Capitolo 2
Faramir era fermo, a cavallo, mentre Aragorn
con il volto annerito dalla cenere, lo guardava supplichevole. Faramir abbassò
lo sguardo a terra. Scese da cavallo e legò il puledro ad una staccionata. Poi
si volse verso Aragorn dicendo: “Scusa fratello.”
Un sorriso comparve sulle labbra del re che si
avvicinò verso il generale abbracciandolo come un fratello. “Non c’è tempo da
perdere” disse poi, mentre il sorriso cominciava a svanire.
Faramir cominciò subito a mettere in riga i
soldati, di modo che spegnessero il fuoco in breve tempo.
Intanto Arwen stava facendo entrare più persone
possibili dentro la sala del trono, senza affollare troppo.
“Venite dentro, le nubi promettono male,
potrebbe piovere.” Ripeteva, accompagnando donne e bambini nella sala. Oramai
la stanza era quasi piena e, come aveva detto Aragorn, sarebbero potuti morire
soffocati. Così prese alcune donne e le fece sistemare nelle stanze delle
ancelle. Ora andava bene, le persone erano disposte appoggiate alle pareti e
alle colonne, mentre alcuni abitanti che abitavano vicino al palazzo portavano
più coperte che avevano, anche tovaglie, cosicché quasi tutti potessero
coprirsi. Arwen uscì per vedere quanti stavano ancora fuori.
Donne e bambini stavano lì, con delle poche
coperte, mentre la brezza fredda sfiorava il dolce viso della regina. Dovette
vedere l’espressione infreddolita dei bimbi, abbracciati dalle madri per farli
riscaldare, cosa quasi impossibile. Un dolore le attaccò lo stomaco. Non poteva
lasciare lì quelle persone, non poteva lasciarle morire assiderate. Non poteva
nemmeno assumersi la responsabilità di decidere chi portare al caldo e chi no.
Non poteva portarli dentro, sarebbero tutti morti soffocati, e nemmeno se
avessero aperto la porta, sarebbe entrato il freddo.
Così Arwen non sapeva cosa fare, allora
cominciò a pensare ad Aragorn, se sarebbe riuscito a spegnere il fuoco. Arwen
cercava di convincersi che presto sarebbe tutto finito, che dopo poco avrebbe
rivisto Aragorn salire le bianche scale, con il viso annerito dalla cenere, e
le avrebbe dato il bacio più intenso e appassionato che avesse mai ricevuto.
Allora Arwen si voltò verso la sala del trono,
mentre una lacrima scivolava lentamente sul suo viso al pensiero che Aragorn
sarebbe potuto morire. Il vento gelido si fermò non appena chiuse il grosso
portone di legno. Passeggiò avanti e indietro per la sala, guardando i bimbi
addormentarsi, inconsapevoli di quello che stava succedendo. Le madri
piangevano, pensando ai mariti, come Arwen non riusciva a tralasciare
l’inquietudine per Aragorn. Poi la regina si fermò davanti ad una madre, con in
braccio un bimbo di pochi mesi, lo coccolava e lo stringeva a sé, visibilmente
impaurita, e guardava Arwen implorante, come se avesse potuto fare qualcosa per
lei. La regina provò compassione per quella madre, si chinò per parlarle e le
sussurrò: ”Anch’io temo per mio marito, anch’io ho paura per lui, aspettando
qui, nella sala del trono, che arrivino annunciandoci che hanno spento il
fuoco.”
La donna non riusciva a parlare, piangeva in
continuazione, in silenzio.
“Come ti chiami?” chiese la regina dolcemente.
“Armereth” disse deglutendo.
“Vedrai, tuo marito tornerà.”
La donna annuì, asciugandosi le lacrime con il
dorso della mano. “Grazie mia Signora…” sussurrò poi.
Arwen camminò verso il trono, si sedette e
cadde in un sonno turbato.
Un piccolo esercito, con a capo Faramir,
marciava lungo i campi del Pelennor. Essi portavano l’albero bianco sugli
scudi, il simbolo di Gondor. L’esercito puntava verso nord. Poi di fronte a
loro, stava un altro esercito, di cavalieri, con a capo Eomer. Gli eserciti stavano
uno di fronte all’altro. Poi la visuale cambiò del tutto. Elrond era lì, di
fronte a lei, e cominciò a parlarle: “Arwen, figlia mia, manda un esercito
verso nord, verso Rohan…”
“E perché dovrei, padre?” chiese lei,
intimorita da quella visione.
“Perché altrimenti vedrai ciò che non vuoi
vedere.” Rispose, chinando il capo e cominciando a dissolversi.
“Padre, cosa significa questo?”
Ma era troppo tardi, Elrond era già scomparso.
Fiamme stavano lì e Arwen vide Minas Tirith bruciare. Nella sala del trono stava
Aragorn, sdraiato su un altare in pietra, immobile.
Arwen gridò, Aragorn era disteso, morto, con
una spada infilzata nel petto. Arwen riconobbe la spada. Il manico era
contornato da due teste di cavallo. Era la spada che un tempo apparteneva a
Theoden.
Le porte della sala si spalancarono. Arwen si
svegliò di soprassalto. Aveva il fiatone.
Erano tornati. Dalle porte aperte vide entrare
il chiarore dell’alba.
Prima di tutti entrò Faramir, seguito da molti
uomini. Arwen si alzò e li andò incontro.
Molte donne si alzarono e cercarono i mariti in
mezzo alla folla. Alcuni erano rimasti fuori.
Arwen, avvicinatasi a Faramir, chiese:
“Faramir, dov’è Aragorn?”
“Credo stia arrivando, non lo so di
precisione.”
Arwen allora si diresse per uscire. Faramir la
prese per un braccio e le disse: “No, Arwen, non uscire.”
Queste brevi parole colpirono la regina al
cuore. Faramir non la voleva far uscire.
“Perché?” chiese, mentre avrebbe voluto
piangere.
“È meglio che tu non veda.”
Arwen allora riuscì a staccare il braccio dalla
mano di Faramir e corse fuori.
Aragorn non c’era. Il leggero calore del
mattino illuminava i lineamenti delle persone ancora addormentate. Erano cadute
nel sonno durante la notte. Faceva molto freddo.
Arwen si portò una mano sulla bocca come se volesse
trattenere un grido.
Quelle persone avevano il viso coperto di
ghiaccio. Erano tutti morti.
No. Non poteva essere. Arwen aveva ucciso
quelle persone. Era tutta colpa sua. Lei aveva deciso il destino di quelle
persone. Aveva ucciso quegli abitanti. E inoltre erano tutti donne e bambini.
Arwen cadde a terra sulle ginocchia. Faramir le
stava dietro. Alzatasi, Faramir l’abbracciò.
Lei chiuse gli occhi. Dopo un poco Faramir
lasciò la presa. Allora Arwen lo guardò
e scappò in camera sua, gettandosi sul letto a baldacchino, abbracciando il
cuscino di Aragorn.
Il tempo scorreva veloce, ma la regina non se
ne accorgeva. Era già passata l’ora del pranzo quando qualcuno bussò alla
porta.
Arwen stette zitta, figurando che non ci fosse
nessuno. Aveva chiuso la porta a chiave.
“Arwen sei qui?” chiese una voce da dietro.
L’elfa riconobbe la voce di Faramir.
Voleva stare zitta, ma non ne ebbe la forza.
“Non voglio parlare con nessuno!” urlò.
“Arwen apri questa porta! È tutta la mattina
che ti cerchiamo! Da quanto tempo sei chiusa lì dentro?” disse battendo forti
pugni sul legno.
“Ho detto che non voglio vedere nessuno!” urlò
ancora più forte in preda alle lacrime.
“Aragorn! Vieni qui! L’ho trovata!”
Arwen si sentì come confortata all'improvviso.
Si alzò per aprire la porta e fece girare
velocemente la chiave.
Fuori stavano Faramir con dietro Aragorn. Arwen
si gettò nelle sue braccia con una tale velocità, che Faramir dovette
slanciarsi indietro per non essere urtato.
“Aragorn, amore mio, temevo di averti perduto.”
“Mi sono dovuto fermare, bisognava caricare le
persone morte su delle barelle, così ho mostrato dove si trovava il magazzino
che le conteneva.”
“Faramir mi aveva fatto capire che eri morto.”
“Non me ne ha dato il tempo” disse Faramir
sorridendo.
“Ora è tutto finito. Fuori stanno celebrando il
funerale per i defunti.”
“Quanti sono?” chiese Arwen sentendosi
responsabile delle morti.
“Trentuno, quelli tra le fiamme, in totale, con
quelli congelati sono circa ottantacinque.”
Arwen sentì un crampo allo stomaco.
“Andiamo fuori in loro rispetto…” disse Arwen.
Così s’incamminarono verso il cortile.
Fuori stavano molte bare, già pronte da qualche
tempo.
Molte mogli piangevano, mentre altre si
abbracciavano dandosi forza l’una con l’altra.
Arwen passeggiava tra le bare, mentre le donne
la vedevano inquieta.
Piangeva, come le altre donne, si sentiva
colpevole per quelle morti, ogni cassa era una vita che se ne andava.
Poi la vide. Lì, davanti a lei, stava Armereth,
la donna che aveva consolato poche ore prima. Teneva ancora il bimbo in braccio
mentre con l’altra mano accarezzava la bara del marito.
Arwen si avvicinò alla donna. Era sconvolta e
con il viso avvilito versava lacrime.
Allora Arwen si ricordò d’averle assicurato che
il marito sarebbe tornato.
“Mi dispiace.” disse, cercando di consolarla.
Armereth singhiozzava in continuazione, senza
smettere di accarezzare la bara.
Poi cadde sulle ginocchia, mentre con le mani
si copriva il viso.
Arwen allungò le braccia per prendere il bimbo.
Armereth glielo porse e la regina lo prese in
braccio. Era addormentato, con un visino dolce, non sapeva di aver perso il
padre e non comprendeva cosa volesse dire quella parola.
Arwen
così lo strinse a sé, coccolandolo. La regina pensava a quando avrebbe avuto un
bimbo con Aragorn. Al solo pensiero ad Arwen tornarono in mente dei momenti
orrendi. Non avrebbe potuto.
Armereth stava ancora lì, addosso alla bara, a
terra sulle ginocchia.
“Com’è morto?” chiese Arwen alla donna.
“Bruciato… è entrato dentro una casa per
salvare un bimbo, ma non ce l’ha fatta.” Disse indicando una bara poco più in
là.
Infatti, lì stavano una madre e un padre, con
di fronte una piccola cassa, che conteneva quello che rimaneva del bimbo
bruciato.
Poco dopo portarono le bare nei campi del
Pelennor, per poterle seppellire in un piccolo cimitero che era stato
riedificato dopo la guerra.
Era una visione molto triste. Aragorn ed Arwen
stavano abbracciati a guardare le persone sepolte, pensando a quanto la vita
può finire improvvisamente.
Poche ore dopo Arwen e Aragorn stavano seduti a
cena con le persone più importanti di Gondor, assaporando le bontà che la
servitù aveva preparato.
Ma come potevano? La regina non aveva ancora
assaggiato nulla, mentre pensava ripetutamente ad Armereth, come avrebbe
passato quella cena, da sola, con il suo bambino.
Non era passato molto tempo, quando Aragorn ed
Arwen stavano sotto le soffici coperte, mentre il gelido vento bussava sulla
finestra.
“Aragorn” disse Arwen tastando il materasso con
le mani.
“Si?”
“Devo dirti una cosa.”
“Dimmi amore mio”
“Ecco… la notte scorsa mi padre mi è apparso in
sogno… dev’essere una cosa urgente, altrimenti mi avrebbe mandato una lettera.”
“Che cosa ha detto?”
“Prima di tutto ho visto un esercito con
Faramir e uno con Eomer, posti uno di fronte all’altro, dopo c’era mio padre
che mi avvertiva di comunicarti che devi mandare un esercito verso nord,
subito.”
“Arwen, magari era solamente un sogno. Perché
dovrei mandare un esercito a Rohan?”
“Non lo so. Ma ha anche detto che se tu non lo
farai io vedrò quello che non vorrei mai vedere.”
“Ossia?”
“La tua…morte.”
“Perché?”
“Aspetta. Eri morto, con la spada di Theoden
infilzata nel petto.”
“Arwen, Theoden è morto.”
“Lo so, ma ora la sua spada ora ce l’ha Eomer.”
“Eomer non mi ucciderebbe mai! Perché dovrebbe?”
“Non lo so. Ho tanta paura, ho paura che possa
succedere, di nuovo.”
“No Arwen, la guerra non scoppierà più.”
“Manda l’esercito.”
“Arwen, non è il momento. Non hai visto quanti
morti oggi?”
“Lo so. Mandane uno piccolo, con i guerrieri
più anziani.”
“Sarebbe uno spreco.”
“Manda anche Faramir.”
“Arwen…”
“Lo fai per me?”
“Per te
farei di tutto lo sai”
“Ecco. Il mio desiderio è questo.”
“Arwen io…”
Ma le labbra dell’elfa su quelle di Aragorn
bloccarono le sue parole.
Così, dopo poco s’addormentarono, ancora
abbracciati.
Bene, ecco qui un
nuovo capitolo. Scritto di getto, senza tutta quell’ispirazione che avevo
scrivendo il primo. E’ più corto ma mi sembra carino.
Vi prego
recensite!!! Secondo voi fa bene Arwen? Deve mandarlo l’esercito o no?
Hehe aspetto
recensioni ;)