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Autore: Looney    06/09/2009    1 recensioni
Voi credete agli angeli? Bene, se avete risposto sì a questa domanda allora non poteva essere meglio. La storia in questione narra appunto di un angelo meraviglioso, costretto a sopportare la vita, che viene salvato per caso da una ragazzina umana dal cuore d'oro nella sua stessa identica situazione, diventandone così il migliore amico. Lei non sa però che il piccolo angelo da quel momento in poi ha un grande debito da saldare ed a distanza di ventuno anni dal loro primo incontro si presenta di fronte a lei con una misteriosa sorpresa, la quale ricompenserà la donna della sua fedeltà nei confronti dell'angelo. E allora voi chiederete, cosa c'è di strano in tutta questa storia? Gli angeli non possono fare regali agli esseri umani? Certo che possono. Ma i regali degli angeli non sono come i nostri... Bene, dopo questa breve presentazione spero di aver infuso un po' di suspense in tutti voi, questa storia sarà abbastanza lunghetta e coloro che si impegneranno nel leggerla lo devono sapere per non cadere in uno stato di trance nervoso!!XD è robetta leggera, non preoccupatevi per questo, ma mooolto interessante, fidatevi!!;) Come titolo ho usato una canzone meravigliosa che amo moltissimo, Will You Be There appunto, ma non c'è un legame preciso con ciò che andrò a raccontare nella FanFiction, mi ispirava la canzone tutto qui!!^^ E naturalmente il co-protagonista indiscusso sarà il nostro splendido Michael, attorniato da personaggi bizzarri ed una ambientazione decisamente particolare... Curiosi, eh??^^ Se avete coraggio iniziate a leggere il primo capitolo!!**
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Will You Be There '
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                 Fidati di me

(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte)


Interrompo il mio racconto per riprendere un po’ di fiato e per guardare la sveglia appoggiata sul comodino.
“Cavolo, è già mezzanotte! Ma quanto ho parlato?”
“Tanto, mamma, come tutti i giorni” Mi consola Katie, gentile come sempre.
“Però io volevo sapere tutta la storia di Michael, non vale che tu ti fermi sul più bello!”
“Beh, possiamo sempre continuare domani, ne abbiamo di tempo…È estate
I miei modi di persuasione non sono molto convincenti, ma è sempre meglio tentare. Inoltre ho un sonno terribile, e per di più domani mattina devo andare al centro commerciale, è da tanto che non spendo solo per me stessa!
Ma mia figlia non ha l’aria stanca. Anzi, è sveglia e vigile, pronta a sentire il resto della storia.
Io guardo lei, lei guarda me, e alla fine capisco dal suo sguardo che non ho scampo:devo continuare.
Mi lascio andare all’ennesimo lungo sospiro (il quarto più lungo della serata) e ricomincio dove mi ero fermata, ovvero alla presentazione tra me e i futuri Jackson Five.

“Lasciai andare la mano di Michael, e la sensazione mi abbandonò come se non ci fosse mai stata.
Qualcosa che però mi rimase fu il suo sguardo triste che nascondeva un segreto.
Un segreto.
Anche i bambini quindi hanno dei segreti che si tengono nascosti , non solo gli adulti.
Chissà se i segreti dei bambini sono diversi da quelli degli adulti…
“Tesoro stai bene? Perché fissi il vuoto, hai visto qualcosa che ti ha turbato? O forse stavi solo riflettendo?”
La voce di mio padre mi risvegliò dalle mie elucubrazioni interiori, e per un attimo non mi accorsi che fissavano tutti, la brutta faccia di Jackson compresa, nella mia direzione.
Avranno pensato che io ero una sonnambula, o una che vedeva gli spiriti dei morti, sicuramente!
“Ah,è…È tutto a posto papà, stavo solo pensando ad una cosa. Niente di importante, veramente!”
“Sei sicura, vuoi che ti faccia portare un bicchiere d’acqua? Sei pallida in volto”
“Ma no, papà, ti dico che sto bene, tranquillo!”
Il mio modo di convincere le persone era scadente anche ventuno anni fa, figuriamoci quindi se riuscivo a convincere mio padre che stavo bene.
Ma tutto sommato non andò male: mi guardò un po’ preoccupato, e mi disse :”Va bene, se lo dici tu… ma se per caso non ti senti molto bene, dimmelo, d’accordo?”
“D’accordo papà”
Questa volta l’avevo convinto, per fortuna!
Dopo questo breve episodio di defiance mentale, feci colazione di fianco a Fernando (che non la smetteva di lanciarmi briciole di brioche tra i capelli, godendo dei miei lamenti) ed andammo a cercare tutti insieme un ristorante in cui pranzare.
Io non ci trovavo niente di utile in quella operazione: erano solo le otto di mattina, e già pensavano al pranzo! Che spreco di tempo!
Per tutti insieme, comunque, si intendeva io, papà, Fernando, Joe faccia da bulldog, e i suoi cinque figlioli, che io non riuscivo proprio a capire come mai fossero così gentili ed educati, quando invece loro padre era maleducato e con la faccia da serial killer.
Forse la madre era un agnellino al contrario del marito, e tutti i loro figli avevano preso da lei.
Ma mi bastò un giorno per capire come Joe Jackson sapeva tenere in riga i suoi figli.

A pranzo non successe nulla che potesse macchiare la fedina penale del bulldog killer, e neanche nel pomeriggio, anche se non potevo raccogliere prove, essendo stata fuori tutto il giorno a girovagare per la Grande Mela, ma dopo cena, prima che iniziasse lo spettacolo, ebbi l’inaspettata e terribile occasione di smascherarlo.
Ero scesa un secondo al piano bar, per respirare un po’ di buona musica dalle pareti del locale (i muri raccontano molte cose, se li sai ascoltare, mi diceva sempre papà) e per vedere i fratelli Jackson che accordavano gli strumenti.
Mi accorsi subito che mancava Michael.
Ed anche il padre.
Qualcosa mi diceva di stare all’erta. Non era un buon segnale.
Mi misi quindi a cercare Michael per il locale, trattenendo il respiro ogni volta che udivo un leggerissimo rumore, pensando che fosse lui che si era nascosto per farla ai famigliari.
Ma ad ogni fallimento, il mio cuore si stringeva: non sapevo neanche perché stavo cercando un bambino che conoscevo a malapena, ma la testa in quel momento mi diceva solo di aiutarlo. Non si chiedeva in che modo, per quale motivo, no, dovevo aiutarlo e basta.
Ad un certo punto sentii una voce che proveniva dalle quinte.
Era la voce di un uomo… Di Joe il Bulldog Assassino.
Mi avvicinai di più alla porta del camerino, cercando di far meno rumore possibile, e accostai l’orecchio destro alla porta che era leggermente socchiusa: non avevo il coraggio di guardare quello che stava succedendo lì dentro.
Non sentivo molto bene ciò che stavano dicendo, e mi dovetti concentrare per capire il grosso del discorso.
Il bulldog stava parlando con un tono decisamente alterato, e gli rispondeva una vocina stridula e affievolita dal terrore.

Oh accidenti, Michael!
I miei pensieri arrivarono subito a lui: quel bambino mi aveva rapito sin dalla prima volta che i nostri sguardi si erano incrociati, e anche se quello che lo stava sgridando era suo padre non potevo permettere che lo trattasse in quel modo.
Fermai il flusso di pensieri, e riconcentrai l’attenzione su quello che stava succedendo dietro la porta.
Il bulldog lo stava incoraggiando a modo suo, con quel tono così sprezzante e umiliante: forse aveva sbagliato una nota, saltato una strofa, aveva attaccato troppo presto o troppo tardi…
Non lo seppi mai, perché la voce del bulldog era diventata un vero e proprio ringhio. Non riuscivo a capire niente di quello che diceva.
Poi sentii un rumore secco.
Il rumore della pelle che batte sulla pelle.
Uno schiaffo.
Pensai alla pelle di Michael. La pelle di un bambino, liscia, vellutata, morbida.
E fragile.
Come lui.

Smisi di ascoltare i lamenti che provenivano dalla stanza, accasciandomi sul pavimento: le mie povere orecchie non ce la facevano più, anche loro erano fragili come la pelle di un bambino.
Anche i miei occhi lo erano, anche loro stavano soffrendo… Erano gonfi e sbarrati, non riuscivo a chiuderli.
L’unica cosa che potevano fare era piangere.
Un pianto di dolore, di rassegnazione, di ingiustizia.
Trattenevo i singhiozzi per non farmi sentire dal mostro, e mi accorsi che anche Michael stava piangendo.
Come me.
Piangevamo all’unisono, e questo gesto, seppur doloroso, mi avvicinava a lui.
Anche lui era triste e troppo provato dalla vita, nonostante avesse soltanto sei anni.
Non sapevo cosa avesse passato in precedenza, in casa con quel mostro che chiamava papà, ma quello che avevo sentito (non solo con le orecchie, ma anche con il cuore) mi bastava per capire.
Io dovevo aiutare Michael.
Era la mia missione.
E se anche non ci fossi riuscita una prima volta, avrei tentato e ritentato fino allo stremo.
Né io né lui ci meritavamo la vita che avevamo.
Ma lui non poteva aiutarmi. Io invece sì.”

“E quindi tu hai aiutato Michael Jackson, mamma? Sei da considerare un’eroina per questo, lo sai?
“Non esageriamo, Katie! L’ho voluto aiutare perché non sopportavo che quel mostro con un calcolatore elettronico al posto del cervello, e senza la minima traccia di umanità nel cuore, lo trattasse come una macchina per fare soldi, non come un bambino che ha talento. Mi chiedo ancora se ce l’abbia un cuore”
“Per me no. Pensava solo ai soldi e alla fama, e tuttora non pensa ad altro!
“Sì, hai ragione. I suoi figli non avevano il coraggio di dirgli niente per paura di essere puniti. Ma te lo dico sinceramente, l’unico che veniva punito era Michael, gli altri stavano zitti e guardavano impotenti. Se non facevano quello che gli ordinava il padre, sarebbe toccato anche a loro, ma si accaniva su Michael solo perché era il  modello di riferimento”
“Ma perché hai detto che tu potevi aiutarlo mentre lui non poteva aiutare te?”
“Non lo so, forse l’avevo troppo sottovalutato… A quei tempi ero veramente stupida. Ma c’è da dirlo, anche lui mi hai aiutato, ed ho capito che non bisogna mai considerare i bambini creature inferiori, perché non lo sono”
Infatti i bambini hanno molte bellissime qualità. Sanno sempre come consolarti”
“E poi gli adulti sono molto più stupidi dei bambini
“Ecco perché tu ti comporti come una bambina, in fondo non hai tutti i torti
“Beh, se lo può fare Michael Jackson lo posso fare anch’io!”
“Sinceramente, io preferisco lui a te”
“Questo era implicito, anche io preferisco lui a te
“Guarda che se dici un’altra cosa così contro tua figlia, ti denuncio!”
“Okay, okay, non scaldarti, stavo solo scherzando!”
“Già, come al solito”
“Va bene, prima che spunti il sole voglio finire la mia storia quindi posso andare avanti, per piacere?”
“E va bene”
“Quando ti ci metti sai essere proprio gentile!”

“Durante lo sfogo non mi ero accorta che stavo ancora dietro la porta, e che il mostro sarebbe potuto uscire da un momento all’altro.
Quindi mi asciugai gli occhi e le guance e mi nascosi dietro un tendone molto pesante, aspettando che uscisse anche Michael insieme a lui.
Sentii dei passi leggeri che correvano verso l’uscita del camerino, e il fiato affannato di chi aveva appena pianto.

Michael.
Volevo corrergli dietro, e provare a calmarlo, ma subito dopo uscì suo padre, l’aria feroce e soddisfatta di chi ha vinto la battaglia, e cambiai idea.
Mi nascosi meglio dietro il tendone, trattenendo il respiro, fin quando non lo vidi più davanti ai miei occhi segnati dal dolore e dalla vergogna.

Dopo essermi un po’ ripresa, (anche se mi sarebbe servita un’intera settimana, ne ero certa) ritornai  da mio padre, seduto in uno dei tavolini sotto il palco, con l’aria distrutta e impotente.
Lui, vedendomi così abbattuta, mi chiese dove fossi stata, e cosa avessi combinato per ridurmi in quello stato, ma io gli dissi che non era nulla di importante: stavo esplorando il locale, ed a un certo punto ero inciampata nelle mie stesse scarpe, quelle odiose scarpe da signorina che la mia matrigna mi ordinava di indossare, e mi ero leggermente slogata la caviglia. Ma nulla di grave, riuscivo a muoverla benissimo.
Mio padre mi guardò torvo prima di aprir bocca ed emettere la sua sentenza: cavolo, perché non mi credeva mai? In fondo ero stata brava, quella volta! Avevo la faccia deformata dal dolore, no?  Avevo un minimo di credibilità!
“Siediti qui accanto a me, tesoro. Non devi sforzare tanto la gamba”
Ancora incredula, e con un sorrisone stampato in faccia, mi accomodai al fianco di papà, attenta a non tradirmi: se mi avesse visto correre o scattare, la mia carriera sarebbe terminata.
Vedendomi troppo euforica, mi chiese di far silenzio, perché lo spettacolo stava per iniziare.
Al suono di quelle parole, obbedii immediatamente, curiosa di vedere quale aspetto avesse il povero Michael, e appena si aprì il sipario vidi il quintetto dei fratelli Jackson pronti per suonare: non mi ricordavo ancora i nomi per intero, essendo veramente difficili da ricordare.
Gli unici  che riconobbi furono Michael, perché era il più piccolo, e Jackie perché era il più grande, e inoltre era l’unico di cui avevo un ricordo più nitido, avendolo visto per primo.
Gli altri tre per me erano tutti uguali!
Poi in un angolo vidi l’aguzzino: sorrideva ai figli come se prima non fosse successo niente, conscio delle sue malefatte.
Aveva il volto così falso e compiaciuto che dovetti trattenere un conato di vomito.
Cercai di ignorarlo, e di concentrarmi sulla musica, e su Michael.
Sembrava piuttosto preoccupato, poverino: l’episodio di qualche minuto prima doveva averlo sconvolto parecchio.
Comunque non si scoraggiò, ed attaccò a suonare insieme ai suoi fratelli: sin dalle prime note capii che non scherzavano per niente, erano molto bravi per essere dei bambini, e creavano una musicalità unica.
Mi piacquero moltissimo anche le loro voci, coordinate tra di loro, intonate e mai monotone.
Anche le note erano tutte al loro posto: tutto era così armonioso da far paura.
Quando l’ultima canzone finì con un breve assolo di chitarra, il Boss prese il microfono e parlò: anche la voce era viscida come lui, al contrario di quella dei figli, calda e amichevole, ed il microfono ampliava ancor di più quello sgradevole tono.
“Bene signore e signori, dopo un assaggio del talento dei miei ragazzi più grandi, voglio farvi sentire una canzone composta appositamente per i più piccolo dei miei figli, Michael Joseph. Vieni, Michael, non essere timido”
Tese la mano al bambino, che fino ad allora si era esibito suonando le percussioni, e lui obbedì, svelto come un felino, posizionandosi davanti al microfono, regolato per lui, e il padre arretrò per lasciar spazio alla stella della serata.
Michael si concentrò un momento, il capo chino e le mani lungo i fianchi, e diede il segnale ai fratelli per cominciare a suonare.
Le mie orecchie non avevano mai sentito nulla di più bello della voce di Michael: sembrava che ci fosse solo lui in quel momento sul palco.
Niente coro, niente orchestra, nessun mostro dagli occhi desiderosi di denaro e successo.
Niente di niente.
Una sola persona era riuscita a stregare la sala, me compresa, con la sola forza della sua voce dolce e rassicurante, gentile e innocente, una voce che ti cattura il cuore e non lo lascia più.
Nonostante quello che passava tutti i giorni, soggetto al mostro come l’attrazione circense più famosa e acclamata di tutte, nonostante i continui schiaffi, urli, intimidazioni ricevute, nonostante la sua innocenza che non gli permetteva di agire e difendersi dal mondo, Michael sul palco assumeva una sicurezza unica, cantando pensava solo alla musica che gli scivolava nelle orecchie e alla voce che usciva dalla bocca.
Nient’altro aveva senso o importanza in quel momento. C’erano solo lui e la sua voce perfetta.
Con quella voce, pensai subito che Michael avrebbe potuto stregare altri cuori così come stava facendo con il mio.
Perché lui aveva un dono.
Il dono di cambiare il mondo attraverso la sua voce

In effetti il mondo l’ha cambiato, basti pensare a tutto quello che ha fatto con la sua magnifica voce!”
“Eh, io avevo avuto questo presentimento già dalla prima volta che lo ascoltai cantare, cosa credi? Comunque, c’è l’ultimo pezzettino adesso, il più importante, e poi tutti a letto!
“Uffa, va bene, anche se dopo tutto questo racconto non sarà facile dormire!”
“A chi lo dici”

“L’applauso del pubblico mi distolse dal mio sogno ad occhi aperti, e mi resi conto che la canzone era finita.
Che peccato, era una canzone bellissima; non ricordo come faceva, ma era bellissima, te lo posso assicurare!
Con quella esibizione, era finito lo show dei fratelli Jackson e cominciavano a salire sul palco altri cantanti, ma a me non interessava più niente, dovevo fare solo una cosa in quel momento.
Ottenuto il permesso da mio padre per allontanarmi dal nostro tavolo, andai in camerino per complimentarmi con Michael e con i suoi fratelli, ma soprattutto con Michael!
Arrivata nel camerino, però, non lo trovai: c’erano solo i suoi fratelli che si stavano cambiando, con mia grande vergogna!
Così, dopo essermi scusata, chiesi dove fosse finito Mike, e loro mi dissero semplicemente che era uscito dal camerino, senza neanche cambiarsi, e che non avevano la più pallida idea di dove si fosse cacciato.
Biascicai un “Grazie” e mi precipitai a cercare Michael.
Lo trovai seduto sul marciapiede davanti il locale, il brillante costume di scena ancora indosso, illuminato dalla fioca luce delle lampade al neon che davano alla sua piccola figura un’aria di malinconia e solitudine.
A quella vista non potei trattenere le lacrime: ogni volta che lo vedevo mi veniva da piangere.
Era un fatto naturale, ormai, e non potevo più farci niente.
Dopo aver fatto la figura della ragazzina piagnucolona, conclusi che piangendo non avrei risolto niente, perciò asciugai il viso con la manica del giaccone e mi avvicinai a lui.
Non si era accorto di me, quindi ne approfittai per mettermi seduta accanto a lui.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Lui si girò verso di me, e ancora una volta fui presa dalla compassione che riempiva il suo sguardo.
Come faceva ad incantare le persone con la sola forza dei suoi soli occhi?
Quegli occhi grandi e scuri, minuscola riproduzione dell’universo… Me lo chiedevo sempre.
Non pensò molto alla risposta da darmi, anche se per me sembrò un’eternità. Si voltò leggermente, e mi disse, quasi sussurrandolo, un timido “Sì”.
Io ero completamente pietrificata dalla forza magnetica del suo sguardo, e per qualche secondo mi dimenticai di rispondergli.
“Ah, bene, mi fa piacere… Volevo farti i complimenti per l’esibizione di stasera! Sei stato formidabile, non ho mai sentito nessuno cantare come te, sei un bambino eccezionale!

Mi fa piacere… certo che potevo dire un’altra cosa. Lo stavo trattando come un adulto, e per giunta un adulto stupido; in quel momento mi vergognai miseramente di me stessa.
Per fortuna Michael sembrò non badarci, e mormorò “Grazie”, ma non molto entusiasticamente.
Il mio piano per aiutarlo stava andando mestamente a farsi benedire, e quindi scelsi una via alternativa al dialogo.
“Ti va di fare una passeggiata?”
Imprudente e incosciente. Fantastico.
Se durante la passeggiata ci avrebbe attaccato uno psicopatico che voleva ucciderci, sapevano a chi dare la colpa.
“Con tutto questo buio?”
“Beh, un po’ di luce c’è, non penso che sia tutto buio, altrimenti non ci abiterebbero. Dai, ti starò vicina, non ti succederà niente
“Sicura?”
“Sicurissima. Fidati, Michael”
Con mio grande stupore si alzò dal marciapiede, mi tese la mano e mi disse:
“Andiamo”
Mi alzai anch’io, goffamente, mi pulii la gonna e gli diedi la mano, più piccola rispetto alla mia, ma molto più calda.
Mi faceva una strana sensazione camminare con lui mano nella mano: sembravamo mamma e figlio che andavano a passeggio insieme, felici e spensierati.
Insomma, se pensavo ancora una volta a quello che mi era successo negli ultimi mesi mi veniva una tale malinconia che avrei potuto scoppiare a piangere in qualunque momento.
In fondo per quasi tredici anni mi avevano imbrogliata, e il modo in cui sono venuta a sapere della bugia non era dei più ortodossi.
Poi pensavo a Michael: anche lui non aveva avuto di certo un po’ di felicità.
L’unica cosa che lo mandava avanti era la speranza che un giorno avrebbe smesso di soffrire.
Per me il suo canto assomigliava a un grido di speranza e fede, come i canti di lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni del Sud.
In fondo veniva trattato come uno schiavo, e questo mi rendeva ancora più arrabbiata col mostro.
Stavo pensando così intensamente che non mi rendevo conto di dove stavo andando: dopotutto, era un problema minore.
Il terrore mi attanagliò le gambe, che dannatamente non riuscivano a fermarsi.

Oh santo cielo, io non conosco New York! Figuriamoci se ci vado in giro di notte, come se niente fosse, e per giunta con un bambino di sei anni!
Che stupida che sono stata! Sto trascinando me e Michael nel baratro del pericolo… E dire che il mio piano doveva aiutarlo, non rendergli la sua breve vita un inferno totale!

“Ehi, Fiordaliso, ti è successo qualcosa? Perché guardi fisso davanti a te?”
Perfetto, anche Michael adesso pensava che fossi una che vedeva i morti, ma…
Ehi aspetta un momento, mi aveva chiamato Fiordaliso?
Oh Dio, si era ricordato il mio nome!
Nessuno riusciva a tenerselo in testa per più di cinque secondi, e adesso incontro un bambino splendido che se lo ricorda!
Diamine, com’ero felice!
Quel piccolo gesto mi rese Michael ancora più dolce e sensibile di quello che già pensavo, e mi fece ritornare in mente dove l’avevo cacciato.
Dopo che mi fui ripresa, gli risposi chiaro e tondo che non lo sapevo.
Aveva la faccia terrorizzata, e mi guardava come se da me dipendesse la sua intera esistenza futura.
In quel momento provai pena per tutti e due: per me che ero una pazza omicida di bambini innocenti, e per lui, del tutto indifeso, che aveva accettato la mia insana proposta.
All’improvviso mi si raggelò il sangue nelle vene.
Avevo sentito qualcosa, anzi, qualcuno, che parlava dall’altro capo della via, e con mio immenso orrore si stava avvicinando al punto in cui ci trovavamo.
Sentii la mano di Michael che stringeva forte il mio braccio e lui che sussurrava atterrito:Ho paura Fiordaliso, andiamocene via di qui , ti prego.
Aveva le lacrime agli occhi, e la cosa peggiore era che non sapevo come aiutarlo. Non avevo mai praticato la lotta greco-romana o il pugilato, quindi non sapevo come difendere me e Michael.
La voce e il suo possessore si stavano pericolosamente avvicinando, e dopo poco ci ritrovammo davanti un uomo bianco, vestito pure male, che camminava dondolando a destra e a sinistra.
Pensai subito che fosse ubriaco, e in effetti lo era.

Canticchiava come un ossesso una canzone che non avevo mai sentito, ma quando ci vide smise di cantare e ci urlò: ”Aha, ma guarda chi si vede! Due bei bambini negri tutti soli soletti nel bel mezzo della notte! Lo sapete che non bisogna andare in giro a quest’ora senza la mamma e il papà? Si potrebbero fare dei brutti incontri…”
Notai, con mio grande orrore, che brandiva un coltello nella mano destra.
Avevo il battito cardiaco a zero e la paura era così tanta che non riuscivo a muovermi.
Sentivo solo il corpicino di Michael che tremava attaccato al mio.

Poi mi successe qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
Ripensai alla stupenda voce di Michael che avevo sentito poco fa e tutto cambiò.
No, non potevo.
Non potevo permettere a nessuno di toccare quel bambino fragile e meraviglioso, neanche sfiorarlo con una piuma.
Chiunque ci avesse provato, sarebbe stato punito.
Anche suo padre avrebbe fatto la stessa fine, ne ero certa.
Ma adesso era a quel viscido maniaco a cui dovevo pensare: con quell’arma voleva sicuramente ucciderci, ed inoltre era ubriaco.
La mia mente cominciò a lavorare veloce, gli occhi e gli arti la assecondarono.
Mi ricordai che avevo in tasca un accendino, “preso in prestito” dal taschino di mio padre: avevo pensato che un giorno mi sarebbe tornato utile, molto meglio di un coltellino svizzero o di un orologio da tasca.
Quel giorno era arrivato.
Guardai il nostro assalitore con aria di sfida: si stava avvicinando. Adesso era a tre metri circa da noi.
E poi guardai Michael, che tremava ancora alla mia destra, e non aveva la forza di guardare.
Poi lo sentii che diceva qualcosa: la voce era arrochita dallo spavento. Riuscii solo a sentire un pallido Aiuto. 
Quell’aiuto era indirizzato a me.
Girai il viso verso di lui, e gli carezzai la testa ricciuta con la mano destra.
“Andrà tutto bene, Michael. Non aver paura, ci sono io con te”
“Ma io non voglio che tu muoia, non voglio, non voglio…

“Non morirò, sta tranquillo, e neanche tu morirai. Sono stata io a trascinarti in questo casino, e sarò io a tirarti fuori.
Fidati di me, Michael”.
Quelle parole mi uscirono dalla bocca come un alito di vento penetra da una finestra aperta: non sapevo cosa mi avrebbe risposto Michael ma sperai con tutto il cuore che fosse un “Sì”.
E infatti Michael, tremante e con gli occhi e le guance bagnate, guardandomi abbattuto e speranzoso, mormorò quello che aspettavo da tanto:
Sì. Sì, mi fido di te, Fiordaliso”.
In quel momento mi sentii la ragazzina più fortunata e forte del mondo.
Smisi di sognare ad occhi aperti e mi concentrai sul Mostro Due.
Ormai era vicinissimo: continuava a dire cose senza senso, cose deplorevoli, soprattutto sui neri e su di noi, che eravamo appunto di colore.
Ma quando vide che lo fissavo spavalda e sicura di me, si fermò, e mi chiese con voce smielata :”Ehi, dolcezza, perché mi guardi così male, cosa ti è successo? Guarda che questo comportamento non si addice alle signorine come te
Rise sguaiatamente. Arricciai il naso: odiavo la gente che mi faceva i complimenti giusto perché è buona educazione.
Ormai non mi interessava più niente del mio aspetto, della mia situazione finanziaria, delle buone maniere… Mi avevano causato solo seccature.
Mi avvicinai di più a lui, ignorando le sue risa e lasciando delicatamente la mano di Michael dalla mia.
Non mi voltai a vedere com’era la sua povera faccia.
Non potevo. Dovevo prima stendere quell’individuo inferiore che continuava a sfottermi.
“Cosa c’è, abbiamo perso la parola? Non parli più? Che peccato, avrei tanto voluto sentire la tua voce…
“No, caro. Non sono muta, ma tu lo sarai molto presto
Schivai per un pelo il primo colpo del viscido, ma sentii la fredda lama del coltello fendermi la guancia sinistra.
A stento soffocai un lamento, e barcollai fino a inginocchiarmi per terra, toccandomi la ferita: bruciava, e fiottava sangue come un rubinetto rotto.
Un dolore così atroce che mi accecava, lasciandomi scorgere, al di sopra della sofferenza, la figura dell’ubriaco che se la rideva di gusto, mentre mi si avvicinava lentamente per completare la sua opera.
Io però fui più veloce, e sgattaiolai fuori dalla sua portata, lasciandolo con un palmo di naso.
Ebbi il tempo di prendere l’accendino dalla tasca, e di tenermi pronta per attaccare definitivamente.
Il mio nemico non si fece desiderare: dopo un attimo di defiance, si accorse che mi ero spostata, e mi venne incontro con il coltello alzato sulla testa, pronto a colpirmi.
Quando vidi la sua orrenda faccia sfiorarmi la punta del naso, chiacchierando come un ossesso, gli ficcai l’accendino in gola, e lo accesi, ritraendo la mano prima che lui mi sputasse addosso.
Dopodiché si mise a ululare come un lupo alla luna piena e con la lingua in parte ustionata biascicava qualche parola tipo:”La mia bocca, la mia povera bocca! Maledetta bastarda, ti denuncio, ti denuncio!

“Oh che paura, mi stanno tremando le gambe! Aiuto, qualcuno mi aiuti!” Dimenavo le braccia e mi esibivo in una perfetta imitazione della mia sorellastra quando vedeva uno scarafaggio, ero identica!
Poi mi ricordai del povero Michael, che era stato dietro di me per tutto il tempo, guardando me e il lupo mannaro combattere, atterrito.
Mi girai e vidi che era ancora lì, pallido come la luce emessa dal neon, ma almeno non si era mosso.
Corsi verso di lui, e lo presi per mano.
“Avanti, Michael, corri !”
Lui segui il mio consiglio, e iniziammo a sfrecciare per le vie del quartiere: ogni tanto vedevamo qualche bar aperto, un ubriaco steso per terra, che al contrario del nostro, era pacifico, e poi pure un edificio che assomigliava tanto ad un bordello.
Ci fermammo, stanchi e ancora un po’ spaventati, sotto un lampione della luce, per vedere almeno il nome della via dove ci eravamo cacciati.
E proprio in quel momento, con la voce affaticata e flebile per l’ormai passato spavento, Michael, il piccolo angelo che mi aveva preso il cuore, mi ringraziò:
“Grazie, Fiordaliso, mi hai salvato la vita
Io ero rimasta senza parole. Era esattamente quello che mi aspettavo di sentire dalla sua dolcissima voce.
“Ma figurati, l’ho fatto per te, sai a me che importa della mia vita!”
Mi sorrise, e quello fu una specie di segno.
Michael si fidava di me.
E qualcosa mi diceva che anche io dovevo fidarmi di lui.

Per sempre”

Tiro il quinto, celeberrimo, sospiro e finalmente annuncio che “È finita”.
Mia figlia si è stranamente zittita. Mi fissa come fisserebbe Mike che balla: estasiata.
“Oh mamma, ma allora tu hai salvato Michael da un ubriaco che voleva uccidervi? È strabiliante quello che hai fatto… Sei, sei stata meravigliosa…
“Perché, non lo sono tutti i giorni, tesoro?”
“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai salvato Michael Jackson da morte certa! Dovrebbero farti un monumento per questo!
“Si vabbè, non esagerare! Michael mi sarà sicuramente ancora riconoscente, ma un monumento mi sembra una cosa esagerata, non ti pare?
“Per Michael, questo ed altro”
“Già, provaci anche tu, magari ti regala un biglietto gratis per il suo prossimo concerto
“Sarebbe il massimo!”
“Già, ma adesso vai a dormire, che saranno le quattro di mattina, orsù, amore!”
“E va bene, buonanotte”
“’Notte, cioccolatino”
“Non chiamarmi cioccolatino, ma da sui nervi!”
“Okay, okay, notte dolcezza!”

Ah, finalmente a nanna, non ce la faccio più a parlare, mi fa male la mandibola!
Però almeno mi sono tolta il grande segreto e mia figlia mi ha fatto pure i complimenti, una delle poche volte in cui lo fa: devo raccontarle storie così più spesso!
Ritornando in camera, apro il cassetto e rovisto tra le vecchie foto di venti anni prima: raccontare mi ha fatto venire nostalgia di Michael, e vederlo adesso, a ventisette anni, famoso in tutto il mondo, non è la stessa cosa di vederlo a sei anni, in una fotografia in bianco e nero, sorridente, insieme ai suoi fratelli.
Insieme a me.


Aaaaah, finalmente sono riuscita a finire il secondo capitolo di questa storia infinita che a quanto pare, è abbastanza gradevole!! =)
Innanzitutto vorrei precisare che la storia di Fiordaliso non è ancora finita, sarà costretta a raccontare la seconda parte, smascherata dalla sua sbadataggine!!xD
Devo pure dirvi che nel primo capitolo c’è un errore che non ho fatto in tempo a correggere e cioè lei si sposa con il marito nel ’65 non nel ’64 ( poi vedrete quello che gli combinerà, il Viscido Tre è__é)
Adesso rispondiamo alle gentili signorine che hanno recensito:

eclipsenow: Grazie amore, anche la tua storia è bellissimamente meravigliosa, continua così !! *__* perdona la mia deficienza, prometto che il prossimo capitolo, perché questo ancora è scritto picciolo °-°, lo scriverò bello grande che pure una talpa miope saprà leggerlo, te lo prometto!! ^^
Sono contenta che le mie idee, ti siano piaciute, all’inizio la ff doveva essere diversa ma poi è successo quel che è successo e sono stata costretta a ripensarla….T.T
Vabbè, spero che ti piaccia anche così, tanti saluti dalla Regina Lunatica!! =]

MihaChan: perdonami per la scrittura, sono una Regina Deficiente piuttosto che Lunatica… xD
Comunque mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, tranquilla, aggiornerò presto, il tempo di buttare su carta tutto il casino che c’ho in testa e di perfezionare al massimo il tutto !! ^^ mi raccomando, recensisci pure i prossimi capitoli come hai fatto con questo, così mi verranno ancora più meglio gli altri, ciao ciccia dalla Lunatica!!
Bene, spero che questo capitolo sia piaciuto non solo a chi ha recensito ma anche a chi semplicemente letto!!
Ci vediamo al prossimo capitolo e ricordate sempre, non siamo soli !!!^^

   
 
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