Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: summerlover    20/02/2022    0 recensioni
La storia di due ragazzini e delle vicissitudini che li vedranno crescere e li coinvolgeranno per tutto il corso della loro vita, in una società tanto antica quanto saggia e piena di antico sapere.
Questa è la prima parte della storia, scritta intorno al 2000, e che solo oggi vede la luce in questa pubblicazione. Mi scuso per eventuali errori di battitura, sarà mia premura revisionare la storia una volta conclusa.
Personaggi, trama, ed ambientazioni sono totalmente frutto del mio lavoro. Vietato copiare.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

L’Alba della Stella

 

Ojimahl correva trafelata tra i corridoi e i sotterranei del Tempio Oscuro. Il momento era giunto, e lei era l’unica che potesse assistere Harysya, sia per le sue conoscenze che per la sua anzianità.

Raggiunse in fretta una delle stanze isolate, negli angusti sotterranei che un tempo erano stati la costruzione iniziale del suo Tempio, ma che i cataclismi naturali avevano distrutto e sepolto.

Riprese per un attimo il fiato, e liberò dalla propria gola una breve e bassa nota, al cui comando si aprì la porta di pietra che le permise di entrare nella stanza.

Era una spoglia e umida stanzetta, da un pertugio si poteva ottenere il ricambio dell’aria e controllare il cielo, nel caso in cui qualche stella significativa dovesse spuntare all’orizzonte. In un angolo, quasi a ridosso della parete, era sparsa a casaccio un po’ di paglia pulita, mentre una delle ancelle stava facendo passeggiare Harysya, che a tratti gemeva per le contrazioni.

-Basta così. Ora puoi sederti un po’, - le disse la madre, accertandosi che l’ancella l’accompagnasse verso la sedia.

L’altra ancella, una giovane sorda e muta, stava portando una tinozza di acqua calda e alcuni stracci puliti in morbido cotone. Si avvicinò ad Harysya, asciugandole dolcemente la fronte imperlata, che la ricambiò con un sorriso.

Ojimahl preparò con cura un decotto dall’odore piuttosto acre e forte, assicurandosi che non fosse troppo caldo.

-Coraggio, bevi. Farà bene sia a te che alla bambina. – disse l’anziana sacerdotessa, passando alla giovane donna il bicchiere di decotto.

Harysya rimase perplessa alcuni momenti, poi trangugiò la mistura densa e verdognola, che le bruciò la gola e la fece tossire.

-E che cosa dovrebbe fare? Sempre che mi sia permesso saperlo. – il tono che Harysya usò fu piuttosto tagliente. – Madre, perché non mi hai permesso di andare al Tempio delle Partorienti. Là avrebbero saputo aiutarmi molto meglio di quanto queste due ancelle saprebbero fare.

Ojimahl la guardò. Soppesò con cautela le parole da utilizzare per non spaventare la figlia.

-Ho i miei buoni motivi se non ti ho lasciata andare, ma dopo il parto verrai accompagnata là. Riguardo al decotto, farà in modo di rendere meno doloroso il parto per te che per la bambina: se tu sarai poco consapevole, io potrò lavorare più facilmente. Per gli aiuti… non saranno le due ancelle ad assisterti.

Quella risposta lasciò la ragazza piuttosto insoddisfatta e incollerita: aveva il diritto di sapere chi l’avrebbe assistita durante il parto.

I suoi pensieri, però, cominciavano a non avere più un filo logico tra loro; l’effetto di quel dannato decotto cominciava a farsi sentire. Stranamente, non avvertiva più i dolori delle doglie, anzi, riusciva quasi a respirare molto meglio, ma in compenso, stava perdendo coscienza di se, anche se molto lentamente.

Percepì appena l’ordine di sua madre che intimava le ancelle di lasciare la stanza. Ora erano rimaste sole. Harysya era perplessa…

Ma cosa importava? Ora si trovava in un altro mondo, dove non avvertiva il dolore, non aveva una volontà sua. Eppure, non le importava molto, perché si limitava soltanto ad eseguire quello che le veniva detto. Era come se non fosse più nel suo corpo, ne era a malapena cosciente, e sentiva la voce id Ojimahl così lontana, quasi come un sussurro, simile ad un lieve respiro.

 

Ojimahl stava conducendo Harysya in un’altra, lunga passeggiata nell’angusta stanzetta. La sorreggeva per un braccio, cingendole la vita con l’altro, facendola muovere il più possibile. Guardò preoccupata il cielo notturno, dove due piccole stelle luminose stavano sorgendo lentamente. Erano i Cani, che precedevano sempre la Stella della Signora. La bambina non si sarebbe fatta ancora attendere a lungo.

Una nota lunga e sibillina fece aprire la porta di pietra, che scivolò di lato, lasciando entrare un uomo incappucciato. La figura varcò la soglia, che si richiuse alle sue spalle.

-Ce ne hai messo di tempo. Dove ti eri cacciato? – interloquì Ojimahl, continuando ad accompagnare i passi della figlia.

-Ho dovuto seminare alcuni novizi un po’ troppo insistenti, - si difese Adserth, levandosi il cappuccio. – Continuavano a chiedermi con quale nota potessero aprire le porte dei sotterranei, ma non credo che riusciranno a scoprirla tanto in fretta: li ho spediti nella biblioteca a fare una lunga e operosa ricerca, così recupereranno tutte le lezioni che hanno saltato. Per quanto riguarda quella nota, avranno un bel da fare…

-Sempre se riusciranno a scoprirla, - Ojimahl terminò la frase, sorridendo dolcemente al sacerdote.

Risero entrambi di cuore. Era raro vedere Ojimahl anche solo sorridere: doveva mantenere la sua severità, e se lasciava vedere questo suo lato, allora sarebbe stata la fine per il suo Tempio.

-Muoviamoci, abbiamo una bambina da far nascere questa notte. – fece Ojimahl, sospirando. – Speriamo che la Signora ci assista: il momento si sta avvicinando.

 

Da quando era entrato nella Stanzetta, Adserth aveva notato improvvisamente quanto Ohimahl fosse invecchiata durante quegli ultimi anni. Anzi, non si era mai nemmeno reso conto che la sacerdotessa stava invecchiando.

Vagamente, aveva preso coscienza degli anni che passavano mentre istruiva Joser, nel regno di Medestor, ricordando ancora le istruzioni di Ojimahl.

La prima volta che l’aveva incontrata, ne era rimasto incantato. Sapeva bene che era più vecchia di lui di oltre cinque anni e che non era bella, ma aveva un modo di fare molto particolare, che aveva subito rapito la sua attenzione, la sua stessa severità lo aveva indotto a rimanere. Ma c’era qualcosa di più, molto di più.

Aveva faticato ad ammetterlo anche con se stesso, ma alla fine se ne era dovuto convincere, ed ora lo accettava senza difficoltà. Si chiedeva se lei lo avesse mai compreso, se lo avesse anche solo sospettato.

No, si rimproverò, era impossibile.

Ojimahl stava lì, di fronte a lui, una volta i capelli grigi erano di uno splendido nero, il volto era si segnato da qualche ruga, ma la vecchiaia le aveva portato altro fascino.

Era invecchiato anche lui, e lo sapeva bene, aveva generato diversi figli in quel Tempio, ma a nessuna delle madri era stato veramente legato.

 

Harysya continuava a camminare, vagamente consapevole di una voce maschile presente nella stanza: che fosse quello l’aiuto che sua madre aveva in mente per lei?

Inorridì, ed un brivido di disgusto le percorse la schiena. Nessuna donna doveva farsi aiutare da un uomo, nemmeno in un caso disperato: era inconcepibile che un uomo potesse svolgere il lavoro di una levatrice, anche solo che potesse avere qualche conoscenza frammentaria del parto.

Tentò di ribellarsi quando sua madre fu sostituita da quell’uomo, ma il timbro familiare e il tono di voce la indussero a non essere restia e a farsi guidare nella sua interminabile camminata. No, non era lei a volere questo, era la sua bambina…

Che cosa assurda! Non poteva essere che una creatura ancora non nata potesse indurre la madre a prendere una determinata decisione.

La ragazza sentì un leggero movimento nel suo corpo: la bambina si stava muovendo. “E’ agitata anche lei per il parto. Povera piccola, sarà più duro per lei che per me”, pensò, sorridendo lievemente.

Doveva solamente pensare al benessere di sua figlia e a nient’altro, solo questo contava ora.

Sentì qualcosa di caldo scivolarle lungo le cosce, ma non si spaventò, non sentiva dolore. Accantonò ogni pregiudizio lasciando che quell’uomo la guidasse verso il giaciglio, dove si sdraiò, grata di poter finalmente riposarsi e rilassarsi per qualche momento.

 

Ojimahl stava preparando tutto l’occorrente, ripassando mentalmente per l’ennesima volta ogni più piccolo particolare.

Sì, era tutto a posto, ora bisognava soltanto attendere che si rompessero le acque. Si sedette, socchiudendo un poco gli occhi. Era stanca, non dormiva dall’alba, ma sapeva che doveva restare vigile e attenta, dalle sue mani dipendeva la vita di una madre e di una figlia.

-Ojimahl! – Adserth attirò l’attenzione della donna con un sussurro, guardando il pavimento quasi spaventato. Sulle pietre grigie si stava allargando una pozza di liquido amniotico che insudiciava anche la veste di Harysya.

Il sacerdote si affrettò a fare adagiare la ragazza sul pagliericcio, mentre Ojimahl si apprestava con un piccolo coltello a tagliare la veste in modo che non potesse essere d’intralcio durante la fase più delicata del parto.

-Sono preoccupato. Non sembra essere consapevole di quello che le sta succedendo. – disse Adserth, interpellando con uno sguardo l’anziana sacerdotessa.

-E’ per via del decotto che le ho dato. Se avesse saputo che mi sarei avvalsa del tuo aiuto avrebbe posto resistenza, e chissà a cosa avrebbe portato un suo comportamento sconsiderato. No, non è consapevole del dolore, ma lo è a sufficienza per fare il suo dovere di madre mettendo alla luce quella bambina.

Le spiegazioni che diede le parvero anche troppo esaurienti. Adserth doveva restarsene fuori da tutta quella storia, e forse da sola avrebbe potuto agire molto meglio.

Oramai, il punto in cui si trovavano era troppo avanzato per potersi tirare indietro. Ora bisognava solo agire.

 

Harysya sentì ancora qualcosa agitarsi nel suo ventre. Che fosse a causa di quel disgustoso intruglio che sua madre le aveva somministrato? Oppure si trattava della bambina?

O dei, fate che non sia la mia piccola, pregò mentalmente. Lasciava che fosse Ojimahl a dirle cosa doveva fare. La voce della madre sembrava così lontana e quasi irriconoscibile. A malapena si accorse di essere stata appoggiata su qualcosa di caldo, come delle gambe umano… o forse lo erano?

La sua mente era troppo persa in quella specie di limbo in cui sua madre l’aveva mandata. Sapeva di non essere più completamente padrona del suo corpo, eppure non avvertiva il dolore. Che fosse opera di una qualche divinità che volesse proteggerla? Oppure di un demonio?

 

-Si sta agitando, - riferì Adserth, agitandosi a sua volta.

Ojimahl stava cercando di calcolare il tempo delle contrazioni. Guardò spazientita il sacerdote.

-E allora fa qualcosa per calmarla, maledizione! Non importa cosa, fallo e basta! – la voce della donna era dura, e non avrebbe ammesso il minimo errore.

Adserth doveva agire, e in fretta. Prese a cantare sommessamente una nenia per bambini, alle cui parole la ragazza sembrò trovare un attimo di tranquillità. Ojimahl stava continuando il suo lavoro, trovando finalmente il ritmo giusto per mettere in pratica le sue arti di levatrice.

-Non manca molto. Adserth, osserva bene la Stella, e avvertimi quando sorgerà. – quello fu l’ultimo ordine che Ojimahl gli diede per quella sera.

Il sacerdote osservò dal piccolo pertugio il movimento della Stella: mancava poco ormai, forse solo mezz’ora.

Strinse tra le sue le mani della ragazza, lasciando che il suo corpo sfogasse così il dolore che sentiva, conficcandogli le unghie nella carne. Anche se la coscienza di Harysya era lontana, il suo corpo faceva ancora parte della realtà, e percepiva ogni minimo dolore o sconforto.

L’uomo osservò con più attenzione il volto della ragazza: era madido di sudore, di un leggero colorito rossastro per lo sforzo che il fisico doveva sopportare, le lentiggini stavano riaffiorando sulle guance, mentre quel fascino che aveva caratterizzato Ojimahl da giovane ora le apparteneva.

Si chiedeva ancora perché Ojimahl l’avesse mandata via dal Tempio in così tenera età. La ricordava ancora come una bambina, piuttosto grassottella per la sua età, ma che sapeva conquistare il cuore di chiunque. Ed ora, quella bambina che lui ricordava stava per diventare madre di un’altra bambina.

Non aveva mai accettato il fatto che Ojimahl avesse allontanato la figlia solo per farla studiare presso i Sacerdoti della Luce. E Phlegus, si era dimostrato un emerito incapace. Non era riuscito a farla crescere nel modo adeguato, riuscendo quasi a rovinarne l’intelligenza e le doti con cui era nata.

No, Ojimahl non avrebbe mai dovuto pretendere di riconoscerla davanti ai Dieci Custodi, non avrebbe mai dovuto consegnarla nelle mani di quello stupido di Phlegus.

No, non avrebbe mai dovuto farlo.

E lui, perché non si era mai opposto?

 

Con un pianto stridulo e acuto, la bambina nasceva tra le braccia di Ojimahl, che guardava estasiata ancora una volta il miracolo che la vita compiva quando nasceva una nuova creatura.

La osservò deliziata: era sana e forte, il suo piccolo faccino era rosso per il tanto strillare, mentre agitava le manine e scalciava coi piedini.

La fece vedere ad Adserth, che pianse davanti a quella creaturina così vispa, facendo un piccolo cenno col capo e indicando la Stella che era sorta solo da qualche secondo.

-Dov’è… - Harysya reclamò la figlia, protendendo le braccia per prenderla.

Ojimahl gliela pose con cautela sul seno, e la bambina si tranquillizzò un poco ascoltando il battito di quel cuore che per nove mesi l’aveva accompagnata. La donna fece cenno al sacerdote di seguirla fuori dalla stanza, che la seguì senza protestare.

Appena varcata la soglia della stanzetta, Ojimahl afferrò con forza il collo del sacerdote, sbattendolo contro il muro di pietra e lanciandogli uno sguardo raggelante. Le sue dita si stringevano con lentezza e determinazione intorno al collo dell’uomo.

-Giura! – gli intimò con un sibilo la donna. – Non rivelare mai a nessuno cosa è accaduto questa notte. Adserth, lo sai bene cosa capiterà se il segreto non sarà mantenuto. Giura!

La sacerdotessa attese con pazienza il cenno di assenso che Adserth fece col capo. Anche se minimo, ora non potevano veramente tornare indietro, anche se lo avessero voluto.

Ojimahl mollò la presa, e fece qualche passo, mentre dietro di lei Adserth tossiva. Ormai, il destino si era compiuto, la predizione di era avverata.

Quella nascita significava l’inizio della fine.

 

Harysya tentò di mettere a fuoco i lineamenti della piccola che teneva tra le braccia. Quel maledetto infuso non le permetteva nemmeno di vedere sua figlia. Ma la sua voce era alta e sonora, tanto che era quasi un piacere sentirla strillare.

La strinse di più a sé. Si sentiva pervasa da una gioia immensa, quasi palpabile, e la bambina lo sapeva, le ricambiava il suo amore con un amore ancora più grande. Harysya tutto questo lo percepiva nell’anima; percepiva un amore che trascendeva qualsiasi altra forma di affetto che lei avesse mai conosciuto. Forse persino quell’affetto che Joser le aveva manifestato quella notte lontana.

Ora doveva pensare solo alla sua bambina, doveva compiere il suo dovere di madre, e doveva trovarle un nome.

-Kyruth. Sì, ti chiamerò così. – sussurrò Harysya, sfiorando con un bacio il volto della piccola, cha sbadigliò insonnolita. La ragazza sorrise, lentamente, accoccolandosi comodamente sul pagliericcio e lasciandosi scivolare in un lungo dormiveglia.

Sarebbe stato un immenso piacere allevare quella piccola e tenera bambina.


angoletto autrice: con questo capitolo si conclude la prima parte di questa storia. fatemi sapere cosa ne pensate con eventuali recensioni o messaggi in privato se volete anche la seconda parta pubblicata. 
summerlover 

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: summerlover