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Autore: Lady Warleggan    07/03/2022    3 recensioni
Fanfiction ambientata dopo la fine della 4° stagione (allerta spoiler!)
Isla ha ventisette anni quando accetta un impiego come istitutrice in Cornovaglia presso la tenuta di Trenwith. George invece, ormai sulla soglia dei quaranta, si è letteralmente catapultato nel lavoro e nella politica per mettere al tacere il dolore che lo tormenta dalla morte di Elizabeth.
Isla rappresenta per lui la più fresca delle novità: è intraprendente, dolce e amorevole col piccolo Valentine, di cui è diventata la sua migliore istitutrice. Tra i due c’è un semplice rapporto di educazione e rispetto, ma il destino ha in serbo per entrambi qualcosa di completamente diverso, e forse per George riserva ancora l’opportunità di amare di nuovo.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, George Warleggan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tre.


 
Nelle settimane che precedettero il Natale, George le passò quasi sempre fuori casa. Soggiornava a Londra ormai più a lungo del solito, l'attività di banchiere e quella nella politica assorbivano tutto il suo tempo, quindi non c'era verso di tornarsene in Cornovaglia neanche per un breve saluto.
I suoi figli erano in mani sicure. La piccola Ursula cresceva a vista d'occhio e lui si stava perdendo anche quei brevi momenti in cui iniziava a camminare, ma non riusciva a guardare troppo lei e Valentine senza rivedere Elizabeth nei loro occhi. Quel quadro che aveva fatto dipingere per lei ormai se ne stava a prendere la polvere sotto ad un vecchio panno nella sala da pranzo e non c'era verso che riuscisse a guardarlo per più di un minuto senza sentirsi in colpa.
In Cornovaglia, nel frattempo, ora che era arrivato un inverno ancora più intenso e tremendo che congelava le ossa, e la neve aveva cominciato a scendere copiosa, per Valentine e Isla era diventato praticamente impossibile fare anche solo una piccola passeggiata lungo la scogliera o in spiaggia, quindi le giornate a Trenwith divennero sempre più monotone e anche Isla cominciava ad esaurire i suoi assi nella manica per tentare di non annoiare il piccolo Valentine. Senza contare che, da qualche tempo, il bambino stava diventando insofferente all'assenza del padre, piangeva tanto e spesso, e a volte senza un particolare motivo. In quelle occasioni si stringeva a Isla come se in lei potesse sopperire quel vuoto che George aveva lasciato con la sua assenza.
Isla non dubitava che amasse i propri figli, ma era anche certa che quell'uomo stesse anteponendo se stesso ai bambini. Un padre doveva essere presente, guidare i propri figli, vederli crescere. George si stava perdendo tutto quello ed era certa che un giorno se ne sarebbe pentito, qualunque fosse il motivo che lo portasse così lontano da Trenwith, al di là dei copiosi impegni lavorativi.
Ormai mancavano pochi giorni al Natale quando Valentine si ammalò. Una notte, Anne venne a svegliarla tutta trafelata, ma non ci fu nemmeno bisogno che bussasse alla sua porta, perché i suoi passi concitati avevano disturbato immediatamente il sonno di Isla.
"Che succede?" scattò, in allerta.
"Mi spiace se l'ho svegliata, signorina. Il bambino ha la febbre, sta molto male. Non lascia avvicinare nessuna delle cameriere e chiede soltanto di voi e del padre."
Isla si stropicciò gli occhi, stremata, ma si alzò subito dal letto. Il suo orologio in camera segnava le tre di notte: disse ad Anne di ritornare da Valentine e che l'avrebbe raggiunta a breve. Si cambiò indossando lo stesso abito usato il giorno prima e uscì velocemente fino ad arrivare alla camera del bambino, che non era troppo distante dalla sua.
L'aria al suo interno era fredda come un iceberg. Era più piccola della sua stanza, in dimensioni almeno. C'era un letto, una piccola libreria, un baule con i giochi e un guardaroba con dei cassetti.
Valentine, raggomitolato su se stesso, spalancò gli occhi non appena sentì la voce di Isla. Chiamò il suo nome piangendo e lei si precipitò accanto a lui, appoggiandosi al bordo del letto e controllandogli la temperatura corporea. Era molto caldo, sudava e tremava.
"Bisogna chiamare un dottore" disse ad una delle cameriere. "Qualcuno dovrebbe andar ad avvisare il dottor Enys, per favore."
Non ne conosceva altri in zona e francamente Dwight le aveva ispirato fiducia sin dal primo momento.
In casa non c'era nessun altro che avesse un'autorità come quella dei padroni, per questo fu naturale per il gruppo di domestici affidarsi a Isla, che sembrava sapere esattamente cosa fare.
"Qualcuno dovrebbe scrivere al signor George che il bambino sta male e ha la febbre. Domani, all'alba, manderemo il signor Harry a spedire la missiva."
A sentire quel nome, la restante parte delle cameriere rabbrividì. Isla avrebbe volentieri mandato qualcun altro, ma sapeva che l'unico celere in quel compito poteva essere soltanto quell'orco barbuto che tanto detestava. Avrebbe fatto qualunque cosa per ingraziarsi ancora di più il suo padrone, ne era sicura, pure se lo conosceva da poco tempo.
Sospirò e si voltò di nuovo verso Valentine, che aveva i capelli umidicci quando glieli accarezzò.
"Che ne dici se iniziamo a toglierci questi vestiti tutti sudati, eh?" gli chiese con estrema dolcezza.
"Ho freddo."
"E se li cambiassimo accanto al camino? Così resti al caldo."
Valentine non rispose, ma si limitò ad annuire, asciugandosi ancora un altro lacrimone, e non ci fu bisogno nemmeno che Isla si rivolgesse nuovamente alle cameriere per dir loro di accendere il fuoco, perché una di loro stava già armeggiando col legno all'interno del caminetto. Qualche minuto dopo, un lieve calore iniziò ad espandersi all'interno della camera e Valentine trovò la forza per lasciarsi trascinare fino al caminetto.
Isla asciugò il sudore dal suo corpo, lo aiutò a lavarsi con un panno imbevuto nell'acqua calda e poi lo rivestì con un'altra camicia da notte. Valentine era stanco e provato dalla febbre, e quando si aggrappò a Isla, lei glielo lasciò fare. Non volle saperne di rimettersi nemmeno a letto, stretto tra le sue braccia.
Così, mentre aspettavano l'arrivo del dottor Enys, si fece passare una coperta pulita e coprì Valentine dietro le spalle. Per un po' riuscì a camminare per la stanza tenendolo in braccio, poi fu costretta a sedersi sul bordo del letto perché il bambino era troppo pesante. Continuò a consolare Valentine che si lamentava per i tremori e per i dolori alle gambe dovuti alla febbre.
"Voglio il mio papà."
Isla si sentì morire quando gli sentì mormorare quella frase.
"Ci sono io qui."
"Sei proprio come la mia mamma."
Una cameriera che era rimasta all'interno della stanza trasalì quando Valentine pronunciò quelle parole. Anche Isla sembrava sconvolta da quell'affermazione: era diventata una presenza talmente costante nella vita di quel bambino che ora non poteva negare di costituire una figura materna per lui.
Non ebbe il coraggio di rispondergli niente, ma fortunatamente, dal piano inferiore, sentì provenire dei passi frettolosi, segno che Dwight Enys fosse finalmente arrivato. Qualche secondo dopo, aveva finalmente varcato la soglia della camera di Valentine e Isla tirò un sospiro di sollievo quando se lo ritrovò davanti.
Le domestiche avevano già sostituito le lenzuola e le coperte del letto mentre lei era accanto al camino a cambiare i vestiti al bambino, e ci volle un po' perché lui si staccasse dalla stretta con cui si era aggrappato a Isla. Riuscirono a farlo sdraiare a letto e Dwight lo visitò, ascoltando anche dalla voce stanca di Valentine i sintomi che aveva. Il dottore confermò che si trattava di una semplice febbre, ma che sarebbe rimasto fino all'alba perché lo sentiva troppo caldo e voleva assicurarsi che la temperatura scendesse con il medicinale che gli avrebbe dato.
Isla promise a Valentine una zolletta di zucchero se avesse mandato giù lo sciroppo del dottore e così fece. Un attimo dopo, Valentine aveva dimenticato il saporaccio della medicina e aveva insistito per tornare tra le braccia di Isla, ma Dwight, con voce dolce, lo aveva invece raccomandato di riposare.
"Mi sdraio accanto a te, va bene?" gli chiese perciò Isla, vedendo che non la smetteva di insistere.
Valentine alla fine si arrese e annuì. Per distrarlo dai dolori muscolari gli cantò una ninna nanna scozzese che nessuno all'interno di quella stanza fu in grado di decifrare. Dopo un paio di giri di canzone, il bambino era già più tranquillo e rilassato, e qualche minuto dopo avvertì la stanchezza delle palpebre e si lasciò vincere dal sonno.
Dwight e Isla lo sorvegliarono fino all'alba. Valentine dormì tranquillo per tutto il tempo, e alle prime avvisaglie del mattino, Dwight si assicurò che non avesse più febbre. Fortunatamente la medicina aveva fatto il suo dovere e il bambino aveva smesso di scottare, ma disse comunque che sarebbe ripassato dopo pranzo, per assicurarsi che le sue condizioni fossero effettivamente migliorate.
Isla lo ringraziò, e lasciò che una cameriera lo scortasse fino all'uscita. Anne, che era rimasta lì accanto a lei, la esortò a recarsi nella sua stanza per andare a riposare un po', ma non vi fu verso di schiodarla dal letto di Valentine. Isla le raccomandò semplicemente di andare ad avvisare Tom della missiva per sir George e lei ubbidì senza contestare altro.
Quando la lasciarono sola con Valentine, andò a ravvivare il fuoco e poi si stese di nuovo accanto a lui, avvolgendosi nella stessa coperta con cui aveva avvolto il bambino durante il suo sfogo notturno. Gli baciò i capelli scuri mentre dormiva tranquillo, dopodiché appoggiò la testa al cuscino e qualche minuto dopo crollò anche lei mentre il sole sorgeva dietro le tende della finestra.
* * *
George era tornato più presto in Cornovaglia, colto da un'improvvisa sensazione che a Londra gli aveva dato il tormento fino allo sfinimento. Di solito era piuttosto scettico sui presentimenti, ma questa volta si era convinto a mettersi in viaggio in carrozza senza ulteriori indugi: aveva frettolosamente fatto preparare un bagaglio da uno dei suoi domestici a Londra e si era immediatamente avviato. Aveva ancora molto da fare nella capitale, ma sentiva l'urgenza di tornare a casa.
Era arrivato in paese che era passata da poco l'alba, le strade erano ancora vuote e non vi era anima viva. Poco più avanti però, mentre distingueva soltanto desolazione attorno a sé, una figura ferma lungo la strada aveva agitato le braccia per farsi notare. George lo aveva riconosciuto dal finestrino della carrozza: era Tom. Doveva aver visto arrivare la sua carrozza da lontano.
Che fosse ubriaco? Sentiva di non aver tempo da perdere. Più si avvicinava e più però Tom gli sembrava sobrio, solo molto stanco e trascurato come al solito.
"Signor Warleggan, stavo proprio per venirle a spedire questa!" spiegò trafelato, quando George, roteando gli occhi, fece fermare cocchiere e cavalli.
Sembrava che Tom avesse fatto una lunga e veloce corsa e dato che non riusciva a parlare a causa del fiatone, gli strappò la lettera dalle mani e ne lesse velocemente il contenuto.
La sensazione...
Risalì di fretta in carrozza e ordinò al cocchiere di sbrigarsi a raggiungere casa sua. Tom rimase lì, a guardare a braccia spalancate la carrozza di Sir George andare via, chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi una tale indifferenza.
* * *
Quando finalmente i contorni di Trenwith si fecero più nitidi e corposi, George saltò praticamente fuori dalla carrozza rischiando di rompersi l'osso del collo. La casa era silenziosa quando di scatto aprì la porta di ingresso senza annunciarsi, segno che ognuno fosse impegnato nelle attività giornaliere e che probabilmente la missiva ci teneva soltanto ad avvisare di quello che stava succedendo in casa durante la sua assenza. Il cuore gli salì comunque in gola per la preoccupazione.
Si precipitò al piano superiore e la scena che si parò davanti, quando si ritrovò in camera di Valentine, non capì perché lo sorprendesse.
Suo figlio dormiva tranquillo, il suo petto si muoveva su e giù con regolarità e il volto sembrava rilassato. Il camino, in fondo alla stanza, si stava spegnendo.
Isla era invece sdraiata accanto a Valentine e una delle sue mani era proprio stretta a quella del bambino. Dormiva anche lei, come se avesse passato tutto il tempo accanto a lui, senza tregua. La sua treccia si era ormai quasi del tutto sciolta.
L'immagine della donna col vestito rosa, ardita e sicura di sé al ricevimento degli Enys, gli comparve alla mente come qualcosa di lontano. Davanti a lui quello che vide fu soltanto un ritratto sereno, di una donna che sembrava molto più giovane della sua vera età, che aveva fatto molto più di quanto fosse stato capace di fare lui stesso nel tempo che era rimasto vedovo. O forse in tutto quel tempo in cui era divenuto padre.
Sussurrò il nome di Isla tre volte, prima che lei finalmente riaprisse gli occhi e si guardasse attorno, con fare confuso, cercando la fonte del suo disturbo. La sua faccia mutò completamente espressione quando mise a fuoco George: si alzò di scatto dal letto e tentò di rimettersi a posto la treccia, ma ormai non c'era verso di sistemare i capelli. Le ricadevano morbidi e ondulati lungo le spalle del vestito.
"Sir George" disse con voce rauca.
"Non preoccupatevi Isla, è tutto a posto" le rispose lui, intuendo il suo palese imbarazzo mentre la vedeva toccarsi nervosamente i capelli e il vestito stropicciato. "Stavo tornando qui quando ho incontrato Tom per strada e ho letto la lettera.”
Si avvicinò a Valentine, gli toccò la fronte con un gesto affettuoso che Isla non gli aveva visto fare troppo spesso. Anzi, a dirla tutta, praticamente mai.
"Ho dovuto chiamare il dottor Enys, sir George" lo informò. "Dice che discuterà con voi della parcella."
"Che cosa vi ha detto?"
Isla ricapitolò quanto capitato la notte precedente. George ascoltò la sua voce stanca riassumergli quello che era successo in sua assenza: la febbre, i pianti di Valentine, e l’arrivo del dottor Enys. Aggiunse poi che il medico sarebbe ripassato in giornata per assicurarsi che i sintomi della febbre non si ripresentassero e per prescrivergli dell’altro sciroppo.
George si portò una mano al centro della fronte, come se avesse un terribile mal di testa.
“Sarete stanca, immagino” le disse. “Resto io accanto a mio figlio, potete ritirarvi nella vostra stanza, se lo desiderate.”
Isla si allontanò un po’ riluttante dal letto di Valentine, come se sentisse di non aver fatto ancora tutto. Avrebbe voluto aggiungere che quella notte il bambino aveva spesso reclamato la mancanza del padre, ma a guardare George si capiva perfettamente che in realtà non c’era bisogno di parlare, che forse lo aveva capito lui stesso senza che nessuno glielo dicesse.
“Mandate qualcuno a svegliarmi quando uscite per andare a lavoro.”
George alzò lo sguardo verso di lei, stava stringendo la mano di Valentine.
“Oggi non vado da nessuna parte, Isla. Potete riposare, resto io qui.”
* * *
Non ci fu verso di schiodare George da quella stanza per tutto il tempo, nemmeno quando Cary Warleggan passò chiedendo informazioni del nipote e lui lo congedò frettolosamente dicendogli di ripassare l’indomani. Isla, dalla ringhiera del piano superiore, dovette ammettere che veder uscire Cary Warleggan a passo innervosito con quell’assurda parrucca col codino, era una visione piuttosto divertente.
Valentine dormì sonni tranquilli fino all’ora di pranzo, quando si risvegliò. George si avvicinò gradualmente a lui con fare rilassato, Valentine sembrava parecchio sorpreso di trovarsi il padre sul bordo del letto.
“Papà” mugolò, a metà tra l’assonnato e lo stupore.
“Ciao, Valentine.” Si avvicinò per stringergli una mano e il bambino non si ritrasse. “Come ti senti?”
“Stanco. E mi fa male la testa” si lamentò imbronciato. George gli toccò nuovamente la fronte e si accorse che era di nuovo calda, ma non tanto da preoccuparsi.
Chiamò una cameriera per farsi portare una bacinella con dell’acqua fredda, ma non si allarmò più di tanto. Anche quando lui era piccolo, quando aveva l’influenza, la febbre si alzava e abbassava per due o tre giorni, poi, seguendo le giuste cure, era capace di tornare come nuovo.
O almeno, non si allarmò perché cercò di contenere il suo stato di agitazione in sé, dato che Valentine era sempre stato per natura un bambino cagionevole di salute. Ma il dottor Enys sarebbe passato presto, dopo pranzo, quindi poteva comunque stare tranquillo.
“Dov’è Isla?” chiese Valentine, mentre George gli passava una pezza fredda sulla fronte.
“Sta dormendo un po’, era stanca” gli spiegò il padre. “Ti va di mangiare qualcosa?”
Valentine scosse il capo. “Ho la nausea. Non mi va. Voglio solo vedere Isla.”
“Lasciamo che si riposi un altro po’, va bene? Poi la lascio venire qui.”
Il bambino annuì, poco convinto, e più tardi George riuscì a convincerlo a mandare giù un piatto di brodo. Non parlarono molto, aveva solo l’impressione che il bambino lo guardasse stralunato, come se risultasse alquanto strana la sua presenza in camera sua. E, subito dopo aver ingurgitato tutto il suo pasto, Valentine chiese nuovamente della sua istitutrice.
Anne, che era venuta a riprendersi il vassoio col piatto vuoto, lo rassicurò dicendo che subito dopo pranzo sarebbe passata da lui.
“Ti sei molto affezionato ad Isla” constatò George. “È brava, vero?”
Valentine fece un segno di assenso con la testa. “Sì.”
“E tu sei migliorato molto, grazie a lei.”
Suo figlio annuì ancora.
“Papà, posso farti una domanda?”
“Dimmi pure.”
“Secondo te la mamma si offende se ho detto ad Isla che me la ricorda?”
George si paralizzò. Dopo la morte di Elizabeth, non era mai riuscito a parlare apertamente di lei con Valentine. Ripensò a quando suo figlio aveva ritrovato in uno dei cassetti un medaglione con il ritratto di sua moglie e lui aveva dato di matto...
Valentine si era chiuso talmente tanto a riccio dopo quella sfuriata, che George si era ripromesso di non farlo mai più, ma l’indifferenza che gli stava dimostrando in quel periodo sicuramente non lo aveva aiutato. Aveva promesso ad Elizabeth che non avrebbe più avuto alcun dubbio, che avrebbe dato più considerazione a Valentine, ma quell’insinuazione che aveva fatto quella megera di Agatha Poldark ancora gli dava il tormento e non lo faceva dormire...
Però, dopotutto, Valentine... che colpa aveva della sua cattiveria o dei suoi dubbi?
Alzò una mano e fece un’impacciata carezza sui suoi capelli.
“No, non si offende” lo tranquillizzò. “Sono sicuro di no.”
Valentine si prese una piccola pausa. “Papà, la mamma mi manca. Tanto.”
George dovette fare un grosso respiro per evitare di piangere, soprattutto quando vide gli occhi lucidi di suo figlio.
“Lo so. Manca anche a me.”
 
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi di ritorno. Scusate per la prolungata assenza, ma questi ultimi giorni sono stati assurdi... sono stata operata di appendicite talmente tanto all’improvviso che non ci ho capito più nulla. Ora sto abbastanza bene, mi sto lentamente riprendendo dall’operazione e devo dire che leggere e scrivere mi aiuta parecchio a distrarmi. Cercherò di recuperare a breve le vostre storie e anche di commentarle.
Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo? Spero che George non sia troppo OOC, ci tenevo ad analizzare il suo rapporto con Valentine che nella serie è sempre stato piuttosto complesso. Credo che George in un qualche modo tenga a Valentine, ma che il dubbio insinuatogli da Agatha Poldark lo tormenterà praticamente per sempre... e questa è una cosa su cui intendo lavorare all’interno di questa ff, soprattutto grazie all’aiuto di Isla, il personaggio che ho inventato io.
Aspetto i vostri pareri e vi ringrazio per quelli che avete lasciato nei capitoli precedenti.
Alla prossima
Lady Warleggan

P.S.: Vi ho lasciato in cima al capitolo un collage di mia creazione, con l'attrice che mi sono immaginata per il ruolo di Isla, la bellissima Jenna Coleman. Spero vi piaccia. :)

 
   
 
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