Il
signore degli anelli
Fan Fiction
Les secrets des forêts
(I
segreti dei boschi)
Personaggi
in questo capitolo:
Gli
ultimi raggi del sole sfioravano le bianche mura di Minas Tirith. Il calore non
era mai stato così bello, la luce del tramonto, dopo le numerose battaglie che
portarono alla pace nella terra di mezzo, riscaldava gli animi delle persone,
che avrebbero potuto dormire a sonni tranquilli. Ora il sole colorava ogni
luogo di un rosso scarlatto, colore che sarebbe scomparso subito dopo, quando
sarebbe passato dietro alle montagne e la luce prodotta si sarebbe spenta, per
poi tornare dalla parte opposta, illuminando di nuovo la giornata. Aragorn ed
Arwen erano ora i sovrani dell’impero di Gondor, erano felici finalmente, una
volta raggiunta la pace per stare insieme fino alla fine della loro vita.
Nel
frattempo un cavallo con delle sfumature marroni chiare e scure galoppava per i
campi del Pelennor. Sopra il puledro, stava una figura umana, coperta da un
cappuccio nero, come il mantello, che sventolava insieme al vento. Quel cavallo
puntava verso la città bianca, senza che nessuno se ne accorgesse. Le difese
del centro abitato erano diminuite parecchio, non solo a causa della morte in
battaglia, ma anche perché molti soldati, dopo aver visto la morte in faccia
presso il nero cancello, si ritirarono dall’esercito per lo sconforto.
Dopotutto, a Gondor non rimaneva nessun nemico, poiché la torre nera era caduta
e lì insieme al torrione, erano morti anche molti orchi.
Aragorn
stava seduto sul trono, dove pochi giorni prima stava seduto Denethor, in
quella stanza dove erano conservate tutte le statue dei precedenti re: facevano
parte della sua stirpe, erano i suoi antenati. Davanti al trono, i servitori di
corte avevano sistemato un massiccio tavolo di legno scuro, che contrastava con
il bianco delle pareti, sopra il quale avevano posato una gran cartina che
illustrava tutti i confini del regno, ed oltre, fino a Granburrone. Era da molto che un viandante mostrava al re
tutti i territori che facevano parte del regno, ma Aragorn seguiva con poca
attenzione, così spostava lo sguardo indietro, passando per Rohan, per
Isengard, per la foresta di Fangorn, per i boschi di Loth Lorien, per Moria,
per fermarsi poi a Granburrone. Mentre lo sguardo scorreva lungo la cartina, ad
Aragorn tornavano in mente tutte le avventure, ricordava ancora l’aroma di
corteccia amalgamato con il tanfo di orchi, quando cercò di estrarre la freccia
dal corpo di Boromir, ripensava alla promessa che poco prima gli aveva fatto,
dicendogli che un giorno sarebbero entrati trionfanti a Gondor, insieme, e
così, come un grido fastidioso, sentiva ancora nella sua mente quando Boromir
lo aveva chiamato “mio Re”, prima di morire. Così lo sguardo passò avanti,
cercando di cancellare quel brutto ricordo, per passare ad uno più bello:
Granburrone. Come delle immagini, tornavano alla mente Arwen, con il suo viso
dolce e delicato, che gli donava il suo gioiello dell’immortalità, poi suo
padre, con il viso avvilito, che non voleva lasciare che sua figlia rinunciasse
all’immortalità. Tutto quel tempo era passato, Arwen era sola, lui l’aveva
abbandonata. Il suo fiato aumentò di scatto, e si mise una mano sul petto,
stringendo a sé il ciondolo argenteo che ancora oggi portava. Non aveva ancora
parlato molto con sua moglie, si potevano vedere poco, gli affari di corte, ora
che c’era il nuovo re, erano moltissimi, e nel poco tempo libero Aragorn si
faceva insegnare come fare il re, era nel suo sangue, ma non lo aveva mai
fatto, non aveva mai governato prima d’ora e si sentiva impreparato per quel
posto.
“Sire,
io avrei finito…” disse l’uomo imbarazzato.
“Si,
andate pure…” rispose con un gesto della mano.
L’uomo
fece un inchino e, raccogliendo le carte, si avviò verso l’uscita.
I due
soldati spalancarono la doppia porta e Aragorn sentì i raggi del sole
riscaldargli il viso, mentre già sentiva il profumo della libertà per quella
serata. Così si alzò e si diresse fuori. Arwen stava in piedi, al centro del
cortile, accarezzando l’albero bianco, simbolo di Gondor. Era evidente: la
regina sentiva la mancanza dei boschi, aveva bisogno di essere a contatto con
la natura. Ma non appena vide il marito gli corse incontro e lo abbracciò,
mentre lui sorrideva e la stringeva a se.
“Mi sei
mancato tanto…” gli sussurrò all’orecchio.
“Mi
dispiace, anche tu mi sei mancata, temevo di averti persa…”
“Assicurami
che mi vuoi bene…”
“Non ti
voglio bene, ti amo, con tutto il mio cuore…”
Arwen
lo strinse ancora di più e gli donò un bacio sul viso.
“Anch’io
ti amo… di più di qualunque cosa al mondo…”
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Aragorn
vide un uomo di corte che si avvicinava e così lasciò la presa della moglie.
“Scusate
Sire, e anche a voi regina, il banchetto per il nuovo re è pronto, tutta la
città è salita per rendere omaggio a voi Sire, ognuno ha portato del cibo in
base alle proprie possibilità.”
“Molto
bene… adesso arriviamo…”
“Ah
Sire, dimenticavo, anche le guardie hanno chiesto di poter salire per rendervi
omaggio… le guardie che hanno turno di sorveglianza…”
Aragorn
era in dubbio… se fosse venuto qualche piccolo esercito di orchetti sarebbe
stato spacciato, non ci sarebbe stato nessuno a difendere la porta o a
perlomeno dare l’allarme. Ma non avrebbero dovuto esserci orchetti in giro…
“Allora,
Sire?” chiese l’uomo.
Aragorn
si voltò verso Arwen per farsi sostenere.
“Io
direi che anche loro hanno diritto ad un po’ di festeggiamenti…”
Aragorn
annuì.
L’uomo
fece un profondo inchino rivolto ai sovrani e si diresse verso la stanza
regale.
“Hai
fatto bene…” gli sussurrò Arwen appoggiandosi alla sua spalla mentre
passeggiavano verso le scale.
“È
stato solo grazie a te…”
Così
tutto il popolo di Minas Tirith si recò alla parte alta della città, dove
c’erano dei lunghi tavoli disposti in file, di modo che la maggior parte della
popolazione si potesse sedere e mangiare insieme ai sovrani.
La
piccola piazza era stata allestita con moltissime candele, cosicché anche se la
notte sarebbe stata più buia del previsto, non ci sarebbero stati problemi. In
un’altra piazza più in basso era stata costruita una scacchiera gigante, con un
piccolo palco, dove i cantori medievali della città potranno suonare in onore
del re, mentre le coppie balleranno sulla scacchiera. Aragorn ed Arwen
camminavano lungo un corridoio semiaperto, con delle colonne unite da un
muretto in pietra.
Appena
arrivati alla piazza, furono sommersi dai fiori, tutto il popolo era felice di
essere uscito da quell’inferno, un inferno chiamato Denethor.
Degli
abitanti urlavano felici: “Evviva il nuovo re! Evviva per Aragorn, figlio di
Arathorn! E abbasso Denethor! Si! Abbasso Denethor!”
Tutti
erano felici, tutti, tranne una sagoma umana appoggiata ad un muro poco più in
là. Quell’uomo era Faramir. Non si era unito al banchetto, preferiva starsene
in disparte.
Mentre
tutti erano impegnati a mangiare, Aragorn sussurrò all’orecchio di Arwen che
sarebbe tornato subito, quindi si alzò e si diresse verso il muro vicino al
quale aveva visto Faramir. Ma l’uomo non c’era più. Allora Aragorn si guardò
intorno e vide un’ombra muoversi in fondo al corridoio. Così lo percorse
abbastanza velocemente e si ritrovò in un piccolo giardino grazioso con un
laghetto al centro che lui non conosceva. Sulla riva del laghetto sicuramente
non naturale, stava seduto Faramir, che
gettava sassolini nel lago con forza.
“Chi
sei?” chiese Faramir, dopo aver sentito dei passi avvicinarsi.
“Sono
io…” rispose il re, sicuro che avrebbe riconosciuto la voce.
“Che
cosa vuoi? Perché non vai a festeggiare e mi lasci qui da solo?!?”chiese, ma
non era tanto una domanda, più che altro era un obbligo.
“Beh,
ecco… volevo vedere perché non ti univi ai festeggiamenti…”
“Vedi,
non mi piace partecipare alle feste contro mio padre…”
“Non è
contro tuo padre…” rispose Aragorn, mantenendo la calma.
Faramir gettò un altro sassolino nel laghetto.
“… e poi non l’ho voluto io che il popolo gridasse in quel
modo…” aggiunse.
“Ma tu sei il re. Tu devi decidere tutto. Potevi zittirli
muovendo un solo dito, io invece, non sono nulla. Avresti voluto urlare anche
tu contro mio padre…”
“Faramir, non fare lo sciocco. Lo sai benissimo che non lo
avrei mai fatto.”
“Si, solo perché sei re, se tu non fossi il re lo avresti
urlato eccome.”
“Faramir, io non sono contro tuo padre, ho soltanto
occupato il suo posto.”
“Il mio posto.”
Aragorn rimase stupito. Non si sarebbe mai aspettato che
Faramir poteva essersela presa per quello. Non era logico, Aragorn avrebbe
dovuto essere re in ogni modo, era la sua stirpe.
“Saresti stato solo sovrintendente, custode del trono, non
re… e comunque sei sempre generale dell’esercito…”
“Si, generale, bel compito, da reali insomma, da figli di
un sovrintendente.”
Aragorn era proprio irritato, Faramir si permetteva di fare
il possessivo... voleva essere re, odiava Aragorn per quello che era.
“Tuo padre ti odiava. Non ti avrebbe mai lasciato il suo
posto! Stava per bruciarti vivo! Non te lo ricordi? Ti odiava a morte! Avrebbe
lasciato Gondor nella rovina, in mano a qualsiasi persona piuttosto che…
piuttosto che a suo figlio!”
Faramir si alzò di scatto e guardò Aragorn in faccia.
“Ma io sono l’unico rimasto! Sono io che dovevo occupare il
suo posto! Perché sono l’unico vivo! Sono suo figlio comunque!”
“È solo grazie a Gandalf che sei vivo!“
“Non m’interessa grazie a chi, grazie a cosa! Ed è grazie a
te, che dovrai cercarti un nuovo generale!” così s’alzò e si diresse dalla
parte opposta alla festa, verso casa sua.
“Faramir! Aspetta! Cosa? Dove vai?”
“Addio, re!” disse e sbatté la porta di legno chiudendola a
chiave.
Mentre Aragorn tornava alla festa, Faramir stava sistemando
il cavallo nella stalla dietro casa, e intanto, molto più in basso, l’uomo
incappucciato era fermo da un po’ di tempo davanti ai portoni di Minas Tirith,
chiedendo ripetutamente di aprire.
“Volete lasciarmi fuori eh? Ora che avete concluso la
guerra non avete più bisogno di noi… bene… giacché state tanto zitti e vi
rintanate nei vostri buchi dietro alle mura, vi meritate questo!” così prese il
proprio arco e incendiò una freccia. Allora la lanciò dentro le mura, subito
dopo il portone. Il tetto di una casa cominciò subito a bruciare. Dopodiché
scrisse su una pergamena parole fugaci, e senza firmare, l’arrotolò attorno ad
un’altra freccia che lanciò sempre dentro. Così fatto, salì a cavallo e si
diresse verso nord.
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Intanto Aragorn era tornato a tavola.
Nessuno immaginava quello che stava succedendo a pochi
metri più in basso.
“Tesoro, dove sei stato?” chiese Arwen preoccupata.
“Niente, ho solo discusso con Faramir, tutto qui…”
“Tutto a posto?” chiese accarezzandolo in viso.
“Si, stai tranquilla, non c’è problema…” rispose.
“Bene… quasi tutti si stanno spostando più in basso, dove
ci sono le danze. Andiamo anche noi?” chiese mostrando il visino dolce.
“Si, aspetta solo un minuto.” Così si alzò e parlò ai pochi
che erano rimasti.
“Signori, vi chiedo di spostarvi più in basso, verso la
piazza con le danze… io e la regina vi raggiungeremo subito.”
Così fecero. Tutti si alzarono e coppie, mano nella mano si
preparavano per ballare.
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Una volta allontanati Aragorn si voltò verso Arwen e
cominciò a baciarle il collo. Poi si avvicinò verso il suo orecchio e le
sussurrò: “Questo era l’antipasto, questa notte ti voglio tutta per me…”
Arwen lo guardò stupita, ma nel senso felice, anche se
avrebbe voluto subito, ma capiva che avrebbe dovuto aspettare.
Così si diressero verso le danze, mano nella mano.
Arwen avrebbe voluto ballare come quando era più giovane,
era spinta a chiederlo ad Aragorn, ma lui sembrava non volerlo fare, non era
forse capace? In ogni caso era meglio non metterlo in imbarazzo.
Anche Aragorn avrebbe voluto danzare con la donna che amava,
ma sapeva benissimo che non avrebbe dovuto: il suo posto sarebbe stato quello
seduto, a guardare il popolo allegro.
Ognuno danzava felice, mentre alcuni uomini robusti avevano
portato un tavolo verso la piazza delle danze, e l’avevano riempita con bottiglie,
bicchieri, vino, acqua e chi più ne ha più ne metta.
Mentre i musicisti suonavano una bella canzone, due donne
giovani, senza compagno, scendevano per la città, andando a riempire due secchi
con l’acqua del pozzo potabile.
Tutti erano felici. Nessuno si aspettava quello che sarebbe
successo pochi minuti dopo. Quello che stava già succedendo. A causa di un
uomo, solamente perché non gli era stato aperto.
Aragorn stava abbracciando Arwen, che cominciava ad avere
sonno. Le accarezzava i capelli neri, mentre lei chiudeva gli occhi, aspettando
che la festa finisse, per essere, finalmente, da sola, con il suo Aragorn.
Anche lui non vedeva l’ora di poter stare nel letto con il
suo amore, una volta che, dopo tante battaglie, si potevano ritrovare insieme,
sarebbero rimasti abbracciati per sempre, se Aragorn non avesse visto.
Le due donne correvano urlando, ma non si comprendeva cosa
dicessero, poiché gridavano entrambe.
Arwen si svegliò di colpo. La musica cessò, e le persone
rimasero ferme, ancora abbracciate, come durante il ballo.
“Al fuoco! Le nostre case bruciano!”
Appena udite le parole il popolo entrò nel panico.
“Calma! Calma!” gridò Aragorn, anche lui preso dal panico,
ma cercava di controllarlo.
“Silenzio! State zitti!” aggiunse.
Le persone si fermarono e ci fu un leggero silenzio.
“Il fuoco non oltrepasserà le mura del primo livello, ma
per sicurezza salite tutti nel giardino dell’albero bianco. Gli uomini né
troppo giovani, né troppo vecchi mi seguano, dobbiamo andare a spegnere il
fuoco. Le donne e i bambini procurino più secchi che possano, ma dopo tornate
nel giardino!”
Diversamente da come Aragorn si aspettava, la folla si
mosse con un certo ordine.
Arwen si alzò e abbracciò fortemente il marito.
“Ti amo…” gli sussurrò.
“Anch’io ti amo, più di quanto si possa amare, ora vai
nella sala del trono e cerca di mantenere l’ordine, sta calando la notte, gli
studiosi di corte sostengono che farà molto freddo, quindi cerca di far entrare
più gente che puoi nel palazzo, ma non troppa, si potrebbe morire soffocati. E
mi raccomando, non mandarli in preda al panico. Dì alla folla che probabilmente
pioverà, non dire del freddo.”
“Va…bene…” disse la donna agitata, con le lacrime sul viso.
“Torna presto.”
“Tornerò, te lo prometto.”
Così le diede un bacio appassionato ma fugace, perché
sapeva che non c’era tempo da perdere.
Le fiamme erano molte di più di quelle che si
aspettava.Uomini lanciavano più acqua che potevano, caricandola dal pozzo,
mentre Aragorn era in mezzo a loro, proprio come loro. Dovette sentire pianti
di bambini intrappolati nelle case, che erano rimasti a casa, a volte da soli,
a volte con le madri.
Molti cittadini si gettavano tra le fiamme, tentando di
salvarli, ma la maggior parte delle volte la casa cedeva prima che loro
potessero uscire.
Aragorn era anche lui in preda al panico, avrebbe potuto
morire, perdere così la sua Arwen. Gli uomini non stavano bene in ordine,
avrebbero dovuto gettare l’acqua alla base delle case, e tutti insieme, mentre
ognuno era distante dall’altro.
Quegli uomini erano soldati, la maggior parte, avrebbe
dovuto esserci qualcuno che li comandasse, ma qualcuno che li conosceva bene,
qualcuno come Faramir.
Proprio in quel momento Aragorn sentì il rumore di zoccoli
sulla pietra.
Era Faramir. Aveva visto tutto. Ormai le fiamme avevano
raggiunto il secondo livello. Erano riuscite a superare le mura bruciando la
porta.
Per un attimo Aragorn e Faramir si guardarono negli occhi.
Aragorn aveva bisogno di lui, ma ci aveva appena litigato, e Faramir se ne
stava andando. Quei pochi attimi sembrarono durare molto tempo. Faramir avrebbe
lasciato la città, Aragorn ne era certo.
Che cosa succederà? Hehe vedrete… vi chiedo xfavore,
scrivetemi recensioni, anche negative, ma non offensive… Niente pomodori
please… comunque vi prometto che più avanti ci sarà qualche intrigo… e
aumenterò il rating… ciao!
E scrivete
recensioni!