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Autore: Elizabeth_Keats    04/09/2009    3 recensioni
**ULTIMO CAPITOLO POSTATO** "Insomma, non ero come Bella, come Esme o Rosalie o perfino come Jacob: non avevo idea di cosa fosse l'istinto paterno. E la sola idea di dovermi mettere a fare il padre premuroso, bè, mi terrorizzava a morte.[...] Mi sentivo irrimediabilmente, sconsideratamente inadeguato e terrorizzato. Insomma, come si fa il padre? Da dove dovevo cominciare? Esisteva forse un manuale a riguardo?" Sicuramente i molti accaniti lettori di BREAKING DAWN avranno notato che, per varie cause dovute alla trama probabilmente, la figura di Edward visto sotto la nuova luce di padre ha lasciato parecchio a desiderare. E per ovviare a questa mancanza (anche se di certo non mi metto al livello della Meyer) ho pensato a questa ff che descriva vari momenti della nuova vita del nostro vampiro, non senza qualche inconveniente, ovviamente! Spero che vi piaccia e, come al solito, che recensiate in molti!
Genere: Commedia, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15.    Prima o poi i figli crescono

 

Inspirai per l’ennesima volta la fresca aria estiva, seduto su una panchina sotto a un grande abete, con lo sguardo che vagava ormai da più di mezz’ora sul giardino pieno di gente elegante. Il profumo della resina mi giungeva dagli abeti e dai pini tutt’attorno, pungente e frizzante, impedendo ai miei occhi di socchiudersi contro il riverbero aranciato del tramonto e lasciarmi andare a un tranquillo stato di dormiveglia. Era stata una giornata lunga ed impegnativa, pensai togliendo il bocciolo di rosa bianco dall’occhiello della mia giacca scura. Decisamente una delle giornate più importanti che avessi mai visto da parecchio tempo a quella parte, anche perché, nonostante le risate e le tante belle frasi, avrebbe segnato un punto di non ritorno. Questo lo sapevo bene, benissimo, e non potevo fare a meno di pensare ad altro da quando avevo avuto la fatidica notizia un paio di mesi prima.

Accarezzai i soffici petali della rosa, staccandone un paio tra quelli più esterni, che ormai avevano iniziato ad appassire, e ne assaporai il profumo talmente delicato da essere quasi inesistente. Mi ero allontanato con la scusa che ero ormai stanco di ballare e ora stavo seduto ricurvo e da solo su quella panchina, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e lo sguardo che ogni tanto s’alzava dal livello del terreno per dare un’occhiata veloce agli altri invitati. Non c’era dubbio, Alice e Tanya avevano fatto un ottimo lavoro con le decorazioni e tutto il resto. Il giardino era perfino più ordinato e festoso di quello di casa Cullen durante il mio matrimonio. Ovunque lo sguardo si posasse non poteva non incontrare grandi vasi ricolmi di fiori colorati di ogni tipo e fiocchi e luci. Una pioggia di lucine variopinte simili a gocce scendeva dalla cupola del gazebo sotto al quale erano stati allestiti la pista da ballo e un palco, dove da un paio d’ore si stava esibendo un piccolo complesso. E lì vicino non poteva certo mancare la tavolata con il buffet, anche se probabilmente soltanto un ospite su dieci aveva bisogno (ed era in grado) di mangiare cibo normale. Molti degli invitati erano ancora seduti ai numerosi tavoli rotondi ricoperti da tovaglie bianche ricamate, ridendo e scherzando tra un brindisi e l’altro, mentre i rimasugli dell’imponente e spettacolare torta a tre piani giacevano in disparte. Appena ero arrivato avevo quasi stentato a riconoscere il posto; dopotutto la casa del clan di Denali sembrava così diversa dall’ultima volta che c’ero stato. Avrei giurato che quella parte d’Alaska non avesse visto un evento del genere da anni o, più probabilmente, che non l’avesse mai visto del tutto. Tanya e gli altri erano stati molto gentili ad aiutarci e con mia grande sorpresa anche Bella aveva partecipato in modo attivo a tutta quella decorazione quasi faraonica: avrei giurato che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che la vedevo così entusiasta per una festa. Be’, a dir la verità, ero io che continuavo a chiamarla festa, anche se il termine più appropriato sarebbe stato matrimonio. Ed era ovvio che Bella fosse entusiasta per il matrimonio di sua figlia.

«Edward, tesoro! Vieni, su!».

La voce di Bella mi chiamò dalle parti del gazebo, riscuotendomi da quello stato di apatia. L’avevo lasciata che ballava con Seth, mentre ora era intenta a parlare con Billy Black seduta a uno dei numerosi tavoli. Così, sebbene parecchio di malavoglia, mi alzai dalla mia panchina solitaria, rimettendo al suo posto il bocciolo di rosa. Billy, il cui sorriso a trentadue denti sfidava un’intricata ragnatela di rughe che il passare degli anni gli aveva fatto dono insieme a qualche capello bianco, parlava concitato con mia moglie, senza pensare che non molti anni prima era stato proprio lui uno dei primi ad opporsi alla nostra relazione. E ora, invece che uno dei miei nemici giurati, l’avrei dovuto chiamare consuocero. Eh, sì, e il suo caro figliolo da tre ore a quella parte aveva avuto il diritto ufficiale di chiamarmi “caro suocero”. Che parola terribile, pensai rabbrividendo. Mi dava molti più anni di quanti non ne avessi in realtà, senza contare che quella carica si adattava ben poco al mio fresco viso di diciassettenne. Poi, magari, in un futuro non troppo lontano, le mie orecchie avrebbero potuto perfino udire qualcosa del tipo “nonno Edward”. Ma speravo che fosse in un futuro abbastanza lontano: già quel nuovo passo avanti del matrimonio mi aveva lasciato più che stordito e stupefatto e contavo che mi ci sarebbe dovuto parecchio tempo per abituarmi all’idea di quella nuova realtà. Cioè quella di essere imparentato con Jacob Black.

«Allora…» mi disse Bella appoggiando la pochette tempestata di diamanti sul tavolo. «Non mi hai ancora detto cosa te ne pare del matrimonio».

E, come pure Billy, mi lanciò un lungo sorriso, splendida in quell’abito blu scuro, che faceva risaltare la sua carnagione chiara, e con i capelli raccolti in una complessa acconciatura opera di Alice. I suoi occhi brillavano come stelle dall’emozione e di certo erano diventati lucidi più di una volta quella sera. Tutto ciò mi fece ritornare in mente il nostro matrimonio a casa Cullen, con tutti i nostri amici e lei in assoluto la più bella creatura del creato in abito da sposa, che da quel momento era diventata mia. Ma in quel giorno era il turno di qualcun altro indossare il vestito bianco.

«Billy ha detto che non potevamo fare lavoro migliore e che anche l’ambientazione qui in Alaska nella foresta è stata un’idea molto azzeccata» disse ancora lei.

«Già» confermò Billy. «Tanya e i suoi sono stati davvero gentili a concederci di celebrare il matrimonio a casa loro».

Lanciai un mezzo sorriso al vecchio Quileute seduto sulla sua solita sedia a rotelle, rispondendo: «Senza dubbio. Il clan di Denali è da tempo amico di Carlisle e non poteva certo negargli un favore del genere. Anche se io continuo a rimanere del parere che a casa nostra…».

Ma non feci in tempo a completare la frase che Bella m’interruppe. «Oh, Edward, ancora con questa storia! Per casa nostra un matrimonio basta e avanza. E poi è il giorno di Jacob e Nessie: ormai sono adulti e vaccinati e credo abbiano il diritto di scegliere cosa è meglio per loro. E poi non c’è niente di male nel fare qualcosa di diverso, no?».

Io rimasi basito e, non trovando alcuna risposta adatta, abbassai lo sguardo ed annuii sommessamente. Era da quella mattina che mi chiedevo come mai fossero tutti in fibrillazione per il matrimonio, mentre io non vedevo l’ora che finisse per cavarmi al più presto quel dolore. Ma fortunatamente fui tolto dall’imbarazzo di dire qualcosa dall’arrivo di Charlie, con in mano il quarto bicchiere di champagne e decisamente un po’ alticcio.

«Ehi, Bells!» esclamò con un tono di voce abbastanza alto e caracollando su una sedia di fianco a Billy. «Grande giorno, eh? Accidenti, mi sembra ieri che la piccola si divertiva a disegnare sulle camice di Edward! E, invece, il giorno dopo… PAM! Eccola già là che si sposa!».

E, così, detto, si lasciò andare ad una specie di risata che però assomigliava più a un ululato, appoggiandosi non molto delicatamente contro il vecchio Billy. Tutti noi scuotemmo un poco la testa, senza però riuscire a nascondere un mezzo sorriso.

«Papà, non credi di aver bevuto abbastanza per stasera?» intervenne poi Bella strappandogli il bicchiere dalle grinfie.

«Oh, Bells!» borbottò un Charlie contrariato. «Mi stavo solo divertendo un po’!».

Quindi proruppe in un’altra risata sonora, riacchiappando con una mossa furtiva il bicchiere rubato.

«Pare proprio che i riflettori per una volta non siano puntati su di voi, vero, Edward?».

Io non risposi, ma continuai a fissarlo con muto assenso.

«Adesso sono quei due a far chiacchierare Forks. Eh, sì, Edward caro, la vita va avanti, i figli crescono… Comunque avevo sempre detto che quelli era fatti l’uno per l’altra. Non trovi, Billy, che stiano una favola insieme?».

Billy, che intanto come l’amico aveva recuperato un bicchiere di champagne, colto di sorpresa dalla domanda mentre stava bevendo, tossicchiò un po’ prima di rispondere con un mugolio strozzato che doveva suonare come un “sì, certo, Charlie”.

«Jacob è sempre stato un buon amico: sono felice che ora faccia ufficialmente parte della famiglia» aggiunse Bella con il solito luccichio negli occhi che l’aveva accompagnata tutto il giorno.

A quel punto, anche se quasi impercettibilmente, tutti gli occhi dei presenti si spostarono su di me, evidentemente in attesa che esprimessi pure io con qualche altra frase di circostanza tutta la gioia per quel fantastico evento. Ma io non avevo niente da dire, nessuna parola che mi sgorgasse direttamente dal cuore, forse perché anche quello era rimasto muto ed esterrefatto. Quindi feci finta di niente, guardandomi attorno per non incontrare i loro visi e torturando l’orlo della giacca del tight che indossavo. Tutti gli uomini, o almeno quelli della mia famiglia, erano in tight e io non potevo certo fare eccezione, anche se stavo iniziando ad odiare quella giacca troppo lunga e quel gilèt troppo stretto. Sembravo un damerino della peggior specie. Ma, pensandoci bene, probabilmente anche in frac o smoking non mi sarei sentito affatto a mio agio.

«Allora, Edward» interloquì alla fine Charlie, le gote e il naso arrossati. «Non… non sei contento?».

Anche se senza un motivo preciso, sentii il bisogno di sobbalzare, forse per fare un po’ di scena e fingere di non aver risposto subito per disattenzione. Quindi m’aggiustai il colletto della camicia, evidentemente a disagio, schiarendomi la voce per guadagnare tempo.

«Oh, sì. Sì, certo. Come no?».

Ma ovviamente la mia risposta non doveva sembrare troppo convincente, dato che sia Charlie che Billy mi lanciarono un’occhiata perplessa.

«È solo l’emozione» intervenne prontamente Bella. «Non riesce ancora a capacitarsi della cosa. Sapete com’è, considera Nessie ancora la sua piccola bambina e la storia del matrimonio è stata un po’ uno shock per lui».

Shock era un eufemismo. Diciamo solo che quando il cane aveva pronunciato le parole “io e Nessie” accanto a “matrimonio” ero stato colpito da una specie di infarto multiplo, accompagnato da un preoccupante stato di catalessi. Ero stato come svuotato e buttato giù da un dirupo. Terribile, davvero.

«Quanto ti capisco, ragazzo mio!» esclamò Charlie. La parola “ragazzo”, però, stonava parecchio in quel contesto: dopotutto ero pur sempre il padre della sposa! «Mi è capitata più o meno la stessa cosa quando vi siete sposati tu e Bella. È davvero terribile, ma poi passa. Assicurato!».

E tentò di darmi una pacca fraterna sulla schiena, tanto per solidarietà, ma dato che era troppo lontano, riuscì ad arrivare solo al mio ginocchio, che sotto la sua mano produsse uno scricchiolio inquietante.

«Bella, mi faresti l’onore di questo ballo?».

Phil si era avvicinato al nostro tavolo e ora tendeva la mano in direzione di mia moglie. Lei accettò e alzandosi disse con una risatina: «Mamma ha preso il volo, per caso?».

«Be’, sì» rispose Phil indicando alle sue spalle. «Credo che il fascino del lupo sia irresistibile».

Infatti Renée stava tenendo in scacco la pista da ballo con Embry ed insieme facevano invidia a tutte le altre coppie.

«Ah, che donna straordinaria quella!» fece Charlie, quella sera particolarmente loquace. «Attento, Phil, potresti essere spodestato da uno ben più giovane di te!».

Tutti i presenti risero di gusto e Bella si alzò, afferrando la mano del patrigno. In breve erano spariti tra la folla e la musica alta. Feci un sospiro, drizzandomi sulla sedia e tornando a fissare i piedi dei ballerini che si muovevano come trottole sulla pista lucida. Intanto Billy e Charlie avevano recuperato da non so dove un bottiglione di champagne e se lo stavano scolando a rotta di collo, ridendo come matti e dandosi a vicenda forti pacche sulla schiena. Io, dal canto mio, preferivo di gran lunga il mio angolo. Ma tutti, come loro, sembrava si stessero divertendo un mondo. C’era che rideva e beveva, chi ballava, cantava, chiacchierava, scherzava e si congratulava con gli sposi. Il sole era ormai scomparso oltre le alte fronde frastagliate degli alberi, lasciando dietro di sé soltanto un alone rosa sull’orizzonte, che colorava con l’ultima luce rimasta i ghiacciai che ricoprivano le cime innevate poco lontano. Di norma a quell’ora, quando le tenebre iniziavano a calare e le prime stelle spuntavano come gemme, quel quasi sperduto angolo d’Alaska non conosceva altro che il silenzio. Ma per quella sera la terra e gli animali avrebbero dovuto fare un’eccezione e stare ad osservare meravigliati tutte quelle luci e il cicaleccio caotico. E magari tra tutta quella strana gente elegante avrebbero notato una ragazza vestita di bianco. Sembrava proprio una principessa delle favole, con quel lungo strascico di seta color avorio, il corpetto stretto attorno alla vita sottile decorato di diamanti e la piccola tiara d’argento che prima teneva fermo il lungo velo bianco, ma che ora, senza quello, assomigliava a una piccola stella luminosa incastonata tra quei ricci color bronzo, intrecciati in un’acconciatura ricercata. Era veramente bellissima, con quegli occhi castani  e vellutati che diventavano sempre più luminosi insieme al sorriso che si allargava sempre di più a ogni giro sulla pista da ballo tra le braccia del suo principe. Lui di sicuro era il più consapevole della fortuna che gli stava passando per le mani. I suoi occhi non si staccavano un secondo dai suoi, i suoi passi erano perfettamente accordati con quelli di lei e probabilmente anche i loro respiri e i loro cuori andavano all’unisono, al ritmo della dolce canzone che stavano ballando. Lui in abito da sera scuro forse poteva sembrare un po’ goffo e fuori luogo e decisamente non era all’altezza della bella principessa. Ma pareva portarla in palmo di mano, mentre lei di divertiva a schernirlo per poi lanciargli un fuggevole bacio a fior di labbra.

Potevo sentire nitidamente i brividi che mi correvano lungo la schiena nel pensare che quella principessa era Renesmee, la mia bambina. Tutti quegli anni erano passati così velocemente che mi sembrava ieri quando, come quella sera, tutti i nostri amici e familiari si erano riuniti per festeggiare il suo compleanno. E pure quella volta avevano qualcosa da festeggiare in suo onore. Mi risultava tuttora difficile credere che quel tenero cucciolo che scorrazzava per casa mia con urla e gridolini, magari muovendo i primi passi o più probabilmente scappando a rifugiarsi dopo una bravata delle sue, con sotto braccio il suo peluche preferito e quel visetto rotondo e morbido come una pesca fosse diventato il cigno che avevo davanti. I suoi compleanni mi erano sempre sembrati troppo ravvicinati, la sua altezza in crescita inarrestabile e i suoi lineamenti che mutavano troppo velocemente e troppo radicalmente. E così, senza che neanche me ne accorgessi, accanto a me non vedevo più sedere la bambina dagli occhioni di cerbiatto che mi aveva sempre fatto dannare, bensì una donna sempre più simile a sua madre e sempre più indipendente dalla mia ala protettiva. Spesso mi ero lamentato di quella paternità, avevo spesso sottolineato il mio disappunto per i nervi sovraccarichi e la mente spossata e altrettanto spesso avevo desiderato che tutto ciò fosse lontano da me e mi fosse restituita la tranquillità di prima. Però, subito dopo che formulavo un pensiero del genere mi ricredevo, dandomi dello stupido anche solo per aver pensato una bestemmia tale. Anche se mi faceva dannare e metteva a dura prova la mia pazienza, avevo scoperto che, come con Bella, non potevo in alcun modo fare a meno di Nessie. Quando non c’era la cercavo, quando non mi rivolgeva la parola per un qualche litigio mi logoravo giorno e notte nel senso di colpa, quando pretendeva di essere più autonoma e di conquistare nuovi spazi ero sempre il più restio a lasciarla andare. Dovevo sempre sapere che stava bene ed era felice e, nel caso non lo fosse stata, non potevo fare a meno di sentire la sua preoccupazione o la sua tristezza come mia. Era una mia piccola copia e dovevo averne cura come me stesso. Ma, ora, ecco il momento fatale della separazione. Anche se mi sarebbe comunque rimasta vicina, sentivo che non sarebbe stata la stessa cosa di prima. Ora aveva Jacob, una casa nuova e probabilmente presto anche una famiglia nuova. Io appartenevo ormai a un infanzia trascorsa come un assolato pomeriggio di primavera prima che arrivasse l’estate della sua vita. Tutto ciò mi faceva nascere nel cuore un terrore e un dolore atroci: come avrei fatto a riprendere le fila della mia vita quando uno dei fulcri di essa se n’era andato per la sua strada? Come potevo permettere che il mio gioiello appartenesse a qualcun altro e che qualcun altro potesse godere del suo chiarore? Non potevo non vedere in Jacob il ladro di una parte del mio cuore.

Ma, come mi aveva ripetuto Bella più di una volta tentando di tranquillizzarmi, Nessie era felice così e io non volevo certo che non lo fosse, vero? Certo che no, rispondevo io, ma non potevo sopportare che d’ora in avanti la mia vita non fosse la sua in ogni singolo giorno, ora, minuto. Ma ciò era impossibile, me ne rendevo conto, anche perché Nessie non poteva rimanere una bambina per sempre. Così avevo accettato anche se a malincuore che la mia bambina iniziasse a camminare con le sue gambe sul sentiero della vita, lasciando la mia mano per prenderne un’altra. Avevo cercato di farmi partecipe della sua felicità, ma il mio cuore di padre mi aveva sempre frenato e ogni volta che m’immaginavo Nessie in abito bianco accanto a Jacob uno spasimo lo colpiva, facendolo singhiozzare. Mi ero trascinato per settimane in quello stato, senza lasciare che altri al di fuori di mia moglie se n’accorgessero, per non rovinare l’euforia generale. E alla fine il fatidico giorno era arrivato: vedere loro due all’altare a pronunciare il “sì” definitivo mi aveva fatto più male di quanto non immaginassi. Alla fine della cerimonia i singhiozzi mi salivano alle labbra non per la commozione come a tutti gli altri, ma perché sapevo che Nessie aveva varcato definitivamente la soglia di casa mia e degli anni in cui avevo potuto stringerla chiamandola teneramente “bambina mia”. Avevo paura che senza di me, anzi di noi, non sarebbe stata felice, che non si sarebbe sentita a suo agio e a casa, avevo paura dei pericoli, delle difficoltà e delle preoccupazioni con cui avrebbe potuto venire a contatto. Io, da parte mia, ne avevo viste fin troppe e non desideravo la stessa vita per mia figlia. Ma poi mi dicevo che, invece, sarebbe stata bene con Jacob, che l’adorava e sapeva essere un tipo affidabile; così ero sempre fermo allo stesso punto e non riuscivo a sorridere a quel lieto evento. Dopotutto mi ci era voluto così tanto tempo per imparare a fare il padre che non volevo che il mio incarico finisse proprio adesso.

Mi passai una mano tra i capelli, non riuscendo a staccare gli occhi da Nessie, e intanto pensavo al da farsi. L’avrei vista andar via insieme a suo marito (come strideva anche quella parola!) e basta, non l’avrei ostacolata in niente, ma anzi l’avrei sempre aiutata non appena mi avesse dato sentore che avesse bisogno di una mano, mentre io avrei fasciato il mio cuore dolorante e avrei tirato avanti in qualche modo. Non mi sarei sentito comunque a posto, ma quello che contava era la serenità di Nessie. Mentre i miei pensieri erano lontani chilometri dai festeggiamenti, qualcun altro, invece, non vedeva perché non dovessi divertirmi come tutti gli altri. Sorprendendomi alle spalle con un assordante “bu!”, per poco Alice non mi fece cadere dalla sedia.

«Ma dico, tu non hai nessuna cognizione!» brontolai parecchio stizzito e cercando di riprendermi dallo spavento.

Alice, invece, rise di gusto davanti alla mia reazione e aspettò che mi ridessi un tono prima di continuare a parlare. «Hai intenzione di venire a ballare con me o di rimanere lì tutta la sera con il muso lungo?».

«Mmm… non saprei… si sono appena portati via lo champagne».

Infatti Billy e Charlie erano scomparsi nel nulla, ma ero più che certo erano appartati da qualche parte con il loro caro bottiglione (e magari qualche altra scorta) a discutere di pesca e dell’ultimo campionato di baseball.

«Quindi non potresti proprio rifiutare un ballo a una graziosa ragazza senza cavaliere…».

Alice mi riservò un’occhiata imperativa e piuttosto eloquente, la stessa di quando chiedeva a qualcuno di accompagnarla a fare shopping, per poi sistemarsi con nonchalance la rosa di seta che aveva appuntata al petto sull’attillato vestito bordeaux, sicuramente frutto di una delle sue ultime cacce all’occasione.

«Non saprei» risposi con tono vago. «Sai, ultimamente pare che le donne abbiano acquistato una certa indipendenza e che possano perfino fare a meno del braccio di un cavaliere. E io non vorrei di certo svilire l’orgoglio femminista per questa nuova conquista guidandoti forzatamente laddove riusciresti benissimo da sola».

Lei sollevò un sopracciglio, perplessa dalla mia risposta fin troppo articolata, e disse: «Tradotto?».

«Be’, leggendo tra le righe direi… No».

Alice sbuffò e si lasciò cadere su una sedia di fianco a me, continuando a scuotere la testa nella mia direzione. «Edward, devi piantarla con questa storia. Non puoi farci niente ed è giusto che sia così, quindi credo sia ora che ti metta il cuore in pace. Bella ha ragione, sei testardo come un mulo. E poi continueresti a giocare con le bambole con lei anche quando avrà duecento anni?».

Io risi sommessamente e, facendo finta di prenderla in considerazione come una buona idea, risposi: «E perché no? Potremmo passare per compagni di stanza…».

La seconda occhiata di Alice fu perfino più eloquente della prima. «E magari ti spacceresti ancora per il suo fidanzato nel caso ci fosse qualche individuo appiccicoso e maniaco che le girasse attorno, eh?».

Io scrollai le spalle e risi ancora all’allusione di un divertente episodio di qualche anno prima, quando mia figlia frequentava il liceo. Un certo Josh Martin, uno del genere morto di… ehm, sfigato totale che crede di essere un gran fusto con le ragazze e non può fare a meno di provarci sempre con una vittima fresca, be’, non la smetteva di staccare i suoi occhi bavosi e sconci dal fondoschiena di mia figlia. Così per rimediare a quell’inconveniente, forte del mio aspetto fisico di adolescente, mi ero presentato come suo fidanzato e, adocchiando subito l’aura strana e non certo amichevole che mi accompagnava, il bel Josh aveva ritenuto opportuno fare subito marcia indietro.

«Edward, sul serio» continuò lei ora più seria. «Tu hai una vita, non ridurti a uno straccio per qualcosa che non puoi cambiare. Lasciala andare per la sua strada…».

«Lei è la mia vita, Alice» risposi con qualcosa nella voce che assomigliava a un ringhio.

«Così le stai facendo più male di quanto credi».

«La voglio soltanto proteggere».

«Oh, tu e le tue manie di protezione! Non ne abbiamo avuto abbastanza con Bella e adesso ti metti pure a fare il padre iper-protettivo?!? Nessie non po’ vivere per sempre sotto una campana di vetro. È… grande ormai».

«Lo so». Mi passai una mano sul volto per non dare a vedere che gli occhi mi ero diventati lucidi.

«Hai paura che non ti voglia più bene» constatò alla fine Alice con tono deciso.

«Come? Io…».

«Dai, piantala, non sono nata ieri. Ho già capito tutto».

«È solo che…». Sospirai non trovando le parole adatte. «All’inizio non volevo perché… sai, tutta quella faccenda sull’essere un buon padre… Ma adesso che ho capito che è la cosa più bella del mondo non voglio che finisca».

Alice tacque per qualche secondo, contemplando la mia espressione abbattuta, ma probabilmente leggendo molte altre cose oltre quella. Era proprio per questo che adoravo Alice: lei riusciva a leggere e capire i tormenti della mia anima senza che dovessi spiccicare parola. «Ma, Edward, credi che con il fatto che tua figlia è cresciuta allora tu smetterai di fare il padre? Credi che perché lei adesso ha orizzonti e prospettive più ampie non ti vorrà più bene come prima? Che non verrà più a piangere da te, a chiederti un qualunque consiglio o semplicemente un abbraccio e un bacio?».

Socchiusi le labbra per dare una risposta probabilmente vaga e traballante, una frase fatta che mi avrebbe permesso di difendere seppur debolmente il mio diritto di essere giù di corda, ma fui bruscamente interrotto. Senza che quasi me ne fossi accorto la coppietta di sposini si era avvicinata al tavolo che occupavamo io e Alice, ridendo e scherzando.

«Papà, perché noi vieni a ballare?» domandò Nessie ancora tutta raggiante.

«È quello che mi stavo chiedendo…» rincarò Alice con un’espressione vittoriosa nel vedermi alle strette.

Io temporeggiai un attimo. «Oh, no, Nessie, sto benone qui. Fidati».

«Ma dai!» continuò lei. Si aggrappò al braccio di Jacob, che le strinse forte la mano (altra fitta dolorosa per il mio cuore), mentre mi rivolgeva un’espressione corrucciata molto simile ai bronci che metteva su da piccola quando voleva fare i capricci. «Non vorrai mica fare il vampiro polveroso! Balla con me».

«Sì, Edward, vai a ballare con Nessie» le fece di nuovo eco Alice, sempre più sorniona.

«Ho già detto di no, grazie. E poi non sono un granché come ballerino…».

«Be’» intervenne Jacob. «Al tuo matrimonio non mi sembrava proprio e almeno che tu non ti sia arrugginito…».

Gli scoccai immediatamente uno sguardo di fuoco che se fosse stato solido lo avrebbe incenerito: sempre il solito cane!

«Ha perfettamente ragione!» disse Alice, che probabilmente aveva deciso di allearsi contro di me. «Ah, tra parentesi servirebbe anche a me un cavaliere… visto che questo poltrone non si smuove».

«Al suo servizio, madame» disse Jacob, porgendole il braccio e accennando un mezzo inchino che fece sorridere Alice e Nessie, ma che lo rese ancora più idiota ai miei occhi.

«Oh, questo sì che è parlare da uomo!». E senza aggiungere altro Alice si diresse verso la pista a sottobraccio del licantropo. Nel vederla allontanarsi, fui quasi certo che mi avesse fatto la linguaccia.

«Andiamo anche noi?» mi domandò poi Nessie, ora con tono decisamente più timido, mentre io mi ero perso a guardare quei due iniziare a ballare.

Sapevo che se mi fossi voltato a guardarla in faccia, avrei trovato un paio di occhi supplicanti che non mi avrebbero lasciato scampo, proprio quando da piccola mi pregava di comprarle quella bambola nuova che le piaceva così tanto. Così desistetti e, prendendola delicatamente per mano e facendo attenzione a non pestarle lo strascico del vestito, la condussi in mezzo alla folla. Appena i miei occhi si scontrarono con il bagliore quasi accecante di quella miriade di lucine, il complesso sul palco attaccò con una nuova canzone, questa volta un po’ più movimentata della prima, anche se pur sempre molto dolce sul sottofondo. Cinsi il fianco di Nessie, mentre lei si aggrappava alla mia spalla e, come quando ci divertivamo a ballare in salotto quando nessuno era nei paraggi, lei con i piedi appoggiati sui miei, iniziammo a volteggiare sulla pista. Io facevo di tutto pur di non guardarla dritta negli occhi, fissando prima le mie scarpe lucide e poi gli altri ballerini attorno a noi. Alice e Jacob erano poco distanti e sembravano divertirsi parecchio, mentre accanto a loro Esme e Seth avevano preferito un ritmo decisamente più lento.

«Non trovi che il vestito di Esme sia stupendo?» mi domandò Nessie notando che la stavo guardando.

Annuii in silenzio, contemplando il riflesso aranciato delle luci sul vestito color grigio perla con una gonna a palloncino di Esme, sobrio ma elegante, proprio nello stile di mia madre. Molto diverso da quello di Rosalie, mi dissi, che faceva coppia con Garret e il suo abito verde smeraldo con una stola decorata con lustrini dava sicuramente nell’occhio. Man mano che volteggiavamo tranquilli sulla pista io riconoscevo molti volti attorno a me tra tutti gli invitati alla festa. C’era Emmett impegnato a farsi notare con Zafrina, una dei vampiri del clan dell’Amazzonia, che quella sera forse sembrava avere un aspetto meno selvaggio del solito, mentre roteava tra le braccia del mio orso preferito. Poi c’erano Carlisle e Siobhan, del clan irlandese, Jasper e Charlotte, compagna del suo vecchio amico e vampiro nomade Peter. Erano stati ovviamente invitati tutti i licantropi e altri Quileute più o meno giovani, il clan di Denali che giocava in casa, altri vampiri amici dei Cullen provenienti dalle più svariate parti del mondo. Tra gli umani ovviamente non poteva mancare Saba, la migliore amica d’infanzia di Nessie, che l’aveva seguita passo passo per tutte le tappe di preparazione del matrimonio. C’erano tutti ed erano tutti felici. O quasi tutti.

«Come mai quella faccia?» mi sussurrò Nessie.

«Niente. I solito crucci di un padre. Ma oggi è il tuo giorno e devi divertirti, ok?».

Lei abbasso un attimo lo sguardo sui suoi piedi e seppi per certo che non sarebbe finita lì. «Posso essere felice solo se anche tu lo sei».

«Ma lo sono» mentii spudoratamente. «Stiamo ballando, no?».

A quel punto potei vedere nitidamente che i suoi occhi si erano fatti lucidi e i bagliori delle luci vi si riflettevano come torce. Mi morsi forte le labbra, dandomi dello stupido per averla fatta piangere il giorno del suo matrimonio. Alla fine, però, alzò lo sguardo per fissarlo nel mio e rimasi di sasso nel vedere una lacrima che le indugiava sulle ciglia.

«Dimmi la verità» disse con un tono che mi fece ghiacciare. «Perché te ne sei stato tutto il tempo in un angolo in silenzio? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Dimmelo, ti prego».

Sospirai, arrendendomi ormai ad ammettere l’evidenza delle cose. «No, tu non hai fatto assolutamente niente. Il problema sono io».

«In che senso?».

«Il problema sono io che ti voglio troppo bene e… non voglio che tu te ne vada».

Nessie rimase un attimo stupita e a bocca aperta, mentre il cantante ribadiva nel microfono il ritornello della canzone con viva convinzione.

 

Lonely finds me

One day you will come

But I’ll wait for love’s sake

One day to me, love

 

I will stay forever here until one day comes

Praying time will bring you near, I’ll wait for your love

 

«Sul serio credi che potrei mai lasciarti?».

«L’ho creduto, sì». Mi vergognavo quasi di quell’affermazione; era qualcosa di inaudito ed esecrabile anche solo da pensare. «Dopotutto adesso hai Jacob...».

«Ma Jacob non è mio padre, lo sai bene» ribadì lei con tono fermo e deciso. «Io voglio solo te come papà imbranato».

«Sì, ma adesso sei cresciuta e di certo non ti servirà più nessuno che ti racconti le favole… o indossi buffi vestiti». Risi sommessamente accompagnato dalla risata limpida di Renesmee.

«Stai dicendo un cumulo di idiozie, te ne rendi conto?».

«Ah, sì? Allora si vede che mi preoccupo per niente…».

«Come hai sempre fatto».

Strinsi più forte la sua mano e, rallentando così tanto il ritmo da sembrare quasi che fossi fermi, l’abbracciai con tutte le forze che avevo, mentre lei appoggiava delicatamente la sua testa sul mio petto e io mi dicevo che non l’avrei mai lasciata andare, mai.

«Ma rimane pur sempre il fatto che stasera, una volta che tutti se ne saranno andati e la festa sarà finita, tu te ne andrai con Jacob…».

«Ma, papà, non me ne vado mica dall’altra parte del mondo! Rimarrò sempre qui, in questa maledetta Forks, con te, la mamma e tutti gli altri…».

«…e Jacob» aggiunsi con una nota amara.

Uno sbuffo che doveva forse assomigliare una risata da parte di Nessie mi fece vibrare il petto. «Sei geloso, per caso?».

«Non sai quanto» ammisi con un sorriso. «Se penso che quel randagio ha messo le mani sui miei due tesori più preziosi… Credo si possa ritenere fortunato ad avere gli anni che ha».

Lei mi diede una piccolo schiaffo sulla spalla per mettermi a tacere e proseguì: «Quante volte dovrò ripeterti che tu rimarrai sempre al primo posto?».

«Probabilmente all’infinito. Vorrei che tu fossi ancora piccola, Nessie».

Appoggiai il mento sulla sua testa, inspirando il profumo dolce come il miele dei suoi capelli e compiendo un altro mezzo giro sulla pista, mentre desideravo che quell’abbraccio non finisse mai.

 

If I could change the currents of our lives

To make the river flow where it’s run dry

To be a prodigal of father time

Then I would see you tonight

 

«Anch’io». La risposta di mia figlia mi lasciò un attimo spiazzato e per un attimo dubitai perfino di aver sentito bene o che fosse stata lei a pronunciare quelle parole, finché non le ripeté con un tono di voce più alto e coinciso. «Anch’io».

«Vorrei che mi facessi ancora qualche scherzetto dei tuoi. Vorrei che fossi ancora la mia piccola bambina».

A quel punto Nessie alzò la testa dal mio petto, si raddrizzò e mi guardò dritto negli occhi, intanto che io mi scioglievo nella contemplazione di quelle profonde iridi color cioccolato, così simili a quelle di Bella.

«Anch’io lo vorrei. Come hai detto tu essere grandi è una gran seccatura. Però credo che per la “piccola bambina” si possa fare un’eccezione».

La guardai perplesso, ripetendomi mentalmente le sue parole per cercare di decifrarle, mentre una debole speranza nasceva nel mio cuore, anche se non sapevo bene per cosa avrei dovuto sperare. «In che senso?».

«Nel senso che io sarò sempre la tua piccola bambina» rispose Nessie e suoi occhi parevano sempre più dolci. «Anche quando avrò trecento anni voglio che tu sia al mio fianco a dirmi quanto e quando devo mangiare, quando devo andare a dormire, a sgridarmi perché sono in ritardo e a consolarmi perché qualcuno mi ha dato della bisbetica viziata, a farmi tanti regali e a sorvegliarmi perché non li apra prima del tempo. Voglio che tu sia sempre il mio papà, indipendentemente dall’età. Anche perché non ho voglia di crescere, non ora almeno».

A quel punto non potei più trattenermi e, con in uno slancio d’affetto, scoccai un caloroso bacio sulla guancia a mia figlia, per poi stringerla ancora più forte di prima, tanto che per un attimo temetti di farle male. Ed ecco che anche per quella volta il mio cuore era stato rassicurato e come sempre i miei dubbi amletici si erano dimostrati soltanto un insensato castello di carte. Oh, ero sempre il solito Edward ansioso!

«Mi prometti che ci sarai sempre? Perché io ci sarò» mormorò alla fine Nessie accanto al mio orecchio.

«E me lo chiedi?!?» esclamai per poi lasciarmi andare alla prima vera risata di quella sera.

Ero felice, felice, felice, felice come ben poche volte lo ero veramente stato in vita mia e ora finalmente anche per me quel giorno sarebbe stato indimenticabile e bellissimo. Sì, perché ora sapevo per certo che non l’avrei affatto persa, l’avrei solo ritrovata in una maniera diversa. E non importava che ci fosse un licantropo di mezzo, Nessie sarebbe sempre stata la mia bimba mezza umana e mezza vampira e me la sarei coccolata in eterno alla facciaccia di tutti. Finalmente sentii quella famosa adrenalina che aveva già preso tutti gli altri invitati e trascinai mia figlia in mezzo alla pista da ballo, impossessandomi del ritmo della musica e trasmettendolo ai miei piedi, trascinandomi dietro una Nessie che tra un po’ soffocava dalle risate. Ma non m’importava se potevo apparire forse ridicolo, fatto sta che il fuoco che mi ardeva dentro non poteva assolutamente essere fermato. Alla fine, dopo il terzo giro ci fermammo per un attimo di tregua. Nessie continuava a ridere come per un attacco isterico e la sua risata cristallina faceva tintinnare le lucine sopra le nostre teste.

«Be’? Cosa c’è da ridere così tanto?» domandai infine.

Lei scosse la testa e si mise una mano sulla bocca, nel vano tentativo di arginare un attimo quel flusso ininterrotto di risa, mentre io stavo lì impalato a guardarla perplesso, ripensando a se magari avessi detto o fatto qualcosa di stupido.

«Hai…» riuscì finalmente ad ansimare lei, per poi essere di nuovo interrotta.

«Ho cosa?».

Nessie si frenò per un attimo e alzò su di me uno dei suoi sguardi più divertiti, con un sorriso che le andava da orecchio a orecchio e le illuminava il viso come solo una luce divina avrebbe potuto fare, facendola assomigliare a un piccolo angelo in bianco. E per l’ennesima volta mi ripetei che era bellissima.

«Hai un buco nei pantaloni».

Capitolo straordinariamente lungo, come regalo visto che è anche l'ultimissimo di questa ff. Tanto per la cronaca la canzone che ballano Edward e Nessie è "One day" dei Trading Yesterday e la vicenda si svolge un po' di anni dopo il resto della ff. Per il resto non credo ci sia niente da dire su questo ultimo chap, anche perchè credo che parli da sé (e, ripeto, Edward non ce l'ha con Jacob, è solo geloso come la maggioranza dei padri). Questa ff è stata una dura sfida e devo confessare che pure io insieme ai miei personaggi credo di essere cresciuta un po' scrivendola. Di sicuro quando ho inziato a scriverla non pensavo di arrivare a questo punto ed altrettanto certamente è stata pane per i denti della mia attività di scrittura, che non ha potuto che affinarsi con questa nuova esperienza. E questo è stato confermato dal centinaio di preferiti, tutte le favolose recensioni e l'assiduità dei miei lettori, che non finirò di ringraziare mai abbastanza. Ringrazio francef80, Flockkitten, _zafry_ (davvero hai pianto dal ridere?) per le loro immancabili recensioni. Per finire spero che tutti i lettori che mi hanno resa orgogliosa di questa storia e hanno contribuito a farla crescere continuino a seguirmi anche nelle altre mie ff future.

Quindi dedico un enorme GRAZIE  a tutti coloro che hanno avuto l'ardire di leggere, perchè per chi scrive non c'è riconoscimento migliore di avere tanti lettori appassionati.

PS: dovete recensire anche questo chap, intesi?

  
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