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Autore: Octave    28/03/2022    14 recensioni
Ogni storia nasce, in qualche modo, per dar voce ad un personaggio. O magari a più di uno.
Spesso poi succede che una storia segua una strada che non avevamo previsto. E quando questo accade c’è poco da fare. Possiamo solo decidere se condividerla o meno. Questa storia ha deciso di raccontare un diverso punto di vista sull’episodio 25 e sui fatti successivi ( e consequenziali).
Un sincero ringraziamento a Settembre17 e ad OscarAndrè76 , che partendo da presupposti diversi, mi hanno convinto che valeva la pena di dare un seguito alla storia.
"Quella sera, ritirandosi nei suoi appartamenti, il Conte Hans Axel di Fersen non aveva le idee del tutto chiare su cosa fosse accaduto e su quale fosse stato il suo ruolo in tali accadimenti."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes, Rosalie Lamorlière
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le idee di Oscar François de Jarjayes sugli avvenimenti di quella sera, mentre, in lacrime davanti alla fontana, rabbrividiva di freddo e di collera, erano chiare da far male. Una catastrofe. E, come se non bastasse, una catastrofe annunciata. Se il suo fosse stato, almeno, un comportamento irrazionale o un gesto avventato, avrebbe potuto, forse, trovare qualche attenuante per giustificare una momentanea perdita dell’autocontrollo. Della lucidità. Invece la strategia era stata pianificata nei minimi dettagli, con rigore e precisione. Ma qualcosa era andato storto. E lei, che era l’unica responsabile, adesso doveva risponderne. A se stessa, un giudice dal quale non si aspettava clemenza.
Il processo era già iniziato quando, non senza sollievo, aveva messo piede in carrozza.
L’imputato si alzi.
Oscar François de Jarjayes, giuri di dire tutta la verità?
Lo giuro.
Cosa poteva dire in sua discolpa?
Che aveva voluto guardare le cose da una prospettiva diversa, per una volta.
Aveva voluto comprendere. No, non comprendere. Aveva voluto sentire cosa vuol dire essere una donna tra le braccia di un uomo. Un’esperienza dei sensi, che è possibile quando la ragione tace e che lei, dal suo punto di osservazione, non avrebbe mai potuto permettersi di vivere. Ma se fosse stata, per una sera, una persona diversa? Senza passato, senza doveri, senza responsabilità. Una donna che può concedersi un abbandono senza riserve. Ad un uomo. Abbassare la guardia, smettere di combattere. Smettere di pensare.
Questo lei aveva voluto provare, per una sera, ma non come un osservatore esterno, che, col cuore gonfio di struggimento, cerca di figurarsi cosa provano due che si amano l’un l’altro. Sentire cosa si prova a sentirsi perduti e a non curarsene, a cedere ad una forza più potente della volontà e della ragione, dirompente, irrefrenabile, sprezzante di ogni rischio, dimentica di ogni divieto, incurante di ogni ruolo. Per una sera i suoi occhi, le sue braccia, le sue mani, la sua pelle avrebbero sentito quello a cui la sua testa aveva deciso di rinunciare. E lei avrebbe trovato la pace.
Cosa dunque non aveva funzionato?
Ti ha tenuta tra le braccia e ti ha accarezzata con lo sguardo. Il nemico è ai tuoi piedi. Preso alla sprovvista, non ha avuto neanche il tempo di schierare le truppe e si è arreso. Hai vinto.  Abbandoni il campo da vincitore. Un trionfo.
Le sue labbra hanno parlato di te, solo di te, e non aveva occhi che per te, in quel momento.
Che non dovesse riconoscerti faceva parte della strategia, te lo ricordi? Perché nessuno si facesse male. Che non potesse riconoscere te - il suo migliore amico - in quella donna, che, intanto, si mangiava con gli occhi, l’hai pianificato tu, Oscar, e nessun altro.
Per questo hai scelto una fortezza, che non puoi espugnare.
Per questo hai scelto una fortezza che non vuoi espugnare.
Una prova sul campo. Per testare l’efficacia delle tue armi. Ed è chiaro ed evidente, dunque, signori - ed è dimostrato dai fatti- che Oscar François de Jarjayes potrebbe, se volesse. E adesso quindi può rassegnarsi. Può lasciar perdere.
Così è deciso, la Corte si ritira.
Cosa c’è, dunque, da piangere?
Hai giurato. Ricordati che hai giurato.
C’è che nel momento decisivo, i tuoi sensi, i tuoi occhi, le tue mani, la tua pelle hanno avvertito che non era così che avrebbe dovuto essere.
Un tuffo al cuore. Ma che cosa ne vuoi sapere tu, Oscar, di come dovrebbe essere? Lo sanno i tuoi occhi, le tue braccia, le tue mani, la tua pelle - e non sai neanche tu come - non è così che dovrebbe essere! E quella scena, che era finta - perché nessuno, nessuno doveva farsi male! - ti parlava di gesti veri e di sguardi veri e di uno smarrimento che non sei riuscita a dominare. Perché era come se i tuoi sensi lo sapessero cosa significa perdersi, che non era quello. Come se sapessero cosa vuol dire sentirsi sopraffare dal desiderio, che non era quello. E sentirsi venir meno dalla dolcezza, che non era quello. Come se conoscessero l’amore. Che non era quello.
E hai sentito che quella fortezza - inespugnabile? - ha confini più vasti e contorni diversi da quelli che immaginavi. Incredibili, insondabili.  E non è lì che avesti voluto essere e questo esperimento è stato un errore. Che non ti darà la pace e che ti ha aperto le porte di stanze che non immaginavi, di sensazioni e di suggestioni che ti risuonano dentro e che riconosci così bene da avvertirne il suono e l’odore. Che non era quello. Per questo sei dovuta fuggire via da lì, immediatamente.
E’ un’abitudine antica, che con il tempo è diventata istinto di sopravvivenza, quella di afferrare subito quando devi fermarti e cercare di razionalizzare. E in questo non hai davvero rivali.
Silenzio in aula.
Non era ancora l’alba e Oscar François de Jarjayes aveva ricomposto le sue idee in un quadro chiaro e coerente e aveva pianificato le mosse successive. Si poteva ancora rimediare al disastro. Non era successo niente di irreparabile. E per fortuna non c’erano testimoni.
La nonna l’aveva aiutata a spogliarsi in silenzio, scrutando la sua espressione con un’apprensione partecipe e con la tenerezza un po’ spiccia che riservava solo a lei. Non avrebbe fatto domande. Né adesso né in futuro.  E sarebbe stata una tomba. Adesso e in futuro.
Bisognava evitare di incontrare Fersen, per un po’. Ma questo faceva già parte del piano iniziale e in ogni caso Fersen non poteva essere certo di niente.
Non era accaduto niente di irreparabile si ripeté. E non c’era nessun testimone.
Fu nel momento esatto in cui stava per cedere al sonno che un’immagine della giornata trascorsa, vivida e insolente, le attraversò la mente. Smise per un attimo di respirare. Nessun testimone? 
Rinunciando definitivamente all’idea di dormire, rimase ad aspettare l’alba con gli occhi spalancati e i sensi all’erta per impedire che altri pensieri venissero a ad assediare la sua mente, finché la luce del giorno non avesse ridato alla realtà contorni più precisi e netti e le sue idee non fossero tornate chiare.
   
 
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