Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: giuliacaesar    10/04/2022    0 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 16 - I AM A SINNER, YOU ARE A SAINT

Touya ancora se lo ricordava bene il suo primo bacio. Uno di quei momenti così imbarazzanti, da voler diventare uno struzzo e nascondere la testa sotto la sabbia per sparire. Poi aveva scoperto che in realtà gli struzzi non sono così idioti da nascondere solo la testa rimanendo col sedere per aria e si è sentito ancora più idiota. 

Era stato con quella che poi sarebbe diventata la sua prima fidanzatina quando era entrato al progetto “New Hope”. Avevano organizzato una festicciola, in realtà più in pigiama party illegale nella sala comune, per il compleanno di qualcuno e avevano iniziato a fare quei giochini stupidi che si fanno alle feste, come il gioco della bottiglia o “Sette minuti in Paradiso”. 

Quando era toccato a lui girare la lattina di Coca Cola trafficata dalle cucine, si era fermata perfettamente a metà tra Keigo e Yui, una ragazzina dai lunghi capelli ramati e il viso soffiato di lentiggini, che Touya trovava davvero carina. Gli avevano chiesto di scegliere e lui ovviamente aveva preferito la sua cotta, che schifo baciare il suo compagno di stanza! Keigo si era finto offeso gonfiando le ali e lanciando occhiatacce a Yui, che gli rispose una pernacchia divertita. 

Quando vennero rinchiusi nello stanzino delle scope, al buio e fin troppo vicini, Touya si era pentito amaramente della sua arroganza. Perché, insomma, come si bacia una ragazza? Cosa doveva fare? Prenderle i fianchi era un gesto troppo audace o le avrebbe dato fastidio? Oppure doveva prenderle il viso tra le mani? Rimasero lì da soli per quasi tutto il tempo, finché non si scambiarono un bacio a stampo veloce poco dopo che sentirono la serratura scattare e si ritrovarono davanti il faccione di Keigo trafelato. Per i primi secondi, quando li vide baciarsi, il suo compagno di stanza rimase immobile, con le ali a penzoloni sulle spalle, poi riprese a fare il buffone della situazione e ritornò dagli altri scherzando come suo solito. 

Touya aveva passato tutto il resto della serata rosso come un pomodoro, incapace di guardare la sua compagna di classe in faccia per la vergogna. Se l’era tirata così tanto, poi non era riuscito a fare nulla, bloccato dall’ansia! Che razza di uomo era? Che razza di eroe sarebbe diventato se non aveva il coraggio nemmeno per baciare una ragazza? Si era tormentato così tanto con quella figuraccia da non riuscire a parlare con Yui per giorni interi. 

Se avesse potuto scegliere con quale persona avere il primo bacio, forse sarebbe stata Mitsuha. I suoi baci erano come lei, imprevedibili e mutevoli. In un primo momento ti lasciano senza fiato, sembrano volerti assaporare in tutte le maniere possibili e volerti risucchiare persino l’anima, poi all’improvviso diventavano morbidi, dolci come il cioccolato che aveva negli occhi, sempre però con quella nota particolare che ti risvegliava, avevano quel pizzico di sale che faceva risaltare il tutto. 

Si era avvicinata a lui in silenzio, oserebbe dire quasi religioso, e gli aveva posato le labbra sulle sue con una delicatezza che non le sembrava appartenere. Di certo non dopo averla vista pestare per bene un motociclista. All'inizio era stato immobile, un po’ per la sorpresa, un po’ per paura che riaprendo gli occhi la ragazza sarebbe sparita come fumo nell’aria. Rispose al bacio senza neanche accorgersene, il cervello invaso da ossitocina ed endorfina, che lo obbligavano a sciogliersi come burro contro quella bocca così perfetta. 

Si stavano toccando semplicemente con le labbra, le mani di Mitsuha non sembravano volerlo saggiare con la ferocia che aveva mostrato appena qualche minuto prima, erano mollemente appoggiate sul grembo. Touya non poté resistere e le poggiò una mano sulla guancia, accarezzandogliela col pollice delicatamente. La sentì allontanarsi un poco, con gli occhi ancora chiusi per prendere un piccolo respiro, poi tornò a posare le labbra sulle sue piano, poggiandole senza muoverle in un bacio disperato come i precedenti. 

Touya aveva il cuore che gli rombava nelle orecchie come se la stesse baciando per la prima volta. La cosa che lo stupiva era il sentirsi così frastornato e confuso da un bacio così semplice. Di solito le persone iniziano da questo, da un semplice poggiarsi di labbra, mentre loro avevano fatto tutto il contrario, baciandosi come se non succedesse da anni, come se già fossero dipendenti da una sostanza che avevano appena assaggiato. 

Anche se Touya ne era convinto che quelle labbra creassero dipendenza e più cercava di capirlo, più sentiva i sensi sciogliersi e confondersi l’un l’altro a causa di quel piccolo contatto intimo, che gli riscaldava il cuore. Non era un calore soffocante, come gli capitava di sentire addosso durante i loro baci precedenti, che sembrava avvolgergli il cuore come una fiammata, ma piuttosto come una coperta, una cioccolata calda che riscalda con delicatezza, quasi tenerezza. 

Si staccarono definitivamente dopo solo pochi istanti, sebbene per lui sembravano passate ore e non avrebbe mai voluto allontanarsi da lei. Aprirono gli occhi quasi insieme e si osservarono per qualche istante, lui non perse tempo accarezzandole la guancia con il pollice, come se stesse toccando un fiore coi petali sottili e fragili. Gli parve vedere la ragazza spalancare gli occhi sorpresa a quella inaspettata coccola, ma fu questione di pochi secondi, perché si allontanò da lui, ritornando seduta dritta sul suo posto. Si prese il labbro inferiore tra i denti, mangiucchiandolo un po’ pensierosa. 

Touya prese un respiro profondo e appositamente rumoroso, poi batté le mani strofinando per bene i palmi prima di tirarsi in piedi. 

«Bene! Direi che è giunta l’ora che ti riaccompagni a casa, che ne dici?». 

Si girò verso di lei porgendole una mano. Lei lo osservò ancora con quegli enormi occhi castani, squadrandolo da capo a piedi sospettosa. Touya ridacchiò, a volte era quasi buffa la sua diffidenza. 

«Tranquilla, non mordo.». 

Mitsuha sollevò un angolo di quelle labbra provocanti. Eccola, battutina in arrivo! 

«Fin ora non credo di essermene lamentata dei tuoi morsi, Zuccherino.». 

Touya sbuffò per nascondere le orecchie rosse dall’imbarazzo e agitò la mano stizzito, ma comunque la ragazza si alzò in piedi senza il suo aiuto. Fece un gesto con le braccia come a indicargli di fare la strada, al ché lui iniziò a dirigersi a grandi passi verso il sentiero dal quale erano entrati. 

«Allora dove ti porto? Dov'è casa tua?». 

«Già vuoi cacciarmi via?». 

«No, è che domani lavoro e prima ancora devo fare un salto in Commissione per delle scartoffie da compilare. Chi l’avrebbe detto che nel pieno dell’epoca digitale ci sono ancora così tante cartacce in giro!». 

Mitsuha sollevò un sopracciglio divertita. A volte quel ragazzo era davvero buffo, ma non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse adorabile in quel momento, con il naso rivolto verso il cielo, rapito quasi dalla luna, che osservava con quegli occhi cristallini così vividi che sembravano risplendere di luce propria. 

Ripercorsero il sentiero in silenzio fino a quando non raggiunsero la macchina. Non vi era alcun disagio, ma una tacita stanchezza dopo una giornata pesante e una serata movimentata, forse anche troppo. Touya prese il volante in mano volgendo lo sguardo verso Mitsuha, che senza neanche ricordarglielo si stava allacciando la cintura. 

«Allora, dimmi l’indirizzo di casa tua.». 

La ragazza assottigliò lo sguardo diffidente. 

«E se domani mattina mi ritrovo un manipolo di heroes sotto casa?». 

Touya rise scuotendo la testa. Si doveva aspettare quel genere di risposta! 

«Faccio giurin giurello che non dirò l’indirizzo a nessuno.» disse porgendole un mignolo, che Mitsuha guardò scettica. 

«Ricordami quanti anni hai.». 

«23.». 

«Sei sicuro non otto?». 

«L’ultima volta che mi hanno controllato la carta d’identità, cioè appena un’ora fa, c’era ancora scritto che sono nato nel 2007. Quindi sì, ne sono abbastanza sicuro.». 

La ragazza sospirò lasciandosi sfuggire una risata. Osservò per qualche istante il mignolo ancora alzato, che continuava ad agitare per sancire quello stupido accordo, poi lo strinse. 

«Va bene, io mi dirò l’indirizzo di casa di tuo padre a Shigaraki e tu non dirai il mio alla Commissione. Promesso?». 

«Promesso! Parola di scout!». 

«Oh Kami, hai fatto anche i boy scout, Zuccherino? Quanto ancora santarellino potresti mai essere?» gli rispose, sulle labbra un sorriso malizioso. 

Lui tossicchiò mentre iniziava a fare manovra. 

«Si dice solo scout, non boy scout, ci sono anche le ragazze, sai? E poi li ha fatti mia sorella, non io. A malapena avevo abbastanza tempo libero per lavarmi tra un po’ durante il programma.» sbuffò lui. 

Iniziò a guidare verso l’indirizzo datagli dalla ragazza, che si rilassò sul sedile, stravaccandocisi sopra. Aveva comunque il viso rivolto verso di lui, studiandolo con quei occhi abissali che lo scrutavano da cima a fondo. L'ennesimo sorriso fece capolino sulle labbra rosse. 

«Che schifo.». 

«Puoi dirlo forte. Due adolescenti sudati e puzzolenti, che non possono lavarsi per quasi una settimana per colpa degli esami. Dovevamo disinfestare camera nostra dai cattivi odori dopo le settimane dei test.». 

«Noi?». 

«Io e Hawks. Eravamo compagni di stanza, purtroppo.». 

Mitsuha rise. Non seppe perché, ma la sua risata gli ricordava sempre le bollicine dello champagne, che salgono leggere in bocca quando lo bevi. 

«“Purtroppo”? Ma se vivete in simbiosi voi due.». 

Touya sorrise al pensiero. Effettivamente, non aveva tutti i torti. 

«Sì, lo so, senza di lui avrei mollato tanto tempo fa.» disse sovrappensiero. 

Mitsuha corrugò la fronte confusa. 

«Cosa intendi?». 

«Intendo che se non avessi avuto lui con me nei momenti più difficili, quando tutto sembra sfracellarsi al suolo in un mucchio di cenere... se non ci fosse stato lui a mostrami che anche dalle macerie si può costruire qualcosa, non so che fine avrei fatto. Di certo, non sarei un pro hero.». 

«Forse saresti un villain, pensa.». 

Touya rise mentre svoltava a destra in un grande vialone, in una delle strade parallele ci dovrebbe essere la loro destinazione. 

«Io un villain? No, ho la pelle troppo delicata.». 

«Hai ragione.». 

«Sulla pelle, dici? No no, è un dato di fatto.». 

Mitsuha rise scuotendo la testa alla pessima battuta. 

«Intendevo sul tuo essere un ipotetico villain, idiota. Saresti pessimo.». 

«E perché?». 

«Perché sei troppo buono per questo mondo, Zuccherino.». 

Touya corrucciò la fronte, un po’ preoccupato, un po’ sorpreso. Lui non si sarebbe definito buono. Innocuo, gentile, disponibile, ma buono mai. L'aver accettato quella missione ne era l’ennesima prova. 

«Non credo di essere buono io.». 

«Oh, Zuccherino, fidati di me, che di merda in giro ne ho vista fin troppa. Lo sei.» gli rispose lei seria. 

Per i restanti pochi minuti di viaggio rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri e ricordi. Touya rimuginava su quanto gli aveva detto la ragazza e sul perché ne fosse così tanto sconvolto, voleva essere un complimento? Una frecciatina? O era una semplice constatazione senza nessun secondo fine? 

Quando si fermò di fronte al palazzo di Mitsuha, semplice e anonimo, si girò verso di lei con un sorriso mesto sul volto. 

«Bene, spero di aver riaccompagnato Cenerentola prima della mezzanotte.». 

Mitsuha si slacciò la cintura e si girò verso di lui con la mano sulla maniglia. 

«Credi che mi trasformerò in zucca o nella strega cattiva?». 

Touya si grattò la testa, fingendo di starci pensando sul serio. 

«Mi sa che abbiamo visto due film diversi di Cenerentola, non dovresti trasformarti in una strega cattiva o in una zucca, ma dovresti perdere la scarpetta di cristallo.». 

«Se volevi vedermi i piedi bastava dirlo.». 

Touya rise di gusto sfregandosi gli occhi con le mani. Era incredibile quella donna! 

«Non era questo quello che intendevo e lo sai.». 

Mitsuha gli rivolse un sorriso, poi ricadde di nuovo il silenzio. Entrambi erano indecisi sul da farsi. Come si salutava una persona che tecnicamente dovresti odiare? Che è l’emblema di tutto quello che stai cercando di estirpare? 

Mitsuha si schiarì la gola attirando su di sé l’attenzione. 

«Vado, mi faccio viva prima io.». 

«Va bene e...». 

Touya si sporse oltre la console poggiandole le labbra sulla guancia in un leggero bacio che sembrò bruciarle la pelle. Quando si staccò ebbe anche l’audacia di allontanarsi quel bastava per guardarla con quei suoi maledetti occhi azzurri. 

«E buona notte.». 

Mitsuha si sentiva un pesce fuor d’acqua, era in un ambiente che non le apparteneva. Non erano suoi i gesti d’affetto e i baci dolci, che ti portano il cuore in gola. Si limitò ad annuire sopraffatta da tutta quella bontà d’animo e scappò dalla macchina, da quel ragazzo troppo dolce che la stava trattando fin troppo bene. 

Aveva ragione, non avrebbe dovuto vedere Touya quella sera. 

*** 

«Ridammi quel cazzo di caffè!». 

«No! È mio!». 

«È tuo un cazzo! L'ho pagato io, quindi ridammelo!». 

«Ma se l’hai comprato apposta per me!». 

«L’ho comprato prima di venir a sapere che fai di nuovo le cose di testa tua, razza di cretino! Non te lo meriti il mio caffè.». 

«Ormai l’ho bevuto! Lasciamelo!». 

«NO! DAMMI QUEL BICCHIERE, TOUYA!». 

Alle 9:30 della domenica mattina gli impiegati della Commissione di Pubblica Sicurezza degli Eroi si dovevano sorbire lo spettacolo di due dei più grandi pro heroes del Giappone che si litigavano come due bambini capricciosi un bicchiere di cappuccino di Starbucks urlandosi addosso insulti e maledizioni. 

«Una cosa ti avevo detto di non fare, UNA SOLA.». 

«A mia discolpa, lei si è presentata di fronte a casa di mio padre che dovevo fare, investirla con la macchina?». 

«Di certo, avresti fatto un piacere a molta gente!». 

«Keigo! Ma cosa dici?». 

«La verità, ora dammi quel coso, avanti!». 

Touya si strinse al petto il suo cappuccino con extra cannella come se fosse una borsa piena d’oro. Come ogni volta che dovevano affrontare un colloquio con quella megera della Okamoto, Keigo si era premurato di presentarsi con la colazione appena sfornata da Starbucks per affrontare con la giusta carica e adrenalina quella mattinata, oltre a dare loro una motivazione in più per non paccare all’ultimo quell’incontro. Tra un mugugno assonnato e uno sbadiglio Touya aveva aggiornato Keigo su quello che era successo la sera prima, senza risparmiarsi in dettagli ovviamente. Sapevano tutto l’uno dell’altro, non vedeva perché nascondergli delle cose, anche se spesso la sincerità tra loro portava a sceneggiate simili, dove Hawks si indiavolava come la brava mamma chioccia che era e iniziava a sbraitargli contro. 

«TU. SEI. UN. IDIOTA. NON. TI. MERITI. IL. MIO. CAFFÈ.». 

«Oh, andiamo, ti giuro che questa è l’ultima volta che non ti avviso che la vedo in privato! E poi cosa vuoi? Sei geloso?». 

Keigo ebbe un conato di vomito al solo pensiero delle manacce di quella donna sul suo migliore amico. Sentiva il cervello fumare dalla rabbia e le piume vibrare dalla preoccupazione. Certo che quello lì non aveva un briciolo di rispetto per il suo povero cuore! Già doveva corrergli dietro stando attento che si desse fuoco da solo, se poi doveva anche fargli una lavata di capo per le scappatine notturne con una pazza allora il caffè di Starbucks con doppia porzione di cannella non se lo meritava! 

«NO! Sono solo preoccupato! Ho paura che ti abbia puntato in qualche modo e non sappiamo cosa le frulli in testa.» rispose stizzito. 

«Senti, è probabile che mi abbia puntato, ok? Ma non possiamo farci nulla, è lei che dirige i giochi e glieli continueremo a far condurre finché ci converrà. Ti ricordo che dobbiamo conquistare la sua fiducia, non è una cosa semplice.». 

«Ho capito, ma questo lavoro dobbiamo farlo in due, non puoi rischiare solo tu qui!». 

«Kei, non sto rischiando nulla, non mi ha fatto del male.». 

Touya guardò il suo migliore amico con le sopracciglia aggrottate, perché si stava incaponendo così tanto su tale questione inutile? 

«Oh, certo, coinvolgerti in una rissa non è pericoloso!». 

«Keigo, ti vuoi dare una calmata? Non mi ha coinvolto e, anche se l’avesse fatto, ho fatto cose ben peggiori.». 

Non riusciva davvero a spiegarsi quella sfuriata fuori luogo e oltre modo esagerata. Quella mattina si era alzato con le piume arruffate a quanto pare. Keigo la smise finalmente di attaccargli il braccio che teneva alzato per evitare che gli sottrasse il caffè e sbuffò spazientito bevendo lunghe sorsate la sua bevanda amara. Touya non aveva tutti i torti, avevano affrontato situazioni ben peggiori, ma saperlo da solo con quella pazza gli faceva salire il sangue al cervello. 

«La cosa che mi fa preoccupare è che vede solo te da solo. Non si è fatta ancora viva con me.» disse calmo per una volta. 

«Mi ha detto qualcosa sul fatto che vuole tenerci separati, forse per essere certa che non spariamo cazzate.». 

Keigo ci rifletté su un po’, prima di parlare. Era più furba di quanto avesse previsto. 

«Le cose sono due: o vuole metterci l’uno contro l’altro o le sue intenzioni sono sincere e vuole davvero capire da che parte stiamo. La cosa certa però è una non possiamo permetterci di farci vedere in disaccordo, dobbiamo metterci d’accordo sulle informazioni che possiamo rilasciare e quali falsificare, ma dobbiamo farlo insieme, oppure ci esploderà tutto in mano.». 

«Lo so, Kei, lo so, lo abbiamo sempre fatto le cose insieme, ma devi lasciarti andare. Ci saranno altre volte in cui ci vedremo da soli e tu non puoi sempre farmi questa paternale ogni volta.». 

«Va bene, va bene, ma almeno scrivimi un messaggio, che se succede qualcosa almeno so chi sbattere dentro.». 

Touya scosse la testa prendendo un sorso del suo caffè. 

«D’accordo.». 

«E smettila di fare le cosacce con lei.». 

Il ragazzo sputò tutto il caffè che gli era rimasto colto alla sprovvista. 

«Le “cosacce”? Ma se ci siamo solo baciati!». 

«Appunto! Non devi farti coinvolgere emotivamente!». 

Touya gli scoccò un’occhiataccia seccato. Gettò irritato il bicchiere di Starbucks nel cestino più vicino, poi si diresse a grandi passi verso il grande edificio bianco della Commissione. Non era niente di così sfarzoso, esattamente come la struttura in cui era cresciuto: un grattacielo abbastanza basso per quella zona di Musutafu, interamente ricoperto di vetri e con la semplice scritta HSPD sul davanti. 

«Ma mi hai preso per un novellino?». 

«No, era un semplice avvertimento.». 

«Avvertimento che non mi serviva affatto, grazie.». 

«Avvertimento che mi sentivo lo stesso di darti, prego.». 

Touya prese un grosso respiro mentre entrava dalla porta scorrevole, perché sentiva i palmi prudere e i bracciali iniziare a riscaldarsi. Continuarono a camminare in silenzio anche nella hall dove fecero vedere i badge, fino a quando non entrarono in ascensore con le lamentele di Keigo. A quel punto non resistette più e sentì il bisogno di sfogare la sua frustrazione. 

«Ma che cazzo vuoi insinuare, eh?». 

Keigo non si sorprese nemmeno a quella sfuriata, anche se si era trattenuto più del solito, ma meglio così. Preferiva un Touya che ti sbraitava dietro, piuttosto di uno in silenzio che medita vendetta alle tue spalle. 

«Non sto insinuando nulla. Ti senti colpevole per caso?». 

«Io non sono colpevole di nulla! Sei tu che sputi sentenze senza capirci un cazzo.». 

Keigo scoppiò a ridere tenendosi la pancia. Era proprio ottuso a volte! 

«Sputare sentenze? Io? Ti sembro un pettegolo? Per quel che mi riguarda potresti anche scopartela quella pazza, basta che quando arriverà il momento di arrestarla tu non ti faccia remore a sbatterla in gattabuia e a gettare via la chiave.». 

Touya sbuffò, facendo uscire del vapore dal naso, visibilmente infastidito. Iniziava proprio bene quel colloquio! Fece cadere l’argomento, perché ormai erano arrivati al piano desiderato. Percorsero il corridoio che li separava dall’ufficio della Dittatrice come se stessero andando al patibolo, anche se un po’ era così visti gli scarsi e non immediati risultati. Avrebbe fatto loro una lavata di capo esemplare. 

Quando arrivarono di fronte alla porta dell’Inferno, si lanciarono una tacita occhiata che racchiudeva un unico messaggio: “Non si parla di questa cosa”. Touya bussò anche se avrebbe preferito passare l’intera giornata a fare ronde su ronde, piuttosto che stare ad affrontare quella megera. Per un secondo sperò che non fosse nemmeno lì, ma la voce autoritaria che provenne dall’altra parte della porta smontò ogni sua speranza. Entrarono e si inchinarono leggermente prima di andarsi a sedere di fronte alla Dittatrice, comodamente seduta alla sua scrivania, con le mani intrecciate di fronte a sé. 

L'ufficio era esattamente come il resto dell’edificio: anonimo, con la sua stereotipata vetrata sulla piazza sotto stante alle spalle della presidentessa. Vi era all’interno solo una libreria piena di raccoglitori e scartoffie, la scrivania scura su cui era poggiato il computer e due sedie piccoline di fronte a questa. 

Quando si sedettero, la presidentessa non si perse in convenevoli. 

«Andiamo dritti al sodo che è domenica per tutti e abbiamo tutti di meglio da fare. Raccontatemi come sono andati questi primi giorni.». 

Keigo attaccò subito bottone, narrando per filo e per segno ogni loro singola azione, dall’arrivo al The last hour all’incontro con Mitsuha nello spogliatoio e riuscendo anche a infilare una lamentela per le azioni sconsiderate della polizia. 

«Quella donna è disposta a tutto pur di rimanere incolume, qualcuno avrebbe potuto ferirsi gravemente.» concluse con gli occhi gialli puntati come stilli contro la donna. 

«Sì, lo so, ho già provveduto a fare un reclamo al comandante della polizia. Sembra proprio che li scelgano con il binocolo, sono tutti idioti. Continuate.». 

Keigo lanciò uno sguardo a Touya, che non aveva ascoltato assolutamente nulla di quella conversazione. Osservava il cielo oltre le spalle della presidentessa, con la testa appoggiata sulla mano e il gomito sul bracciolo della sedia. Come avrebbe voluto non essere lì in quel momento, non riusciva a sopportare lo sguardo bruciante e giudicante di quella megera. 

La sua testa iniziò a vagare, ritornò alla sera prima sulla collina Sekoto solo lui e Mitsuha che gli mostrava le foto del deserto del Sahara con un sorriso che sembrava rispendere più della luna sulle loro teste. Non riusciva a staccarsi da quell’immagine, da come un sorriso, un vero sorriso finalmente, sembrasse trasformare il volto di Mitsuha in qualcosa di meraviglioso e abbagliante: le guance colorate di rosso, il modo con cui si mordeva le labbra per contenere la gioia che provava, le piccolissime rughe che le si formavano intorno agli occhi, due piccole calamite che lo tenevano incollato a loro. Sentì calore alla testa quando ripensò ai baci che si erano scambiati, da quello disperato in macchina a quello timido e impacciato nella radura, entrambi furono capaci di creargli un groppo in gola, che non volle sciogliersi. 

Keigo gli lanciò una piuma, che gli pizzicò lievemente il collo riportandolo alla dura e fredda realtà. Si raddrizzò sulla sedia e si schiarì la gola, prima di partire anche lui a macchinetta sulla serata di venerdì, omettendo strategicamente dei punti scabrosi, come il fatto che avesse bevuto come una spugna o il poco professionale bacio che si erano scambiati, ma accentuò il fatto che Mitsuha era lì per un motivo. Sentì qualcosa strisciargli viscida nel petto, gli avvolse il cuore in una morsa umida e appiccicosa, quando parlò della ragazza e delle sue intenzioni. 

«Quindi? Cosa voleva da quell’uomo?». 

Touya fu subito pronto a rispondere con la bugia che si era costruito con Keigo in quei giorni. Di quello non si pentì affatto, provò solo sadica soddisfazione nel mentire così spudoratamente in faccia a una delle persone più potenti del Giappone. 

«Non mi ha permesso di partecipare all’incontro. Nanase è una donna astuta e molto schiva, molto diffidente e sospettosa. Mi ha solo fatto fare da palo mentre discuteva con l’uomo, ho cercato di origliare, ma parlavano a bassa voce. Era chiaro che non voleva che sentissi, ancora non si fida di noi.». 

La presidentessa rimase qualche istante muta, rigirandosi tra le dita una penna stilografica dall’aria inutilmente costosa. Quando riprese a parlare, il tono della sua voce sarebbe potuto appartenere a un iceberg. 

«Tutto qui?». 

Keigo partì subito alla carica con quello che avevano scoperto la mattina di sabato. Iniziò a descrivere l’uomo, che scoprirono chiamarsi Endo Orochi, col suo particolare tatuaggio di serpente sul capo rasato, ottenendo la prima reazione della donna, poi passò al risultato della ricerca che li aveva fatti sospettare di una vecchia banda ormai caduta in disgrazia. 

«Uroboro.». 

«Come scusi?». 

«Uroboro, è il nome della banda di cui sospettate, ma già vi avviso che è inutile scavare oltre, ormai non è più un problema.». 

«Ma se ci sono ancora membri in cir-». 

«Un tatuaggio non basta come prova! Potrebbe essere solo un disgraziato dai gusti opinabili oppure di un ex membro. Se proprio volete continuare su questa pista allora portatemi i fatti concreti, non supposizioni basate su fantasie!» scattò la donna. 

Touya mantenne il tono calmo, nonostante avesse solo voglia di urlare. 

«Presidentessa, almeno ci spieghi in cosa ci siamo imbattuti.». 

«Uroboro! Non sentivo quel nome da anni! Solo voi due avreste potuto risputarlo fuori!». 

La donna sospirò strofinandosi il viso con le mani, poi riprese a parlare. 

«L’Uroboro era una banda spuntata all’improvviso quasi trent’anni fa. All'inizio non davano così fastidio, giusto qualche atto di vandalismo qui e lì e qualche rapina contenuta. Il vero problema sorse dopo, quando scoprimmo che in realtà era tutta una copertura per un giro di droga e booster illegali di quirk che coinvolgeva tutta Musutafu e parte delle periferie. Per insabbiare ulteriormente il tutto riciclavano i soldi sporchi investendoli nel loro locale, il Viper, un posto squallido a mio avviso. In questi casi la cosa da fare è una: tagliare la testa al toro, o piuttosto al serpente in questo caso. Abbiamo sbattuto al Tartarus il loro capo banda e qualche membro di spicco, il resto erano solo sbarbatelli che se la cavarono con qualche anno di carcere. È tutto quello che vi serve sapere.». 

Touya strinse le labbra pensieroso, diede aria a una domanda che gli aleggiava nella testa da un po’. 

«Ma allora cosa vorrebbe Nanase da un probabile ex membro di una banda decaduta che spacciava droga?». 

«Non lo so, ma dovrete scoprirlo. Di certo, c’entra qualcosa Shigaraki, quindi partite da qui. Se volete avete anche libero accesso ai database privati della Commissione, anche se non sono sicura dell’aiuto che possano offrirvi. State solo attenti a non finire fuori pista, vi voglio concentrati sull’obiettivo: scoprire cosa voleva lei quella sera e quindi cosa voleva ottenere la League of Villains.». 

Dabi e Hawks annuirono seri, pronti a eseguire gli ordini. 

«Nient’altro da aggiungere?». 

«No, signora. Nanase ha il mio numero, avrebbe detto che si sarebbe fatta sentire lei, ma dopo venerdì non l’ho più vista né mi ha scritto.». 

La donna annuì distrattamente, poi agitò la mano segnalando che la riunione era finita. I due pro heroes si alzarono, si inchinarono ancora e poi si voltarono verso la porta, finché la presidentessa prese di nuovo la parola. 

«Dabi, sei stato tu l’ultimo a vederla?». 

Touya si girò appena, rispondendo per una volta sinceramente. 

«Sissignora.». 

«Da solo?». 

«Sissignora.». 

«Perché?». 

Touya sentì una doccia di ansia congelarlo sul posto. Mantenne la calma e rispose sicuro di sé. 

«Nanase ha detto che preferisce incontrarci separatamente. È astuta quella donna, vuole cercare di dividerci per poterci manipolare meglio.». 

«Quindi immagino che prima o poi contatterà anche te, Hawks.». 

«No, signora l’ha già fatto. Mi ha scritto un messaggio ora.». 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: giuliacaesar