Fidati di me
Interrompo il mio racconto per riprendere un po’ di fiato e
per guardare la sveglia appoggiata sul comodino.
“Cavolo, è già mezzanotte! Ma quanto ho parlato?”
“Tanto, mamma, come tutti i giorni” Mi consola
Katie, gentile come sempre.
“Però io volevo sapere tutta la storia di Michael,
non vale che tu ti fermi sul più bello!”
“Beh, possiamo sempre continuare domani, ne abbiamo di
tempo…È estate”
I miei modi di persuasione non sono molto convincenti, ma è
sempre meglio tentare. Inoltre ho un sonno terribile, e per di
più domani mattina devo
andare al centro commerciale, è da tanto che non spendo solo
per me stessa!
Ma mia figlia non ha l’aria stanca. Anzi, è
sveglia e vigile, pronta a sentire il resto della storia.
Io guardo lei, lei guarda me, e alla fine capisco dal suo sguardo che
non ho scampo:devo continuare.
Mi lascio andare all’ennesimo lungo sospiro (il quarto
più lungo della serata) e ricomincio dove mi ero fermata,
ovvero alla presentazione tra me e i
futuri Jackson Five.
Qualcosa che però mi rimase fu il suo sguardo triste che
nascondeva un segreto.
Un segreto.
Anche i bambini quindi hanno dei segreti che si tengono nascosti , non solo gli adulti.
Chissà se i segreti dei bambini sono diversi da quelli degli
adulti…
“Tesoro stai bene? Perché fissi il vuoto, hai
visto qualcosa che ti ha turbato? O
forse stavi solo riflettendo?”
La voce di mio padre mi risvegliò dalle mie elucubrazioni
interiori, e per un attimo non mi accorsi che fissavano tutti, la
brutta faccia di Jackson compresa, nella mia direzione.
Avranno pensato che io ero una sonnambula, o una che vedeva gli spiriti
dei morti, sicuramente!
“Ah,è…È
tutto a posto papà, stavo solo pensando ad una cosa. Niente di importante, veramente!”
“Sei sicura, vuoi che ti faccia portare un bicchiere
d’acqua? Sei pallida in
volto”
“Ma no, papà, ti dico che sto bene,
tranquillo!”
Il mio modo di convincere le persone era scadente anche ventuno anni
fa, figuriamoci quindi se riuscivo a convincere mio padre che stavo
bene.
Ma tutto sommato non andò male: mi guardò un
po’ preoccupato, e mi disse :”Va
bene, se lo dici tu… ma se per caso non ti senti molto bene,
dimmelo, d’accordo?”
“D’accordo papà”
Questa volta l’avevo convinto, per fortuna!
Dopo questo breve episodio di defiance mentale, feci colazione di
fianco a Fernando (che non la smetteva di lanciarmi briciole di brioche
tra i capelli, godendo dei miei lamenti) ed andammo a cercare tutti
insieme un ristorante in cui pranzare.
Io non ci trovavo niente di utile in quella operazione: erano solo le
otto di mattina, e già pensavano al pranzo! Che spreco di
tempo!
Per tutti insieme,
comunque, si intendeva io, papà, Fernando, Joe faccia da
bulldog, e i suoi cinque figlioli, che io non riuscivo proprio a capire
come mai fossero così gentili ed educati, quando invece loro
padre era maleducato e con la faccia da serial killer.
Forse la madre era un agnellino al contrario del marito, e tutti i loro
figli avevano preso da lei.
Ma mi bastò un giorno per capire come Joe Jackson sapeva
tenere in riga i suoi figli.
Ero scesa un secondo al piano bar, per respirare un po’ di
buona musica dalle pareti del locale (i muri
raccontano molte cose, se li sai ascoltare,
mi diceva sempre papà) e per vedere i fratelli Jackson che
accordavano gli strumenti.
Mi accorsi subito che mancava Michael.
Ed anche il padre.
Qualcosa mi diceva di stare all’erta. Non era un buon
segnale.
Mi misi quindi a cercare Michael per il locale, trattenendo il respiro
ogni volta che udivo un leggerissimo rumore, pensando che fosse lui che
si era nascosto per farla ai famigliari.
Ma ad ogni fallimento, il mio cuore si stringeva: non sapevo neanche
perché stavo cercando un bambino che conoscevo a malapena,
ma la testa in quel momento mi diceva solo di aiutarlo.
Non si chiedeva in che modo, per quale motivo, no, dovevo aiutarlo e
basta.
Ad un certo punto sentii una voce che proveniva dalle quinte.
Era la voce di un uomo… Di Joe il Bulldog Assassino.
Mi avvicinai di più alla porta del camerino, cercando di far
meno rumore possibile, e accostai l’orecchio destro alla
porta che era leggermente socchiusa: non avevo il coraggio di guardare
quello che stava succedendo lì dentro.
Non sentivo molto bene ciò che stavano dicendo, e mi dovetti
concentrare per capire il grosso del discorso.
Il bulldog stava parlando con un tono decisamente alterato, e gli
rispondeva una vocina stridula e affievolita dal terrore.
Oh accidenti,
Michael!
I
miei pensieri arrivarono subito a lui: quel bambino mi aveva rapito sin
dalla prima volta che i nostri sguardi si erano incrociati, e anche se
quello che lo stava sgridando era suo padre non potevo permettere che
lo trattasse in quel modo.
Fermai il flusso di pensieri, e riconcentrai l’attenzione su
quello che stava succedendo dietro la porta.
Il bulldog lo stava incoraggiando a modo suo, con quel tono
così sprezzante e umiliante: forse aveva sbagliato una nota,
saltato una strofa, aveva attaccato troppo presto o troppo
tardi…
Non lo seppi mai, perché la voce del bulldog era diventata
un vero e proprio ringhio. Non riuscivo a capire niente di quello che
diceva.
Poi sentii un rumore secco.
Il rumore della pelle che batte sulla pelle.
Uno schiaffo.
Pensai alla pelle di Michael. La pelle di un bambino, liscia,
vellutata, morbida.
E fragile.
Come lui.
Anche i miei occhi lo erano, anche loro stavano soffrendo…
Erano gonfi e sbarrati, non riuscivo a chiuderli.
L’unica cosa che potevano fare era piangere.
Un pianto di dolore, di rassegnazione, di ingiustizia.
Trattenevo i singhiozzi per non farmi sentire dal mostro, e mi accorsi
che anche Michael stava piangendo.
Come me.
Piangevamo all’unisono, e questo gesto, seppur doloroso, mi avvicinava a lui.
Anche lui era triste e troppo provato dalla vita, nonostante avesse
soltanto sei anni.
Non sapevo cosa avesse passato in precedenza, in casa con quel mostro
che chiamava papà, ma quello che avevo sentito (non solo con
le orecchie, ma anche con il cuore) mi bastava per capire.
Io dovevo aiutare Michael.
Era la mia missione.
E se anche non ci fossi riuscita una prima volta, avrei tentato e
ritentato fino allo stremo.
Né io né lui ci meritavamo la vita che avevamo.
Ma lui non poteva aiutarmi. Io invece sì.”
“Non esageriamo,
Katie! L’ho voluto aiutare perché non sopportavo
che quel mostro con un calcolatore elettronico al posto del cervello, e
senza la minima traccia di umanità nel cuore, lo trattasse
come una macchina per fare soldi, non come un bambino che ha talento. Mi chiedo ancora se ce l’abbia un
cuore”
“Per me no. Pensava solo ai soldi e alla fama, e tuttora non
pensa ad altro!”
“Sì, hai ragione. I suoi figli non avevano il
coraggio di dirgli niente per paura di essere puniti. Ma te lo dico
sinceramente, l’unico che veniva punito era Michael, gli
altri stavano zitti e guardavano impotenti. Se non facevano quello che
gli ordinava il padre, sarebbe toccato anche a loro, ma si accaniva su
Michael solo perché era il modello
di riferimento”
“Ma perché hai detto che tu potevi aiutarlo mentre
lui non poteva aiutare te?”
“Non lo so, forse l’avevo troppo
sottovalutato… A quei tempi ero veramente stupida. Ma
c’è da dirlo, anche lui mi hai aiutato, ed ho
capito che non bisogna mai considerare i
bambini creature inferiori, perché non lo
sono”
“Infatti i
bambini hanno molte bellissime qualità. Sanno sempre come consolarti”
“E poi gli adulti sono molto più stupidi dei
bambini”
“Ecco perché tu ti comporti come una bambina, in
fondo non hai tutti i torti”
“Beh, se lo può fare Michael Jackson lo posso fare
anch’io!”
“Sinceramente, io preferisco lui a te”
“Questo era implicito, anche io preferisco lui a te”
“Guarda che se dici un’altra cosa così
contro tua figlia, ti denuncio!”
“Okay, okay, non scaldarti, stavo solo scherzando!”
“Già, come al solito”
“Va bene, prima che spunti il sole voglio finire la mia
storia quindi posso andare avanti,
per piacere?”
“E va bene”
“Quando ti ci metti sai essere proprio gentile!”
Quindi mi asciugai gli occhi e le guance e mi nascosi dietro un tendone
molto pesante, aspettando che uscisse anche Michael insieme a lui.
Sentii dei passi leggeri che correvano verso l’uscita del
camerino, e il fiato affannato di chi aveva appena pianto.
Michael.
Volevo
corrergli dietro, e provare a calmarlo, ma subito dopo uscì
suo padre, l’aria feroce e soddisfatta di chi ha vinto la
battaglia, e cambiai idea.
Mi nascosi meglio dietro il tendone, trattenendo il respiro, fin quando
non lo vidi più davanti ai miei occhi segnati dal dolore e
dalla vergogna.
Lui, vedendomi così abbattuta, mi chiese dove fossi stata, e
cosa avessi combinato per ridurmi in quello stato, ma io gli dissi che
non era nulla di importante: stavo esplorando il locale, ed a un certo
punto ero inciampata nelle mie stesse scarpe, quelle odiose scarpe da
signorina che la mia matrigna mi ordinava di indossare, e mi ero
leggermente slogata la caviglia. Ma nulla di grave, riuscivo a muoverla
benissimo.
Mio padre mi guardò torvo prima di aprir bocca ed emettere
la sua sentenza: cavolo, perché non mi credeva mai? In fondo
ero stata brava, quella volta! Avevo la faccia deformata dal dolore, no? Avevo un minimo di credibilità!
“Siediti qui accanto a me, tesoro. Non
devi sforzare tanto la gamba”
Ancora incredula, e con un sorrisone stampato in faccia, mi accomodai
al fianco di papà, attenta a non tradirmi: se mi avesse
visto correre o scattare, la mia carriera sarebbe terminata.
Vedendomi troppo euforica, mi chiese di far silenzio, perché
lo spettacolo stava per iniziare.
Al suono di quelle parole, obbedii immediatamente, curiosa di vedere
quale aspetto avesse il povero Michael, e appena si aprì il
sipario vidi il quintetto dei fratelli Jackson pronti per suonare: non
mi ricordavo ancora i nomi per intero, essendo veramente difficili da
ricordare.
Gli unici
che riconobbi furono Michael,
perché era il più piccolo, e Jackie
perché era il più grande, e inoltre era
l’unico di cui avevo un ricordo più nitido,
avendolo visto per primo.
Gli altri tre per me erano tutti uguali!
Poi in un angolo vidi l’aguzzino: sorrideva ai figli come se
prima non fosse successo niente, conscio delle sue malefatte.
Aveva il volto così falso e compiaciuto che dovetti
trattenere un conato di vomito.
Cercai di ignorarlo, e di concentrarmi sulla musica, e su Michael.
Sembrava piuttosto preoccupato, poverino: l’episodio di
qualche minuto prima doveva averlo sconvolto parecchio.
Comunque non si scoraggiò, ed attaccò a suonare
insieme ai suoi fratelli: sin dalle prime note capii che non
scherzavano per niente, erano molto bravi per essere dei bambini, e
creavano una musicalità unica.
Mi piacquero moltissimo anche le loro voci, coordinate tra di loro,
intonate e mai monotone.
Anche le note erano tutte al loro posto: tutto era così
armonioso da far paura.
Quando l’ultima canzone finì con un breve assolo
di chitarra, il Boss prese il microfono e parlò: anche la
voce era viscida come lui, al contrario di quella dei figli, calda e
amichevole, ed il microfono ampliava ancor di più quello
sgradevole tono.
“Bene signore e signori, dopo un assaggio del talento dei
miei ragazzi più grandi, voglio farvi sentire una canzone
composta appositamente per i
più piccolo dei miei figli, Michael Joseph. Vieni, Michael, non essere timido”
Tese la mano al bambino, che fino ad
allora si era esibito suonando le percussioni, e lui
obbedì, svelto come un felino, posizionandosi davanti al
microfono, regolato per lui, e il padre arretrò per lasciar
spazio alla stella della serata.
Michael si concentrò un momento, il capo chino e le mani
lungo i fianchi, e diede il segnale ai fratelli per cominciare a
suonare.
Le mie orecchie non avevano mai sentito nulla di più bello
della voce di Michael: sembrava che ci fosse solo lui in quel momento
sul palco.
Niente coro, niente orchestra,
nessun mostro dagli occhi desiderosi di denaro e successo.
Niente di niente.
Una sola persona era riuscita a stregare la sala, me compresa, con la
sola forza della sua voce dolce e rassicurante, gentile e innocente,
una voce che ti cattura il cuore e non lo lascia più.
Nonostante quello che passava tutti i giorni, soggetto al mostro come
l’attrazione circense più famosa e acclamata di
tutte, nonostante i continui schiaffi, urli, intimidazioni ricevute,
nonostante la sua innocenza che non gli permetteva di agire e
difendersi dal mondo, Michael sul palco assumeva una sicurezza unica,
cantando pensava solo alla musica che gli scivolava nelle orecchie e
alla voce che usciva dalla bocca.
Nient’altro aveva senso o importanza in quel momento.
C’erano solo lui e la sua voce perfetta.
Con quella voce, pensai subito che Michael avrebbe potuto stregare
altri cuori così come stava facendo con il mio.
Perché lui aveva un dono.
Il dono di cambiare il mondo attraverso la sua voce”
“Eh, io avevo avuto questo presentimento già dalla
prima volta che lo ascoltai cantare, cosa credi? Comunque,
c’è l’ultimo pezzettino adesso, il
più importante, e poi tutti a letto!”
“Uffa, va bene, anche se dopo tutto questo racconto non
sarà facile dormire!”
“A chi lo dici”
Che peccato, era una canzone bellissima; non ricordo come faceva, ma
era bellissima, te lo posso assicurare!
Con quella esibizione, era finito lo show dei fratelli Jackson e
cominciavano a salire sul palco altri cantanti, ma a me non interessava
più niente, dovevo fare solo una cosa in quel momento.
Ottenuto il permesso da mio padre per allontanarmi dal nostro tavolo,
andai in camerino per complimentarmi con Michael e con i suoi fratelli,
ma soprattutto con Michael!
Arrivata nel camerino, però, non lo trovai:
c’erano solo i suoi fratelli che si stavano cambiando, con
mia grande vergogna!
Così, dopo essermi scusata, chiesi dove fosse finito Mike, e
loro mi dissero semplicemente che era uscito dal camerino, senza
neanche cambiarsi, e che non avevano la più pallida idea di
dove si fosse cacciato.
Biascicai un “Grazie” e mi precipitai a cercare
Michael.
Lo trovai seduto sul marciapiede davanti il locale, il brillante
costume di scena ancora indosso, illuminato dalla fioca luce delle
lampade al neon che davano alla sua piccola figura un’aria di
malinconia e solitudine.
A quella vista non potei trattenere le lacrime: ogni volta che lo
vedevo mi veniva da piangere.
Era un fatto naturale, ormai, e non potevo più farci niente.
Dopo aver fatto la figura della ragazzina piagnucolona, conclusi che
piangendo non avrei risolto niente, perciò asciugai il viso
con la manica del giaccone e mi avvicinai a lui.
Non si era accorto di me, quindi ne approfittai per mettermi seduta
accanto a lui.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Lui si girò verso di me, e ancora una volta fui presa dalla
compassione che riempiva il suo sguardo.
Come faceva ad incantare le persone con la sola forza dei suoi soli
occhi?
Quegli occhi grandi e scuri, minuscola riproduzione
dell’universo… Me lo chiedevo sempre.
Non pensò molto alla risposta da darmi, anche se per me
sembrò un’eternità. Si voltò
leggermente, e mi disse, quasi sussurrandolo, un timido
“Sì”.
Io ero completamente pietrificata dalla forza magnetica del suo
sguardo, e per qualche secondo mi dimenticai di rispondergli.
“Ah, bene, mi fa piacere… Volevo farti i
complimenti per l’esibizione di stasera! Sei stato
formidabile, non ho mai sentito nessuno cantare come te, sei un bambino
eccezionale!”
Mi fa piacere…
certo che potevo dire un’altra cosa. Lo stavo trattando come
un adulto, e per giunta un adulto stupido; in quel momento mi vergognai
miseramente di me stessa.
Per fortuna Michael sembrò non badarci, e mormorò
“Grazie”, ma non molto entusiasticamente.
Il mio piano per aiutarlo stava andando mestamente a farsi benedire, e
quindi scelsi una via alternativa al dialogo.
“Ti va di fare una passeggiata?”
Imprudente e incosciente. Fantastico.
Se durante la passeggiata ci avrebbe attaccato uno psicopatico che
voleva ucciderci, sapevano a chi dare la colpa.
“Con tutto questo buio?”
“Beh, un po’ di luce c’è, non
penso che sia tutto buio, altrimenti non ci abiterebbero. Dai, ti
starò vicina, non ti succederà niente”
“Sicura?”
“Sicurissima. Fidati,
Michael”
Con mio grande stupore si alzò dal marciapiede, mi tese la
mano e mi disse:
“Andiamo”
Mi alzai anch’io, goffamente, mi pulii la gonna e gli diedi
la mano, più piccola rispetto alla mia, ma molto
più calda.
Mi faceva una strana sensazione camminare con lui mano nella mano:
sembravamo mamma e figlio che andavano a passeggio insieme, felici e
spensierati.
Insomma, se pensavo ancora una volta a quello che mi era successo negli
ultimi mesi mi veniva una tale malinconia che avrei
potuto scoppiare a piangere in qualunque momento.
In fondo per quasi tredici anni mi avevano imbrogliata, e il modo in
cui sono venuta a sapere della bugia non era dei più
ortodossi.
Poi pensavo a Michael: anche lui non aveva avuto di certo un
po’ di felicità.
L’unica cosa che lo mandava avanti era la speranza che un
giorno avrebbe smesso di soffrire.
Per me il suo canto assomigliava a un grido di speranza e fede, come i
canti di lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni del Sud.
In fondo veniva trattato come uno schiavo, e questo mi rendeva ancora
più arrabbiata col mostro.
Stavo pensando così intensamente che non mi rendevo conto di
dove stavo andando: dopotutto, era un problema minore.
Il terrore mi attanagliò le gambe, che dannatamente non
riuscivano a fermarsi.
Oh santo
cielo, io non conosco New York! Figuriamoci se ci vado in giro di
notte, come se niente fosse, e per giunta con un bambino di sei anni!
Che stupida che sono stata! Sto trascinando me e Michael nel baratro
del pericolo… E dire che il mio piano doveva aiutarlo, non
rendergli la sua breve vita un inferno totale!
“Ehi,
Fiordaliso, ti è successo qualcosa? Perché
guardi fisso davanti a te?”
Perfetto, anche Michael adesso pensava che fossi una che vedeva i
morti, ma…
Ehi aspetta un momento, mi aveva chiamato Fiordaliso?
Oh Dio, si era ricordato il mio nome!
Nessuno riusciva a tenerselo in testa per più di cinque
secondi, e adesso incontro un bambino splendido che se lo ricorda!
Diamine, com’ero felice!
Quel piccolo gesto mi rese Michael ancora più dolce e
sensibile di quello che già pensavo, e mi fece ritornare in
mente dove l’avevo cacciato.
Dopo che mi fui ripresa, gli risposi chiaro e tondo che non lo sapevo.
Aveva la faccia terrorizzata, e mi guardava come se da me dipendesse la
sua intera esistenza futura.
In quel momento provai pena per tutti e due: per me che ero una pazza
omicida di bambini innocenti, e per lui, del tutto indifeso, che aveva
accettato la mia insana proposta.
All’improvviso mi si raggelò il sangue nelle vene.
Avevo sentito qualcosa, anzi, qualcuno, che
parlava dall’altro capo della via, e con mio immenso orrore
si stava avvicinando al punto in cui ci trovavamo.
Sentii la mano di Michael che stringeva forte il mio braccio e lui che
sussurrava atterrito:Ho paura Fiordaliso, andiamocene
via di qui , ti prego.
Aveva le lacrime agli occhi, e la cosa peggiore era che non sapevo come
aiutarlo. Non avevo mai praticato la lotta greco-romana o il pugilato,
quindi non sapevo come difendere me e Michael.
La voce e il suo possessore si stavano pericolosamente avvicinando, e
dopo poco ci ritrovammo davanti un uomo bianco, vestito pure male, che
camminava dondolando a destra e a sinistra.
Pensai subito che fosse ubriaco, e in
effetti lo era.
Canticchiava
come un ossesso una canzone che non avevo mai sentito, ma quando ci
vide smise di cantare e ci urlò: ”Aha, ma guarda chi si vede! Due bei
bambini negri tutti soli soletti nel bel mezzo della notte! Lo sapete
che non bisogna andare in giro a quest’ora senza la mamma e
il papà? Si potrebbero
fare dei brutti incontri…”
Notai, con mio grande orrore, che brandiva un coltello nella mano
destra.
Avevo il battito cardiaco a zero e la paura era così tanta
che non riuscivo a muovermi.
Sentivo solo il corpicino di Michael che tremava attaccato al mio.
Qualcosa di inaspettato.
Ripensai alla stupenda voce di Michael che avevo sentito poco fa e
tutto cambiò.
No, non potevo.
Non potevo permettere a nessuno di toccare quel bambino fragile e
meraviglioso, neanche sfiorarlo con una piuma.
Chiunque ci avesse provato, sarebbe stato punito.
Anche suo padre avrebbe fatto la stessa fine, ne ero certa.
Ma adesso era a quel viscido maniaco a cui dovevo pensare: con
quell’arma voleva sicuramente ucciderci, ed inoltre era
ubriaco.
La mia mente cominciò a lavorare veloce, gli occhi e gli
arti la assecondarono.
Mi ricordai che avevo in tasca un accendino, “preso in
prestito” dal taschino di mio padre: avevo pensato che un
giorno mi sarebbe tornato utile, molto meglio di un coltellino svizzero
o di un orologio da tasca.
Quel giorno era arrivato.
Guardai il nostro assalitore con aria di sfida: si stava avvicinando.
Adesso era a tre metri circa da noi.
E poi guardai Michael, che tremava ancora alla mia destra, e non aveva
la forza di guardare.
Poi lo sentii che diceva qualcosa: la voce era arrochita dallo
spavento. Riuscii solo a sentire un pallido Aiuto.
Quell’aiuto era indirizzato a me.
Girai il viso verso di lui, e gli carezzai la testa ricciuta con la
mano destra.
“Andrà tutto bene, Michael. Non
aver paura, ci sono io con te”
“Ma io non voglio che tu muoia, non voglio, non
voglio…”
“Non
morirò, sta tranquillo, e neanche tu morirai. Sono stata
io a trascinarti in questo casino, e sarò io a tirarti
fuori.
Fidati di me,
Michael”.
Quelle
parole mi uscirono dalla bocca come un alito di vento penetra da una
finestra aperta: non sapevo cosa mi avrebbe risposto Michael ma sperai
con tutto il cuore che fosse un “Sì”.
E infatti Michael,
tremante e con gli occhi e le guance bagnate, guardandomi abbattuto e
speranzoso, mormorò quello che aspettavo da tanto:
“Sì. Sì, mi fido di te,
Fiordaliso”.
In quel momento mi sentii la ragazzina più fortunata e forte
del mondo.
Smisi di sognare ad occhi aperti e mi concentrai sul Mostro Due.
Ormai era vicinissimo: continuava a dire cose senza senso, cose
deplorevoli, soprattutto sui neri e su di noi, che eravamo appunto di
colore.
Ma quando vide che lo fissavo spavalda e sicura di me, si
fermò, e mi chiese con voce smielata
:”Ehi, dolcezza, perché mi guardi
così male, cosa ti è successo? Guarda che questo
comportamento non si addice alle signorine come te”
Rise sguaiatamente. Arricciai il naso: odiavo la gente che mi faceva i
complimenti giusto perché è buona educazione.
Ormai non mi interessava più niente del mio aspetto, della
mia situazione finanziaria, delle buone maniere… Mi avevano
causato solo seccature.
Mi avvicinai di più a lui, ignorando le sue risa e lasciando
delicatamente la mano di Michael dalla mia.
Non mi voltai a vedere com’era la sua povera faccia.
Non potevo. Dovevo prima stendere quell’individuo inferiore
che continuava a sfottermi.
“Cosa c’è, abbiamo perso la parola? Non
parli più? Che peccato, avrei tanto voluto sentire la tua
voce…”
“No, caro. Non sono muta, ma tu lo sarai molto presto”
Schivai per un pelo il primo colpo del viscido, ma sentii la fredda
lama del coltello fendermi la guancia sinistra.
A stento soffocai un lamento, e barcollai fino a inginocchiarmi per
terra, toccandomi la ferita: bruciava, e fiottava sangue come un
rubinetto rotto.
Un dolore così atroce che mi accecava, lasciandomi scorgere,
al di sopra della sofferenza, la figura dell’ubriaco che se
la rideva di gusto, mentre mi si avvicinava lentamente per completare
la sua opera.
Io però fui più veloce, e sgattaiolai fuori dalla
sua portata, lasciandolo con un palmo di naso.
Ebbi il tempo di prendere l’accendino dalla tasca, e di
tenermi pronta per attaccare definitivamente.
Il mio nemico non si fece desiderare: dopo un attimo di defiance, si
accorse che mi ero spostata, e mi venne incontro con il coltello alzato
sulla testa, pronto a colpirmi.
Quando vidi la sua orrenda faccia sfiorarmi la punta del naso,
chiacchierando come un ossesso, gli ficcai l’accendino in
gola, e lo accesi, ritraendo la mano prima che lui mi sputasse addosso.
Dopodiché si mise a ululare come un lupo alla luna piena e
con la lingua in parte ustionata biascicava qualche parola tipo:”La mia bocca, la mia
povera bocca! Maledetta bastarda, ti denuncio, ti denuncio!”
“Oh
che paura, mi stanno tremando le gambe! Aiuto, qualcuno mi aiuti!” Dimenavo
le braccia e mi esibivo in una perfetta imitazione della mia
sorellastra quando vedeva uno scarafaggio, ero identica!
Poi mi ricordai del povero Michael, che era stato dietro di me per
tutto il tempo, guardando me e il lupo mannaro combattere, atterrito.
Mi girai e vidi che era ancora lì, pallido come la luce
emessa dal neon, ma almeno non si era mosso.
Corsi verso di lui, e lo presi per mano.
“Avanti, Michael, corri !”
Lui segui il mio consiglio, e iniziammo a sfrecciare per le vie del
quartiere: ogni tanto vedevamo qualche bar aperto, un ubriaco steso per
terra, che al contrario del nostro, era pacifico, e poi pure un
edificio che assomigliava tanto ad un bordello.
Ci fermammo, stanchi e ancora un po’ spaventati, sotto un
lampione della luce, per vedere almeno il nome della via dove ci
eravamo cacciati.
E proprio in quel momento, con la voce affaticata e flebile per
l’ormai passato spavento, Michael, il piccolo angelo che mi
aveva preso il cuore, mi ringraziò:
“Grazie, Fiordaliso, mi hai salvato la vita”
Io ero rimasta senza parole. Era esattamente quello che mi aspettavo di
sentire dalla sua dolcissima voce.
“Ma figurati, l’ho fatto per te, sai a me che
importa della mia vita!”
Mi sorrise, e quello fu una specie di segno.
Michael si fidava di me.
E qualcosa mi diceva che anche io dovevo fidarmi di lui.
Per
sempre”
Mia figlia si è stranamente zittita. Mi fissa come
fisserebbe Mike che balla: estasiata.
“Oh mamma, ma allora tu hai salvato Michael da un ubriaco che
voleva uccidervi? È strabiliante quello che hai
fatto… Sei, sei stata meravigliosa…”
“Perché, non lo sono tutti i giorni,
tesoro?”
“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai salvato Michael Jackson da morte
certa! Dovrebbero farti un monumento per questo!”
“Si vabbè, non esagerare! Michael mi
sarà sicuramente ancora riconoscente, ma un monumento mi
sembra una cosa esagerata, non ti pare?”
“Per Michael, questo ed altro”
“Già, provaci anche tu, magari ti regala un
biglietto gratis per il suo prossimo concerto”
“Sarebbe il massimo!”
“Già, ma adesso vai a dormire, che saranno le
quattro di mattina, orsù, amore!”
“E va bene, buonanotte”
“’Notte, cioccolatino”
“Non chiamarmi cioccolatino, ma da
sui nervi!”
“Okay, okay, notte dolcezza!”
Però almeno mi sono tolta il grande segreto e mia figlia mi
ha fatto pure i complimenti, una delle poche volte in cui lo fa: devo
raccontarle storie così più spesso!
Ritornando in camera, apro il cassetto e rovisto tra le vecchie foto di
venti anni prima: raccontare mi ha fatto venire nostalgia di Michael, e
vederlo adesso, a ventisette anni,
famoso in tutto il mondo, non è la stessa cosa di vederlo a
sei anni, in una fotografia in bianco e nero, sorridente, insieme ai
suoi fratelli.
Insieme a me.
Aaaaah, finalmente sono riuscita a finire il secondo capitolo di questa
storia infinita che a quanto pare, è abbastanza gradevole!! =)
Innanzitutto vorrei precisare che la storia di Fiordaliso non
è ancora finita, sarà costretta a raccontare la
seconda parte, smascherata dalla sua sbadataggine!!xD
Devo pure dirvi che nel primo capitolo c’è un
errore che non ho fatto in tempo a correggere e cioè lei si
sposa con il marito nel ’65 non nel ’64 ( poi
vedrete quello che gli combinerà, il Viscido Tre
è__é)
Adesso rispondiamo alle gentili signorine che hanno recensito:
eclipsenow: Grazie
amore, anche la tua storia è bellissimamente meravigliosa,
continua così !! *__* perdona la mia deficienza, prometto
che il prossimo capitolo, perché questo ancora è
scritto picciolo °-°, lo scriverò bello
grande che pure una talpa miope saprà leggerlo, te lo
prometto!! ^^
Sono contenta che le mie idee, ti siano piaciute, all’inizio
la ff doveva essere diversa ma poi è successo quel che
è successo e sono stata costretta a ripensarla….T.T
Vabbè, spero che ti piaccia anche così, tanti
saluti dalla Regina Lunatica!!
=]
MihaChan:
perdonami
per la scrittura, sono una Regina Deficiente piuttosto che
Lunatica… xD
Comunque mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, tranquilla,
aggiornerò presto, il tempo di buttare su carta tutto il
casino che c’ho in testa e di perfezionare al massimo il
tutto !! ^^ mi
raccomando, recensisci pure i prossimi capitoli come hai fatto con
questo, così mi verranno ancora più
meglio gli altri, ciao ciccia dalla Lunatica!!
Bene, spero che questo capitolo sia piaciuto non solo a chi ha
recensito ma anche a chi semplicemente letto!!
Ci vediamo al prossimo capitolo e ricordate sempre, non siamo soli !!!^^