Vi avverto: questa seconda parte è lunga. Vi consiglio di mettervi comodi se volete davvero intraprendere la lettura.
Dominique
sente il cuore martellarle furioso nel petto mentre segue Lance in
quel reticolato di stradine labirintiche che è diventata Hogsmeade.
Sebbene
il fiato corto, non accenna a diminuire il passo. Il panico la spinge
a muovere una gamba dietro l'altra e a controllare costantemente
all'indietro, così da essere sicura che nessuno di quei pazzi li
stia seguendo. E non importa se la neve rende più difficoltosa la
marcia o se i vicoli stretti sembrano quasi provocare una leggera
claustrofobia, perché il desiderio di sopravvivere è più forte di
ogni cosa.
Mai
come in questo momento è felice di non essere da sola.
Sebbene
Lance sia teso quanto lei – ha i lineamenti irrigiditi e lo sguardo
vigile di chi si aspetta un attacco da un momento all'altro –, è
di conforto sapere che può contare su di lui.
Anche
perché – siamo oneste –, a differenza sua, è lucido e
concentrato nello sforzo di sopravvivere.
Se
dipendesse da lei, invece, davanti al nemico, probabilmente farebbe
fatica persino ad evocare un semplice Incantesimo Scudo, terrorizzata
com’è.
«Dove
stiamo andando?» chiede, la voce rauca a causa della bocca asciutta.
Lui
sta per risponderle quando un grido atroce li blocca lì, in mezzo a
quel vicolo stretto. Lance le lascia immediatamente la mano,
precipitandosi in quella direzione sotto gli occhi sbarrati di lei.
Dopo
un attimo di spaesamento, ignorando il suo cervello che le ordina di
rimanere lì – al
sicuro –,
Dominique lo segue con la paura che le scivola sotto pelle, facendola
rabbrividire e rendendo più tremante e incerta la presa sulla
bacchetta.
Una
volta svoltato l'angolo, si ritrova in un piccolo incrocio di tre
stradine. Fa a malapena in tempo a vedere un lampo di luce rossastra,
che l'uomo con il mantello e cappuccio bianco viene scaraventato
brutalmente contro la parete in pietra di un edificio, afflosciandosi
al suolo in una posa scomposta.
Ruotando
il capo a sinistra, Dominique sussulta quando si rende conto che
Lance è accovacciato accanto a qualcuno sdraiato sulla neve, la
schiena appoggiata a un barile di legno. Solo quando si avvicina
riconosce il ferito come Jude Burke.
«Sembra
peggio di quello che è» sentenzia Lance, pratico, dopo aver
sollevato il maglione del cugino e aver studiato quel taglio
sanguinante che, dal fianco al ventre, gli squarcia la pelle. «Dovevi
stare più attento» recrimina aspro, passandoci sopra la punta della
bacchetta e mormorando un incantesimo.
Jude
sbuffa, piegando le labbra in una smorfia sofferente.
«Mi
ha colto di sorpresa» biascica a bassa voce. A giudicare dal suo
colorito pallido e dal respiro spezzato, Dominique dubita che la
ferita sia superficiale. «Non ho avuto il tempo di reagire» si
giustifica in un soffio.
Lance
serra la mandibola, rigido, fissando con palese preoccupazione la
pancia dell'altro.
«Dobbiamo
andarcene da qui» decreta autoritario, mettendosi un braccio del
cugino sulle spalle e appoggiando la mano destra – quella che non
impugna la bacchetta – all'altezza del fianco, issandolo con fatica
in piedi. «Se restiamo allo scoperto, siamo un facile bersaglio»
constata analitico, lanciando continue occhiate malevola intorno. «Ho
bloccato il sangue, almeno non lasceremo delle tracce sulla neve»
svela spiccio.
Dominique
annuisce, inquieta.
«Lasciami
qua: ti rallenterei e basta» mugugna Jude, esausto, sforzandosi di
tenere gli occhi aperti.
«Sì,
così ti ammazzano» replica lui, sarcastico, scuotendo il capo con
irritazione e fissandolo per un istante spazientito. «Come se non
sapessi quello di cui sono capaci» considera amaro, storcendo il
viso in una smorfia furiosa. «Non fare il coglione, non ti
abbandono» afferma irremovibile, tornando a degnarla della sua
attenzione. «Almeno tu vedi di renderti utile. Dubito di riuscire a
difendere tutti e tre, se ci dovessero attaccare» ammette
contrariato, il volto indecifrabile, indicandole con un cenno del
mento la strada da percorrere.
Dominique
lo segue, il viso corrucciato dall’angoscia mentre grossi e pesanti
fiocchi di neve riprendono a cadere dal cielo, nascondendo le tracce
del loro passaggio.
*
«Non
chiudere la porta» ordina Lance quando entrano in un’abitazione
apparentemente abbandonata nel quartiere residenziale di Hogsmeade.
Dominique
si trattiene a stento dallo starnutire a causa della mole di polvere
che ricopre ogni superficie di quello che dovrebbe essere un salotto,
i cui pochi mobili presenti sono coperti da teli bianchi.
Togliendo
con un movimento secco e brusco della mano, lui libera il tavolo dal
tessuto candido e, con un minimo di delicatezza concessa dallo
sforzo, stende Jude, privo di sensi, lì sopra.
«Di
chi è questo posto?» domanda lei, cauta, avvicinandosi con un velo
di incertezza e le gambe molli.
«Di
mio padre» risponde Lance, sbrigativo, mentre solleva di nuovo il
maglione del cugino per valutare meglio la ferita. Lo osserva serrare
la mascella con disappunto, le labbra piegate in una morfia tesa. «Lo
ha comprato qualche anno fa ma non lo ha ancora ristrutturato»
spiega distratto, in un borbottio a malapena udibile, prima di
tentare un Incantesimo Curativo.
Notando
la mano sinistra dell’altro tremare visibilmente, Dominique non ci
pensa due volte ad alzare il braccio destro che aveva disteso
lungo il fianco.
«Lascia,
faccio io» si offre spiccia, spingendolo via senza garbo, in maniera
tale da poter studiare meglio e con occhio critico la ferita. «Ho
seguito un corso di soccorso al San Mungo, quest’estate e la
precedente» spiega algida quando lo intravede inarcare le
sopracciglia con scetticismo. «Sicuramente sono più preparata di
te» rinfaccia insopportabile.
Lance
si guarda bene dal commentare, anche se è palese che non sia affatto
convinto.
Tuttavia
decide di non iniziare una discussione e, con un movimento rapido del
polso, accende il fuoco nel camino presente nel locale, per poi
creare una barriera sulla porta d’ingresso – che rimane comunque
aperta –, così da impedire che qualcuno entri e che il calore
esca.
Ignorando
i brividi per la temperatura polare in cui è immersa l’abitazione,
Dominique prende un paio di respiri profondi per calmarsi e
concentrarsi solo su come curare l’altro. Non ha mai affrontato una
lesione del genere, abituata solo a qualche graffio e livido che il
volontariato nell’ospedale magico le ha permesso di affrontare e
sapere guarire. Però, grazie ai tomi di Magia Curativa che è solita
divorare nel tempo libero, può dire di avere una conoscenza sopra la
media della disciplina rispetto ai suoi coetanei.
E
se avesse dell’Essenza
di Dittamo,
probabilmente non dovrebbe ricorrere al suo repertorio di sortilegi
per cercare di tamponare il sangue e bloccare l'emorragia in corso.
Dopo
aver fatto apparire delle bende e aver fasciato il fianco di Jude, si
volta nella direzione di Lance. Rimane un secondo basita quando lo
vede accovacciato sul pavimento, mostrandole le spalle, e solo quando
si avvicina nota che sul pavimento – dove la polvere è stata
rimossa – c’è una perfetta riproduzione della cartina di
Hogsmeade.
«Come
sta?» domanda lui, puntandole addosso le iridi azzurre e gelide.
Dominique
si inumidisce le labbra, nervosa.
«Ha
bisogno di cure al più presto» risponde onesta, sbottonandosi il
giubbotto a causa del caldo che si sta diffondendo nel salotto. «Ho
fatto quello che potevo ma sono un Guaritore. Perché stai
consultando questa mappa?» chiede perplessa, adocchiando incuriosita
quelle linee nere.
«Prima
dall’attacco – quando tu starnazzavi come un’oca –, ho notato
che sono state erette due barriere. Una blu e una rossa, il che
impedirà agli Auror di Smaterializzarsi qui e a noi di scappare»
constata Lance con disappunto, corrugando le sopracciglia e tornando
a concentrarsi sul disegno. «Per mantenere attivi dei simili
incantesimi contemporaneamente e per un tempo sufficiente per fare i
loro comodi, questi idioti avranno posizionato quattro dei loro agli
angoli della città. È l'ipotesi più logica» afferma saputo,
picchiettando la bacchetta sul legno del pavimento. «Questo
significa che se riusciamo a metterne fuori gioco almeno uno, le
barriere cadranno» decreta sicuro, socchiudendo gli occhi azzurri
per riflettere su quale strategia utilizzare.
Lei
strabuzza i suoi, sconvolta.
«Ma
per far ciò bisognerebbe tornare là fuori» sottolinea in panico,
la voce stridula.
«Già».
«Possiamo
aspettare che qualcuno venga a darci una mano» suggerisce Dominique,
svelta, cercando di trovare un'alternativa a quella follia. «Voglio
dire… Madama Abbott, uno degli adulti sicurament-»
«Non
hai notato che nelle strade c’erano solo studenti?» la blocca lui,
brusco, fissandola quasi con compatimento. «Avranno lanciato qualche
incantesimo che impedisca a chi si trova dentro un edificio di uscire
e combattere» deduce seccato. «Almeno si sono evitati la
scocciatura di scontrarsi contro gli adulti».
Dominique
sbatte le palpebre.
«Per
questo non hai chiuso la porta» ragiona, analizzando quanto lui ha
fatto prima e trovando un senso in quell'ordine apparentemente
inspiegabile. «Non ci pensare nemmeno» lo avvisa inflessibile,
storcendo il viso in una smorfia bellicosa.
Lance
inarca le sopracciglia, affatto impressionato dal quello slancio di
feroce determinazione. Appoggia le mani sulle ginocchia, alzandosi in
piedi e avvicinandosi di nuovo al tavolo.
«Jude?»
lo chiama piano, a bassa voce, scuotendolo delicatamente per la
spalla.
L'altro
apre gli occhi verdi, appannati dalla confusione.
«Bohort?»
domanda flebile, in un sussurro spezzato.
Anche
se le dà le spalle, Dominique lo vede chiaramente
sussultare.
«No»
lo contraddice lui, dopo un momento di silenzio tetro, la voce
indecifrabile. «Lance» precisa piatto.
Jude
si acciglia, stringendo le palpebre forse nel tentativo di metterlo
meglio a fuoco.
«Lance»
ripete fioco, riconoscendolo, sfarfallando le ciglia nello sforzo di
tenere gli occhi aperti.
«Vado
a chiamare aiuto ma ho bisogno che tu stia sveglio, d’accordo?»
domanda Lance, amabile, pronunciando con lentezza quelle parole, così
da assicurarsi che vengano sentite e comprese.
«No,
scordatelo» sbotta Dominique, inserendosi di prepotenza in quella
conversazione e cancellando con delle rapide falcate la distanza che
li separa. «Loro sono troppi e noi siamo solo in due» gli fa notare
tagliente.
Lui
si gira nella sua direzione, lo sguardo gelido.
«Ci
vado da solo» decreta distaccato. «Tu resti qui con Jude»
sentenzia irremovibile.
«No»
si ribella incollerita, scuotendo con enfasi il capo. «Non te lo
lascio fare!» si ostina testarda.
«Sai,
inizio a pensare che tu ti stia prendendo troppe libertà» inizia
Lance, sarcastico e insopportabile, fissandola con una luce negli
occhi che le fa tremare il cuore per la paura. «Non ti devo chiedere
il permesso e tu non mi puoi impedire di fare nulla» termina con
quel fare che la sfida a contraddirlo, giusto per dimostrarle quanto
si sbagli.
Dominique,
sebbene dentro senta le viscere rabbrividire, si sforza di non mutare
espressione.
«Si
chiama buonsenso» recrimina affilata, alzando il mento con
arroganza.
«La
mia, sopravvivenza» precisa lui, impassibile. «E attualmente è più
importante del tuo buonsenso»
aggiunge rude.
Lei
rimane in silenzio, il petto sconquassato da una serie di emozioni
contrastanti. Da una parte le viene quasi voglia di sciogliersi in
una risata isterica, tanto le pare assurda la situazione, dall'altra
non può fare a meno di provare un'amarezza bruciante nel rendersi
conto della cocciutaggine dell'altro.
«Credevo
che i Purificatori non esistessero più» è l'unica cosa che riesce
a dire, rievocando dalla memoria una serie di articoli riguardanti
quegli uomini mascherati che in nel post guerra avevano scosso
l'Inghilterra.
Lance
piega le labbra in un sorriso per nulla divertito.
«Magari»
sospira amaro, scuotendo la testa e puntando le iridi altrove. Le
sembra che siano più distanti e fredde che mai, volte a rivivere
qualcosa che non ha il lusso di sapere. «Probabilmente non
smetteranno finché non avranno eliminato ogni discendente dei
Mangiamorte. Dovresti essere contenta» insinua crudele, tornando a
guardarla e assumendo un'espressione beffarda. «Ti stanno facendo un
favore a tentare di far fuori quelli come me» termina brutale, con
una crudeltà che la colpisce in pieno.
Dominique
non batte ciglio, anche se dentro al petto sente un dolore sordo. La
sorprende la facilità con cui riesce a ferirla con poche e studiate
parole.
«Stanno
solo restituendo il favore per quello che i tuoi antenati hanno
fatto» ribatte velenosa, rifiutandosi di sentirsi in colpa per
qualcosa che non dipende da lei.
Era
prevedibile,
pensa,
invece, insensibile. Il
Mondo Magico ha subito due guerre solo perché degli idioti fissati
con la purezza del sangue pensavano di poter decidere chi dovesse
vivere e chi morire. Dopo la sconfitta di Voldemort, il Ministero è
stato troppo morbido con le famiglie coinvolte, conclude
inclemente.
Lance
arcua un sopracciglio, ampliando quel sorriso denigratore.
«Evan
aveva ragione» sostiene leggero, facendole sbattere le palpebre e
corrugare la fronte per lo sbigottimento. «Non siete migliori di
noi» spiega nauseato, voltandole le spalle per dirigersi verso la
porta.
Forse
è a causa del panico che prova nel guardarlo avvicinarsi all'uscita
dell'abitazione o forse anche per quella punta di senso di colpa che
sta disperatamente tentando di soffocare, che Dominique sente la
testa farsi più leggera e sa
già
cosa sta per succedere.
La
pelle si intorpidisce mentre l'udito, il tatto, l'olfatto e il gusto
sembrano inibirsi. Non la vista, no, quella mai.
Nella
sua mente – esattamente come se lo avessi davanti agli occhi –
vede un'immagine sfuocata e confusa, che diventa velocemente sempre
più nitida e reale.
Nell'incrocio
dove hanno trovato Jude, si trovano due Purificatori. Hanno la
maschera bianca sul viso e sono accucciati sulla neve, intenti a
studiare con attenzione quella macchia rossa che spicca sul bianco.
Un
altro sta aiutando quello che Lance aveva attaccato a rialzarsi,
pretendendo di sapere che cosa fosse successo.
«Credo
fosse uno solo» risponde questo, sofferente, la voce che esce a
fatica da sotto la maschera. «Maledettamente veloce» aggiunge
rabbioso.
«Uno
di loro?» domanda l'altro, interessato.
«Purosangue»
conferma il Purificatore, rimettendosi in piedi con fatica. «Solo
quei bastardi ti prendono alle spalle».
Vede
quello che deve essere il capo drizzare le spalle e il trionfo
illuminargli gli occhi castani.
«Signori,
attenzione» esordisce quasi emozionato, ad alta voce. «C'è una
preda nei dintorni. Dividiamoci in due gruppi e separiamoci: sarà
più facile braccarla».
«Mi
vuoi rispondere?»
Domique
sbatte gli occhi, la visione che scompare all'improvviso esattamente
com'è venuta.
Si
ritrova di nuovo in quel salotto polveroso, dai mobili coperti e uno
studente ferito sdraiato e incosciente sull'unico tavolo presente.
«Come?»
articola in un bisbiglio, fissando vacua Lance.
Lui,
che si è avvicinato quando deve averle posto quella domanda che lei
non ha sentito, la osserva con palese spazientimento.
«Ho
detto che una volta che le barriere saranno cadute, di uscire e
lanciare un Periculum»
ripete irritato, continuando a studiarla con l'aria di chi sta però
cercando di capire cosa sia successo. «Conosci l'incantesimo, no?»
domanda secco.
Lei
si ritrova ad annuire come un'automa.
«Sì»
conferma remissiva, le iridi puntate verso il pavimento per evitare
di guardarlo in faccia.
Ora
come ora non ha la forza per sostenere quella discussione che, non ha
dubbi, avverrà presto.
Lance
rimane fermo, in piedi davanti a lei. Da quel poco che riesce ad
intravedere a causa anche della testa incassata tra le spalle e dello
sguardo basso, carico di vergogna, Dominique rimane sorpresa quando
lo scorge voltare il busto per muoversi di nuovo verso la porta.
Lo
afferra di riflesso per un braccio, in panico, stringendo la manica
del mantello con forza e affondando le unghie nel tessuto pesante.
«Ci
sono quattro Purificatori qui vicino» lo informa disperata, gli
occhi azzurri sbarrati.
«Probabile»
concede lui, preso alla sprovvista.
Dominique
scuote il viso, terrorizzata.
«No,
è così» insiste concitata, non rendendosi conto di aver quasi
urlato. «Non puoi uscir-»
«Domi»
la blocca Lance, fermo, interrompendo quel fiume di parole dettate dalla
paura che minaccia di strariparle dalla bocca e inchiodandola sul
posto con un sguardo intimidatorio. «Lasciami» ordina piatto,
abbassando le iridi a indicare la mano che è ancora aggrappata al
suo mantello.
Lei,
seppur esitante, ubbidisce, il viso corrucciato in una smorfia
dolente.
Si
sforza di aprire le labbra, cercandosi di scacciare via quella
frustrazione mista a paura che le scorre nel sangue ma tutto si
ritrova a non riuscire ad emetter e nemmeno un suono.
Boccheggia,
sconvolta dal non riuscire a fare una cosa tanto semplice.
Decide
quindi di lanciargli un'occhiata supplicante – così poco da lei –,
sperando che sia sufficiente dal farlo desistere dal compiere quella
missione suicida.
Tuttavia
il volto di Lance è rimasto impassibile, sebbene le sue iridi siano
baluginanti di qualcosa che assomiglia vagamente all'incertezza.
«Me
lo dici quando torno» le va incontro, più morbido, prima di
voltarle le spalle e uscire da quel rifugio sicuro. «Fai in modo che
Jude sopravviva fino all'arrivo dei soccorsi» è l'ultima cosa che
gli sente dire, prima che sparisca dalla sua vista.
Dominique
annuisce, il cuore pesante.
Perché
tanto lo fai. Torni.
*
Respira
a pieni polmoni l’aria gelida del pomeriggio, incanalando quanto
più ossigeno possibile.
La
mano che stringe la bacchetta è pronta a scattare, gli occhi vigili e la mente lucida.
È
paradossale ma si trova molto più a suo agio in una delle tante
strade innevate di Hogsmeade piuttosto che immobile in quel rifugio,
ad attendere con i nervi tesi i soccorsi e sperare che Jude resista.
Chissà
se anche Evan si sentiva così prima di uno scontro, riflette
quasi distratto, il cervello occupato a scrutare l’ambiente
circostante e analizzare anche i più piccoli dettagli. Di
sicuro l'addestramento che ho ricevuto mi torna utile.
Mentre
scivola silenzioso accanto alla parete degli edifici che costeggiano
il vicolo, Lance non riesce proprio a trattenersi dal sorridere. È
appena accennato e non si vede a causa del volto coperto.
Utilizzare
la Trasfigurazione per cambiare il colore del mantello e trasformare
un sasso in una maschera bianca, così da confondersi con quei
Purificatori, gli è sembrata un’idea del tutto naturale.
D’altronde
non esiste l’onore in guerra.
Vince
chi riesce ad uccidere l’altro.
«Dimenticati dell'onore, ragazzo» esordisce il prozio Julian, lapidario, fissandolo con due occhi verdi dalla tela del ritratto. Lance lo ascolta con attenzione, seduto a gambe incrociate sul pavimento di quella che è sempre stata la Sala dei Duelli di Rosier Castle. «Sono solo sciocchezze per gli stolti. In duello, l'unica priorità è rimanere vivi» afferma pragmatico, arricciando con disgusto le labbra. «Usa ogni debolezza dell'avversario a tuo vantaggio e scordati della correttezza».
Questo
è uno dei tanti consigli che gli ha suggerito Julian, dal momento in
cui ha scovato il suo ritratto in una stanza abbandonata a Rosier
Castle.
All’inizio
aveva pensato che fosse stato suo padre a relegarlo lontano da tutti,
in un angolo sperduto della casa. Solo con il tempo si è reso conto
che il suo prozio si era imposto quell’esilio di sua spontanea
iniziativa.
Abbassa
le spalle, simulando una posa rilassata quando incrocia uno di quegli
idioti che sperano tanto di pareggiare i conti – non sanno che in
realtà hanno scatenato un’altra spirale di odio e rancore, e che
non sarà certamente lui a fermare quel fiume di sangue – al
termine del vicolo che immette su Hight Street.
«Vieni
con me, dobbiamo controllare che non ci siano problemi alle barriere»
gli abbaia contro rauco e lui non può fare a meno di trattenere un
moto di stizza nel sentire quella feccia dargli ordini. Quelli come
quella merda meritano di diventare cibo per i vermi. Facile fare i
gradassi e attaccare degli studenti invece che adulti in grado di
difendersi. Ma
ai deboli piace giocare facile, pensa
quasi con pietà,
li fa sentire potenti.
«Fra poco arriveranno gli Auror. Cerchiamo di muoverci e trovare
quanti più Purosangue possibile. Quei bastardi si nascondono peggio
dei ratti nelle fogne» ringhia disgustato.
Quando
gli volta le spalle, certo di trovarsi in presenza di un alleato,
Lance si china leggermente in avanti, così da poter raggiungere lo
stivale e afferrare la bacchetta che è lì nascosta.
Mette
via la sua nella tasca del mantello e prova una strana sensazione –
un grumo di feroce esaltazione e timore reverenziale – nello
stringere quel legno scuro. Nemmeno si accorge di piegare le labbra
in un sorriso deliziato.
«Impero»
sussurra
a bassa voce, osservando l’altro drizzare le spalle e tornare a
guardarlo in faccia. Sotto la maschera intravede due occhi vacui
fissarlo, in attesa di ordini. «Ascoltami bene. Andremo dai tuoi
compagni che proteggono quello che controlla le barriere e quando
vedrai che ti avranno riconosciuto e abbassato la guardia, dovrai
fare una piccola cosa per me» afferma quasi dolce, sospirando di
piacere.
«Certo»
risponde quello meccanico, in balia del suo incantesimo.
Lui
continua a sorridere, facendogli un cenno del braccio per invitarlo a
indicargli la strada da percorrere
Dominique
non riesce a fare a meno di mangiarsi le unghie.
È
un’abitudine disgustosa che credeva di aver perduta ma che ogni
tanto - quando il livello di stress raggiunge il picco - torna a fare
capolino.
Osserva
Jude Burke, steso immobile sul tavolo del salotto, febbricitante di
febbre e vittima di un'emorragia che lo sta rendendo sempre più
debole.
L’unica
cosa che può fare è pronunciare un incantesimo che gli allevierà
per qualche tempo la sua sofferenza, anche se non lo aiuterà a
salvarsi.
Getta
ansiosa un’occhiata fuori dalla finestra, dove il cielo di ottobre
è violaceo a causa di quelle barriere che hanno tagliato fuori
Hogsmeade dal resto del mondo.
In
piedi accanto al tavolo, non può fare a meno di aspettare che
quell’incubo finisca presta.
Nemmeno
sapere che Louis e gli altri suoi cugini sono al sicuro – grazie a
delle rapide chiamate attraverso lo Specchio Gemello che porta sempre
con sé – riesce a tranquillizzarla e a tamponare il panico di
quell'attesa snervante.
«Evan sapeva come generare la paura nel nemico. Oserei dire che il suo fosse quasi un talento naturale, estremamente prezioso quando ci si trova in guerra. Perché sprecare energie inutili quando si può manovrare l’avversario per fargli fare il lavoro al tuo posto? Con il tempo scoprirai che le persone sono estremamente facili da manipolare».
Dividi
et impera. Sarà anche la strategia bellica più vecchia del mondo ma
funziona sempre, pensa
Lance quando la sua marionetta attacca quello che manteneva attive le
barriere, facendole crollare al suolo coperto di neve e spezzando gli
incantesimi all’istante gli incantesimi che isolavano Hogsmeade.
Nel
secondo che segue, dove gli altri Purificatori osservano il suo
inebetiti, talmente sconvolti dal reagire, lui non può fare a meno
di sorridere. Sa che è una questione di attimi primi che gli Auror
si Smaterializzano per cui, dal suo nascondiglio all’angolo di una
stradina, dissolve immediatamente la Trasfigurazione, facendo tornare
nero il suo mantello e una pietra la maschera che ha indossato.
Sta
riponendo la bacchetta al sicuro nel suo stivale, riprendendo dalla
tasca quella che ha acquistato quando aveva dodici anni nel momento in cui delle
grida acute squarciano l’aria.
Sì,
riflette
distratto, scuotendo con noncuranza il capo, effettivamente
una gola tagliata e del sangue possono fare questo effetto.
«La paura non è una debolezza, ragazzo. Solo gli sciocchi non la temono. Il vero nocciolo è che non bisogna cadere in balia di essa, bisogna imparare a dominarla e ad assaporarla negli occhi nel nemico. Non farti impietosire da suppliche o patetiche preghiere. Ricordati queste parole quando rischierai di provare un briciolo di compassione: che non osino più, mai più».
*
«Le
ripeto che sto bene, non è assolutamente necessario che perda il suo
tempo»
«Dominique,
piantala» la redarguisce maman,
secca, seduta accanto a lei in uno dei tanti lettini che costellano
l’Infermeria, gremita di studenti e di genitori. «Sei forse una
Guaritrice?» si informa severa.
«Non
ancora» risponde lei, velenosa, trattenendosi a stento dallo
sbuffare. «E non è necessario esserlo per vedere che non ho nemmeno
un graffio» sottolinea con lo stesso tono, corrugando le
sopracciglia.
Appena
le barriere sono cadute, come d’accordi con Lance, è uscita
dall’abitazione in cui si era rifugiata per lanciare in aria un
Periculum.
Non ha dovuto attendere molto prima che un paio di Auror giungessero
in suo soccorso.
Ormai
al sicuro – da quello che ha capito, i Purificatori si sono
dispersi quando gli uomini di zio Harry hanno fatto irruzione nel
villaggio –, si è fatta docilmente condurre fino ad Hogwarts, dove
c’era una folla di genitori spaventati aspettava con i nervi a fior
di pelle notizie riguardanti i figli.
Alcuni
dei quali non hanno avuto la mia stessa fortuna, constata
concreta, scrutando con le iridi chiare tutti i letti occupati da
ragazzi che hanno il corpo coperto da bende candide e sono privi di
sensi.
«Tu
e Bill siete uguali» riprende Fleur, polemica, alzando gli occhi al
cielo per l’esasperazione. «Sempre a minimizzare quando si tratta
della vostra salute»
Forse
sei tu ad essere iperprotettiva,
vorrebbe risponderle Dominique ma si morde la lingua per cedere a
quella tentazione.
Osserva
con nervosismo le dita sporche del sangue di Jude Burke.
«Credevo
che i Purificatori fossero stati arrestati tutti» dice, invece,
ripensando a quegli uomini con il cappuccio e mantello bianco.
L’altra
le rivolge un’occhiata attenta e affilata.
«Tu
come sai di loro?» indaga imperiosa, corrugando le sopracciglia.
Dominique
storce il viso in un’espressione eloquente.
«Ogni
tanto qualche giornale ne parla, soprattutto ricordando quello che è
successo a Diagon Alley» svela con sufficienza, sistemandosi una
ciocca di capelli ramati dietro l’orecchio. «Allora?» la esorta
spazientita.
«Lo
saranno presto» taglia corto Fleur, una luce ardente e combattiva a
illuminarle gli occhi azzurri. «Ci penserà tuo zio» decreta
inflessibile, alludendo a Harry.
Lei
non ne è tanto convinta.
«Sono
già sfuggiti agli Auror una volta e se dovesse accadere di nuov-»
«Dominique,
ci penseranno gli adulti» la blocca sua madre, dura e sferzante,
intimidendola con un’occhiata. «Tu devi solo riposarti e
dimenticare quanto è successo».
Sta
già per replicare, incapace di tenere a freno la lingua, quando
l’urlo di uno studente, sdraiato a un paio di lettini di distanza,
rimbomba nell’Infermeria e fa sussultare i presenti per lo
spavento.
Approfittando
del momento di confusione che è seguito, dove tutti hanno
inevitabilmente orientato l’attenzione a quel povero ragazzo che
sta coraggiosamente patendo gli incantesimi di Madama Chips per farsi
rimettere in sesto, Dominique, con disinvoltura e ben attenta a non
provocare il benché minimo rumore, scivola via da quell’angolo
dove sua madre l’ha costretta a stare ferma e imbocca l’uscita
nel minor tempo possibile.
Una
volta fuori dall’Infermeria, si dirige ad ampie e disperate falcate
verso i sotterranei del Castello. Ha controllato più volte con lo
sguardo che Lance non fosse tra i feriti, ragion per cui è convinta
che lo troverà nella Sala Comune di Serpeverde.
Taglia
per i ritratti, utilizzando tutte le scorciatoie possibili, finché
non arriva al piano terra. Con passi talmente rapidi da avere il
fiato corso, sta girando l’angolo per raggiungere l’ultimo
corridoio che porta all’ingresso di Hogwarts.
Voltato
l’angolo, si immobilizza di colpo.
Sbatte
un paio di volte le palpebre, come per accertarsi di non aver preso
un abbaglio, e un sorriso spontaneo le nasce sulle labbra. Abbassa le
spalle, rilassando la postura, mentre un’esplosione di sollievo si
dirama nel petto.
Lance
è lì, davanti a lei, a una decina di passi di distanza. Sta bene,
non sembra aver riportato ferite o danni da quella missione suicida
che ha cocciutamente deciso di intraprendere.
Le
viene da ampliare il sorriso quando vede quegli occhi azzurri gelidi
e baluginanti di divertimento.
Con
il cuore più leggero, Dominique gli si avvicina. Dimenticando di
essere in un corridoio, dove chiunque potrebbe vederli insieme,
rimane per un istante immobile nel momento in cui gli è di fronte.
Poi, appoggiandogli le mani sulle spalle, si alza sulle punte dei
piedi per raggiungere la bocca dell’altro.
Non
lo fa con la solita bramosia, e in seguito si sorprenderà di questo
ma non ora. L’unica cosa che riesce a pensare è che è in salvo –
con
lei
-
e che può finalmente tornare a respirare, lasciando svanire l’ansia
dovuta all’incertezza di non sapere che cosa fosse successo una
volta che lui ha lasciato l’abitazione in cui lei e Jude si erano
nascosti.
Con
il sangue che le pompa più velocemente nelle vene – è un
controsenso sentirsi calme e al contempo elettrizzate –, Dominique
si lascia sfuggire un mugugno di piacere quando Lance appoggia
le mani sui suoi fianchi, tirandosela contro, abbassando leggermente
il capo così da ricambiare meglio il bacio e sfiorarle di nuovo con la
lingua il labbro inferiore.
«Se
ottengo ogni volta questa accoglienza» esordisce lui, svagato, nel
momento in cui si separano per prendere fiato. «Ricordami di
rischiare la vita più spesso» termina leggero.
Lei
si scioglie in una risata bassa e moderata, che si porta via le
ultime briciole di tensione che le era rimasta appiccicata addosso.
«Stai
bene» afferma lieve, non badando affatto a quanto sia morbido il suo
tono.
«Sto
bene» conferma Lance, rilassato, non accennando a lasciarle i
fianchi. «Come vedi, non c'era bisogno di preoccuparsi» sottolinea
compiaciuto, le iridi scintillanti di trionfo per aver avuto ragione.
«Allora, cos'è che dovevi dirmi?» chiede, alludendo a quando l'ha
vista esitare in quella casa a Hogsmeade, poco prima che lui uscisse
dalla porta.
Dominique
tentenna, inumidendosi le labbra.
Vorrebbe
aggiungere qualcosa – vorrebbe davvero – ma le parole le
rimangono incastrate in gola. Si limita quindi ad abbassare lo
sguardo, turbata dall’incapacità di sostenere quello dell’altro
e percependo ormai svanita quella bolla di pace nella quale era stata
precedentemente avvolta.
Con
la mente lucida si rende conto orripilata che gli è corsa incontro,
baciandolo di slancio e con quella gioia feroce che di solito rivolge
solo a Louis.
Che
diavolo mi sta succedendo? È
la domanda che le esplode in testa e alla quale nemmeno vuole
rispondere.
«Dominique!»
Si
volta di scatto quando la voce di sua madre le giunge alle orecchie.
Svelta si allontana da Lance, sistemandosi con disagio una ciocca dei
capelli ramati che le è finita davanti gli occhi mentre Fleur si avvicina a loro.
«Si
può sapere che diavolo ti è passato per la testa?» la rimprovera
maman, aspra, e in un’altra circostanza quel tono l’avrebbe
disturbata talmente tanto da scatenare una guerra. Invece in
quell’occasione, Dominique non reagisce. Si limita a fissarsi le
punte delle scarpe, il volto arrossato per l’imbarazzo. «Fuggire
dall’infermeria come una ladra! Ti rendi conto dello spavento che
mi sono presa quando mi sono accorta che non eri più al mio fianco!
E tu chi sei?» indaga, voltando il viso verso il Serpeverde e
corrugando la fronte, accigliata.
Quando lo vede piegare le labbra in un sorriso cordiale ma con
quell’aria di chi sta gongolando come un infame perché sa che
metterà nei casini l’altra nel momento in cui aprirà bocca.
Stringe
i pugni lungo i fianchi, allarmata e con la tentazione di saltargli
addosso per impedirgli di parlare.
«Lance».
Dominique ussulta quando sente quell'unica parola gelida e affilata come una
coltellata. Si gira all’indietro lentamente, il volto preoccupato e
il respiro corto.
Si
ritrova a fissare un uomo alto, avvolto in un pesante mantello scuro da
viaggio, dall’altro capo del corridoio. Quello che la impressiona
di più non è la somiglianza con il ragazzo che le sta accanto ma
quegli occhi che sembrano impregnati di ghiaccio e quasi assorbono la
poca luce delle fiaccole.
Una
sensazione tetra le cade addosso di colpo, facendola sentire piccola e
vulnerabile.
Deglutisce,
spaventata da morire.
«Vati»
risponde
Lance, noncurante, anche se ha perso il sorriso.
Il
mago degna lei e sua madre di una veloce occhiata, prima di fare un
cenno del capo al figlio.
«Vieni»
ordina secco, incamminandosi nella direzione dalla quale è venuto.
Lance
sospira, il volto teso e gli occhi indecifrabili. Le pare quasi di
scorgere il desiderio di ribellarsi ma è un lampo che dura solo un
istante, perché in quello seguente lui ubbidisce, scoccandole un
rapido e freddo cenno di saluto.
*
«Raccontami
quello che è successo».
«Lo
sai quello che è successo o non saresti qui».
«Lance».
Lui,
il fondoschiena appoggiato contro un banco, non può fare a meno di
fissare suo padre che, immobile a due passi di distanza, ricambia con
uno sguardo scuro e penetrante. Nonostante ormai siano alti uguali,
c'è sempre quel misto di timore che si trascina fin da bambino
quando vede quelle iridi gelide puntate addosso.
Si
limita quindi a sospirare senza emettere rumore, prima di iniziare a
parlare.
«Si
sono Smaterializzati all'improvviso» esordisce, la voce distaccata.
«Credo che fossero una dozzina e che, prima di attaccare, abbiano
lanciato gli incantesimi per impedire a chi si trovava all'interno
dei locali e abitazioni, di uscire e combattere. Molto probabilmente
volevano vedersela solo con degli studenti» deduce, piegando le
labbra in basso, in una smorfia che esprime tutto il suo disprezzo.
Codardi,
è la parola che preme per uscire dalla sua bocca.
«Poi?»
lo sprona suo padre, sollecito. «So che hanno eretto delle barriere
per impedire l'intromissione degli Auror» aggiunge, inclinando il
capo e scrutando a fondo, con attenzione.
Lance
annuisce, non stupendosi che conosca quell'informazione.
Probabilmente l'avrà sentita in qualche corridoio del Ministero
prima di precipitarsi a Hogwarts.
«Due»
precisa spiccio. «Servivano per evitare che la gente si
Smaterializzasse dentro e fuori Hogsmeade».
Suo
padre serra le palpebre, aggrottando anche la fronte.
«Come
fai a sapere che erano due?» domanda titubante, prima che un lampo
di consapevolezza gli attraversi il viso e stringa con forza la
mascella. «Dimmi che non hai fatto quello che penso» ringhia tra i
denti, abbassando per un attimo le palpebre per imporsi calma.
Lui
gli scocca uno sguardo sferzante.
«Che
cosa avrei dovuto fare?» attacca gelido, sentendo la rabbia
ribollire nelle vene.
«Ti
avevo detto di mantenere un basso profilo» tuona l'uomo, fremente di
rabbia, avvicinandosi di un passo. Con tutta probabilmente, se non
avesse insonorizzato l'aula nella quale si sono ritirarti per poter
parlare con la certezza di non essere a portata di orecchio da parte
di qualche impiccione – quadri compresi –, non si sarebbe mai
lasciato andare a simili confessioni.
Lance
si alza in piedi, fronteggiandolo.
«L'ho
fatto» sibila in risposta, il viso livido. «Ho preso tutte le
precauzioni necessarie per non attirare l'attenzione ma stavolta non
avevo scelta: Jude stava perdendo troppo sangue, gli Auror potevano
non arrivare in tempo» spiega pratico, fomentandosi.
Suo
padre lo fissa per un momento, in silenzio.
«Sei
stato tu a far cadere le barriere» deduce svelto, restando immobile.
«Sei andato a combattere» continua, l'irritazione che torna a
colorargli la voce.
Lui
scrolla le spalle, spostando per un attimo le iridi a sinistra mentre
si inumidisce la bocca.
«Non
avevo scelta» ripete inflessibile, affatto pentito delle sue
azioni. «E sapevo come infrangere quelle protezioni. Me lo hai
insegnato tu, ricordi?» provoca impudente.
L'altro
inarca un sopracciglio, trafiggendolo con uno sguardo che non sa bene
come decifrare.
«Che
incantesimi hai usato?» pretende di sapere, imperioso.
«Stupeficium,
Protego,
la solita roba per nulla incriminante».
«Solo?»
Lance
socchiude appena le iridi azzurre e gelide.
«Fai
prima a formulare la vera domanda» lo sfida con un velo di sarcasmo,
consapevole di alimentare la furia del genitore.
Suo
padre lo scruta a lungo con due occhi gelidi.
«Hai
utilizzato la sua bacchetta, vero?» indaga tagliente.
«Rispondi!» ordina impetuoso al silenzio che segue.
Lui
inarca le sopracciglia, prima di voltare il capo a sinistra.
«Maledizione
più, maledizione meno» mormora distaccato, le iridi che tornano a
incrociare quelle scure. «Dubito che a Evan dispiaccia» ironizza
asciutto.
«Da
quando le pratichi?» ribatte l'altro, impallidendo per la rabbia.
«Julian» sibila, a denti stretti, abbassando per un momento le
palpebre. «È stato un errore permettere al suo ritratto di
gironzolare indisturbato per Rosier Castle. Ti ha plagiato» conviene
tra sé, caustico.
«Non
la pensavi così quando ti ha addestrato» replica Lance, spietato,
storcendo le labbra in una smorfia a metà tra la beffa e
l'incredulità.
«Erano
tempi diversi» stabilisce suo padre, brusco. «C'era la guerra»
spiega stringato.
«Anche
adesso» prorompe lui, gelido. «O hai dimenticato?» chiede
sferzante, senza riuscire a trattenersi dall'alludere a quello.
Contempla
l'uomo fremere, incamerando aria dai polmoni per cercare di scacciare
il nervoso che gli scuote le membra e gli ha fatto serrare con forza
i pugni lungo i fianchi.
«Non
farlo, Lance» lo redarguisce, a denti stretti, avvertendolo del
pericolo al quale sta andando incontro con tanta scelleratezza. E
lui, ancora una volta, sente dentro di sé quella strisciante
sensazione di inadeguatezza che l'ha accompagnato per tutta
l'infanzia. Non così debole, si è promesso quasi dieci anni prima,
mai più così debole. «Non costringermi a punirti» continua
feroce, trafiggendolo con un'occhiata di pura furia. Lo vede
abbassare per un istante gli occhi, ragionando su quali saranno i
possibili scenari futuri. «Gli Auror ti interrogheranno, lo faranno
con tutti quelli che erano per strada a Hogsmeade. Quando ti faranno
le loro domande, ricordati di non cambiare mai versione e-»
«So
come funzionano gli interrogatori» lo blocca Lance, brusco, quasi
irritato di essere ritenuto incapace di gestire quella situazione.
«Questo
non è un gioco».
«Ti
sembra che stia giocando?» chiede affilato, gli occhi azzurri
gelidi.
Suo
padre prende un respiro profondo, abbassando le spalle.
«Mi
sembra che tu ti stia comportando come un ragazzino che brama la
guerra senza sapere che cosa significhi davvero» sbotta aggressivo,
fissandolo quasi con compatimento e facendogli crescere nel petto un
fastidio bruciante e smanioso di distruggere. «Andrò a casa dopo
essere passato a vedere come sta Jude. E la bacchetta di Evan tornerà
a Rosier Castle con me» stabilisce definitivo, allungando una mano e
facendogli cenno di consegnargliela. «Avanti, dammela!» ordina
inflessibile.
*
«Temevo
ti fosse successo qualcosa».
Louis
glielo sussurra tra i capelli ramati e Dominique non può fare a meno
di sorridere, confrontata da quell’abbraccio amorevole che è in
grado di scaldarle il petto e donarle un senso di quiete.
Dopo
quella giornata, solo Godric sa quanto ne abbia bisogno!
«Ero
al sicuro» biascica contro il maglione dell’altro, le braccia che
lo stringono all’altezza della vita. Poi allontana, quel tanto che
basta per incamerare più aria possibile, abbassare le palpebre e
guardarlo dritto in faccia. «Sono tornate» mormora in un sussurro
debole, terrorizzata a morte.
Lui
aggrotta la fronte, perplesso, le iridi chiare baluginanti di
incredulità.
«Impossibile»
sentenzia logico, scuotendo il capo per scacciare via quei dubbi
assurdi. «Non eravamo insieme» puntualizza riflessivo.
«Lo
so» concorda lei, nervosa, deglutendo ansia e paure. «Ma è già
successo una volta» ricorda piatta.
«È
stato quasi dieci anni fa».
«Questo
potere non segue uno schema».
Louis
scuote appena il capo, distogliendo per un istante lo sguardo.
«Domi,
non c'è nulla di sbagliato nell'avere delle visioni» tenta
conciliante, sorridendole con dolcezza.
Lei
scuote il capo, nervosa.
«Non
voglio vedere» sentenzia irremovibile, ad alta voce, fissandolo con
decisione. «Voglio essere normale» afferma sconsolata,
sentendo un'incredibile macigno pesarle sulle spalle e la voglia
irrefrenabile di piangere.
*
«Vedrò
di tranquillizzare tua madre».
«Va
bene».
«Sarebbe
il caso di scriverle una lettera in cui l'assicuri che sei rimasto
illeso».
«D'accordo».
«E
prenditi cura dei tuoi fratelli».
«Come
sempre, vati».
Suo
padre annuisce, avvolto nel suo tetro mantello da viaggio. Continua a
fissarlo mentre attorno a loro, sciami di genitori preoccupati si
accingono a salutare i figli e uscire dal cancello – aperto
gentilmente dalla Preside per facilitare quelle riunioni familiari –
per Smaterilizzarsi lontano da Hogwarts.
«Bene»
riprende l'uomo, schiarendosi la gola e scacciando quel velo di
imbarazzo che è inevitabilmente calato. Sta per voltargli le spalle
e allontanarsi ad ampie falcate, quando si volta di nuovo nella sua
direzione. «Mi dispiace» aggiunge impacciato, dopo un momento di
incertezza mentre lui non può fare a meno di sgranare gli occhi
sconvolto «Speravo che tu non la vivessi, la guerra» termina
desolato.
Lance
si ricompone rapidamente, riparandosi dietro un’espressione dura e
indifferente.
«Questa
non è la guerra» lo contraddice insofferente. «Solo un branco di
idioti che sperano di farci sparire solo perché qualche Mangiamorte
gli ha portato via un parente» decreta nauseato.
Suo
padre piega gli angoli della labbra verso il basso.
«A
volte le guerre partono proprio da qualche scintilla che poi divampa
in un incendio indomabile» sottolinea accorto. «Dopo quello che è
successo a Diagon Alley, questi Purificatori dovevano sparire»
sussurra brutale, stringendo la mascella con rabbia.
«Non
è detto che non lo facciano in seguito» rilancia lui, morbido, una
luce sanguinaria baluginante nelle iridi chiare. «Hanno provato ad
ucciderci più volte ma noi siamo ancora qui» dichiara con chiaro
compiacimento.
«E
non dimentichiamo» promette l’uomo, inflessibile.
E
nemmeno perdoniamo, pensa
tra sé, lasciandosi sfuggire un sorriso che non lascia presagire
nulla di buono.
*
Dominique
è immobile, avvolta nel mantello della divisa – prontamente
riscaldato da un incantesimo – e con la sciarpa della propria Casa
al collo.
Tornare
a indossare la divisa scolastica dopo la giornata che hanno avuto, è
stato di grande conforto. Perché lei sa bene, e lo sanno anche gli
altri studenti, che stare ad Hogwarts significa contare sulla
protezione delle mura centenarie e dei docenti.
Il
vento freddo che si leva dalla Foresta Proibita le ha congelato il
viso, tuttavia non accenna ad allontanarsi dal parapetto della Torre
di Astronomia né a mutare espressione.
Sente
una rabbia dentro di sé che le alza la temperatura corporea e che la
rende totalmente immune al gelo della notte. Il sollievo che ha
provato poco meno di due ore prima ha lasciato il posto ad una furia
cieca e feroce.
«Quello
che hai fatto» esordisce schiarendosi la gola, così evitare che la
sua voce risulti rauca e flebile. Storce le labbra in una smorfia
inviperita mentre scuote il capo. «È stato così... così…»
«Grifondoro?»
le viene in soccorso Lance, ironico, al suo fianco, appoggiato con i
gomiti al parapetto.
Dominique
gli scocca un'occhiata di fuoco mentre l'altro continua a fumarsi
beato la sigaretta che ha tra le dita.
«Idiota»
precisa
piccata. «Potevi morire!» lo rimprovera aspra, ancora incredula che
l’altro si sia gettato nello scontro come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
Lui
scrolla le spalle, per nulla turbato da quell'eventualità.
«In
tal caso, avrei fatto in modo di trascinarne quanti più possibile
all'inferno con me» afferma distaccato, piegando le labbra in un
sorriso mentre inclina il capo verso di lei. «Stile Evan» scherza
svagato.
Dominique
serra i pugni lungo i fianchi, tremante di rabbia.
«Non
sei divertente» sentenzia sferzante. «Nemmeno un po'».
Ancora
non riesce a spiegarsi quello che ha visto.
Lance
non ha esitato un istante ad uscire dalla casa dove loro hanno
trovato riparo ad Hogsmeade. È vero, ha preso quella decisione per
salvare suo cugino ma il modo in cui lo ha fatto e si è diretto
verso l'uscita... era come se non avesse paura, come se fosse
preparato
a
quello che l'aspettava.
E
poi lo sguardo che aveva negli occhi...
Si
è abituata a quel azzurro, a vederci gelo e ironia, eppure, quando
lui le ha ordinato di obbedirle... c'era qualcosa di spietato, di
oscuro in quelle iridi chiare.
Dominique
deglutisce, turbata, mentre si inumidisce le labbra.
Non
riesce a scrollarsi di dosso quella sensazione spiacevole che le è
rimasta appiccicata alla pelle
«Era
arrabbiato?» chiede flebile, cercando di scacciare quei pensieri
inquietanti e, al contempo, soddisfare il desiderio di sapere
qualcosa in più della vita dell'altro. «Tuo padre» precisa
spiccia.
Lo
vede scuotere il capo con noncuranza.
«Sembra
un uomo duro» butta lì cauta, consapevole di muoversi alla cieca su
un terreno che sa
potrebbe
essere fragile come una lastra di ghiaccio.
«Lo
è» conferma lui, distaccato, inspirando una nuova boccata di fumo.
«Ma ci vuole bene. Solo che non è molto bravo ad esternare i suoi
sentimenti e agli estranei appare freddo ed insensibile» continua
con sicurezza, guardando dritto davanti a sé.
Lei
socchiude appena le palpebre, confusa.
«È
sempre stato così?»
«No».
«Davvero?»
«Una
volta era più morbido».
«Sembrava
sul serio arrabbiato» ripete Dominique, aggrottando la fronte al
ricordo dell’espressione rigida e degli occhi gelidi dell’uomo.
Le pare di percepire ancora i brividi scivolarle lungo la colonna
vertebrale.
«Era
solo spaventato» la corregge Lance, lieve, guadagnandosi di nuovo la
sua attenzione e il suo sguardo. «Temeva ci fosse successo qualcosa»
spiega semplicemente, alludendo anche ai suoi fratelli.
Dominique
annuisce, respirando a pieni polmoni quell’aria gelida.
«Gli
vuoi molto bene» butta fuori piano, ponderata, abbassando il capo
per nascondere la bocca contro la lana della sciarpa.
Lui
gira il viso nella sua direzione, un sorriso che gli distende i
lineamenti.
«Non
dovrei?» replica placido. «È mio padre» aggiunge come se fosse
una spiegazione naturale e sensata.
«Quindi
andate molto d'accordo» deduce lei, simulando casualità mentre si
sente fremere per la curiosità di conoscerlo meglio senza però
darlo a vedere.
«In
realtà, litighiamo spesso» la contraddice Lance, leggero, aspirando
l’ultima boccata di fumo prima di far scomparire la sigaretta con
un Evanesco.
Dominique
sbatte le ciglia, sbigottita.
«Ah
sì?» si lascia sfuggire, perplessa. «E perché?» indaga
tentennante.
Lui
le rivolge quel suo tipico sorriso appena accennato e invitante che
le scalda il cuore, facendolo battere più velocemente nella gabbia
toracica.
«Vati
dice
che ho problemi con l'autorità e che non perdo occasione per
sfidarlo» illustra sbrigativo.
«Ed
è vero?»
«Forse
sì» ammette Lance, divertito, abbassando per un momento lo sguardo.
Mentre lo osserva con lo stomaco che le si contrae in una fitta, lei
si rende conto che Louis ha perfettamente ragione: sa davvero poco
sul suo conto, quasi nulla. Eppure quel nulla
le
piace da impazzire. «Come facevi a sapere che c'erano dei nemici
all'incrocio?» domanda a bruciapelo, risollevando gli occhi per
incontrare i suoi e facendola sussultare per la sorpresa di essere
stata beccata in pieno a fissarlo.
Dominique
boccheggia, in preda al panico.
«Li
avevo intravisti all'andata» farfuglia in un borbottio incerto e per
nulla convincente.
Lui
piega le labbra in una smorfia seccata, irritato da quella bugia
palese.
«Non
è vero» sentenzia sicuro. «Non c'era nessuno all'andata» ricorda,
scrutandola con un tale sguardo che la fa rabbrividire e deglutire
per la paura.
Lei
rimane per un momento vulnerabile, prima di storcere il viso in una
smorfia astiosa.
«Chi
è Bohort?» ribatte, allora, impetuosa.
Lo
vede allargare le pupille con un punta di smarrimento, prima di serrare
le palpebre e fissarla truce.
«Come?»
scandisce gelido.
«Bohort»
ripete Dominique, sfrontata, incurante della minaccia che sente
sospesa sopra la sua testa. «Jude ha pronunciato questo nome quando
era mezzo incosciente» spiega rapida, sicura che quel nome
rappresenti qualcosa.
Lance
la fissa con il volto indecifrabile e due occhi azzurri che sembrano
gridare furia, prima di girarsi a guardare dritto di fronte a sé.
Dominique osserva la tensione irrigidirli i lineamenti, il respiro
più lento – forse un tentativo per calmare la rabbia che, è certa,
lo sta scuotendo dall’interno – e i pugni serrati lungo i fianchi.
Consapevole
di aver toccato un nervo scoperto, decide di porre fine a quella
tensione pesante quanto un macigno che è appena calata tra di loro.
Promettendo di indagare in seguito, si inumidisce le labbra e cerca
di trovare al volo un argomento per stemperare l’atmosfera.
«Tu
gli assomigli?» domanda cauta. «Ad Evan, intendo» precisa pratica.
Lui
abbassa leggermente le spalle, assumendo una posa appena più
rilassata.
«Evan
aveva gli occhi verdi e i capelli castani» risponde meccanico, senza
guardarla.
Dominique
si appunta mentalmente la reazione che l'altro ha avuto appena ha
cambiato argomento.
«La
prima volta che abbiamo parlato mi hai detto che gli criticavi il
fatto che avesse amato troppo» ricorda con assoluta precisione, decisa a intraprendere quella strada, alludendo a quanto successo
nell’aula di Storia della Magia quasi due settimane prima. «Ho letto
qualche accenno su di lui: parlano solo delle azioni atroci che ha
commesso, non una parola buona su quello che ha detto o fatto»
rivela, facendo una smorfia indispettita.
«I
libri di storia non dicono tutto».
«I
diari sì?»
«No»
concede Lance, indulgente. «Sai solo quello che chi li ha scritti vuole
conservare nel tempo» riconosce concreto.
Dominique
piega il capo di lato, facendosi coraggio.
«Chi
ha amato?» indaga esitante.
«Una
sola donna».
«Davvero?»
replica lei, profondamente scettica. È abituata a lasciarsi andare a
piaceri fugaci, che svaniscono nel giro di qualche settimana. Un
amore che consuma e longevo, si è sempre detta, è qualcosa che
esiste solo nei libri e nelle serie tv. Nella realtà nessun
sentimento è capace di sfidare e rimanere immune al tempo. «Solo
una?» ripete, inarcando un sopracciglio con sarcasmo.
Lance
le restituisce lo stesso sguardo.
«Solo
liebchen»
confida a bassa voce. «Emme» chiarisce, davanti alla confusione
generata da quel nomignolo che a lei non dice assolutamente niente.
«Mai
sentita» confessa Dominique, aggrottando la fronte, infastidita
dalla sua ignoranza. «Tutta questa storia mi pare assurda» si
lascia sfuggire corrucciata.
«Perché?»
replica lui, morbido. «È così assurdo scoprire che qualcuno
capace delle peggiori atrocità, era anche in grado di amare?»
continua imperterrito.
«Tu
pensi che l'amava ma potrebbe non essere stato così» riflette lei,
pensierosa.
«No»
la contraddice Lance, inflessibile, non con arroganza ma con
sicurezza. «Io so
che
l'amava» continua certo. «E so che ha fatto quanto era in suo
potere per fare in modo che lei sopravvivesse alla guerra» termina
in un sussurro.
«Ma
Emme è morta comunque» deduce Dominique, sveglia.
Lui
annuisce.
«Più
di un decennio dopo» conferma distaccato, scrollando le spalle.
«Evan non ha potuto impedirlo. Era già in una bara» afferma
indelicato. «Ah, tra l'altro, era una di voi» aggiunge con
casualità.
Lei
strabuzza gli occhi.
«Di
noi?» ripete spaesata.
«Dei
buoni» spiega Lance, spiccio.
Dominique
boccheggia, incapace di pronunciare qualsiasi parola.
«E
allora come ha fatto ad amare un Mangiamorte?» domanda allibita,
quando riacquista il controllo, senza accorgersi di essersi
avvicinata all'altro e di scrutarlo con una vorace curiosità dipinta sul
volto.
Lui
scuote la testa, noncurante.
«Credo
che per lei fosse solo Evan» afferma lieve, storcendo le labbra in
una smorfia pensierosa. «Erano cresciuti insieme, da piccoli erano
persino promessi, penso che fosse del tutto naturale innamorarsi
di lui» racconta impassibile.
Lei
si lascia sfuggire uno sbuffo di stizza.
«E
Evan ha scelto Voldemort» serpeggia velenosa.
«No»
la contraddice Lance, stupendola di nuovo e piegando le labbra in un
sorriso beffardo. «Non quando si trattava di Emme. Lui non l’ha
mai lasciata andare» decreta con tale forza in da risultare
indiscutibile.
Dominique
rimane ferma a studiarlo, attenta.
«Sembri
contrariato» dice dubbiosa, serrando appena gli occhi.
«Si
vede, vero?» ribatte lui, lasciandosi sfuggire un accenno di sorriso
per nulla divertito, prima di tornare serio. «Penso che amarla sia
stato il suo errore più grande. Non è stata la guerra ad ucciderlo,
è stata lei. Emme lo rendeva avventato, folle, stupido»
elenca insensibile.
«Sei
crudele» lo rimprovera lei, blanda.
«Solo
pragmatico» precisa Lance, leggero. «Ma capisco che ci sono persone
che non si riescono a smettere di amare, per quanto si dovrebbe»
conclude in un mormorio appena udibile, scuotendo il capo con quella
che pare tristezza.
Dominique
schiude le labbra, cercando di dare un senso a quell’informazione.
«Come
la Greengrass?» chiede affascinata, sporgendo ancor di più il viso
a sinistra.
Lui
inarca le sopracciglia, guardandola con quella compassione che fa
scoppiare all’istante quella bolla di interesse che l’aveva
intontita e riportandola brutalmente alla realtà, a quella sera
fredda nella Torre di Astronomia.
«Stai
guardando la cosa dalla prospettiva sbagliata. La realtà è molto
più semplice» la sbeffeggia con un ghigno. «Evita di fare altre
domande indiscrete. Oggi hai ficcato abbastanza il naso nella mia
vita» l’anticipa, bloccando sul nascere la replica al vetriolo che
le stava già sfuggendo dalla punta della lingua.
Dominique
si rinchiude dietro un’espressione di sufficienza, drizzando la
schiena con quella che ritiene grande dignità. Nemmeno si rende
conto che presto l’irritazione per i modi dell’altro lascia lo
spazio a dubbi che le pungolano la coscienza e che la portano a
corrugare le sopracciglia, inquieta.
Si
ritrova a ragionare su quanto lui le ha detto qualche attimo prima,
riferendosi a Evan e a questa Emme.
Dare
tutto quel potere ad un'altra persona è da folli, decreta
convinta, non capacitandosi di come le persone possano essere così
stupide. Ti
distruggerà, prima o poi. Sono poche le persone delle quali ci si
può davvero fidare. Io ho Louis, Etienne…
Alza
di riflesso le iridi su di Lance, incrociando il suo sguardo gelido e
– davvero
– non vorrebbe provare quel brivido di piacere che le si è
insinuato sotto pelle, nel sangue e nella mente. Perché prendersi
una cotta – o peggio – per l'altro è un errore madornale, ne è
perfettamente conto, ma non riesce a frenarsi dal provare qualcosa.
L’apatia
è sempre stata sua amica, una corazza dietro alla quale nascondersi
ed essere intoccabile dal resto del mondo.
Non
è salutare che mi piaccia così tanto,
pensa
irritata, piegando le labbra in una smorfia scontenta.
La
soluzione migliore – quella che la sua ragione non fa altro che
suggerirle da quando è stata portata in Infermeria – sarebbe
allontanarsi da Lance e prendere le distanze da quello che prova. Il
tempo è la medicina più efficace per farsi passare quell’orribile
grumo di sentimenti che non ha fatto altro che rafforzarsi quando lo
ha rivisto nel corridoio del Castello, salvo e di nuovo
con
lei.
Eppure
non vuole. Perché il desiderio di averlo accanto è più forte di
ogni cosa.
Ignorando
quel richiamo al buon senso si spinge verso l’altro, circondandogli
il torace con le braccia e affondandoci contro il viso.
«Calo
d'affetto?» ironizza lui, implacabile, e può immaginare il sorriso
beffardo che ha assunto.
«Sta
zitto, Lance».
"Non
è un crimine amare ciò che non puoi spiegare."
The
Vampire Diaries
Voi
capite perché l'ho dovuta dividere in due parti?
Perché
una os di quasi trenta pagine è troppo persino per me. Okay che sono logorroica ma a tutto c'è un limite!
Già mi
girano perché sono stata costretta a rimandare una scena alla
prossima storia (ho dovuto non tanto per la lunghezza – una pagina
in più non fa questa grande differenza – ma perché contiene uno
spoiler. E sono troppo curiosa di leggere le vostre ipotesi prima di
fornirvi la soluzione sul perché del piano malefico di Lance).
Vabbè,
passiamo alla storia.
Nel
mio headcanon – da quale consiglio sempre di tenersi alla larga
perché è un gran casino – immagino che dopo la vittoria di Harry,
le famiglie che sostenevano Voldy non se la siano passata molto bene.
Qualche Mangiamorte sarà stato arrestato, qualcuno sarà scappato
all'estero ma credo che l'opinione pubblica non sia stata soddisfatta dei
provvedimenti presi dal Ministero.
Magari
l'odio e il sospetto verso i Purosangue si sono estesi anche a quelle
famiglie che non si sono schierate durante il secondo conflitto, tra
cui i Rosier. Evan, per me, è stato l'ultimo Mangiamorte di questa famiglia.
Dopo di lui non ce ne sono stati altri.
Anche
se terminata la prima guerra, la famiglia è rimasta neutrale, la
fama che Evan e Julian hanno fatto guadagnare al loro cognome non è
stata delle migliori. Di conseguenza penso che, alla fine della
Seconda Guerra Magica, i Rosier abbiano continuato ad essere additati
come Mangiamorte e seguaci dell'Oscuro.
Per
la cronaca: Lance e i suoi fratelli sono gli ultimi Rosier rimasti.
Non esistono altri discendenti o rami cadetti. Se loro muoiono, la
dinastia si estingue.
(Giusto
per dare quel tocco di tragicità)
Chi
segue anche Condannati si sarà sicuramente accorto
dell'accenno a Evan ed Emme (più l'ormai ricorrente lui non l'ha
mai lasciata andare). Ci saranno ancora riferimenti a loro ma non
compariranno come personaggi, a differenza di Julian (che tornerà,
eccome se tornerà).
Come
al solito vi ringrazio per la pazienza con cui sopportate i miei
ritardi e spero di non deludervi con la prossima os.
Un
abbraccio e buona domenica,
Blue