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Autore: seventhe    06/09/2009    3 recensioni
E avrebbe detto , pensava lui.
Ma quando era entrato era sparita, e con lei anche le sue valigie e tutti i suoi vestiti.
Cid. Shera. Mani rozze e anelli con diamanti. Per Cendrillo (e per Etna :P).
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cid Highwind, Shera
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
- Questa storia fa parte della serie 'Warming Up'
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The Diamond and the Rough


NdA: E ora, provo con Cid.

Dovreste tutti sapere che ogni storia su Cid Highwind è propizia alle parolacce, e io mi sono regolata di conseguenza. Per chi di voi ha orecchie vergini: andate via, ripeto, andate via! Sciò!

Ideato come un regalo per Cendri per aver spammato per fanfictionpoint. Comunque ora vale anche per il suo matrimonio. Congratulazioni. Possa il tuo matrimonio CidxSquall durare per sempre!

NdT: in inglese come in italiano “rough diamond” significa (e qui non ci voleva un genio per capirlo XD) diamante grezzo, ma in generale la frase idiomatica “the diamond in the rough” viene utilizzata per indicare una brava persona priva di buone maniere e/o rispetto per la legge => Cid. Pensavo che fosse carino saperlo. Seventhe è un genio, e le vogliamo tutti bene ;.; Ah, questa fanfiction l’ho tradotta a giugno [2007] in occasione del compleanno di una mia carissima amica, Etna (o Netherworldqueen su Deviantart, per esempio), ma la posto solamente ora perché adesso è finalmente corretta. Ciao, cara:*
(chi non sapesse cos'è Warming Up è pregato di andare qui)



Maledizione, donna, non era previsto che te ne andassi.

Cid sedeva sulla sua vecchia e logora sedia con una tazza di tè tiepida in mano, e abbassò la testa per la settecentoventiquattresima volta in direzione della scatolina che aveva tra le mani.

Una scatolina di velluto, che sembrava inopportuna e fuori posto tra le sue vecchie mani da meccanico, secche, segnate e macchiate da anni di olio e sangue. Entrambi i suoi diti medi erano pure leggermente ricurvi, anche se questo non gli avrebbe mai impedito di usarli come si deve, a volte anche contemporaneamente. Le sue impronte digitali erano tutte mangiate via dall’acido e dagli agenti di pulizia, e parte del suo mignolo sinistro era misteriosamente sparito. La scatolina di velluto era - era dannatamente troppo piccola e vellutata per lui. Non vi era grazia nelle mani di Cid Highwind.

Sapeva che se avesse aperto la scatolina, quel coso l’avrebbe guardato; e l’avrebbe anche deriso. Una minuscola (beh, okay, discreta), lampante, scintillante e luccicante promessa. Un diamante, legato in oro temprato. Un diamante estratto dalle loro montagne. Aveva pensato che le sarebbe piaciuto.

Le sue montagne, ora.

Sarebbe stato perfetto. Completamente inaspettato. Lei sarebbe entrata con il suo tè e avrebbe chiesto in quella minuscola vocina com’era andata la giornata al negozio, lui avrebbe grugnito, poi si sarebbe girato verso di lei e avrebbe consegnato la scatolina.

Lei sarebbe rimasta a bocca aperta, e poi l’avrebbe guardato, e anche se ci fossero state delle lacrime nei suoi occhi gli avrebbe regalato quel sorriso, quello che riservava solo alle occasioni veramente rare e speciali.

E avrebbe detto , pensava lui.

Ma quando era entrato era sparita, e con lei anche le sue valigie e tutti i suoi vestiti.



Nel frattempo provò a pensare a tutti i posti in cui poteva essersi cacciata, in quei momenti in cui si permetteva di dimenticare, i momenti tra un tiro di sigaretta e l’altro. Poteva essersene andata da Tifa: le due donne erano vicine, dannazione, ed erano sempre a complottare alle sue spalle. Poteva essersene andata dalla madre, costretta a casa a Mideel. Poteva essersene andata a Costa del Sol per una vacanza ricreativa.

Ma alla fine, quando espirava, e tutti i pensieri fuoriuscivano come il fumo che respirava, Cid sapeva che tanto non aveva alcuna importanza: se n’era andata.

E di sicuro se n’era andata per sempre. Quel pomeriggio scoprì che si era presa la sua teiera, quella buona, quella d’acciaio inossidabile con gli orrendi fiorellini rosa intorno al manico rotto. Aveva dovuto lottare per prepararsi il suo stesso maledetto tè in una vecchia cosa che alla fine aveva trovato nella credenza sopra il frigorifero. Era coperta di ragnatele ed era pure un po’ ammuffita, e poi come cacchio aveva potuto metterla lì Shera se era così dannatamente bassa?

L’aveva lavata e l’aveva bollita per sterilizzarla e a quel punto gli passò anche la voglia del tè, perché lo stupido bollitore blu gli sembrava stupidissimo sul suo dannato fornello.



“Allora, dove sei stato oggi?”

Shera sembra semplicemente emanare piccolezza. È una raccolta di riservatezza, timidezza, intelligenza, arguzia e genio, tutto in uno, eppure non è nessuna di queste cose. Il complesso è in qualche modo più piccolo della somma delle parti. È semplicemente piccina.

“In giro.”

“Cosa hai fatto?” Tra l’altro, fa sempre domande. A Cid a volte piace e altre volte lo odia. Fa domande su tutto, seguendo quell’insensato desiderio degno di una donna di sapere ogni avvenimento della sua intera vita. Non che a Cid dia fastidio; solo non capisce come sia possibile che ogni minuto della sua giornata diventi così dannatamente importante. È irritante dover spiegare ogni singola parte di cose che non significano neanche nulla.

“Ho fatto cose, Shera, per l’amor del cielo.”

Cid non capisce come faccia, ma ha un qualche potere che la fa restringere fino alla stazza di un dannato topolino e lo fa sentire il più orribile Sephiroth che il mondo abbia mai visto.

Pensa di sorriderle, ma a metà strada si ricorda della scatolina di velluto nascosto nel compartimento sbornia del Tiny Bronco (un luogo in cui lei non guarderebbe mai; non sa neanche che il Tiny Bronco ha un compartimento sbornia, stupida donna, non ci arriverebbe mai) e pensa: non posso essere troppo carino, mi tradirei.

Allora beve il suo tè, e assume un cipiglio minaccioso.



Finalmente, quella sera, dopo un orribile giorno senza tè, Cid si arrese e chiamò Tifa.

Il PHS gli squillava metallico nell’orecchio, e quando diede uno sguardo al telefono piccolo e sottile nelle sue mani da tecnico per poco non riattaccò. Che diamine sto facendo?, come aveva potuto pensare di meritare una persona dolce, piccola, timida e con gli occhioni grandi come la piccola Shera Storey, avrebbe dovuto prendere quella stupida scatolina di velluto e ficcarsela su per il-

“Pronto?”

La voce scoppiettante di Tifa era velata di spossatezza o distrazione, e i pensieri di Cid furono così interrotti, tanto che gli ci volle un momento per riprendersi.

“Cid? L’identificatore telefonico dice che sei tu… ci sei?”

Si rischiarò la gola con un colpo di tosse e disse, burbero, “Sì, nanerottola, smettila di lamentarti.”

La breve risata di Tifa esplose all’altro capo del PHS. “Highwind, solo tu potresti telefonare a qualcuno senza avere niente da dirgli.”

Questo fece schiantare la mente di Cid contro la piccola scatola di velluto: e la congelò.

“Cid?” Ora la sua voce era apprensiva, l’indistinta scarica emotiva gli ronzava nelle orecchie. “Ehi, Cid, c’è qualcosa che non va?” Lei rise ancora, il tipo di risata che si fa quando si cerca di distrarre la persona con cui si sta parlando. “Da che ti conosco non hai mai lasciato passare così tanto tempo tra una parolaccia e l'altra.”

“Vaffanculo,” l’accontentò lui, accompagnando malvolentieri del divertimento al grugnito.

“Così va meglio,” disse Tifa vivacemente. “Che posso fare per te, ciminiera ambulante?”

Cid radunò un po’ del proprio coraggio. “Senti, nanerottola, non puoi, - stammi a sentire, non puoi dirlo a nessuno, hai capito?”

“Certo,” assicurò lei, crepitando ancora di allegria. “Che succede, nicotinomane?”

Cid sospirò, inviando un flusso di carica statica lungo il filo, e stringendo convulsamente il velluto in un pugno chiese, “Non hai, eh, visto Shera da qualche parte, vero?”

Tifa ci mise un momento di troppo per rispondere, un minuscolo istante che espresse tutta la sua sorpresa, lo shock e vergogna, vergognati, Highwind, e poi disse, facendo di tutto per rimanere gentile, dannazione a lei, “No, non l’ho vista. È - um, sparita?”

“Ha fatto le valigie e se n’è andata,” replicò Cid, e maledizione se gli fece male pronunciare quelle parole, come se averle dette le avesse rese ancora più reali: più reali della stanza degli ospiti vuota, della casa deserta e del dannato bollitore blu sul fornello. “Volevo soltanto sapere se forse era venuta dalle tue parti o qualcosa del genere.”

Riuscì quasi a sentire Tifa che scuoteva la testa dall’altra parte. “Non è qui, Cid. Vuoi che chiami in giro - che controlli se è con qualcun altro?”

Lui sbuffò. “Da chi altro potrebbe andare?”

“Eccellente osservazione.” ammise Tifa con empatia, una vera, fottuta empatia che usciva dai piccoli tubicini del piccolo telefono (per tutti gl’inferi, perché queste cose non le facevano più grandi, porca puttana, avrebbe potuto frantumarlo con le sue rozze mani da meccanico, senza parlare di quanto sembrava deficiente Barret quando cercava di aprire il PHS con un braccio a forma di cannone e una mano della grandezza del Monte Nibel, che razza di strumento) e gli entrava nell’orecchio dove procedeva al massacro del suo cervello.

“E che cazzo, nanerottola, niente pietà del cazzo, per favore,” ringhiò, arrabbiato con il mondo, arrabbiato con se stesso. “Cazzo, è tutta colpa mia, lo sai, quindi chiudi il cesso.” E poi, rendendosi conto di quanto dovesse essere sembrato scortese e di quanto maledettamente volgare fosse diventato col passare degli anni, aggiunse, “E grazie.”

Tifa rise, e questa volta fu una risata spontanea: solo una scusa di Cid poteva contenere un nomignolo offensivo, la parola ‘cazzo’, non includere il verbo ‘dispiacere’ e valere ancora come tale. “Cid, c’è qualcosa che posso fare per te?”

“Nah, non preoccuparti,” disse. “Io - uh - lei tornerà, oppure no, e uh, comunque, chi se ne fotte, Tifa, starò bene.”

Tifa rise ancora. “Intendevo dire se posso fare qualcosa per te nel senso ‘posso cucinare per te’, nicotinomane,” spiegò, e Cid non poté fare a meno di sorridere.



“Capitano?”

La voce lo riporta a terra. Si trova sul tetto, le braccia strette attorno al corpo per farsi calore - quando diamine è diventato così freddo? È un po' che fuma e guarda i cieli e sogna del nulla ad occhi aperti.

Ma la voce di Shera, quella lo riporta sempre a terra. Non importa quanto essa sia piccola, lui la sente sempre.

Gli ha portato un maglione di lana, quello che indossa sempre sul tetto; è molto sporco di tabacco. Lei si è infagottata e lui le fa un po’ di spazio sul tetto del negozio. Sta arrivando una tempesta e anche se non li raggiungerà riesce comunque a vederla, a sentirla, mentre si prepara molto lontano al di là delle montagne.

Cid pensa, dovrei farlo ora, e tuffa la mano nella tasca. Lancia uno sguardo a Shera, e lei ride.

“Che ridi, donna?”

“Sei proprio uno stupido vecchio coglione,” replica lei, ridacchiando. “Con i tuoi polmoni, l’ultima cosa che dovresti fare è startene seduto qui nell’aria fredda a fumare.”

“Per me non c'è cosa migliore,” grugnisce Cid. Ed è la verità. Stare seduto sul tetto con una sigaretta (e con lei) lo fa sentire il re di tutto il mondo.

“Forse, se sei uno stupido vecchio coglione.” Ride ancora sotto i baffi.

Gli piace anche questa Shera. È come una Shera segreta, una che esce fuori solo la sera, e di solito sul tetto. È una Shera scemotta, che occasionalmente impreca, ridacchia senza vergognarsi e a volte lo prende proprio in giro. Dentro la casa sono irrigiditi dalla formalità, un gioco che ripetono da anni.

Sul tetto, sono liberi.

Lei sta ancora ridendo, così Cid estrae la mano dalla tasca, vuota. Dovrebbe darglielo ora, ma non vuole rovinare il momento. Neppure i diamanti sono preziosi quanto la sua risata.



Era divertente, come tutte quelle piccole cose si fossero accumulate. Anni di vita con Shera in casa si erano ammassati gradualmente come polvere negli angoli, come batuffoli di pulviscolo sotto il letto, come i vecchi dettagli e l’occasionale tubatura rotta che avevano formato una colonia sotto il divano. La sua presenza era ancora lì, nelle ombre del corridoio, nei disegni della tappezzeria che aveva scelto con cura e nella coperta a spirale del divano che lei aveva preso da casa di sua madre quando l’anziana signora era passata ai comfort della vita assistita.

La casa era più vuota con queste immagini di lei lì, capì Cid. Vuota come una scatola che aveva contenuto una cosa preziosa. Vuota come uno scrigno del tesoro dopo che Yuffie la Grande Ninja Stronza Iperattiva della Cleptomania l’aveva individuato, solo peggio. Nulla aveva rapito Shera Storey: se n’era andata da sola.



Cid aveva sempre amato le tempeste. Tutti pensavano che fosse un controsenso che un pilota amasse le tempeste, ma secondo lui era coerente. Era un eccellente esempio del potere dei cieli, del fiero potenziale di ogni nuvola. Era per questo che volava. I venti erano nel suo nome e nella sua natura. Le tempeste erano ciò che lo tratteneva a terra, letteralmente: erano un metro della sua debolezza.

Lui non avrebbe mai volato in una tempesta. Non era uno di quegli stupidi, arroganti cazzoni finti coraggiosi alla guarda quanto ce l'ho lungo che pensavano fosse un segno di virilità fare cose veramente stupide nella speranza di sopravvivere e scopare. Aveva costruito i suoi aerei dall’ABC: erano i suoi fottuti bambini, e sarebbe stato uno stronzo se li avesse portati tra i tuoni con solo la presunzione a proteggerlo. Avrebbe considerato l'idea di volare in una tempesta solo se fosse stata una questione di vita e di morte per qualcuno. Fortunatamente aveva evitato questo genere di situazioni per buona parte della sua vita.

Invece usciva all'aperto, sul tetto del negozio, e guardava arrivare le tempeste. Erano una baraonda di nuvole roteanti e tuoni più deboli del ringhio più feroce di Red e ogni tanto cadevano anche dei lampi sulle appuntite montagne di Nibelheim. A volte veniva incantato dal grigio, dal buio e dal rumore, ed era solo quando Shera appariva su di lui con in braccio delle coperte e quello stupido, brutto ombrello di pizzo che sua sorella le aveva mandato per un compleanno, che si accorgeva di essere completamente zuppo, gelato, e probabilmente ammalato.

Si stava preparando una tempesta. Lo sapeva. Anni passati a osservare e guardare e vivere parevano avergli iniettato quella nozione da qualche parte del ginocchio sinistro. E poi dai, porca miseria, lui era comunque parte del cielo, aveva sempre riconosciuto l’arrivo di una tempesta. Era come sapere l'ora, o il suo nome, o dov’era la sua lancia nel caso in cui ne avesse avuto bisogno.

Ma stavolta non la voleva. Per la prima volta in tutta la sua vita del cazzo non ardeva di energia e trepidazione. La fitta sorda al ginocchio somigliava più al dolore, che sembrava però provenire più dalle parti del cuore. Si preparò una tazza di tè con la stupida teiera blu (per qualche ragione tutto il suo tè aveva assunto improvvisamente lo stesso sapore della merda confezionata che Cloud rifilava sempre loro durante il viaggio, e proprio non sapeva perché; non era certo la prima volta che preparava il tè. Forse era la teiera) e si diresse verso la veranda per sedersi sulla sedia a dondolo e almeno salutare la tempesta, se non venerarla.

Stava piovendo piuttosto copiosamente quando notò improvvisamente una figura solitaria che si muoveva nella pioggia. La riconobbe immediatamente; il suo cuore fece uno strano tonfo mentre i suoi occhi cercavano furiosamente di concentrarsi su di lei quasi come se non la conoscessero. Magari.

Portava con sé quello stupido ombrello del cazzo con il pizzo sull’orlo. Era di un qualche infelice colore tra il corallo e il beige che sembrava aver visto giorni migliori tre reincarnazioni prima. Non trasportava nessuna valigia. Sapeva che lei l’aveva visto; sapeva anche che lei sapeva che lui l’aveva vista. Non sapeva se interpretare come buon segno il fatto che continuasse a camminare. Voleva sperare che fosse buono. Fanculo, non capiva più nulla.

Non reagì nessuno dei due; lui sedeva sulla veranda e continuava a dondolarsi, lei continuava a camminare a quell’andatura lenta e regolare. Si fermò quando fu abbastanza vicina per parlare; dietro la tenda di pioggia riusciva a stento a scorgerle il viso, ma non aveva bisogno di vederlo. Non riusciva a vederle neanche gli occhi, solo ombre incavate mal celate dalla massa di gocce di pioggia.

“Dovresti essere sul tetto.” lei parlò per prima, ancora ferma nella pioggia nonostante la veranda fosse abbastanza grande da contenere tutta l’AVALANCHE (anche se non sarebbero stati comodi). Voleva invitarla a salire. Voleva urlarle addosso. Voleva agguantare la scatolina di velluto e buttargliela in faccia. Non sapeva cosa voleva.

“Non mi andava.” non riuscì a pensare a nient’altro da dire. Beh, in realtà gli venivano in mente troppe cose da dire, ma nella tipica maniera Highwind nessuna di esse era strategica e contenevano tutte la parola cazzo. Almeno due volte.

“Non è da te.” Stava per caso dicendo intenzionalmente cose che avrebbero prodotto molte risposte arrabbiate? Shera non era una provocatrice, o almeno non lo era fino a poco tempo prima. Ma se stava tentando di aizzarlo ci stava sicuramente riuscendo.

“Non proprio.” Forse se avesse detto il minor numero di parole possibile, il suo cervello avrebbe avuto più tempo per pensare. Peccato che il cervello in questione non sembrava sintonizzato con lui. Cazzo.

Lei si agitò nella pioggia, leggermente a disagio. “Io… uh, ho dimenticato qualcosa.”

Lo aveva detto in quella voce minuscola, quella tenue che si sentiva appena, quella che adoperava quando sapeva di aver fatto qualcosa di sbagliato e aveva paura che lui la rimproverasse come un maledetto cagnolino, e per qualche ragione sentirla restituì la voce di Cid (con tanto di rancore sarcastico) al suo proprietario, che si sentì improvvisamente e ferocemente tradito come se qualcuno gli avesse lanciato un Fire 2 dal nulla, e si arrabbiò.

“Che c’è, pensavi di strisciare in casa mentre ero su quello stramaledettissimo tetto?”

Lei sospirò, un piccolissimo sospiro nella pioggia, le spalle che scivolavano rassegnate verso il basso; era come se stesse aspettando qualcosa, e Cid capì che sì, aveva pensato di fare proprio così, e ci stava pensando da quando aveva riconosciuto la sua figura su quella che un tempo era la loro veranda.

“Sì, Capitano, non volevo infastidirti, e io - io me ne vado,” rispose sommessamente, voltandosi, e allora lui pensò: Come può chiedermi scusa ed essere così dolce e piccola come se fosse circondata da problemi quando è lei che ha fatto i bagagli e se n’è andata?

Cid si alzò e si ritrovò sotto la pioggia prima ancora di sapere cosa stesse succedendo - e si ritrovò subito zuppo fino al midollo, cazzo se fa freddo, ma non vi badò perché la sua infelicità assomigliava alla rabbia ed era rovente, e in seguito il fatto che non ci fossero dense nuvole di vapore attorno al suo corpo l'avrebbe stupito. Le aveva afferrato il braccio e l’aveva girata prima ancora di pensarci, e aveva quindi posato gli occhi sul viso di Shera Storey per la prima volta da più di una settimana.

Il suo cervello lo raggiunse più o meno in quel momento. Lei lo guardò, spaventata dalla stretta ferma sull'avambraccio, e le lesse negli occhi la sua istintiva reazione: Oh, Capitano, faremmo meglio a entrare dentro e a toglierci da questa pioggia!; e la vide sopprimerla, la vide sbattere palesemente le palpebre per spegnerla come se fosse stata una candela. Lo stava semplicemente fissando, negli occhi una domanda e una condanna, sotto il maledetto, brutto ombrello rosa. Non notò neanche la pioggia.

“Col cazzo che te ne vai,” disse, e invece del solito ringhio che accompagnava minacce come questa la sua voce uscì stranamente gentile, e preoccupata; la vide sbattere le palpebre, sorpresa.

Lei era lì, ferma, lo guardava e basta, e sentendo l’impazienza divampare nuovamente (Cid era estraneo alla pazienza. Sapeva a malapena scrivere la parola e del concetto non sapeva che farsene) la scrollò per il braccio e chiese, “Shera, che cazzo sta succedendo?”

Lei distolse gli occhi e abbassò lo sguardo, chinando il capo, di nuovo come se i problemi li avesse lei. “Mi dispiace.” ribatté debolmente, e con il rumore assordante attorno a loro e quello che gli ronzava nella testa Cid la sentì a stento.

“Ragazza, devi parlare a voce più alta.” la rimproverò.

Lei scosse e alzò la testa, sistemandosi gli occhiali, che per Shera era come drizzare la spina dorsale. “Tu - tu - è la prima volta che mi chiedi di parlare a voce più alta.” disse in quella vocina forte, e Cid capì lentamente che non stava parlando del volume.

“Perché finora sono sempre riuscito a sentirti, Storey,” replicò cautamente, avvicinandosi di un passo, la mano ancora ferma sul suo avambraccio. “Ma ora non so che cazzo sta succedendo.”

Lei distolse ancora lo sguardo, e Cid evocò quello che sperò fosse un tono gentile prima di chiedere: “Allora, dove sei stata?”

Tornò a guardarlo, le spalle che si abbassavano di nuovo, il corpo molle fatta eccezione per il capo sollevato verso l’alto nell’oscurità dell’ombrello rosa. “Era il mio compleanno, Cid,” mormorò in una voce lacrimosa che era troppo vicino a un piagnucolio. “Era il mio compleanno, e ho capito di aver passato qualcosa come quindici anni della mia vita con un uomo che non riesce a ricordarsi nemmeno del mio compleanno.”

Oh cazzo, pensò Cid. Era passato il suo compleanno. Porcadiquellaputtanatroia.

Ma lui se lo ricordava il suo compleanno, se lo era sempre ricordato prima di allora. Le aveva comprato del tè, e l’aveva portata a cena, e un anno le aveva comprato un vestito vero (lei aveva scelto, lui aveva pagato). Quest’anno… La sua mente era stata presa da altre cose, cose che brillavano ed erano conservate nel velluto. Era stato distratto dal bisogno di mantenere il suo segreto.

E porca puttana, sapeva che si doveva trattare di qualcosa di così terrificante - di femminile.

Lei prese un profondo, tremante respiro. “E sapevo che se non avessi fatto qualcosa, avrei passato altri quindici anni nella stessa casa, e alla fine non ci sarebbe stato nessuno su tutto il Pianeta che si sarebbe ricordato del mio compleanno.”

Il tuo compleanno, voleva dire Cid. Ci sono io qui con un dannatissimo anello di fidanzamento e tu sei sconvolta per il tuo compleanno?

Non le avrebbe chiesto scusa. Nessuno dei due l’avrebbe fatto.

Invece lasciò cadere un lungo silenzio, un silenzio durante il quale sentì la pioggia martellargli addosso, ma stranamente il freddo della tempesta sembrò dargli forza, il peso dei vestiti bagnati contro la pelle gli donava l'energia per fare qualcosa di buono senza ritirarsi in una maledetta freddezza. Guardò Shera, che aveva gli occhi che si saettavano da lui alla pioggia, al brutto merletto strappato alla fine dell’ombrello (oh, dei, se fosse tornata a casa per prima cosa avrebbe bruciato quel lurido pezzo di merda, gliene avrebbe comprati altri dodici) e pensò.

Pensò, ci siamo. Stai dicendo che vuoi stare con lei per il resto della tua vita. Il resto della tua cazzo di vita. Dovrai ricordarti del suo compleanno, e di un anniversario, e di tutte quelle cazzate da donna, e se ci saranno bambini dovrai ricordarti anche dei loro compleanni del cazzo. Lo capisci? Lo vuoi?

E la tempesta, colpendolo sulla schiena e sul cuore e su quello stronzo del suo ginocchio disse: .

La tempesta era alle sue spalle. I venti erano nel suo nome e nella sua anima, e gli diedero una piccola spinta. “Va bene,” iniziò. “Lascia che ti mostri perché me ne sono dimenticato.”

Il suo sguardo diceva, Puoi concedermi almeno questo? E Shera annuì col capo.

Si girò e s’incamminò a passo pesante verso la veranda. Fuori dalla cascata di pioggia si accorse immediatamente di avere un freddo cane, maledetta pioggia di Nibel. Ma ricordò cosa andava fatto, malgrado l’inestinguibile brivido che si arrampicava sulla sua schiena, e si voltò per tenerle la porta aperta. Lei chiuse l’ombrello e lo oltrepassò senza incontrare i suoi occhi.

La guidò nella casa e si fermò nel soggiorno, ai piedi delle scale. “Siediti.” le intimò, e mise una mano in tasca.

Obbediente, Shera si sedette. Afferrò il velluto in un secondo da infarto, e poi se lo tolse dalla tasca, sorpreso dalla sua leggerezza, come se qualcosa che aveva causato talmente tanti problemi dovesse pesare quanto il Tiny Bronco, o almeno quanto la spada di Strife. La sua schiena nascondeva la mano agli occhi di Shera, e quindi lo aprì quel che bastava per dare una sbirciatina tra le dita grezze. Che cosa avevano in comune i diamanti e le cose grezze? Non gli veniva in mente il proverbio. Fanculo.

Con molta attenzione, lo posizionò piano sul tavolo e lo fece scivolare verso di lei.

“Dacci un’occhiata,” disse. “Vado di sopra a prendere dei vestiti asciutti.”

Corse su per le scale senza una parola di più, voltando le spalle a tutta la questione perché improvvisamente aveva paura. Cid Highwind, paura del cazzo? Sì, e Sephiroth stava tornando per ballare la polka con Cait Sith.

No, aveva davvero paura. Paura fino al midollo, e il brivido di paura gli fece sentire ancora più freddo, e con i pensieri gemelli scappa e cazzo sto congelando raggiunse il secondo piano. Inoltre, Shera doveva prendere questa decisione da sola, e non sapeva se la sua presenza l'avrebbe aiutata o sarebbe stata d'intralcio a farle fare la scelta che voleva lui. Che poi qual era? Aveva una paura incredibile. E freddo. Paurafreddo. Era un’unica emozione, e di sicuro faceva un cazzo di male.

Ma sentì dei delicati piedi arrabbiati salire scale dietro di lui; era arrivato nella camera da letto, ma non aveva fatto in tempo a prendere dei vestiti caldi - agguantò una coperta, gli andava bene qualsiasi cosa per fermare i brividi - ed eccola lì. Stringeva la scatolina tra le mani, ma lì sembrava giusta. Le mani di Shera Storey erano brutte e rozze quasi quanto le sue, ma in qualche modo - oh maledizione-porca-puttana-zozza - era fatta per stare lì.

“Cid,” disse, guardandolo dritto negli occhi. “Cos’è questo?”

Lui rimase a bocca aperta. “In che senso, cos'è questo?”

Gli si avvicinò un po'. “Cid, è un anello di fidanzamento?”

No, è una cosa che mi è uscita direttamente dal culo. Cid si sedette sul letto e seppellì il volto tra le mani. Stava davvero partecipando a quella fottuta conversazione? “Sì.”

Ci fu un silenzio così lungo che si ricordò di aver freddo. Alzò lo sguardo verso Shera. La sua espressione era, in realtà, indecifrabile.

Poi un lieve sorriso iniziò a fiorirle lentamente sul viso, un sorriso che in qualche modo gli fece provare di nuovo un calore assurdo, anche se sapeva di aver appena perso la sensibilità ai piedi e alle dita. Quel sorriso. Quello che aveva desiderato con tutte le sue cazzo di forze. Quello che desiderava ancora con tutte le sue cazzo di forze.

“Cid Highwind,” disse; la sua voce era quasi un severo rimprovero, “Questa è stata la peggiore proposta che abbia mai visto.”

Lui la fissò mentre lei allungava una manina nella scatolina, tirava fuori l’anello e se lo infilava al dito.

“Ma ha funzionato.”

Scosse la testa lentamente, come se non fosse completamente certo di quello che era appena successo. “Ha funzionato?”

Shera annuì, e lo guardò, e si accorse che era pronta a scoppiare a piangere ma che stava tentando di trattenersi, e che stava tentando di trattenersi per lui, e lo apprezzò, e improvvisamente si rese conto di amare quella maledetta donna così tanto che faceva male, anche se non sapeva perché. Maledetti diamanti.

“Beh,” cominciò, e lei lo guardò piena di aspettativa. “Neanche il tuo è stato un sì sensazionale, Storey.” concluse.

Lei spalancò gli occhi, come faceva sempre quando lui aveva l’ultima parola, e entrambi ridacchiarono, una risatina che nel caso di Cid si trasformò in un profondo, oltraggioso attacco di tosse.



Si era ammalato per il suo stesso maledetto matrimonio.



NdT: aw XD Beta-letta anche questa da caith_rikku. Questa fanfiction mi ha fatto amare Cid, è bellissimo! *__* Cid, I <3 you *_* Comunque, al solito, recensite se potete che manderò il tutto all’autrice. Se qualcuno non sapesse cos’è Warming Up, è tutto scritto nella prima one-shot di seventhe che ho tradotto, Swirl and Sours. Ciao!

Edit del settembre 2009: più leggo questa storia più mi rendo conto di quanto sia magistrale la caratterizzazione di Cid. È un vero peccato che certi personaggi vengano ignorati così tanto da una buona fetta dei fan solo perché poco “carini”… ma vabbè, è una delle leggi non scritte del fandom e posso farci ben poco :)
Alla prossima.

youffieh <3

Nota tecnica: Benché questa fanfiction faccia parte, appunto, di una serie di fanfiction, ho creduto fosse meglio postare le one-shot separatamente come in originale perché veramente molto diverse l’una dall’altra, tanto per tematiche quanto per personaggi e generi. È un progetto troppo eterogeneo per essere unificato e segnalato come “Raccolta”. Per chi non conosce il fandom inglese e non ha letto parecchie fanfiction su queste coppie probabilmente queste fanfiction hanno poco a che vedere l’uno con l’altra.
   
 
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