Dragon Ball
*
Capitolo
9
*
Bulma si alzò
cinguettante e sognante quella mattina.
Si
stiracchiò davanti alla finestra della sua camera dopo aver avviato la
tapparella automatica.
Fuori
c’era un bellissimo sole che non ci mise molto a filtrare dalla vetrata per
andare a colpire il viso di Yamcha che dormiva ancora
beatamente abbracciato al cuscino a torso nudo.
“Uhm…”
Mugugnò portandosi il guanciale sopra la faccia per schermare la luce.
“Buongiorno,
dormiglione!” Bulma lo salutò con un bacio sulla fronte
dopo avergli tolto quell’ostacolo, e nel farlo, la sua scollatura vertiginosa
finì sul viso del suo ragazzo, il quale non perse tempo ed affondò la testa al
suo interno.
Peccato
che l’azzurra non gradì affatto il gesto e non ci mise molto a tirargli un
sonoro ceffone svegliandolo ulteriormente.
“Sei
un porco!” Incalzò alquanto seccata.
“Scusami,
pensavo ti piacessero le mie attenzioni mattutine.” Yamcha
si massaggiò la guancia lesa, perché nonostante la sua ragazza non seguisse
nessun tipo di allenamento, Bulma gli aveva fatto
parecchio male.
“Non
abbiamo tempo, non ti ricordi che oggi ci viene a trovare Crilin?”
“Oh!
Si, è vero!”
“Vestiti!”
Gli tirò un paio di pantaloni blu e una maglietta bianca. “Tra poco sarà qui!”
Disse prima di chiudersi in bagno.
Sarebbe
uscita di lì dopo un’ora pulita, profumata e vestita, a lui non restò altro che
usare quello di servizio infondo al corridoio.
*
“Oh!
Yamcha, buongiorno. Dormito bene stanotte? Hai fame?
Vuoi fare colazione? E per pranzo cosa ti preparo?” La mamma di Bulma gli stava decisamente facendo troppo domande, ma per
cortesia, si limitò solo a sorridere ed annuire di circostanza.
“Un
caffè va benissimo!” Si sedette prendendo la tazza vuota.
“Una
brioche? Dei biscotti? Dei pasticcini? Sai sono stata in una nuova panetteria e
c’erano tantissime cose golose, così non sapendo che cosa scegliere, le ho
prese tutte, ho fatto bene secondo te?” Cinguettò la bionda sfarfallando le
lunghe ciglia mentre gli versava il caffè.
“Solo
il caffè, grazie signora.”
La
madre di Bulma si sistemò la cotonatura della frangia
“Mi fai preoccupare. Sei sicuro di stare bene? Con i muscoli che ti ritrovi
devi mangiare pur qualcosa.”
Yamcha voleva solo bere
il caffè e sparire, la presenza di quella donna lo stava infastidendo, solo
perché si era svegliato con la luna storta, non era detto che se la sarebbe
dovuto prendere con tutti quella mattina.
Sorseggiò
il caffè rumorosamente perché decisamente bollente, e chiamarlo così era anche
un eufemismo, il termine corretto era incandescente.
“E’
troppo caldo, caro?” Chiese la svampita con aria sognante sfarfallando le
lunghe ciglia, e Yamcha si chiese più volte a cosa
quella donna stesse pensando.
“No,
no. Va benissimo.” Sorrise nascondendo la lingua ustionata che pulsava
dolorosamente, però lui era un guerriero forte e valoroso, non si sarebbe mai
messo a piangere per una cosa così frivola. O sì?
Sta
di fatto che quando ebbe finito di bere la tazza di caffè, Yamcha
si precipitò in bagno a lenire la sofferenza e il rossore di lingua a gola.
E
non scartò l’ipotesi che sia stata la stessa Bulma ad
incitare la madre a quel dispetto.
Ultimamente
le cose tra loro non andavano molto bene, complice il fatto che il terrestre si
stava dedicando al suo hobby preferito, ovvero il baseball.
Ogni
sabato sera seguiva assiduamente il campionato in tv, disertando le uscite con
la fidanzata nell’unica serata che aveva libera, perché Bulma
si rintanava spesso fino a notte fonda nei laboratori sotterranei della casa a
lavorare su progetti definiti da lui impossibili.
E
questa sua superficialità faceva spesso girare le scatole alla povera ragazza,
che si sentiva sempre più sola.
In
più, per sbaglio, Yamcha era stato anche reclutato
dalla sua squadra preferita a giocare con loro.
Maledetta
quella volta che insieme decisero di assistere alla partita personalmente, Yamcha grazie alla sua prontezza di riflessi era riuscito a
prendere una pallina che sicuramente sarebbe finita sulla testa del giocatore,
salvandogli così la vita.
L’episodio
aveva attirato l’attenzione dell’allenatore che non si era fatto scappare
l’occasione di avere un elemento di quel tipo nella squadra, gli propose un
contratto dopo averlo messo alla prova durante una sessione di allenamento.
Non
c’era mai, e le trasferte a cui era costretto a partecipare stavano diventando
pesanti.
Come
potevano pretendere di pensare al loro futuro in questo modo? Come poteva Yamcha crescere un ipotetico erede se era sempre fuori
casa?
Bulma si tolse subito
quei pensieri egoistici dalla testa, del resto, ripensando al suo amico Goku, Yamcha non stava facendo nulla di male, e alla fine la
scienziata pensò che se il baseball rendeva felice il suo ragazzo, allora lei
avrebbe sopportato la lontananza laddove ci fosse stata.
In
fondo, che sarà mai una settimana al mese?
Nulla.
Era chiaro che ci fosse dell’altro sotto.
Un
giorno Bulma mentre riordinava qua e là in giro per
casa, trovò sotto il letto della camera di Vegeta un suo indumento.
Una
maglietta di cotone blu per la precisione.
La
osservò per qualche minuto in maniera malinconica, perché nonostante quel rozzo
di un saiyan mancava da casa un paio di mesi, la sua
assenza la percepiva forte e chiara.
E
non capiva perché.
Si era
abituata ad averlo in giro per casa e non vederlo passeggiare tra i corridoi,
sfuggente come la notte, le trasmetteva un senso di inquietudine.
Chissà
dove sarà e se ha trovato quello che cercava.
Suo
padre qualche giorno prima le aveva detto che presto sarebbe tornato perché
stando ai suoi calcoli, la navicella doveva essere a secco tra un po', a meno
che non si fosse schiantata da qualche parte nell’universo e loro avrebbero
perso per sempre quel gioiellino di tecnologia.
Bulma non ricordava
nemmeno com’era cominciato il discorso.
*
Yamcha uscì dal bagno
nel momento esatto in cui Crilin suonò alla porta
della Capsule Corporation.
La
mamma di Bulma aprì ed accolse il suo piccolo ospite
abbracciandolo e baciandogli le guance.
“Oh!
Caro Crilin, ciao! Da quanto tempo… vieni, Yamcha e Bulma ti stanno
aspettando su in terrazza. Vuoi qualcosa da bere? Da mangiare? Mi sembri
deperito da quando vivi con Genio.”
Crilin deglutì
imbarazzato, ricordava bene che la mamma della sua migliore amica tendeva a
fare un po' troppe domande, lui infondo è abituato al vecchio genio che non
parla quasi mai, ma si limita solo a sogghignare mentre gira le pagine delle
sue riviste osé preferite.
Vecchio
porco, non cambierà mai.
“E
come sta Genio? Me lo saluti quando torni a casa?” Continuò lei mentre
accompagnava il suo ospite tra i corridoi.
“Sta
bene, grazie. E’ sempre il solito.” Crilin si passò una mano sulla pelata.
“Bene,
mi fa piacere.” La madre di Bulma indicò
frettolosamente il luogo dove avrebbe trovato i suoi amici ad aspettarlo perché
le sembrò di sentire il forno trillare.
“Vada
pure, signora. Conosco la strada.” La congedò volgendole un tenero sorriso.
“Grazie,
Crilin. Sei sempre molto gentile.”
Crilin varcò la soglia e
raggiunse i suoi amici al centro, dove era stato allestito un tavolino al
riparo dal sole con un enorme ombrellone bianco panna.
Sul
ripiano c’erano leccornie di ogni tipo, e visto che l’ora di pranzo si stava
avvicinando, Bulma aveva ben pensato di imbandire il
tutto per un brunch.
Il
pelato salutò calorosamente e venne subito ricambiato in tono gentile dai due
amici.
Poi
fu il turno di Pual di abbracciare l’amico di vecchia
data.
“Ciao,
piccolo. Come stai?” Chiese.
“Non
c’è male… lo sai che la squadra di baseball di Yamcha
sta vincendo il campionato grazie a lui?”
Yamcha divenne paonazzo
per l’imbarazzo “Diciamo che mi tengono più come un jolly, ovvero quando il
gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare.” Si pavoneggiò il moro
suscitando una risata nell’amico e un sorriso appena tirato sul volto di Bulma, la quale non gradiva quando il fidanzato faceva il
buffone, oppure si intratteneva con oche giulive anche solo per firmare
autografi e si prestava a foto di rito.
Crilin sorseggiò il suo
drink “Bene, mi fa piacere. E sono davvero contento per te amico mio.”
“Peccato
però che questo lavoro mi tenga spesso lontano dalla mia ragazza!” Yamcha poggiò una mano su quella di Bulma
guardandola fissa negli occhi.
Bulma per la prima
volta non provò nulla e questa strana sensazione la logorò dentro per l’intero
pomeriggio.
Guardava
Crilin e Yamcha interagire
come una volta, e nonostante lei fosse proprio accanto a loro, era come se
fosse in disparte, li sentiva parlare del più e del meno, ma il loro ciarlare
lo percepiva ovattato e lontano.
Bulma fissava un punto
impreciso della terrazza, entrando successivamente in uno stato di trans quando
le sue orecchie udirono per un lungo periodo un fischio che le martellò nella testa.
Poi
un fischio seguito da un boato e un muro di polvere alzato.
*
Una
spia rossa sulla consolle di comando lampeggiò imperterrita fino a quando
Vegeta non decise di romperla con un dito per zittirla del tutto.
“HO
CAPITO!” Era la spia del carburante, ormai non gliene restava molto all’interno
dei capienti serbatoi, ma ancora qualche anno luce e presto sarebbe ritornato
all’ovile, ovvero sul pianeta Terra, dov’era sicuro di trovare finalmente Kakaroth.
Il
principe di tutti i saiyan non aveva ancora digerito
il fatto di esserselo fatto sfuggire per un soffio, ed era del tutto
intenzionato a scoprire come avesse fatto.
E
una volta saputo come, lo avrebbe conciato per le feste, quella burla non
poteva di certo rimanere impunita.
Soprattutto
se di mezzo c’era lui.
Controllò
le mappe interstellari e dopo un accurato calcolo, Vegeta arrivò al risultato
che con il carburante rimanente avrebbe raggiunto la Terra senza alcun tipo di
problema, ma non doveva trovare ostacoli e mantenere rotta e velocità
perfettamente costanti.
Una
parola, se si parla di spazio aperto, in quanto l’imprevisto è proprio dietro
l’angolo.
Nemmeno
il tempo di mettersi comodo che intercettò la rotta di un ammasso di asteroidi,
alcuni di piccole dimensioni, altre sembravano dei veri e propri pianeti.
Il
radar lo avvertì dell’imminente pericolo continuando a suonare un allarme
costante e chiassoso, se non avesse azzardato subito una manovra mandando al
massimo i motori, presto avrebbe colliso contro uno di quegli ammassi di roccia
rischiando di danneggiare seriamente la navicella.
Peccato
che quel movimento aveva fatto scendere di molto la lancetta del serbatoio, costringendo
Vegeta a rifare calcoli e ricontrollare le mappe alla ricerca di un qualche
pianeta abitato dove avrebbe potuto allunare in caso di necessità.
Niente.
Il
nulla più assoluto in quella galassia.
L’unico
pianeta più vicino era proprio la Terra.
Sbuffò
e imprecò in lingua saiyan, pregando gli dei di
raggiungere quest’ultima nel minor tempo possibile se non voleva ritrovarsi a
vagare nello spazio aperto trasportato solo dai campi elettromagnetici.
*
Vegeta
se ne stava tranquillo in plancia ad osservare il vuoto più assoluto davanti a
lui, quando un primo motore si era spento improvvisamente, facendo inclinare la
navicella di circa trenta gradi e rallentare.
“Maledizione!”
Controllò meticolosamente la rotta: mancavano un paio d’ore.
Di
questo passo rischiava di non arrivare all’orbita terrestre, gli bastava solo
avvicinarsi per essere risucchiato dall’atmosfera e precipitare sul pianeta, se
proprio le cose si fossero messe davvero male.
Vegeta
pensò di rallentare a sua volta la velocità per non sovraccaricare l’unico motore
rimasto, e questa si rivelò essere una mossa vincente, perché per il tempo che
gli rimaneva era riuscito ad arrivare all’orbita terrestre nell’esatto momento
in cui anche il secondo motore smise di funzionare, facendolo cadere sulla
Terra.
*
Continua
*
Angolo dell’Autrice: Ciao a tutti! Anche questa
settimana sono stata brava, ma non abituatevi ad aggiornamenti regolari, il
blocco o il poco tempo sono sempre dietro l’angolo, ma in ogni caso non
preoccupatevi perché c’è tutta l’intenzione di finire questa mia opera.
Quindi,
mettetevi comodi ed aspettate pazientemente il prossimo capitolo. 😊
Un
abbraccio immenso, Erika
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P.s. per chi ha telegram
e gli piacerebbe fare anche solo due chiacchere, vi lascio il link del canale a
cui sono iscritta, è a tema Miraculous, ma posso
garantirvi che si parla spesso e volentieri di altro.
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