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Autore: Giulss_    26/01/2022    1 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto Procuratore]
"Ogni volta che chiudeva gli occhi incrociava due pozze azzurre che la guardavano come se non ci fosse niente di più bello al mondo, che la desideravano. E si chiedeva invece cosa si vedesse da fuori nei suoi occhi."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3.

 

Con la tua età io vorrei parlare un po' di noi,
ma sulla tua pancia io scriverò così:
Calorosamente traccerò qualcosa entrando in te,
Silenziosamente ricorderai quel morbido aprirti a me.

[“Non siete arrabbiata?”
Imma sgranò gli occhi. “Con te?”
“Sì, io non avevo il diritto di farlo, e come se non bastasse ora vi ho pure messo in pericolo sul lavoro. L’avete detto voi che se si insinuano certe voci in procura è la fine…” disse, mortificato.
“Calogiuri” disse con tutta la dolcezza di cui era capace, avvicinandosi a lui sul divano. “Ormai mi pare dovresti averlo capito che mi è impossibile arrabbiarmi con te, e questo in procura già lo sanno tutti. Certo, mi pareva di essere stata abbastanza chiara quando ho detto che quello che è successo non doveva ripetersi mai più.”
Quell’ultima frase era peggio di una coltellata nel petto. Dunque, nonostante tutto, la pensava comunque così?]

 

“Certo” rispose, con quel tono da cane bastonato che gli era impossibile evitare quando pensava di averla delusa o fatta arrabbiare. Gli occhi la scrutavano in attesa che aggiungesse qualcosa, sperando che facesse qualcosa, un gesto anche minimo, quel che bastava per contraddirsi un poco, perché non era sicuro di riuscire a vivere con la consapevolezza che gli si stava insinuando nella mente e nel cuore e che gli faceva gelare il sangue nelle vene. Lei però non accennava a muoversi, gli occhi puntati sulle foto che Calogiuri aveva posato sul tavolino davanti al divano. Cosa pensava? Cosa provava in quel momento? Non riusciva a darsi pace, così iniziò a ragionare ad alta voce. “Però io non ci credo che per voi è stato solo un errore, perché se fosse stato così vi sareste comportata diversamente” ed iniziò ad elencare una serie di ricordi che continuavano ad affollargli la mente: “non mi avreste permesso di avvicinarmi a voi così tanto quel giorno al passaggio a livello, che quasi vi baciavo di nuovo, e non avreste giocato al gatto e al topo per settimane pur di non lavorare insieme, anche se poi tornavate sempre proprio quando iniziavo a non sperarci più, e allora tornavano anche gli sguardi, i sorrisi, le teorie, quel modo di lavorare che avete solo con me e che io ho solo con voi, e io lo so che certi momenti non me li sono immaginati, non li ho vissuti solo nella mia testa” concluse, tutto d’un fiato, senza mai toglierle gli occhi di dosso.

Imma si irrigidì. Sapeva benissimo che Calogiuri aveva ragione, certo che aveva ragione, perché una persona ferma sulla propria decisione, senza il minimo dubbio su ciò che prova, non si sarebbe comportata come si era comportata lei negli ultimi mesi. Erano state settimane di tira e molla continui, di tentativi di fuga che lei stessa boicottava tornando a riprenderselo appena era troppo distante o ne sentiva la mancanza a livelli insopportabili, e aveva finito varie volte col fargli scenate di gelosia improponibili e fuori luogo. Perché era facile, a parole, dire che era stato un errore, lo era un po’ meno convincersene. Ma come poteva darsi pace? Non si era mai sentita così, non aveva mai provato nulla di simile, sentiva ogni fibra del suo corpo remare contro quei principi morali che l’avevano tenuta in piedi negli ultimi quarant’anni suonati di vita e soprattutto sentiva che stava mettendo a repentaglio tutto quello che aveva conquistato a livello personale - la sua vita con Pietro, con Valentina - e ancora non riusciva a capire esattamente per cosa. Tacque. Cosa avrebbe dovuto dirgli, “sì lo so, hai ragione, è tutto vero ma è anche tutto sbagliato”?

Quindi riprese Calogiuri a parlare. “Posso capire che avete paura, non è facile-“

“No, Calogiuri, non lo sai! Non lo puoi sapere” sbottò, alzandosi di scatto. Di cosa stavano parlando, di aria fritta? “Non puoi capire come ci si sente dopo vent’anni di matrimonio, tu non sai cosa vuol dire svegliarsi ogni giorno con accanto la stessa persona per anni, condividere pensieri, sorrisi, lacrime, discutendo a giorni alterni per stronzate o questioni di massima importanza, non puoi sapere cosa vuol dire crescere una figlia insieme. Ed è giusto così, come potresti saperlo?” aggiunse, abbassando un po’ i toni dopo averlo visto rimpicciolirsi su quel divano. D’altronde, se essere giovani fosse stata una colpa, l’intera popolazione mondiale avrebbe dovuto trovarsi in carcere. Però come poteva dire che la capiva? Lì, dei due, era lei che si stava giocando il tutto e per tutto, e quello che la sconvolgeva era che una parte di lei pensava ne valesse la pena, che lui ne valesse la pena. 

“Avete ragione, però vorrei tanto saperlo anche io un giorno.”

Imma si sentì mancare la terra sotto i piedi e tornò a sedersi. Sapeva benissimo che c’era un “con te” sottinteso da qualche parte in quella frase, glielo dicevano gli occhi blu che aveva difronte, e la sola consapevolezza di ciò porto il suo cuore a stringersi così tanto da fare fisicamente male. Come poteva un ragazzo come Calogiuri sognare una vita come quella con lei? Non si trattava nemmeno tanto di aspetto fisico o di differenza di età, lei era in tutto e per tutto quanto di più distante potesse esserci da lui. Era convinta di non potergli dare nulla di quello che chiedeva, eppure lui la guardava sempre come se non desiderasse altro dalla vita. “Calogiuri…” sussurrò, il tono a metà tra la scusa e la preghiera di non sentire più frasi del genere perché temeva di non farcela. 

“Lo so che non volete sentirlo però è così e non posso farci niente, perché per me da quel giorno nel vostro ufficio non è cambiato niente, anzi sì, perché in quel momento ero confuso, non sapevo bene cosa provavo, non riuscivo a farmene una ragione, ora invece lo so benissimo cosa provo.”

“Non dirlo, Calogiuri, per favore” implorò con la voce ancora ridotta a un sussurro e il cuore che batteva così forte che quasi non sentiva altro.

“Perché no? Tanto lo sapete già.”

“Per favore” ripetè. Se glielo avesse detto lì, su quel divano, in quell’appartamento, guardandola negli occhi, non ci sarebbe più stata possibilità di tornare indietro. Sperava che, confrontandolo, non avesse osato quanto in macchina qualche sera prima, che magari dovendoglielo dire guardandola negli occhi si ricredesse, che capisse che era tutto così tremendamente complicato. Ma era davvero quello che speravi?, le chiese una vocina nella testa. Non speravi invece proprio questo, di arrivare a un punto di non ritorno?

“Io mi sono innamorato di te” sputò fuori lui.

Una lacrima rigò il volto di Imma; ebbe appena il tempo di sentirne il gusto salato sulle labbra che Calogiuri le asciugò con una carezza la scia che aveva lasciato. Istintivamente, si abbandonò a quel tocco, chiudendo gli occhi. Li riaprì solo quando sentì il respiro di Calogiuri farsi sempre più vicino, ne incrociò lo sguardo a pochissimi centimetri dal suo e senza pensarci due volte annullò definitivamente la distanza che li separava. Le mani dell’uno e dell’altra vagavano dal viso al corpo, impedendosi reciprocamente di allontanarsi finché il bisogno di ossigeno glielo permise. Ripresero fiato, fronte contro fronte, le labbra gonfie, le guance arrossate, e poi tornarono a baciarsi. Non esistevano più la procura, il regolamento, il matrimonio di Imma, la relazione di Calogiuri e Jessica, non esistevano il buon senso né la razionalità. Su quel divano erano solo loro due, Imma e Ippazio, coi loro sospiri, il battito accelerato, le dita tremanti che si spingevano ogni momento un po’ oltre, desiderando scoprire ogni centimetro del corpo dell’altro e avendone al tempo stesso una paura maledetta. 

Fu Imma la prima ad osare, si portò a cavalcioni su Calogiuri e gli slacciò la cintura. Lui, per tutta risposta, approfittò del pieno accesso che quella posizione gli offriva sul collo di Imma e iniziò a lasciarvi una scia di baci e morsi su un lato e sull’altro, mentre con le mani le slacciò il reggiseno da sotto il maglione rosso. A quel punto Imma gli tolse il dolcevita, godendosi lo spettacolo che trovò sotto - qualcosa che aveva già intuito ma come al solito con lui la realtà superava la fantasia. Prima di fare altrettanto tornò a baciarlo, perché era decisamente già passato troppo tempo da quando si erano staccati. 

Calogiuri se la sistemò meglio sulle gambe, la gonna che ormai era di molto sopra al ginocchio. Quando Imma si tolse anche la maglia e se la trovò così, a cavalcioni, quasi completamente nuda, con i capelli spettinati, il volto arrossato, le pupille dilatate dal desiderio, pensò che non aveva mai visto niente di più bello in tutta la sua vita. “Mi sembra di non aver mai desiderato altro” le disse, spostandole un riccio da davanti gli occhi. 

Imma gli sorrise e gli baciò il palmo della mano. “Anche a me” rispose prima di baciarlo, questa volta più dolcemente, con meno foga, desiderando di trovarsi per sempre sospesi in quell’attimo, senza tutto quello che li aspettava fuori, senza dover valutare le conseguenze. Impedendo a tutti quei pensieri di farsi spazio nella sua mente, scivolò su un lato e iniziò a sfilargli i pantaloni.

«Con l’ultimo barlume di coscienza, la dottoressa si augurò che anche per lei qualcuno, un giorno, avrebbe chiesto il minimo della pena.»
 

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Eccoci qui! Tre è il numero perfetto e, soprattutto, non sono in grado di reggere una long, scrivo ad attimi, quindi questo è l'ultimo capitolo, e ho rubato le parole di Mariolina Venezia per concludere, perché quelle righe sono LE righe di tutti i suoi libri su Imma. Detto ciò, spero che un pochino vi sia piaciuto il capitolo, e voi continuate a scrivere  su questi due perché ce n'è bisogno e lo fate meravigliosamente! 

  
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