse – disse allora Arthur – abbiamo sbagliato tutto Abel. Con i nostri figli, abbiamo sbagliato tutto.

Una leggera brezza di vento fresco accompagnò quelle parole intrise di rassegnazione e malinconia.

Lo stesso vento soffiava il giorno che Sophie arrivò con l’ultimo treno della sera.

La accolsero con affetto e gioia sincera e lei parve contenta di essere ritornata a casa.

Abel caricò le valigie sul carro mentre Georgie, visibilmente commossa, le fece mille domande sulla città, sul lavoro, sui suoi dipinti.

-Sei felice di essere qui? – domandò Georgie a sua figlia dopo aver cenato, in cucina.

Abel era fuori a sistemare i cavalli, erano loro due sole.

-Sì certo – rispose – mi siete mancati voi tutti. Tu, papà, zio Arthur, zia Maria.

Georgie notò subito che Sophie aveva nominato Arthur chiamandolo nuovamente zio, ne fu sorpresa e meravigliata.

-Ascolta mamma – iniziò la ragazza timidamente – io ho sbagliato a giudicarti, anzi a giudicarvi tutti. Ho capito che la vita ci pone davanti a delle scelte, a volte molto ardue e dolorose, e voi avete sicuramente agito con amore nei miei confronti. Io non posso che ringraziarvi per come mi avete voluto bene, indistintamente.  

E Georgie non poté far a meno di abbracciarla, convinta che Sophie fosse più serena.

La mattina dopo madre e figlia andarono alla sartoria in paese, lavorarono, chiacchierarono, incontrarono conoscenti e amici finché Georgie propose:

-Passiamo un attimo allo studio da Eric prima di tornare a casa, vedrai com’è bello il piccolino! Deve essere cresciuto molto da quando l’hai visto tu l’ultima volta!

Non avrebbe mai voluto arrivasse quel momento, Sophie rimase muta mentre sua madre chiudeva la porta del laboratorio dicendo:

-Si sono sistemati bene i ragazzi, ricordi l’appartamento del dottor Dewy? Hanno apportato qualche modifica, pensa che hanno ricavato dal vecchio salone la camera per il bambino mentre la cucina è più ampia e luminosa. 

-Forse Eric avrà dei pazienti ora – balbettò la ragazza cercando di rinviare quell’incontro – avrò un’altra occasione per salutarlo.

-Faremo in un attimo – esclamò Georgie allegra – sarà felice di rivederti!

Convinta che non avrebbe potuto rimandare in eterno e consapevole già alla partenza che si sarebbero ricongiunti, seguì sua madre che durante il breve tragitto le raccontò del dottor Dewy trasferitosi in campagna e di come Eric si era da subito fatto apprezzare da tutti come medico per competenza e sensibilità. 

-Bussa allo studio – la esortò Georgie giunta davanti alla porta – io intanto salgo sopra a vedere se c’è Daisy con il bimbo. 

Rimasta sola sfiorò la maniglia, titubante se entrare o no.

Si rivide bambina davanti a quella porta, aveva sempre provato timore per il dottor Dewy nonostante dopo ogni visita le regalasse spesso delle buonissime caramelle colorate. Eric invece entrava tutto allegro e baldanzoso, come andasse a una festa.
Forse ha ragione chi afferma che il destino è già segnato.

Fece un profondo respiro ed entrò lentamente.

Non badò alla scrivania, né all’armadio o al lettino per i malati perché la sua attenzione si fermò immediatamente su quel ragazzo in camice bianco che, di spalle alla finestra, teneva fra le braccia un bambino vispo e sorridente.

-Guarda gli uccellini là fuori – diceva Eric al piccolo indicandoli dal vetro – ora papà ti porta in giardino a giocare.

Non aveva sentito la porta aprirsi e quando si voltò, rimase sgomento vedendosi davanti Sophie appoggiata al muro, intimorita e quasi spaventata nel farsi avanti.

Ma Eric, dopo soltanto un attimo, tirò fuori uno dei suoi sorrisi sinceri e dolci e le disse teneramente:

-Mi avevano avvisato del tuo ritorno, sono felice che tu sia qui.

Lei non riuscì neppure ad avvicinarsi né tantomeno a sfiorare il bambino.  

  


  

 

 




 
   
 
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