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storia è una traduzione, qui potete trovare
l'originale:
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Ritornare
alla coscienza fu doloroso ma necessario.
Holmes si lamentò mentre cercava di ricordare cosa avesse
potuto fare per
ritrovarsi con un mal di testa accecante e cercò di
riprendere conoscenza del
suo corpo. Si mosse e rimase paralizzato quando sentì
qualcosa muoversi sotto
il suo braccio destro.
Osando
aprire gli occhi, quasi urlò di sorpresa nel
trovare Watson addormentato accanto a lui -beh, più che
altro sotto di lui,
visto che lui era drappeggiato in maniera piuttosto comoda sopra il
medico. Ed
erano entrambi nudi. Holmes chiuse gli occhi strettamente, per poi
aprirli di
nuovo, certo che fosse tutto un frammento della sua immaginazione. Ma
Watson
rimaneva lì, pacifico nel sonno, le sue mani rilassate sul
braccio di Holmes.
Holmes
si ritirò, mettendosi a sedere, e realizzò, dal
modo in cui la sua pelle rimaneva leggermente attaccata a quella di
Watson, che
avevano avuto delle… interazioni. Piuttosto intime. Una mano
tremante passò
sopra i resti appiccicaticci sulla parte bassa del suo addome e
sfiorarono il
suo pene, ancora leggermente viscido per qualsiasi cosa avessero usato
come
lubrificante. I suoi occhi si allargarono con orrore, e non
poté trattenere la
sua mano dal raggiungere i fianchi di Watson per sentire…
Tremò.
Aveva preso Watson, aveva fatto sesso
penetrativo con lui.
Barcollò
fuori dal letto, prendendo i vestiti che
erano a portata di mano e andò in bagno per pulirsi e
cercare di ricordare cosa
fosse successo.
Tremava,
mentre si lavava, pulendo le tracce di ciò
che aveva fatto, e cercò di tenere a freno i suoi pensieri
turbinanti. Avevano
bevuto, di questo era certo. Un vago ricordo di essere andato in un pub
con un
gruppo di ispettori riaffiorò nella sua mente; si, questo
era successo. Si
erano trattenuti a bere per più di un giro, ed erano tornati
a casa piuttosto
sbronzi. Watson erta inciampato sulla soglia di casa, Holmes aveva
cercato di
afferrarlo ma erano finiti entrambi sul pavimento, Watson sopra di lui.
Il
resto della nottata non era nulla di più che un
senso di gratificazione e liberazione. Le implicazioni erano
allarmanti.
Che
lui avesse apprezzato i pregi del suo coinquilino
era tutto sommato vero, ma era stato piuttosto attento a non lasciare
che
Watson avesse il minimo segnale sulle sue malsane inclinazioni. Watson
non
sembrava della sua parrocchia e sarebbe stato senza dubbio disturbato
dal
conoscere le fantasie di Holmes. Ma a quanto pare Holmes aveva commesso
un
errore e aveva permesso che l’ebbrezza fungesse da scusa per
avvicinarsi
all’amico.
Ritornò
nella sua camera-la scena del crime-e fu
sollevato nel trovare Watson ancora addormentato. Un esame
più ravvicinato
mostrò numerosi segni di morsi che potevano provenire solo
da lui, e il quadro
sembrava chiarirsi nella sua mente. Watson, quindi, aveva opposto
resistenza, e
Holmes lo aveva morso per tenerlo compiacente.
Aveva
lasciato andare le sue peggiori offese sul suo
più caro, ed unico, amico. Come poteva affrontare Watson?
Come avrebbe mai
potuto lui perdonarlo?
Riempì
nervosamente la sua pipa e si mise in salotto,
cercando di capire come mantenere fattibile la convivenza a Baker
Street alla
luce di questo suo vergognoso atto. Non trovò nessuna
soluzione. Nessuna
persona ragionevole -e Watson era il massimo esponente della categoria-
sarebbe
mai rimasto a vivere con chi lo assale in una tale maniera. Rimanere
amici con
un individuo del genere era altrettanto fuori questione.
Quando
sentì il suono di Watson che si muoveva per
alzarsi, girò i tacchi e uscì nel freddo di una
mattina di dicembre,
dimenticando di prendere il cappotto e il cappello.
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Holmes
spese tre giorni nel suo nascondiglio più
vicino, dopo essersi fermato lungo la strada a prendere del tabacco,
analizzando ogni dettaglio di ciò che riusciva a ricordare
di quella notte,
convincendosi sempre più che il suo comportamento meritava
la galera. Si
avventurò fuori in un paio di occasioni, sempre travestito,
e cercò di scorgere
Watson - era arrabbiato? Era affranto? - ma sembrava che si fosse
chiuso in
casa per via del tempo, che era oggettivamente piuttosto freddo e
umido.
Realizzando
che c’era una buona probabilità che Watson
andasse andato a cercarlo, fece un prelievo dalla banca -essendo
rimasto solo
con pochi spiccioli in tasca- e si spostò in un rifugio di
cui Watson non era a
conoscenza. Rimase qui per un po’, passando una buona dose
del suo tempo nei
pub, travestito, bevendo senza permettersi di ubriacarsi e coltivando
alcuni contatti
potenzialmente utili, in caso avesse avuto bisogno di informazioni.
Ammesso,
ovviamente, che avrebbe ancora lavorato su un
caso. Quella poteva essere stata la mossa che lo avrebbe messo
definitivamente
dalla parte sbaglia della legge.
Questo
passatempo lo annoiò in fretta, anche se
continuò ancora per la mancanza di sostituti adeguati.
Essere impossibilitato
dal frequentare i suoi soliti covi era stancante, ma riuscì
a trovare un posto
che teneva incontri di boxe nei fine settimana e inserì il
suo nome per
l’incontro successivo, tre giorni dopo.
La
mattina dell’incontro cedette all’andare a Baker
Street, vestito da vecchio venditore di libri. Stava passando proprio
davanti
alla porta quando la signora Hudson aprì e
conversò con una giovane donna sugli
scalini. Si avvicinò un poco per ascoltare.
“Mi
dispiace, cara, ma il signor Holmes si è preso una
vacanza per motivi di salute” sentì dire.
Perciò, non stavano facendo girare la
notizia della sua scomparsa. Lo aveva sospettato dalla mancanza di
notizie a
riguardo sui giornali che adocchiava per strada, ma la conferma era
piuttosto
utile.
La
porta si chiuse, facendo dondolare la ghirlanda sopra
di essa. Holmes la fissò sconvolto. Era già
davvero quasi natale?
Cacciato
quel pensiero dalla mente, guardò le finestre
per vedere una traccia di Watson, ma non ce n’era. Rimase
dall’altra parte
della strada ancora un po’, e proprio mentre stava per
andarsene, la porta si
aprì e Watson emerse. Sembrava più magro, e il
suo viso era tirato di stanchezza.
‘Perciò è questo che il mio atto ha
provocato’ pensò Holmes tristemente.
Watson
prese una carrozza e la diresse verso Scotland
Yard. Holmes ne prese un’altra e lo seguì.
L’agente all’ingresso si toccò il
cappello quando vide Watson, che lo salutò brevemente prima
di entrare.
Holmes
attese fuori, incuriosito, per sapere quale
fosse la ragione della visita. Watson uscì troppo in fretta
perché potesse
essere qualcosa di nuovo -un aggiornamento su un caso, dunque, anche se
non ne
avevano di aperti quando se ne andò. Watson aveva per caso
iniziato a
collaborare per conto suo con Scotland Yard?
Passando
abbastanza vicino per sentire il nuovo
indirizzo, sentì che era il Diogenes Club. Holmes si
impensierì, comprendendo
cosa stesse facendo Watson: lo stava cercando, e aveva persino chiesto
l’aiuto
di Mycroft. Si chiese brevemente cosa pensasse suo fratello di
ciò che aveva
fatto a Watson -doveva saperlo per forza, perché Watson
doveva avergli detto
per quale motivo stavano cercando suo fratello così
faticosamente.
Avrebbe
dovuto prevedere un evento del genere. Aveva
dovuto prelevare una cospicua somma di denaro quando se n’era
andato, e adesso
i suoi conti sarebbero stati controllati, se no addirittura congelati.
C’erano
pochi altri metodi efficienti per trovare qualcuno come mettere sotto
controllo
i suoi soldi. Avrebbe auto bisogno di stringere ancora di
più la cinghia. E
spostarsi in un altro alloggio, uno che non fosse affittato a suo nome,
visto
che adesso che i suoi soldi erano controllati avrebbero rintracciato
gli
affitti e avrebbero individuato i suoi rifugi.
L’ultima
spesa di Holmes fu la corsa in carrozza fino
al suo alloggio di quel momento, perché la camminata fin
lì da Scotland Yard
era troppo lunga da sostenere vestito da vecchio venditore e il suo
personaggio
troppo vecchio.
Si
liberò in fretta del travestimento e preparò il
suo
misero bagaglio, per poi andare alla ricerca di una nuova stanza. La
trovò in
una squallida pensione, giusto in tempo per prepararsi
all’incontro, che si
sarebbe svolto di lì a poco.
L’incontro
fu mediocre visto che seguì il solito
schema di tutti gli altri scontri in cui aveva combattuto. Venne messo
in
coppia con un avversario più grosso di lui, che si
montò la testa e lo
sottovalutò, e Holmes lo sconfisse in fretta. Fu quasi
deluso d quanto scarsa
fosse risultata la sfida. Il premio, comunque, valse lo sforzo, vista
la sua
situazione finanziaria e Holmes si ritirò per valutare le
sue attuali
difficoltà.
Se
avesse continuato a combattere -e a vincere- gli
scontri, avrebbe potuto trasformarlo in un lavoro. L’affitto
avrebbe preso la
maggior parte dei soldi ogni settimana, ma sarebbe stato sufficiente
per lo
stretto necessario, se fosse stato attento. Per fortuna non era
abituato a tre
pasti regolari al giorno: non poteva permetterselo.
Il
problema successivo e più difficile fu come
riempire le altre ore della giornata, visto che la mancanza di soldi
era un
ostacolo notevole. Rimanere chiuso dentro la piccola, squallida stanza
non era
un’opzione, perciò andò a camminare.
Percorse tutta Londra e vanti e indietro
per una settimana, ma era utile per aggiornare la sua mappa mentale
della
città. L’unico problema era che camminare non
richiede molta concentrazione, e
si annoiò presto di dedurre i dettagli del lavoro della vita
domestica dei passanti
quando non c’era nessuno da impressionare con le sue
osservazioni.
Questo
lo portò inevitabilmente a pensare a Watson e a
ciò che gli aveva fatto. Non poteva evitarlo. Non importava
dove andasse o cosa
facesse, tutto ricordava a Holmes della sua colpa verso Watson. Lo
perseguitava
come un segugio.
Tornava
sempre all’alloggio per cena, che era compresa
nell’affitto della stanza. Il cibo era piuttosto terribile e
gli faceva
desiderare la cucina della signora Hudson. Ma mangiava, visto che
poteva avere poco
altro.
Alla
sera pensava a cos’altro avrebbe potuto fare per
guadagnarsi da vivere, non potendo tronare al lavoro investigativo.
C’erano
alcune possibilità, ma la maggior parte richiedeva
allontanarsi da Londra e…
non poteva immaginare di andarsene, nemmeno per un periodo di tempo.
Avrebbe
dovuto arrangiarsi.
Finalmente
arrivò il fine settimana e il giorno
dell’incontro. Saltò la cena per prepararsi (il
cibo gli restava sullo stomaco
per ore come un blocco di carbone, ed era l’ultima cosa di
cui aveva bisogno)
ed era pronto e carico quando arrivò il momento.
Questo
incontro cominciò come quello precedente e
sconfisse facilmente i primi due avversari. Il terzo era più
o meno della sua
taglia e altrettanto veloce, una vera sfida. Una che non era nelle
condizioni
di poter affrontare. L’accucciarsi e lo scansarsi per
schivare i colpi
instancabili dell’oppositore gli fecero girare la testa, e
inciampò. A quel
punto era finita, i colpi cadevano potenti e veloci, e perse conoscenza
dopo un
colpo particolarmente forte al viso.
Il
proprietario si assicurò che riuscisse a tornare
alla sua stanza, ma non importava. Perdere significava che non poteva
più
pagare.
.
Watson
insistette per accompagnare Lestrade nel
seguire una traccia secondo cui Holmes era stato visto in una zona
malfamata
della città quattro giorni prima. Venne fuori durante un
interrogatorio ad un
uomo fermato per borseggio, il quale aveva volentieri raccontato di
aver
bisogno di soldi per via di una scommessa persa con un pugile magro che
era stato
messo KO sabato sera.
Ci
vollero molte ore nel passare da una pensione
fatiscente all’altra, il cuore di Watson doleva nel sapere
che Holmes era
finito in un posto così, prima che una proprietaria
ammettesse “Sì, ho avuto un
tipo qui che sembrava così”
“Avuto?”
chiese Lestrade.
“L’ho
cacciato fuori due giorni fa. Non poteva più
pagare.”
Ringraziarono
in fretta e ansiosamente tornarono in
strada. Lestrade non era ottimista, perché se Holmes era per
strada non lo
avrebbero mai trovato. Watson temeva che avesse ragione, ma cercava
disperatamente di pensare a cosa avrebbe fatto Holmes. Una piccola
idea, ma
forse sufficiente… “La lista di indirizzi che vi
ha dato Mycroft. Qual è quello
più vicino?”
Aveva
il cuore in gola mentre si affrettavano al
rifugio più vicino. Lestrade si fermò fuori per
parlare con i poliziotti in
borghese e cercare nell’edificio, ma Watson era corso dentro.
Terza porta sulla
destra, aveva detto Lestrade, e Watson si avvicinò con
prudente urgenza.
La
stanza era spartana, gli unici mobili erano un
letto pericolante, un lavandino da un lato e un piccolo baule ai piedi
del
letto. Watson si inginocchiò subito vicino al letto,
toccando il viso immobile
del suo amico. Si chiese se i vestiti laceri fossero parte di un
travestimento
o se Holmes fosse davvero caduto così in basso.
Holmes
aprì un poco le palpebre, gli occhi spenti e
non proprio attenti. Un occhio era quasi chiuso dal gonfiore.
“Watson?” gracchiò.
“Sì,
sono qui” rispose, tendendo una mano sulla sua
guancia mentre muoveva l’altra verso il collo.
“Perché?”
“Ero
preoccupatissimo per te!” Dopo lunghe settimane
di paura e preoccupazione, quell’uomo irritante chiedeva
perché fosse venuto a
cercarlo? Nonostante la sua intelligenza, poteva essere davvero cieco.
Ma
chiaramente non stava bene; Watson avrebbe aspettato, per le
spiegazioni. “Ti
chiederei dove sei stato e perché, ma credo sia meglio
tornare a casa prima.
Puoi alzarti?”
“Non
lo so”
Riuscì almeno a mettersi seduto, e Watson lo
aiutò lentamente ad alzarsi. Barcollò
per i giramenti di testa ma rimase dritto fintanto che aveva un braccio
sulle
spalle di Watson.
Camminare
si dimostrò un affare di tutt’altra portata,
e dopo solo un paio di passi gli tremarono le ginocchia e
crollò svenuto.
Watson mantenne la presa su di lui così che non finisse a
terra del tutto e,
disperato nel volerlo riportare a Baker Street, si accucciò
e fece passare un
braccio sotto le sue ginocchia per cercare di sollevarlo. Fu troppo
semplice, e
a Watson si chiuse lo stomaco per ciò che significava.
Holmes
non riprese pienamente conoscenza fino a quando
non furono di nuovo nelle loro stanze e lui non era stato messo sul
divano.
Watson lo stava sistemando in una maniera più comoda e dava
brevemente
istruzioni alla signora Hudson, che camminava ansiosa dietro di lui.
Quando se
ne fu andata, Watson versò un bicchiere d’acqua e
aiutò Holmes a bere a piccoli
sorsi.
“La
signora Hudson sta preparando del brodo, intanto
ti preparo un bagno. Starai bene qui per qualche minuto?”
Holmes
annuì debolmente, con la testa che girava. Non
riusciva… i suoi pensieri erano tutti
aggrovigliati… c’era qualcosa… qualcosa
che non trovava più. Quando Watson tornò, lo
aiutò a bere ancora un po’; il
brodo sembrava fuoco lungo la gola e nello stomaco, ma si
depositò caldo e
piacevole, e placò una fame che non sapeva di avere.
Non
voleva muoversi, non ne aveva le energie, ma
Watson insisté che sarebbe stato meglio dopo un bagno.
Probabilmente aveva
ragione. Perciò, fece del suo meglio per aiutare Watson nel
bagno, anche se
l’amico scacciò la sua mano quando
cercò di aiutarlo con i bottoni.
Essere
immerso nell’acqua ricompensò bene lo sforzo. Non
poté trattenere un sospiro di piacere, e Watson
ridacchiò. Lo lavò
attentamente, facendo attenzione ai lividi e ai segni degli scontri per
determinare l’estensione delle ferite, poi diresse la sua
attenzione alla
testa. Prima una pettinata per eliminare il grosso dei nodi, poi
sapone, una
sciacquata e infine un pettine a denti stretti per controllare
eventuali
ospiti. In qualche modo, Holmes aveva evitato di portare a casa le
pulci o i
pidocchi.
Quando
Holmes fu finalmente a letto, Watson lo fece
bere ancora un po’, rassicurato dal fatto che probabilmente
non avrebbe
vomitato, a questo punto. Holmes era a malapena cosciente di
ciò che accadeva
intono a lui, leggermente febbricitante; perciò, Watson lo
lasciò dormire e
sperò che le sue invidiabili capacità di ripresa
lo avrebbero rimesso in piedi
presto.
.
Holmes
si sorprese a svegliarsi nel suo letto, la luce
di pieno giorno che filtrava dalla finestra. Poi cominciò a
pensare e a
chiedersi perché fosse sorpreso di svegliarsi nel suo letto
a casa sua, e ci
volle solo un momento prima che tutto gli crollasse addosso. Giusto.
La
comparsa di Watson sulla soglia della porta lo
sorprese ancora di più, e osservò sospettosamente
il suo avvicinarsi.
“Buongiorno, Holmes” disse allegramente.
“Anche se per noi altri è pomeriggio.
Come ti senti?”
Holmes
lo guardò, poi borbottò “Non hai un
bell’aspetto”
Watson
ridacchiò. “È un po’ che non
vedi uno specchio,
direi. Ma hai ragione. Sono stato preoccupato per te. Sei sparito per
diverse
settimane senza una traccia su dove fossi e se fossi al
sicuro.”
Guardò Holmes agitarsi e arrossire, e chiese delicatamente
“Mi dirai il perché
di tutto questo?”
Holmes
dovette distogliere lo sguardo dai suoi occhi
sinceri, pizzicò incessantemente le lenzuola.
“Mi… vergognavo”
“Di
cosa?” chiese Watson sinceramente confuso. Pensò
di poter azzardare un’ipotesi, ma non osò parlare
per paura di avere ragione.
“Mi
sono imposto su di te” mormorò Holmes.
“Pensavo
che non avresti più voluto vivere con me né tanto
meno vedermi, così me sono
andato”
“Holmes”
disse Watson quasi disperatamente, passandosi
una mano tra i capelli e decidendo quale fosse il modo migliore di
continuare
quella conversazione. “Cosa ricordi esattamente di quella
notte?”
Holmes
gli raccontò quel poco che ricordava e cosa
aveva dedotto circa la situazione quando si svegliò la
mattina seguente. Watson
tenne la sua espressione accuratamente neutrale, anche se era sconvolto
dalle
conclusioni che Holmes aveva tratto e che sembrava corrispondere
perfettamente
alle prove. Ma almeno il suo azzardo circa la vergogna di Holmes era
completamente errato, il che gli dava un po’ di speranza.
Quando
Holmes finì il suo racconto, Watson disse “Ho
una sola parola per te: Norbury.”
Holmes
si accigliò.
“Holmes,
devo scusarmi. Non avevo realizzato che fossi
così ubriaco. Pensavo che-”
“Credo
che tu stia di nuovo iniziando la storia dalla
fine” disse Holmes in modo un po’ scontroso.
Watson
sospirò e ricominciò da capo. “Quando
sono
caduto sopra di te, ti ho baciato. Volevo farlo da un po’, e
mi è sembrata
l’occasione perfetta -se ti fossi lamentato, avrei potuto
dare la colpa
all’alcol. Non ti sei lamentato. Siamo andati in camera tua,
e sì, tu eri
sopra… perché volevo che fosse così.
Se avessi capito talmente ubriaco che non
te lo saresti ricordato, non avrei permesso che le cose andassero
così avanti,
e non ci sarebbe stato nessun fraintendimento.”
Guardò
Holmes sbiancare e afferrò la sua mano in modo
rassicurante. Holmes la strinse con entrambe le sue mentre processava
ciò che
Watson aveva detto. Perciò non aveva…? Watson
aveva voluto…? Sembrava quasi
troppo da sopportare dopo la disperazione e le privazioni delle
settimane
precedenti. “Sono stato uno sciocco” disse
tristemente.
“Forse,
ma sei il mio sciocco.” Watson si sedette sul
bordo del letto e lo baciò delicatamente.
Appoggiò la fronte sulla sua e disse
“Promettimi soltanto che no scapperai più via
così.”
“Non
così, no” acconsentì Holmes.
“ma se c’è un caso,
non posso garantire nulla.”
“Quello
lo sapevo già” rispose con un sorriso
afflitto. Si sedette e fece per alzarsi, ma Holmes afferrò
il suo polso per
tenerlo. “Va tutto bene, torno subito. Ho solo bisogno di
chiedere alla signora
Hudson di portare altro brodo per te e del tè per
me.”
Holmes
annuì e lasciò il polso riluttante. Quando la
signora Hudson venne e andò via, Watson si sedette accanto a
Holmes sul letto e
lasciò che si accoccolasse su di lui, passando le dita tra i
capelli scuri.
Parlarono con calma fino a quando Holmes non ebbe di nuovo sonno;
Watson rimase
lì con lui, i loro corpi a contatto, e sperò che
questo inizio difficile non
presagisse il corso di tutta la loro relazione.