Sing for Absolution.
Notte. La luna piena diffondeva il suo chiarore etereo
trasformando il paesaggio di periferia e le foreste intorno in uno scenario
onirico ed irreale.
Quel palazzo sembrava un enorme mostro addormentato, con tutti gli
occhi chiusi. Solo una finestra era spalancata ad accogliere la fresca brezza
notturna, che tagliava in qualche modo la cappa del caldo opprimente di quei
giorni.
I raggi lunari si insinuavano nella stanza dove una giovane dormiva
in un grande letto, forse troppo grande per lei. Riposava su un fianco, rivolta
verso la porta.
Tutto era immobile e silenzioso, persino il suo respiro era quasi
inudibile.
Poi, con un fruscio, un’ombra si era disegnata dentro la cornice
della finestra. Una figura nera stava accovacciata sul bordo, come un gargoyle a
guardia di un’antica cattedrale gotica. Quando era scivolata nella stanza non
aveva fatto più rumore di una foglia in autunno.
Quell’ombra si era avvicinata al letto, i suoi lineamenti adesso non più
nascosti in controluce. Una pelle cerea, spettrale, tratti decisi di uomo eppure
non completamente umani. Ombra, fantasma – era quello che aveva imparato ad
essere.
Lei si era mossa nel sonno, mettendosi supina e continuando a respirare serena,
mentre la luce lunare si posava su di lei illuminando i capelli corvini e la
pelle olivastra.
Una mano guantata di pelle nera si era appoggiata sulla sua guancia, facendole
aprire gli occhi. Due occhi grandi, scuri e profondi.
La prima cosa che aveva visto era stato un fantasma pallido, i cui occhi erano
invece troppo chiari. Talmente chiari da sembrare privi di vita ma capaci di
vedere quello che molti non notavano.
Aveva sorriso, incurvando appena le labbra a forma di cuore.
Il fantasma non aveva cambiato espressione, ma l’altra mano aveva cercato la sua
guancia. Una carezza fugace, quasi colpevole.
Le braccia della giovane si erano allungate a toccare il viso del fantasma,
cingerlo, avvicinarlo a lei.
Non puoi. Non devi.
Il fantasma era più reale di quanto sembrasse quando si era ritratto
all’improvviso. Lei non sembrava preoccuparsene, e si era messa a sedere,
prendendo l’altra sua mano. Poi si era avvicinata, premendo le sue labbra a forma
di cuore su quelle sottili dell’uomo.
Non dovevi farlo.
La mente del fantasma si era riempita di immagini e visioni, che lo chiamavano,
che gli gridavano di lasciare tutto, di mandare quelli al diavolo, di cedere.
Si ritrovava a ricevere un bacio che non meritava, non lui. Si ritrovava ad
avere due braccia che lo circondavano, che gli chiedevano di restare.
Non posso. Non devo.
Stava andando tutto a puttane, e non poteva permetterselo. Era un fantasma, non
poteva esistere. Tutto quello andava contro ciò a cui aveva giurato la fedeltà e
l’onore, ma soprattutto andava contro il suo essere. Non sentire niente, non
lasciarsi coinvolgere mai. Non era quello che gli avevano sempre insegnato?
Non potrò essere assolto.
Un colpo silenzioso in mezzo al petto. Prima che potesse rendersene conto, la
giovane era caduta senza forze su di lui come una meravigliosa bambola di
porcellana. I suoi occhi grandi, scuri e profondi fissavano ora la luna piena,
una lieve sorpresa dipinta sul suo volto.
Il fantasma l’aveva presa tra le braccia, adagiandola delicatamente sul letto.
Quando le aveva chiuso quegli occhi ormai vitrei sembrava che stesse dormendo.
Solo una macchia rossa al centro del petto, testimone del veleno.
Perdonami.
Il fantasma aveva sussurrato una sola parola al suo orecchio. L’aveva baciata –
un bacio che non avrebbe potuto esserci più – e la sua mente era stata
attraversata dal pensiero assurdo di un principe che invece di risvegliare la
sua principessa la addormenta per sempre.
Era salito di nuovo sul bordo della finestra, girandosi l’ultima volta a
guardarla. Poi era sparito silenziosamente, correndo veloce verso gli alberi,
cercando di lenire la verità.
Non poteva lasciare che venisse scoperto.
È stato tutto un maledetto errore.
Ora sarebbe stata solo un bellissimo sogno, un sogno che l’avrebbe
tormentato forse per sempre.
Si era fermato solo quando aveva raggiunto una radura buia, appoggiandosi senza
fiato ad un tronco. Il silenzio della foresta era stato increspato da un suono
flebile e roco. Un canto sussurrato, eppure carico di angoscia, alternato a
respiri pesanti e profondi.
Seduto sulle foglie, il fantasma cercava la sua assoluzione. Quel canto era l’unica cosa che gli era rimasta
prima di impazzire.
Sarebbe tornato ad essere quello di sempre, a sopravvivere in quell’esistenza
che non aveva chiesto, perché quella notte era morto di nuovo.
Mentre ascoltavo per
l'ennesima volta questa canzone stupenda ha preso forma questa idea. Non so, mi è venuto spontaneo,
come mi è venuto spontaneo scegliere i personaggi. Zafina si è guadagnata un
posto di riguardo nella mia classifica personale appena l'ho vista :)
Grazie a chi è arrivato a leggere fino in fondo, e a Matthew Bellamy per aver
composto una delle canzoni più belle della storia^^
Un abbraccio,
Miss
Trent.