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Autore: Weareadream    18/03/2022    0 recensioni
Ci tengo a precisare che la storia da cui traggo ispirazione per questa mia fanfiction, non mi appartiene ma anni fa ebbi il permesso della scrittrice di scrivere un finale alternativo alla sua nel caso avessi voluto. Non ho idea se lei usi ancora questa piattaforma, se mai vedrà questo mio tentativo, ma in ogni caso glielo dedico tutto. Grazie a Venusia per la splendida storia che creò e che ancora ad oggi leggo con le stesse identiche emozioni d'allora.
Nel primo capitolo metterò il link per raggiungere la storia principale e per quanto le coppie potrebbero non piacervi, ci tengo davvero la leggiate perché merita davvero tanto, sia per la caratterarizzazione dei personaggi, sia per la scrittura.
Quante persone stavano soffrendo in quel momento a causa mia ? Sarei dovuto correre a casa, farmi vedere e tranquillizzare tutti. Io non ero morto, io ero ancora qua e non me ne sarei più andato. Se mi ero risvegliato un motivo doveva pur esserci, il mio imprinting probabilmente aveva ceduto e finalmente l’aveva accettata. Tutti i nostri sogni per il futuro sarebbero potuti essere realtà, l’avrei resa per sempre mia anche davanti alla legge quando il sole sarebbe sorto.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jacob Black, Rosalie Hale
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Eclipse
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Quello che ci si aspetterebbe di sentire dopo la propria morte sarebbe dovuto essere un senso di beatitudine e se non quello, il vuoto assoluto. Ormai te ne sei andato, perché la tortura dell’anima dovrebbe continuare?
Eppure quel cuore che tante volte avevo ritenuto forte e che invece burlandosi di me si era dimostrato debole, anche in quel momento continuò a torturarmi.
Il bruciore che pochi istanti prima della mia dipartita sembrava avermi dato tregua, perché ormai ciò che c’era da dilaniare era stato fatto in brandelli, tornò a farsi prepotentemente vivo dentro di me.
Avrei voluto urlare, portare le mani al petto e stringere finché non si fosse nuovamente placato, ma non un suono abbandonò le mie labbra, le braccia continuarono a rimanere inerti lungo il mio corpo.
Che quella fosse la dannazione eterna per essere andato contro a tutti i principi che da sempre la vita aveva creato?
Ma quell’eternità ricolma di dolore l’avrei sopportata ben volentieri se fosse servito a regalare un esistenza migliore a lei.
Lei che si sarebbe disperata, lei che si sarebbe chiusa ancora una volta nel suo dolore, lei che pian piano ne sarebbe uscita grazie alle persone care che la circondavano e avrebbe avuto una vita serena nella quale realizzare i suoi sogni.
Certamente avrei voluto esserci anche io al suo fianco, ma la vita da sempre era stata beffarda nei miei confronti e se la scelta di chi la morte avesse dovuto prendersi ricadeva fra lei e me, non le avrei mai permesso di toccare il mio angelo, colei che in così pochi mesi era riuscita a dare un senso alla mia vita e che in quel duro anno vissuto fra alti e bassi non mi aveva mai abbandonato rimanendomi a dieci metri di distanza.
L’imprinting le stava annullando l’esistenza e per quanto i segni su di lei fossero più visibili, ci trovavamo entrambi sulla stessa barca.
Non riusciva più a sostenere quella situazione lei, non riuscivo più a farlo io. Vivi amore mio, vivi e si felice, vivi anche per me.
Aspettare oltre sarebbe stato inutile, lei non avrebbe resistito abbastanza a lungo, il tempo che le rimaneva era troppo poco per trovare una nuova soluzione, sempre ammesso che una ce ne fosse, perché ormai, anche se non ero mai riuscito ad esprimerlo a voce, iniziavo a dubitare ne avremmo mai trovata una.
Eravamo noi l’anomalia, una storia che mai si era vista perché semplicemente non avrebbe dovuto esistere.
Ma come avrebbe potuto non esistere qualcosa di così perfetto come me lo aveva dato lei che con un solo sorriso riusciva ad illuminarmi la giornata.
Si, sicuramente lei se la sarebbe cavata, nelle sue fragilità era forte l’amore mio, sarebbe andata avanti, avrebbe trovato qualcun altro pronto ad amarla e a restituirle quella felicità che io non ero più in grado di darle.

Uno scossone fece vibrare tutto il mio corpo, che come gelatina si mosse senza proteste, riuscivo ad avvertire ogni colpo, il mio lupo interiore ringhiò furiosamente per quell’attacco, tentò di divincolarsi, di attaccare e difendersi eppure io continuavo a rimanere li fermo in quell’oblio, circondato dal nulla assoluto e con il petto ancora in fiamme anche se, dovevo ammetterlo, i pensieri su di lei in un qualche modo erano riusciti ad attenuarlo al pari di quando in vita i dieci metri tornavano ad essere stabiliti e l’aria ad occupare i miei polmoni.

“Jacob…Jacob…”

Nel mio inconscio sorrisi nel sentire la sua voce chiamare il mio nome, solo quello, ma se la morte clemente avesse deciso di lasciarmi almeno quello, allora ogni stilettata ne sarebbe decisamente valsa la pena.
Non volevo il nulla, la sua voce per sempre mi avrebbe regalato la beatitudine.
Fu il turno poi della luce.
Chissà perché me l’ero sempre immaginata come un portale che appariva magicamente davanti a te e invece, anche su quello mi sbagliavo, perché la mia iniziò ad irradiarsi da me, più precisamente dai polpastrelli della mia mano fredda.
Un inaspettato torpore li avvolse, non era così caldo come la temperatura che mi aveva caratterizzato in vita, ma anche quel sentore tiepido andava più che bene, mi scaldava e riusciva a cullarmi, portando con se una nota di vaniglia.
Poi, all’improvviso, lo sentii tum tum, tum tum, un battito cardiaco, lento, leggero, quasi come se non avesse dovuto esistere eppure era la, mi richiamava a se.
Non era il mio, era esterno a tutto quello e finalmente sentii d’aver raggiunto la pace.
Sensazione migliore non avrebbe potuto esistere, mi sentii completo e vuoto subito dopo.
Quel lento battito mi fu sottratto così come quel flebile calore che anche nella morte era riuscito a farmi sentire vivo.
Il freddo tornò a riappropriarsi di me ed io non potevo permetterlo.
Avevo bisogno di quella luce.
D’un tratto avvertii mancarmi l’aria come quando ti ritrovi sott’acqua, troppo affondo per poter risalire e allora inizi a muovere le braccia convulsamente mentre annaspi e l’acqua inizia a riempirti i polmoni, ma non ti arrendi, scalci scalci e…
Un battito.
Un profondo ruggito abbandonò le mie labbra nell’istante in cui i miei occhi si riaprirono sul buio della foresta.
L’attimo dopo mi sentii smarrito, senza forze e caddi a terra.
Non perché avessi voluto buttarmici io, anzi, avrei ben volentieri evitato quella botta, ma non era stata una mia scelta.
Convinto d’essermene andato in quella radura con Rose al mio fianco e Seth e Desirée come unici testimoni, mi ritrovai fra i fitti boschi appartenenti alla giurisdizione di La Push, con due paia d'occhi scuri spalancati ed increduli ad osservare la mia figura.
Mi guardai attorno spaesato alla ricerca degli unici occhi che avrei voluto vedere, chiari, così diversi dai nostri, di quel blu cosi profondo da perdervisi dentro.
Ero vivo, ce l’avevamo fatta allora, tutto quel dolore e quelle lacrime ne erano valse la pena, finalmente ora avremmo potuto stare assieme e realizzare i nostri sogni, non vedevo l’ora d’esprimerle quel pensiero a voce, di vederle il viso illuminarsi per la felicità, ma lei non c’era, perché non c’era ?

Leah cadde sulle ginocchia accanto a me e mi gettò le braccia al collo stringendomi come credevo mai avrebbe potuto fare, la sentii singhiozzare contro la mia spalla e mi domandai come fosse possibile che quei pochi attimi in cui avevo chiuso stancamente gli occhi credendo di morire potessero aver sconvolto così tanto una persona stoica come lei.
Lo avevo capito per Seth, era suo fratello e non sarebbe più tornato, ma io ero ancora qui, i miei occhi erano stati chiusi per al massimo due minuti, perché si comportava così?
Che l’imprinting per Ethan l’avesse cambiata a tal punto?
E perché Sam continuava ad osservarmi come se avesse visto un fantasma ?

“Dov’è Rose ?” chiesi avvertendo subito dopo la gola bruciare per lo sforzo.
Leah si staccò da me solo per potermi osservare in volto ma non emise alcun suono, così come Sam e la cosa non fece altro che alterarmi di più, così, fottendomene del dolore alla gola, alzai i toni e ripetei “Dov’è Rosalie?”.

Le pupille di Leah si dilatarono probabilmente alla ricerca d’una risposta da darmi, risposta che molto probabilmente non mi sarebbe piaciuta, ma ci pensò Sam a farsi carico di quel fardello “Jake, lei è…”
Avvertendone il tono grave balzai in piedi senza nemmeno dargli il tempo di finire la frase.
Io ero vivo, io non sentivo più alcun dolore, lei mi era stata accanto fino all’attimo che io erroneamente avevo creduto fosse la fine, ero sicuro d’averla stretta fra le mie braccia esalando l’ultimo respiro, ma io ero vivo e lei non c’era…
Avvertì un battito mancarmi e questa volta non fu per la sua vicinanza, se io ero li e respiravo allora lei…
Sentii il fiato venirmi meno e la testa iniziare a vorticare furiosamente. 
Le gambe iniziarono a tremare, pronte a cedere da un momento all’altro.
No, lei non poteva essere… Non per me.
“È VIVA!”.
L’urlo di Leah mi raggiunse quasi ovattato eppure voltandomi ad osservarla alla ricerca d'una veridicità alle sue parole mi accorsi dalle guance paonazze di quanto forte in realtà avesse gridato per farsi spazio fra i miei pensieri e farsi sentire.
Probabilmente lo aveva fatto anche più d’una volta e io non ero riuscito a sentirla.
Strinsi i pugni riacquistando un po’ di lucidità ed esalai un sospiro di sollievo prima di porre nuovamente la domanda che più di tutte mi premeva “Dove si trova lei ora ?” .
I due si scambiarono un veloce sguardo mentre Leah si rimetteva in piedi, come a decidere chi dei due avesse dovuto parlare, poi finalmente Sam prese parola e sperai questo giro d’avere la risposta che tanto agognavo.

“Jacob, tu sei” si bloccò un istante ponderando meglio le sue parole “Jacob, tu eri…Ti credevamo morto fino a pochi istanti fa. Rosalie è stata accanto al tuo corpo per tutto il pomeriggio. Le abbiamo dato il tempo di salutarti e poi siamo venuti a prenderti per riportarti alla tua famiglia.”

Lo ascoltai in silenzio per tutto il discorso ma alla fine non mi trattenni dal ridere.
Morto, come potevo essere morto se proprio in quel momento stavo parlando con loro.
Forse pensavano di giocarmi uno scherzo, ma se così fosse stato era davvero di pessimo gusto per quanto avessi riso.
Avevo lasciato casa mia con la morte nel cuore quel pomeriggio, convinto che non avrei più rivisto nessuno, niente telefonate con Rebecca, niente conversazioni in piena notte con Rachel che alle volte riusciva a spaventarmi per quanto mi capisse meglio lei di me stesso.
Persino le sgridate di papà mi sarebbero mancate ed ero riuscito a farmi forza solo grazie al pensiero che Rose sarebbe stata libera ed io forse avrei rivisto la mamma che mi stava aspettando come preannunciato nel sogno avuto solo un anno  prima.  
Ma più osservavo gli occhi dei miei compagni più questi mi sembravano sinceri e allora ripensai all’abbraccio di Leah, alle sue lacrime, non lo avrebbe mai fatto in una situazione normale.
Questo giro fui io a lasciarmi cadere seduto a terra con le gambe leggermente divaricate e le ginocchia sollevate verso l’alto.
Vi affondai nel mezzo la testa passando le mani fra i lunghi capelli scuri tirandoli indietro dalla fronte e per quanto ancora volessi fortemente sapere dove si trovasse ora Rose, il saperla viva era riuscito a tranquillizzarmi fino al punto da rendermi conto che io non avevo comunicato a nessuno la mia decisione, ne il luogo nel quale sarebbe successo.
“Come sapevate ?” chiesi senza alcun bisogno d’aggiungere altre parole sapendo che mi avrebbero capito ed infatti la risposta mi arrivò poco dopo da Leah “Edward. Ha chiamato a casa dicendomi ciò che era successo e dove fossi. Saremmo venuti subito, ma ci ha chiesto il favore di lasciare a sua sorella il tempo di piangerti”.

Ero morto, l’avevo fatta piangere per l’intero pomeriggio con la convinzione d’averla abbandonata per sempre ed una stilettata mi colpì al cuore per il male che le avevo fatto, ma al quale da quel momento avrei cercato ogni secondo di rimediare.
Tornai a sollevare lo sguardo sui miei interlocutori ormai conscio che Rosalie fosse tornata a casa, al sicuro, da persone che ugualmente si sarebbero prese cura di lei  e chiesi ancora “Chi altro lo sa?”
I Cullen ormai lo sapevano, sarebbe stato scontato dirmelo, ma io volevo sapere del branco, io volevo sapere di Rachel e papà.

“Tutti” mi rispose laconico Sam.
“Ma saranno felici di vedere che Edward si sbagliava” tentò invece di rassicurarmi Leah, forse volendo togliermi di dosso quel senso d’inquietudine che ormai mi alleggiava addosso.
Quante persone stavano soffrendo in quel momento a causa mia ?
Sarei dovuto correre a casa, farmi vedere e tranquillizzare tutti.
Io non ero morto, io ero ancora qua e non me ne sarei più andato.
Se mi ero risvegliato un motivo doveva pur esserci, il mio imprinting probabilmente aveva ceduto e finalmente l’aveva accettata.
Tutti i nostri sogni per il futuro sarebbero potuti essere realtà, l’avrei resa per sempre mia anche davanti alla legge quando il sole sarebbe sorto e saremmo stati per sempre insieme.
Sapevo che sarei dovuto tornare a La Push, da papà e Rachel ma l’istinto mi diceva di correre da Rose, lei era quella che aveva più bisogno di me in quel momento ed egoisticamente anche io avevo bisogno di lei.  
Balzai in piedi dando una leggera spolverata ai bermuda prima di tornare serio con lo sguardo sui due.
“Tornate a casa, avvertite Rachel e mio padre di ciò che è successo. Ditegli che presto Rose ed io li raggiungeremo a casa” dissi in tono imperativo, sapendo che mi avrebbero capito, perché anche loro avrebbero messo la loro metà al primo posto.
Attesi solo un loro cenno d’assenso e non appena ne ebbi conferma mi misi a correre.
Avrei fatto decisamente più veloce se mi fossi trasformato, ma poi fuori da casa loro avrei dovuto perdere tempo a rivestirmi quando tutto il mio corpo urlava per correre dal mio batuffolo biondo e stringerlo fra le braccia per non lasciarlo più.

   
 
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