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Autore: Francyzago77    17/03/2022    5 recensioni
Questa storia nasce come seguito de "La figlia di Georgie". Sono passati diversi anni, quelli che erano bambini sono ormai cresciuti e coltivano sogni, desideri, amori e sentimenti che s'intrecceranno con le vite dei loro genitori.
Dopo più di un anno che era nel cassetto ho deciso di pubblicare questo racconto...consiglio di leggere "Georgie il sequel" e "La figlia di Georgie" dato che questa ne è la prosecuzione.
La maggior parte dei personaggi presenti non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Izawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Arthur Butman, Georgie Gerald, Maria Dangering, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cosa è successo al bambino? – gridò Percy avendo visto suo figlio con la gamba fasciata e le ferite in volto.

Era rientrato tardi e nel salone aveva trovato, con suo stupore, Lewis ancora alzato insieme a Sophie abbracciati sul divano.

-Un piccolo incidente – iniziò a spiegare lei, accarezzando la testa del bimbo – nulla di grave, tra qualche giorno sarà passato tutto.

-Non lo hai sorvegliato? – chiese con rabbia a sua moglie – Da dove è caduto?

Sophie si morse il labbro inferiore, abbassò lo sguardo e raccontò:

-Da un albero. Era andato in paese con Thomas, al mercato.

-Al mercato con Thomas? – si scandalizzò Percy interrompendola – Come ti è saltato in mente di mandare il bambino a fare un giro al villaggio con la servitù?

-Ci sono voluto andare io! – esclamò Lewis con naturalezza –Mi era piaciuto tanto quel posto quando, con il calesse, la mamma mi ha portato lì qualche giorno fa.

-Fai silenzio! – intimò Percy al figlio – A quest’ora dovresti già essere a dormire, domani mattina viene il signor Russell per la lezione.

-Non voglio studiare con il signor Russel! – piagnucolò il ragazzino, e poi rivolto alla madre aggiunse – Voglio andare a quella scuola che abbiamo visto insieme, in campagna.

-Ti ordino di filare in camera – continuò Percy alterato, chiamando la cameriera per far condurre il bimbo nella stanza da letto.

Uscito Lewis, marito e moglie iniziarono a discutere animatamente.

-Vuoi spiegarmi – esordì lui agitato – cosa sono tutte queste novità? Perché mio figlio va a passeggio con i domestici? E non avrai intenzione di mandarlo a una scuola pubblica? Spero di non aver compreso bene.

- Giorni fa – raccontò Sophie cercando di mantenere la calma – avevo voglia di andare a vedere i luoghi dove sono cresciuta, ho preso il calesse ed ho portato il bambino con me. Siamo passati per la prateria, poi al villaggio ed infine davanti alla scuola. Non siamo mai scesi ma Lewis ha visto i ragazzini in cortile, ha mostrato interesse ed io gli ho spiegato che lì si studia tutti insieme, si impara ma ci si diverte anche. Oggi ho mandato Thomas a fare la spesa al mercato, ci sono ottimi banchi, Lewis mi ha chiesto di poter andare, ho acconsentito. 

-Hai fatto malissimo – la interruppe Percy – un mercato di paese non è un posto adatto ad un bambino. Saresti dovuta andare anche tu, se proprio ci tenevi tanto.

-Stavo dipingendo – si giustificò Sophie – sto terminando il mio quadro, non potevo.

-La pittura – domandò suo marito con sarcasmo – è più importante di tuo figlio?

-Tu non ci sei mai! – ribatté lei piccata – Come puoi giudicarmi! Non ti occupi di lui, sei sempre fuori. A proposito, ti sei già trovato un’amica oppure stai frequentando uno dei fantastici bordelli giù al porto?

-Ascolta Sophie – rispose Percy con sicurezza – ho acconsentito di tornare in Australia per vederti più felice, per esaudire il tuo desiderio di ricongiungerti alla tua famiglia. Non ho nulla in contrario se vai a trovare i tuoi e puoi portarci Lewis, ma ricorda che il bambino è un Gray e come tale va trattato. Non può andare in giro per mercati e né tantomeno frequentare una scuola pubblica. Non lo permetterò mai! Sto pagando il signor Russell che è il miglior insegnante della città, io voglio il meglio per mio figlio, ricordalo.

-Il meglio per il bambino – disse lei – è avere dei genitori che gli vogliono bene e che si vogliono bene.

-Sei tu quella insofferente – replicò con molta calma Percy – io ti sto venendo incontro in tutti i modi. Perché non sei ancora andata a trovare la tua amata famiglia? Hai paura che non ti vogliano vedere?

Sophie fece una smorfia di disappunto poi manifestò tutta la sua insicurezza.

-Non saprei come incominciare il discorso con loro – balbettò titubante.

-Però sei andata in incognito – rise Percy – portando Lewis con te.

-Non prendermi in giro – continuò lei innervosita – per me non è facile, se tu mi aiutassi in qualche modo.

-Cosa vuoi da me? – domandò suo marito con sgarbo – La famiglia è la tua e sono problemi tuoi. 

Si avvicinò scostandole i capelli e baciandola sul collo le disse:

-Io posso solo amarti, così.

Ed iniziò a scendere con le labbra e le mani. 

-Amarmi? – chiese Sophie fermandolo piena di rabbia – Mi hai tradita diverse volte, sei andato via e poi ritornato. Mezza Firenze conosceva le tue tresche, io ti ho sempre perdonato, Dio  solo sa il perché. 

-Se sono tornato – rispose l’uomo accarezzandole il viso – è perché ci tengo a te.

Sophie lo scansò per poi replicare:

-Non mi sembra tu ci tenga così tanto! 

-Io ritorno sempre da te – affermò Percy avvicinandola e stringendola forte.

-Mi fai male! – ribatté con vigore lei – Vattene, sei odioso.

Nel lasciare la stanza, il giovane sentenziò:

-E poi ti stupisci se ho un’amante. Comunque le decisioni riguardo il bambino le prendo io. Buonanotte.

Sophie aveva tanta rabbia in corpo che non riuscì neppure a piangere. 

Rimase sola, come ogni sera.  

 

-Sei proprio sicuro – chiese Daisy a suo marito – di quello che stai facendo?

Era passato qualche giorno dall’incontro con il bambino, Eric quella mattina si infilava la giacca, si sistemava bene l’abito davanti allo specchio e si accingeva a partire.

-A Georgie – continuò la giovane a bassa voce perché la piccola dormiva – non hai detto nulla? E neppure ad Abel o a tuo padre?

-No – rispose lui determinato – adesso voglio chiarire in prima persona tutta la faccenda.

Si avvicinò alla porta e aggiunse:

-Stasera sarò di ritorno. Se viene qualche paziente e tu non puoi esser d’aiuto, mandalo dal dottor Sullivan. Ma vedrai, il giovedì è una giornata tranquilla, non arriverà quasi nessuno.

La baciò teneramente, Daisy ancora stupita disse:

-Dovrebbe essere lei a fare un primo passo di riavvicinamento.

-Lo so – ribadì Eric – ma ragionando in questo modo non arriveremo mai da nessuna parte. Conosco troppo bene Sophie, se ancora non è venuta qui un motivo ci sarà.

Sorrise e la salutò di nuovo per poi scendere le scale.

Prese il calesse, diretto a villa Gray.

Non aveva mai pensato di doverci ritornare ancora una volta, dopo quella notte.

Era Sophie a dover fare il primo passo, non lui. Daisy aveva ragione.

Eppure sentiva che non stava sbagliando, l’orgoglio andava messo da parte.

Sapeva che Sophie era volubile, instabile e testarda.

Però era ritornata e un perché doveva esserci.

Stava andando a conoscere le sue ragioni, le sue motivazioni.

Percepiva che, per l’ennesima volta, Sophie aveva bisogno del suo aiuto.

Non riusciva a tirarsi indietro.

E moriva dalla voglia di parlarci anche per riprendere tutto ciò che si era spezzato durante quella maledetta notte d’addio a villa Gray.

Villa Gray.

Il maestoso cancello sembrava fissarlo con austerità.

Eric era fiducioso, forse questa volta l’accoglienza sarebbe stata buona.





 
   
 
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